Fascismo

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da ALYSSON LEANDRO MASCARO*

Prefazione al libro appena curato da Evguiéni Pachukanis

Evguiéni Pachukanis scrive, in concomitanza con lo svolgersi degli eventi, una delle analisi più notevoli del fascismo: è una lettura materialista unica e radicale. Questo libro riunisce, per la prima volta in portoghese, quattro importanti studi di Pachukan sul fascismo, i suoi ambienti e i relativi problemi. Riflettendo sul quadro politico che si stava delineando nei primi decenni del Novecento, Pachukanis individua, scruta e sistematizza le cause del fascismo, il suo rapporto con il capitalismo e con le lotte e le dispute in termini economici, politici e di classe. Testi caldi per la foga del momento e, contemporaneamente, solidi e perenni per il vigore del suo pensiero.

Gli studi pachukaniani che si occupano dei casi italiano e tedesco si distinguono per l'acutezza radicale di un'analisi sempre intransigentemente rivoluzionaria. I suoi testi non sono disfattisti o cauti, né favorevoli ad accordi generalisti. Allo stesso tempo, non sono letture idealistiche, olimpiche o solo metriche indifferenti alla realtà: i tre studi sul fascismo e lo studio sul caso socialdemocratico tedesco sono immersioni profonde nella storia e negli eventi, in una minuziosa ricostituzione dei dati , pronunciamenti, pubblicazioni e analisi teoriche di terzi, costituendo una salda rete fattuale da cui scaturisce anche la più solida linea di riflessione mai scritta su tali elementi.

Pachukanis, pur essendo uno spettatore esterno ai fatti – non è né italiano né tedesco – è intimamente legato alla circostanza storica che analizza in modo peculiare. Da un punto di vista sovietico, in diretta opposizione alle derive tedesche e italiane a destra, la sua lettura è impegnata nella rivoluzione che dovrebbe essere fatta in entrambi i paesi. Anche il caso tedesco vi è estremamente vicino. Inizialmente, perché Pachukanis ha avuto gran parte della sua formazione teorica nella stessa Germania. Inoltre, dopo la Rivoluzione del 1917, in diverse occasioni ha consigliato l'equivalente di un Ministero degli Esteri russo su questioni tedesche - ha anche lavorato direttamente come diplomatico per la Russia rivoluzionaria nei suoi rapporti con Berlino.

Contribuì alla stesura e partecipò attivamente alla preparazione del Trattato di Rapallo, firmato nell'omonima città italiana nel 1922, con il quale furono ristabiliti i rapporti tra Russia e Germania. La sua ingegnosità legale fu decisiva affinché la virulenta lotta contro l'esperienza sovietica ricevesse le prime dissonanze, permettendo un sospiro di fronte al blocco internazionale contro la Russia e le repubbliche ad essa unite. La stessa diagnosi valeva per la stessa Germania, isolata dopo aver perso la prima guerra mondiale.

Sul rapporto di Pachukanis con la Germania, oltre alla sua partecipazione al Trattato di Rapallo, Luiz Felipe Osório commenta che “il giurista sovietico strinse importanti legami personali e professionali con la Germania. Nel 1910 si reca da San Pietroburgo a Monaco (in Ludwig-Maximilians Universität) per continuare il corso del diritto. […] Dal 1920 al 1923, Pachukanis ha lavorato nel Commissariato del popolo per gli affari esteri, equivalente a un ministero degli Affari esteri, come direttore o capo del dipartimento di diritto economico. Dal 1921 al 1922 tornò in Germania, per prestare servizio a Berlino. È a questo punto che viene coinvolto direttamente nei preparativi di Rapallo. Gli atti mostrano che, il 3 dicembre 1921, inviò un telegramma al ministro-cancelliere Georgy Chicherin per trattare questioni proprie di un incaricato d'affari, andando ben oltre la semplice consulenza legale. La commissione sovietica diretta a Genova fu nominata direttamente da Lenin, data l'importanza della missione, e comprendeva Georgy Chicherin, Maxim Litvinov e Leonid Krasin. Sulla strada per Genova, i primi due fecero tappa strategica a Berlino. Così hanno potuto trattare direttamente con Pachukanis su varie questioni diplomatiche, oltre a Rapallo”.[I]

Sullo sfondo dell'analisi di Pachukanis dei casi italiano e tedesco per suo Teoria generale del diritto e marxismo. Se è vero che i suoi testi sul fascismo hanno un proprio asse di gravità, trattando un tema illustre, è anche vero che, per questa specifica analisi politica, si dispiegano gli orizzonti e gli impegni profondi della sua più importante opera teorica.

