da ELEUTÉRIO FS PRADO*
Coloro che sentono la mancanza della socialdemocrazia, ormai superata dal neoliberismo, amano chiamare quest’ultimo fascismo
A volte certe parole si trasformano in etichette che possono essere attaccate ovunque sembri interessante. Questo è ciò che sta accadendo con la parola “fascista” che viene usata dalle persone di sinistra di fronte ad opinioni e azioni controverse da parte di persone di destra. Questa è, chiaramente, una tattica facile da usare nelle controversie politiche, ma può mancare di rigore teorico: non tutte le posizioni politiche di destra, anche se avverse, possono essere definite fasciste – anche quando appaiono altrettanto perverse.
Qui non vogliamo considerare questo uso comune della parola “fascista”, ma un altro che oggi sembra molto comune e che utilizza una base molto più austera. E può essere trovato, ad esempio, nell'articolo L’ascesa globale dell’estrema destra, di Sérgio Schargel, recentemente apparso sul sito la terra è rotonda. Le argomentazioni ivi presentate venivano introdotte attraverso la seguente epigrafe: “è più che mai necessario chiamare e classificare il bacillo dell'estrema destra con il suo vero nome: fascismo”.
Questo autore parte da una definizione di fascismo. Per Roger Griffin – che cita – “il fascismo è un genere di ideologia politica il cui nucleo mitico, nelle sue permutazioni, è una forma di ultranazionalismo populista – e che è dotato, proprio per questo motivo, di capacità di palingenesi”.
Si tratta, in altre parole, di una forma che appare molte volte, ma che ha un nucleo nazionalista dichiaratamente irriducibile: “Il nazionalismo costituisce il pilastro fondamentale, da cui si sviluppano tutti gli altri concetti nel fascismo. Il reazionarismo nasce come conseguenza del desiderio di restaurare la grandezza della nazione, e l’autoritarismo, insieme al massiccio sostegno delle masse, diventano i metodi per raggiungere questo obiettivo. Questa dinamica aiuta a spiegare perché il fascismo è emerso solo nel XX secolo”.
In questo articolo, Sérgio Schargel si occupa di stabilire le caratteristiche descrittive più salienti del fascismo. Uno di questi, come mostra la citazione sopra, è il nazionalismo reazionario. Poiché il fascismo ha bisogno di una base di massa, diventa anche populismo. Emerge all’interno della democrazia elettorale per corroderla dall’interno con l’obiettivo di costituire un autoritarismo violento, xenofobo e irredentista. Si tratta, insomma, sempre di una fusione tra populismo, reazionario, nazionalismo e autoritarismo, che, a seconda del momento storico e geografico in cui appare, acquista sempre alcune caratteristiche particolari.
Qui, diversamente, vogliamo pensare alla questione dell’estremismo di destra – tenendo presente soprattutto la comprensione delle forme presenti nel XXI secolo – non in modo descrittivo, ma come eventi associati alle crisi del capitalismo. In questo senso, Evgeni Pashukanis, indagando sul fascismo negli anni ’1920 e ’1930 del secolo scorso, si è posto la domanda ritenuta corretta: “perché la dittatura del capitale avviene proprio in questo modo?”[I] E questa domanda si inserisce anche qui, notando però che siamo già nel 21° secolo e che stiamo mettendo in discussione i presunti “neofascismi” contemporanei.
Rispondendo, afferma che “il fascismo è il risultato della fase imperialista dello sviluppo capitalistico” in cui si manifestano “tracce di stagnazione, parassitismo e decadenza”.[Ii] Ora, questo dimostra già che Evgeni Pashukanis ha una comprensione strutturale dell’avvento di questa forma politica sulla scena storica. Nasce quindi da una crisi del potere della borghesia nazionale e di alcuni Stati borghesi a causa delle conseguenze distruttive della concorrenza imperialista. In questo senso, scrive: “una tale forma di Stato garantisce alla borghesia una concentrazione di potere senza precedenti, oltre alla possibilità di una lotta energica contro il pericolo della rivoluzione proletaria e contro i suoi concorrenti imperialisti”.[Iii]
Per dare sostanza a questa comprensione è necessario entrare nella teoria dello Stato. Paxton, riferendosi al fascismo, parla di “un senso di crisi catastrofica, al di là della portata delle soluzioni tradizionali”,[Iv] ma non è in grado di mostrare perché il dominio di classe sia in pericolo e perché lo Stato assuma una forma totalitaria. Chi vede l’origine dell’estremismo contemporaneo in una “scelta fondatrice: la scelta della guerra economica” è nella giusta direzione.[V] Perché la questione cruciale ora è costruire uno Stato forte per contenere o sopprimere l’influenza delle rivendicazioni popolari sulla gestione dell’economia con l’obiettivo di iniziare a gestirla in modo tecnocratico e con il supporto, quando necessario, della forza militare.
