da PAOLO BUTTI DE LIMA*
Nel Brasile di oggi, la lotta politica guida l'uso polemico dei concetti classici. Il conflitto civile rimodella anche il vocabolario stesso.
L'attuale esperienza politica brasiliana ci pone all'ombra delle rappresentazioni estreme dell'autoritarismo. Per spiegare il nuovo status nazionale è necessario ricorrere a un repertorio particolarmente ricco di analogie. Categorie generali, come il fascismo o il neofascismo, vengono evocate quando si tratta di descrivere il governo del paese, aspetti delle sue attività, la sua ideologia o alcune sfaccettature dei gruppi che lo sostengono. Il carattere inedito della situazione in cui si trova il paese porta al frequente ricorso a confronti con luoghi e periodi storici lontani.
Così, ciò che appare originale (nel campo della barbarie) si trasforma in qualcosa di più familiare, almeno dal punto di vista della storia delle idee. Ciò è stato infatti possibile grazie all'ambiguo rapporto che si instaura tra termini come “liberalismo” e “democrazia”, difesi proprio nel momento in cui si accettano forme arbitrarie di potere e si tollera la loro eccessiva concentrazione, sia a livello politico che economico . L'inevitabile ricorso alle analogie apre il campo agli esercizi di memoria storica. Si fa appello, come guida per leggere il presente, alle autorità intellettuali che hanno interpretato gli esempi di un passato, ormai sentito come vicino. Personaggi così diversi come lo storico Robert Paxton e il medievalista Umberto Eco sono citati per giustificare la descrizione della realtà brasiliana come “fascista”.
Questo ricorso alle analogie è un processo naturale e frequente, che accompagna la diffusione del lessico politico nella nostra tradizione, quando applicato a realtà diverse da quelle per le quali è stato creato. Ciò è avvenuto con termini derivati dai linguaggi classici, come nel caso di democrazia o dittatura, e può essere verificato con parole più recenti, come fascismo o nazismo. Ma il gioco delle analogie e la ridefinizione degli schemi di comprensione politica diventano più acuti e rilevanti in tempi di forte conflitto civile. Questo è il caso del Brasile. L'interpretazione dell'oggetto è contaminata dallo stesso conflitto che risiede nella sua origine, fondendo oggetto e teoria.
Il fenomeno fu notato dallo storico greco Tucidide, nella descrizione della guerra civile a Corcira. Dice Tucidide: “il valore abituale delle parole era alterato rispetto all'oggetto, secondo la valutazione di ciascuno”. Il conflitto non solo impedisce la convivenza tra cittadini, ma allontana ogni giudizio condiviso sui fatti. Va notato che il problema principale nell'affermazione di Tucidide è il significato dell'espressione tradotta "il valore abituale delle parole". Il momento del conflitto, stasi, è visto qui come qualcosa di eccezionale, che rivela l'erosione dell'ordine politico e del consenso.
Il meccanismo per creare analogie deve essere giudicato dalla natura polemica dei termini usati. L'uso polemico dei concetti politici è stata una delle principali lezioni di un teorico di estrema destra negli scritti di quasi un secolo fa. Il giurista tedesco Carl Schmitt ha poi cercato di rivedere la definizione di alcuni valori presenti nella Costituzione di Weimar come “democrazia”. L'uso dei concetti divenne così uno strumento di lotta politica immediata. Per Schmitt la parola “democrazia” perse parte del suo valore polemico nel corso dell'Ottocento, quando la sua opposizione alla monarchia si attenuò (avrebbe dovuto pensare alle riforme costituzionali britanniche di stampo “democratico”, come nel caso dell'espansione del suffragio ). La teoria costituzionale di Schmitt cerca di reinserire un termine apparentemente vuoto all'interno della lotta politica, accompagnando l'ascesa del nazismo con uno sforzo di revisione concettuale.
La febbre politica brasiliana si misura attraverso l'attuale diffusione del termine “fascismo” da parte di diversi settori dell'opinione pubblica. È interessante notare che la stessa tensione non si verifica, nel dibattito pubblico nazionale, con il termine “dittatura”, che, se da un lato non si applica allo stesso modo a movimenti e idee, dall'altro è già ben radicato nella tradizione politica del paese e rimane in primo piano, dato il sostegno di gruppi militari e di polizia all'attuale governo. In questo caso si può notare sia un tentativo di rivalutazione del termine, al quale una parte delle forze reazionarie attribuisce un significato positivo, sia una posizione più ambigua assunta dai gruppi conservatori e dall'élite liberale.
Un settore di questa élite ha preferito applicare una sorta di colpo di stato concettuale. Già durante le ultime elezioni, gli stessi giornali che si sono rifiutati di classificare i movimenti politici in ascesa in Brasile come di estrema destra hanno cercato di forgiare la percezione del governo di un paese vicino, il Venezuela, come una dittatura. Per loro la dittatura non era ciò che minacciava il futuro brasiliano, una forma di esercizio del potere autoritario apertamente difesa da uno dei candidati presidenziali, ma il peccato che abita nella porta accanto.
La ripetuta attenzione rivolta al Venezuela è entrata a far parte del dibattito politico interno alla società brasiliana. Anche in questo caso la lotta politica si trasferisce sul piano dell'uso polemico dei concetti politici. Le forze conservatrici e liberali, trovando difficile ammettere la propria complicità con il stasi I brasiliani, consapevoli del loro contributo a una situazione che essi stessi ora guardano con disprezzo e preoccupazione, hanno spesso iniziato a proporre un uso paradossale dell'analogia storica. Per queste forze non importa che l'immagine della “dittatura” venezuelana non resista ad un'analisi seria. Affonda le sue radici in una sorta di immaginario volutamente costruito in cui il paese vicino, demonizzato, assume un ruolo negativo che si propaga automaticamente a posizioni di sinistra e si riflette nello scenario brasiliano.
L'esempio di Tucidide non può essere dimenticato. In tempi di forte conflitto civile – come quello che oggi pervade la società brasiliana –, le stesse categorie interpretative applicate al momento presente subiscono un processo di rielaborazione, insieme al loro oggetto. Viene così smascherato il presunto substrato oggettivo su cui tali categorie sembravano fondarsi, minando i principi stessi dell'obiettività liberale. La teoria di stasi, o conflitto civile, divenne lo strumento principale per comprendere il laboratorio politico brasiliano. La capacità di intromettersi nel dibattito intellettuale e nella propaganda politica rivela il grado di maturità delle parti coinvolte nel conflitto, con in gioco la difesa dei principi di giustizia sociale. L'uso delle analogie è uno degli strumenti più rilevanti nel contesto di questa lotta.
* Paolo Butti de Lima è professore all'Università di Bari, Italia. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia. L'invenzione degli antichi e gli usi dei moderni, (Firenze-Milano 2019) [traduzione portoghese in stampa a cura di EdUFF].