Fahrenheit 451

Marcelo Guimarães Lima, Notte Viola, pittura digitale, 2023.
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da RICARDO IANNACE*

Pubblicato nel 1953 — 70 anni fa — il romanzo di Ray Bradbury è tra le opere del genere distopico che si distinguono per i loro attributi immaginari

1.

Pubblicato nel 1953 – esattamente 70 anni fa – il romanzo Fahrenheit 451, dell'americano Ray Bradbury (1920-2012), è tra le opere del genere distopico che si distinguono per i loro attributi immaginari; i romanzi Nuovo mondo ammirevole (1932), di Aldous Huxley, e 1984, di George Orwell, pubblicato nel 1949, appartengono a questa famiglia letteraria.

Inizia così un articolo la cui scrittura è incompiuta e occupa una cartella di file sul mio computer. Sarebbe stato inviato a un periodico incentrato sulla lettura a scuola – ma, al momento dell'invito, il tempo limitato non permetteva di inviarlo alla redazione della rivista. Poiché insegno da molti anni comunicazione e semiotica presso la Facoltà di Tecnologia dello Stato di San Paolo e mi ostino, nel mio piano di lavoro, a includere opere universali (prosa classica che, di regola, non spaventa i neolaureati a prima vista/quelli delle superiori per il gran numero di pagine), ho ritenuto plausibile spenderci degli appunti Fahrenheit 451.

Il nome (continuo) affidato al genere ha alla radice il prefisso “dis”; si riferisce, ma in senso opposto, al concetto sviluppato da Thomas Morus in L'Utopia (1516). Se, nel racconto del filosofo rinascimentale, il personaggio Raffaello è incoraggiato, da ingegnoso oratore, a parlare ininterrottamente di una certa comunità che lo ha accolto per cinque anni — lì i rapporti di convivenza si fondano su protocolli etici, fondati su principi di uguaglianza e rispetto , attraverso leggi giuste, senza privilegi per gruppi o individui particolari –, la distopia spreca, contrariamente a questi paradigmi, il caos e le condizioni dannose derivanti dall’autocrazia e dal cattivo governo che gravano sulla collettività.

In effetti, discutere di narrazioni distopiche implica indicare stati autoritari, cioè regimi caratterizzati da azioni brutali, che impongono censura e oppressione a coloro che mostrano resistenza alle norme stabilite.

Non è raro che produzioni letterarie e cinematografiche, nel ritrarre questi apparati statali, evidenzino la presenza della tecnologia digitale al servizio di tali leader, attuata proprio per garantirne la sorveglianza. Ricorda quell'Orwell, nella trama 1984, sottolinea giustamente questa operazione: telecamere installate nelle fabbriche controllano i dipendenti sospettati di inimicarsi l'ingranaggio da cui emergono come manodopera indignata.

I testi verbali e audiovisivi conosciuti come distopia illuminano senza dubbio questo scenario che proietta il domani – un futuro eminentemente catastrofico (in questo contesto, in larga misura, appare una casta di individui ipnotizzati). Tuttavia, nelle produzioni e nei lungometraggi compaiono sempre uno o più soggetti impegnati che scopriranno modi intelligenti per aggirare la massificazione, con l’obiettivo di riportare il collasso alla normalità sognata.

C'è almeno un personaggio che viola il blocco, si ribella e cerca di convincere qualcuno che è possibile trovare scorciatoie per reagire alla manipolazione; quindi posso confermare che la speranza non è del tutto assente da questo gruppo di storie. Ci sono, quindi, dosi di utopia nella distopia. Nella concezione di Carlos Eduardo Ornelas Berriel, “la distopia, cioè la finzione che crea mondi immersi nell’incubo sociale […] sono utopie dal segno mutato, chiamate distopie – e senza queste opere saremmo disarmati nel comprendere il mondo attuale .”.[I]

Il romanzo di Ray Bradbury ospita e mobilita queste cellule tematico-strutturali. Si basa sull'azione dei vigili del fuoco addestrati a localizzare e bruciare libri; ecco che questa fazione miliziana, messa a disposizione dallo Stato per salvaguardare la disciplina, effettua il sequestro di uomini e opuscoli, invece di spegnere incendi o soccorrere naufraghi. Si tratta di una squadra addestrata, in risposta alle denunce, a invadere le case, incenerire la stampa e portare in prigione i trasgressori. Le cifre 451 corrispondono all'esatta temperatura – in gradi centigradi – che brucia le foglie di ogni esemplare, in senso stretto, travolte da fiere fiamme.

Predicendo la scomparsa dei lettori dal canone, Ray Bradbury allegorizza un futuro sterile (nel suo romanzo, l'esperienza di lettura affidata ai personaggi è limitata ai fumetti, cartoni animati, manuali – oltre, soprattutto, all'accoglienza devota dei media televisivi). L’immersione nell’estetica verbale, infatti, è vietata perché incoraggia il pensiero e stimola l’immaginazione – fa emergere in ognuno di noi, come diceva Antonio Candido, “la quota di umanità”[Ii] necessario per la vita sociale, poiché mette in scena il linguaggio e permette di “ruotare la conoscenza”, secondo Roland Barthes. Letteratura, evidenzia il professore di Collège de France, “non dice che sa qualcosa, ma che sa qualcosa; o meglio: che sa qualcosa delle cose – che sa molto sugli uomini.[Iii]

La narrazione che completa settant'anni è stata ricreata nei film di François Truffaut,[Iv] 57 anni fa (suo Fahrenheit 451 risale al 1966) e, recentemente, da Ramin Bahrani,[V] nel 2018, così come in Fumetti (2011), adattamento illustrato da Tim Hamilton,[Vi] con un'introduzione dello stesso Ray Bradbury. Il film di François Truffaut supera, per le sue qualità artistiche, la trama che lo ha originato. Fotografia raffinata e colonna sonora concorrono nella costruzione di un'atmosfera lirica che, velatamente, mitiga (senza mai cancellare) la terrificante violenza che allude al nazifascismo, alle camere a gas e alla Guerra Fredda.