Superando il complesso bastardo che non abbandona nemmeno i teorici di sinistra,[Vi] È in Ruy Fausto che si possono trovare le basi teoriche per comprendere il fascismo e l’estremismo neoliberista. Occorre quindi partire dalla comprensione dello Stato da cui si proviene La capitale: “in effetti” – dice Ruy Fausto – “si può ‘prendere’ una teoria dallo Stato, non dalle idee di La capitale, ma dalla presentazione [dialettica] di La capitale".[Vii]
Concentrandosi solo sul rapporto tra classi, Ruy Fausto parte dalla domanda cruciale di Evgeni Pachukanis: perché il dominio di classe non rimane quello che è, cioè la subordinazione [diretta] di una parte della popolazione a un'altra? Perché assume la forma di dominio ufficiale dello Stato?” In altre parole, perché le lotte tra le classi vengono soffocate, contenute, represse da un’autorità “superiore”, sotto “la forma di un apparato di potere pubblico impersonale, staccato dalla società”?[Viii] È rispondendo a questa domanda che si può comprendere il fascismo, ma non ancora – come si sosterrà – l’estremismo neoliberista.
Vedi: la derivazione dello Stato come sussunzione di classi va fatta, rigorosamente, secondo Ruy Fausto, dal Libro I di La capitale. La prima sezione di questo volume (composta dai capitoli da 1 a 3) presenta l'apparizione del modo di produzione capitalistico, cioè della circolazione semplice, in cui le classi sono assenti. La seconda sezione (formata dal capitolo 4) tratta della trasformazione del denaro in capitale e, quindi, stabilisce la differenza tra la classe dei capitalisti e quella dei lavoratori salariati. La terza sezione (formata dai capitoli da 5 a 9) presenta la nuda realtà dello sfruttamento, mostrando così che l'uguaglianza dell'apparenza va contro l'essenza della socialità costitutiva del modo di produzione capitalistico: questi capitoli, come sappiamo, trattano della produzione di plusvalore assoluto.
L’inversione dell’uguaglianza apparente in disuguaglianza reale, attraverso la presentazione dialettica del Libro I, indica, per Ruy Fausto, che è presente una contraddizione: “è questa interversione, contraddizione, che deve essere il punto di partenza per la presentazione dello stato capitalista ”. Pertanto, lo Stato, in quanto necessità strutturale del sistema, è implicitamente contenuto o presupposto in questa contraddizione; deve derivare non direttamente dal dominio di classe, poiché non è esplicito e non richiede forza esplicita, ma dalla “contraddizione tra l’apparenza e l’essenza del modo di produzione capitalistico”.[Ix] Se esistono classi nell’essenza, in apparenza non appaiono come tali.
Lo Stato, in questa prospettiva, è lì come un legante che nasconde un processo di disaggregazione. È l'istanza unificante, socialmente necessaria, di una struttura sociale che impone ai suoi elementi componenti di collocarsi in posizioni antagoniste e che, proprio per questo, non può essere lasciata a se stessa: attraverso un complesso istituzionale, che costituisce il nucleo della sovrastruttura di società, supera la contraddizione che è alla base del sistema affinché esso possa esistere e prosperare, funzionando senza grossi intoppi: “lo Stato” – dice Ruy Fausto – “mantiene solo il momento dell’uguaglianza dei contraenti per negare la disuguaglianza dei le classi alle quali appartengono, sicché, contraddittoriamente, si nega l’uguaglianza dei contraenti e si pone la disuguaglianza delle classi”.[X]
Il modo di produzione capitalistico si sostiene attraverso inversioni soggettive e oggettive. Così l’ideologia dell’uguaglianza (fondata sull’apparenza del sistema e diffusa nella cultura) e l’istituzionalità dello Stato (fondata sulla contraddizione tra apparenza ed essenza del sistema) operano e devono costantemente operare come protettrici dell’identità – infatti, che esiste come realtà oggettiva sotto forma di una seconda natura. La società divisa appare così, sotto il manto dello Stato, come comunità, come nazione.
E in questo ruolo usa la violenza, perché il potere statale, come diceva lo stesso Marx, è violenza concentrata che opera per disattivare le esplosioni causate dalle contraddizioni del capitalismo, affinché non prendano forma e producano caos. che lo stato della società non degenera nello stato di natura, secondo la logica presentata da Thomas Hobbes. Perché la violenza del denaro e del capitale è sempre, continua e opera costantemente nella società civile, incitando disaccordi, trasgressioni, lotte individuali, lotte di classe per la proprietà, il dominio e il possesso della ricchezza.