2.

Nella prima settimana di questo dicembre 2023 ho evidenziato questi ed altri punti di tensione in merito Fahrenheit 451, dopo aver presentato ai miei studenti il ​​lungometraggio di François Truffaut. Il caldo in classe richiedeva che la ventola fosse accesa, da qui la necessità di parlare ad alta voce e prestare particolare attenzione durante l'ascolto.

Nell’interlocuzione sono stati salvati passaggi creativi del film – l’inventiva corrispondente alla navetta di una monorotaia che scivola in posizione sui generis, in una marcia parallela al contratto matrimoniale e ai passi meccanizzati della famiglia borghese; duplicità (Linda, il personaggio che funge da moglie del protagonista, e Clarisse, la giovane insegnante, sono interpretati dalla stessa attrice); lo spazio abitativo e i mobili sono scelti per funzionare come nascondigli di libri (Don Chisciotte appare come il primo titolo nascosto, a sbucare sul lampadario nel soggiorno di un appartamento); lo stupore del pompiere Guy Montag nello scoprire la registrazione di parole, scritte su carta, in una condizione metaforica…

Si stavano già avvicinando le 18; Avevo bisogno di terminare la lezione, e la discussione sul rogo dei libri doveva collegarsi all'invito che avevo lanciato riguardo alla fruizione di un classico: il dibattito era previsto per la settimana successiva. Erano state nominate sei opere: La morte di Ivan Ilic, Il naso, Lo straniero, Bartleby l'impiegato, Nella colonia penale e Agricoltura arcaica. I commenti mi sono arrivati ​​con voci soffocate (due studenti hanno parlato di ChatGPT; uno studente ha fatto riferimento a uno zio che aveva letto I fratelli Karamazov, un'opera presente nel lungometraggio, e le consigliò di leggergliela; qualcuno, in sottofondo, ha detto di aver letto Edgar Allan Poe).

Ho iniziato a parlare di Acqua e Sapone e ha commentato la previsione di Vladimir Nabokov sulle farfalle. Si rideva per l'impossibilità di memorizzare un romanzo, recitandolo per non dimenticarlo, come i bookmen presenti nell'episodio finale del film di François Truffaut.

Intanto, alzandomi, ho visto gli zaini sul pavimento e accanto ai banchi. Ho identificato l'una o l'altra edizione (Agricoltura arcaica, La morte di Ivan Il’ic…), ho visto un grosso libro del genere fantasy, che non mi piace. E la cosa bizzarra è che ho mirato a un cellulare di vetro rotto appoggiato sulla cover Il naso, che copre le lettere finali del cognome di Nikolai (chissà perché, ho letto – al posto di Gogol – Google).

Ricordo che in quel momento uno studente stava organizzando, anche se senza successo, una riflessione che metteva a confronto la storia di Gogol Pinocchio; Ricordo che mi sforzavo, di fronte al caldo fastidioso, di non perdere la concentrazione e fallire nelle osservazioni che stavo intraprendendo sulla base di un capitolo di La lettura, di Vincent Jouve, nonché nelle pregevoli proposte definitorie di Italo Calvino nel suo saggio Perché leggere i classici – proprio questi due: “Un classico è un libro che non finisce mai di dire quello che aveva da dire”. e “Un classico è un libro che viene prima degli altri classici; ma chi legge prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia”.[Vii].

La lezione non durò a lungo. Si è conclusa alle 18:30.

* Ricardo Iannace È professore nel programma post-laurea in Studi comparati delle letterature linguistiche portoghesi presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Murilo Rubião e le architetture del fantastico (Edusp). [https://amzn.to/3sXgz77]

Riferimento


Ray Bradbury, Fahrenheit 451: la temperatura alla quale la carta del libro prende fuoco e brucia. Traduzione: Cid Knipel, San Paolo, Globo, 2009. [https://amzn.to/3H4kwup]

note:


[I] Carlos Eduardo Ornelas Berriel, “Prefazione”, In Lucídio Bianchetti e Juares da Silva Thiesen (a cura di), Utopie e distopie nella modernità. Educatori in dialogo con T. Morus, F. Bacon, J. Bentham, A. Huxley e G. Orwell. Ijuí, Ed. Unijuí, 2014, p. 17.

[Ii] Antonio Candido, “Il diritto alla letteratura”, Vari Scritti. 3a ed. rev. e ampl. San Paolo, Duas Cidades, 1995, p. 249.

[Iii] Roland Barthes, Classe,trans. Leyla Perrone-Moisés, San Paolo, Cultrix, 1989, p. 19 [enfasi dell’autore].

[Iv] FAHRENHEIT 451. Regia: François Truffaut. Stati Uniti, Universal, 1966 (111 min, figlio., colore.).

[V] FAHRENHEIT 451. Regia: Ramin Bahrani. Stati Uniti, HBO Films, 2018 (100 min, figlio, colore).

[Vi] Tim Hamilton, Fahrenheit 451: una graphic novel autorizzata da Ray Bradbury, trans. Ricardo Lísias e Renato Marques, San Paolo, Globo, 2011.

[Vii] Italo Calvino, Perché leggere i classici”, in Perché leggere i classici, trad. Nilson Moulin, San Paolo, Companhia das Letras, 2007, pp. 11 e 14 rispettivamente.


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