Se lo Stato manca anche solo per un momento, emerge e comincia a prevalere la guerra di tutti contro tutti. Ma con ciò arriva anche un’ansia per la sicurezza e, quindi, una richiesta di controviolenza che lo Stato presumibilmente fornisce. È questa richiesta, che proviene principalmente dalla piccola, media e grande borghesia, che fa emergere forze politiche autoritarie.
È da questa prospettiva che si può comprendere il fascismo: esso è apparso di fronte alla minaccia del caos nella società, come è avvenuto in Italia e in Germania negli anni ’1920 e ’1930 del secolo scorso. È qui che è emersa, come sappiamo, di fronte alla possibilità che si verificassero rivoluzioni socialiste in alcune nazioni il cui Stato era stato indebolito nella lotta imperialista. Lo Stato, in questa accezione, deve essere inteso innanzitutto come forma giuridica – e non, in primo luogo, come forma economica, anche se è, sì, anche una forma economica.
La società è classificata, ma lo Stato la presenta come un'apparente comunità nazionale. E quell'apparenza è fragile. Le lotte sociali, la politica propria delle democrazie e le crisi economiche, sociali e politiche fanno apparire le contraddizioni di classe; esso però non tende ad apparire e diffondersi come tale, ma viene alla luce trasfigurato come mera differenza di posizioni sociali esigenti. “Nel capitalismo contemporaneo” – dice Fausto – “non è più l'identità, ma la differenza, a nascondere la contraddizione”.[Xi]
Di fronte a questa situazione, il riformismo si concentra sulla conciliazione di queste posizioni attraverso l’arbitrato legale e sull’attenuazione delle differenze attraverso le azioni distributive dello Stato. Tuttavia, diventa inefficace quando la società entra in una crisi profonda. In questa condizione, di fronte al diffuso sfilacciamento del tessuto sociale, il fascismo fa affidamento sul corporativismo, sull’integrazione di diverse posizioni sociali in una comunità mitica concreta, strutturata gerarchicamente, sormontata da un leader “umano sovrumano” a cui è conferito il potere assoluto.
Ora, per comprendere gli estremismi di destra che emergono nel 21° secolo, qui si sostiene che sia necessario derivare lo Stato dal Libro III di La capitale, che si concentra sulle crisi del modo di produzione capitalistico. Ruy Fausto suggerisce, in questo senso, che lo Stato deve essere pensato in base alle leggi di sviluppo del sistema economico del capitale, che sono essenzialmente centrate, come è noto, sull'evoluzione del saggio di profitto.
Pertanto, come esiste, secondo Karl Marx, una legge di tendenza della caduta del tasso di profitto, deve esserci anche – sostiene – una legge di tendenza del cambiamento nella forma dell’azione dello Stato nel capitalismo industriale, che va dall’essere relativamente passivo al diventare sempre più attivi di fronte alle crisi di sovraaccumulazione.[Xii] In questo processo secolare, lo “stato liberale classico” si trasforma in uno “stato tecnocratico” che affronta costantemente il dilemma tra accettare o evitare le richieste popolari, quindi, tra il mantenimento di un regime democratico aperto o la deviazione da esso verso una qualche forma di autoritarismo. Perché le richieste degli strati inferiori contraddicono le richieste del capitale.
Come sappiamo, per Marx esiste una tendenza persistente alla caduta del tasso di profitto medio man mano che il capitalismo si evolve. E si presenta, secondo lui, come espressione del progressivo sviluppo della forza produttiva sociale del lavoro. Perché in questo processo cresce la composizione organica del capitale, che agisce riducendo il saggio del profitto. Per contrastare questa tendenza, è necessario un aumento del tasso di esplorazione. Esistono due forze opposte, ma la prima, in fondo, è più forte della seconda, perché come spiegato in La capitale, “questo aumento [del tasso di sfruttamento] non sopprime la legge generale”; “lo fa semplicemente agire come una tendenza”.[Xiii]
Marx non ha presentato l’intervento statale come una causa che può agire contro questa tendenza al ribasso del tasso di profitto con il passare del tempo nella produzione capitalistica. Ha menzionato, tuttavia, che aumentare il grado di sfruttamento del lavoro è fondamentale per rallentare la tendenza secolare al ribasso della redditività. Ora, dopo un intero periodo storico in cui sono cresciute le dimensioni, nonché le forme e il grado di intervento dello Stato, questo compito è diventato direttamente politico, esigendo che lo Stato stesso cominciasse ad agire per promuovere la “salute” economica del capitalismo.
In ogni caso, agendo come “stato socialdemocratico” o come “stato neoliberista”, ha cominciato a gestire il sistema per garantire, ma anche per ripristinare, se necessario, la redditività del capitale, per stimolare e fornire garanzie agli investimenti, per promuovere la crescita economica. Nel primo caso accetta in una certa misura le richieste popolari, ma nel secondo cerca di annullarle in qualche modo. Ecco perché il neoliberismo si presenta come democratico per corrodere meglio la democrazia dall’interno, poiché insiste nell’imporre le norme del liberalismo economico anche quando questo diventa distruttivo per una parte significativa della popolazione.
Pertanto, questa forma di Stato appare e deve apparire nella storia quando si verifica una crisi economica strutturale del capitale. Se nello Stato classico le differenze erano nascoste, se tali sono apparse, a poco a poco, nello Stato contemporaneo, ora devono essere accettate come conseguenza di un imperativo morale. Questi devono essere considerati inerenti al corretto funzionamento di un sistema apparentemente di successo. Ciò non sarebbe discriminatorio: è efficiente nel produrre ricchezza e si basa su una meritocrazia a lotteria. Ecco, alcuni hanno più competenza e più fortuna di altri quando si tratta di fare soldi. Il cinismo, come sappiamo, è la moralità del neoliberismo.
Questo è esattamente ciò che è accaduto nel capitalismo contemporaneo: la crisi strutturale del tramonto del capitalismo,[Xiv] apparso negli anni ’1970, ha dato origine alla nascita e allo sviluppo del neoliberismo. Questa ha assunto e ha assunto forme blande, ancora semidemocratiche, ma si è talvolta evoluta anche in forme estremiste, non più democratiche neppure nel senso liberale e ristretto del termine. In quest’ultimo caso, la caratteristica centrale dello Stato è quella di porsi come un’istanza che rimuove, per quanto possibile, le tutele e perfino le condizioni di sussistenza della classe operaia.
È da notare, a questo punto, che questo interventismo economico dello Stato entra in netta opposizione con la sua funzione di custode dell’apparenza isonomica del sistema. Ecco perché questa azione reazionaria deve presentarsi sotto forma di un movimento sociale che si configuri come populismo di destra. Ora, le crisi consentono quello che è stato chiamato trattamento shock. Il populismo qui considerato è un modo di manipolare i desideri e i desideri, basato sulla struttura libidica della psiche umana, di coloro che sono soggetti a una forma di dominio e che non vedono come esso possa essere storicamente soppresso.
Si noti che la creazione della comunità mistica, come fa il fascismo, è bloccata per il neoliberismo perché vuole ricostruire la società come un insieme di individui che funzionano come autoimprenditori e che sono affettuosamente socializzati solo attraverso le famiglie – e forse attraverso la chiesa evangelica. La sua utopia, in definitiva, è quella di trasformare la società centrata sulle relazioni di capitale in un mero sistema di parti interagenti attraverso relazioni di merci e denaro, in cui la solidarietà e la comunità sono assenti. Quando un leader di questa corrente politica diceva che “la società non esiste”, non intendeva affermare che non esiste “l'insieme degli atomi contraenti”; voleva negare, piuttosto, il presupposto comunitario della nazione e dello Stato; Volevo affermare che non è altro che un'illusione.
Si vede, di conseguenza, che il nazionalismo reazionario del fascismo gli è proibito, anche se abbraccia un certo autoritarismo e si nutre di un populismo individualista – quindi non corporativo. Al centro potrebbe ancora esistere un nazionalismo economico che mira a proteggere i mercati nazionali di beni, servizi e lavoro. Ma alla periferia, al contrario, il neoliberismo assume addirittura un carattere arrendevole; ecco, tende a coltivare la sottomissione alle nazioni di maggior successo. Per costruire forza politica, il neoliberismo crea i cosiddetti movimenti “libertari”, cercando di caratterizzare le persone di sinistra in generale come parassiti, corrotti, immorali, ecc. Le etichette qui sono note per essere intenzionalmente false.
Se non è fascismo, allora cos’è? Seguendo un suggerimento di Vladimir Safatle,[Xv] Si ritiene qui che si debba parlare di uno Stato suicida o di un estremismo neoliberista suicida. Ecco, come mostrato in un altro articolo,[Xvi] il capitalismo contiene in sé la logica sociale del darwinismo sociale che può essere contenuta, sempre in una certa misura, dallo Stato quando rimane ancora nel campo social-liberale o socialdemocratico.
Il darwinismo sociale, come sappiamo, si è manifestato spontaneamente all’inizio e alla metà del XIX secolo, ma è stato storicamente frenato dallo Stato, all’incirca nel XX secolo, a determinate condizioni, in particolare quando il saggio del profitto lo permetteva e quando i lavoratori le lotte si rivelarono molto feroci. Tuttavia, comincia a esprimersi al massimo quando queste condizioni si attenuano o addirittura scompaiono: le grida per la libertà economica, per il ritorno della moralità tradizionale, per la preservazione della famiglia, contro il “sistema” politico costituito, risuonano con forza nel di fronte all’ostruzione del sistema.
Ora, di fronte alla crisi strutturale del capitale globalizzato, sia in forme lievi che estreme, la concorrenza sfrenata, la lotta per l’esistenza individuale, comincia ad essere imposta dallo Stato neoliberista ai lavoratori in generale, all’interno della società che vuole ancora che appaia come democratico – anche se la democrazia è già diventata piuttosto vuota. Le protezioni sociali vengono smantellate il più possibile al centro e alla periferia; Le privatizzazioni aumentano lo spazio per l’apprezzamento del capitale, anche in settori che possono essere soggetti a monopoli o oligopoli.
Bestie umane che si fingono pagliacci vengono portate ai governi di nazioni che, dal punto di vista dell'accumulazione di capitale, necessitano di un trattamento shock. La stampa aziendale batte le mani, fingendo di lottare instancabilmente per la democrazia che essa stessa contribuisce a svuotare. Lo Stato appare allora come un soggetto ausiliario del soggetto automatico, che agisce tenacemente, ovviamente, a favore della crescita economica.
La difficoltà che deve affrontare deriva dalla legge dell’accumulazione basata sul tasso di profitto. Inoltre, poiché la crisi è strutturale, poiché la distruzione del capitale sovraaccumulato è diventata politicamente impossibile, il tasso di profitto non può crescere in modo sostenibile nemmeno nel breve termine – poiché la sua persistente tendenza è a diminuire. Come sappiamo, non è una variabile manipolabile a piacimento della classe dirigente. In ogni caso, la “governance” neoliberista, con la sua instancabile lotta per l’austerità fiscale e i benefici fiscali, cerca di prevalere contro le istituzioni che garantiscono un certo benessere sociale; se vince, produce inversioni nei diritti dei lavoratori, genera più povertà e cattiva distribuzione del reddito, ma persiste e rimane instabile finché dura.
Schematicamente il ragionamento può essere presentato così:

* Eleuterio FS Prado è professore ordinario e senior presso il Dipartimento di Economia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Dalla logica della critica dell'economia politica (lotte anticapitali).
note:
[I] Pachukanis, Evguiéni B. – Fascismo. Boitempo, 2020, pag. 26.
[Ii] Op.cit., p. 53.
[Iii] Op.cit., p. 60.
[Iv] Paxton, Robert O. – L'anatomia del fascismo. Pace e Terra, 2023.
[V] Sauvêtre, Pierre; Laval, cristiano; Guéguen, Haud; Dardot, Pierre – La scelta della guerra civile – Un’altra storia di neoliberismo. Editore Elefante, 2021.
[Vi] Mascaro, Alysson L. – Critica al fascismo. Boitime, 2022.
[Vii] Fausto, Ruy – Marx: logica e politica. Volume II. Brasiliano, 1987.
[Viii] Apud Fausto, op. cit., pag. 291.
[Ix] Op.cit., p. 293.
[X] Idem, pag. 300.
[Xi] Idem, pag. 319.
[Xii] È necessario notare qui, con Faust, che l'intervento statale è stato molto importante nella preistoria del capitalismo industriale. Se diminuì nella prima metà dell'Ottocento, riapparve in misura crescente a partire dal terzo terzo di quel secolo.
[Xiii] Marx, Carlo - Capitale – Critica dell’economia politica. Volume III. Aprile Culturale, 1983, p. 179.
[Xiv] Cfr. Prado, Eleuterio F. S. – Il capitalismo nel 21° secolo – Il tramonto attraverso eventi catastrofici. Editoriale CEFA, 2023.
[Xv] Safatle, Vladimir – Lo stato suicida. https://dpp.cce.myftpupload.com/estado-suicidario/
[Xvi] Prado, Eleutério F. S. – Il suicidio come politica del capitale. https://eleuterioprado.blog/2021/04/26/suicidarismo-como-politica-do-capital/
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