Em Teoria generale del diritto e marxismo, risplende, per il campo politico e giuridico, la costruzione scientifica più rigorosa del marxismo: la forma merce, atomo della socialità capitalista, come aveva rivelato Marx in La capitale, è la matrice della forma politica dello Stato e della forma della soggettività giuridica, che da essa derivano ombelicalmente. Più che alla questione dei contenuti normativi o dell'azione politica, si giunge alla critica della forma. La forma politica e la forma del diritto sono chiamate in causa: è in gioco la socialità della forma merce. Così, l'estinzione del diritto e l'estinzione dello Stato sono indici di una fase della lotta di classe nel superamento del capitalismo.

Non c'è Stato che possa gestire, attraverso la promozione delle istituzioni o del diritto, l'avvento del socialismo. Né si può pensare che la politica sia ciò che gli enunciati normativi, di principio o giuridici annunciano come tale. Il fascismo sarebbe poi analizzato da Pachukanis dal punto di vista delle contraddizioni della socialità capitalista, senza illusioni su possibili soluzioni o contenimenti sul piano morale, etico, istituzionale o legale. Nei testi sul fascismo, il giurista Pachukanis non indica mai il diritto come soluzione. La radicale crudezza con cui affronta la natura del diritto nel capitalismo è la stessa con cui analizza i casi concreti delle dinamiche italiane e tedesche nei loro viaggi verso l'estrema destra.

Va notato che già nella sua opera magnum, Teoria generale del diritto e marxismo, ci sono passaggi in cui Pachukanis riflette direttamente sullo specifico tempo storico che genererà il fascismo. Come si legge: "Il capitalismo monopolistico crea le premesse perfette per un altro sistema economico, in cui il movimento della produzione e della riproduzione sociale si realizza non attraverso contratti privati ​​tra unità economiche autonome, ma con l'aiuto di un'organizzazione pianificata e centralizzata. . Questa organizzazione è generata da trust, cartelli e altre associazioni monopolistiche. L'azione di queste tendenze potrebbe essere vista in tempo di guerra, con la fusione del capitalismo privato e delle organizzazioni statali per formare un potente sistema di capitalismo di stato borghese. […] Il significato sociale di queste dottrine è un'apologia dello Stato imperialista moderno e dei suoi metodi, ai quali ha fatto ricorso in modo particolare durante l'ultima guerra”. […]

“Lo Stato come fattore di forza sia in politica interna che estera è stata la correzione che la borghesia è stata costretta a fare nella sua teoria e pratica dello “Stato di Diritto”. Quanto più il dominio borghese è minacciato, tanto più compromettenti si riveleranno queste correzioni e tanto più velocemente lo "stato di diritto" si trasformerà in un'ombra incorporea, fino a quando, infine, l'eccezionale aggravamento della lotta di classe costringerà la borghesia a mettere completamente da parte la maschera dello stato di diritto e rivelando l'essenza del potere come violenza organizzata di una classe sulle altre”. […]

“Va notato, inoltre, che proprio l'ultimo decennio dell'Ottocento e il primo del Novecento hanno mostrato una visibile tendenza in tutta una serie di paesi borghesi verso il ripristino di pene spaventose, angosciose e vessatorie. L'umanesimo della borghesia lascia il posto a un appello alla severità, a una più ampia applicazione della pena di morte”.[Ii]

L'insieme dei testi di Pachukanis sul fascismo riesce Teoria generale del diritto e marxismo. Il primo ad essere pubblicato, nel 1926, era intitolato “Per una caratterizzazione della dittatura fascista”. In origine, era il rapporto di Pachukanis sull'argomento che veniva letto all'Accademia comunista. La seconda era la voce “Fascismo”, pubblicata in Enciclopedia dello stato e del diritto, sotto la direzione di P. Stutchka, nel 1927. Il terzo è il rapporto intitolato “La crisi del capitalismo e le teorie dello Stato fascista”, pubblicato in Stato sovietico e rivoluzione, nel 1931. L'ultimo dei testi si intitolava “Come i socialfascisti falsificarono i soviet in Germania”, pubblicato nel 1933.

Le prime tre – due sul caso italiano e l'altra su quello tedesco – sono analisi che si concentrano su fatti in corso. Il quarto, sempre sulla Germania, tratta di un momento nel passato, la fine della prima guerra e l'arrivo della Repubblica di Weimar. Pur riferendosi a un momento precedente, tale analisi è essenziale per comprendere le successive impasse delle lotte tedesche, già quando Hitler salì al potere.

Data l'estensione temporale della scrittura e pubblicazione di un tale insieme di testi, la questione della loro congruenza con le idee principali sviluppate da Pachukanis in Teoria generale del diritto e marxismo. È noto che l'ultima riflessione di Pachukan subì modifiche rispetto a quella dell'epoca in cui scrisse la sua opera più importante. I testi finali dell'autore, già vicini al 1937, anno della sua morte, rivelano grandi distinzioni nel suo pensiero, reinserindo visioni tradizionali del diritto contro le quali aveva precedentemente combattuto.

C'è un dibattito tra i ricercatori del pensiero pachukaniano su quando si dovrebbero considerare i loro testi già influenzati e vincolati dalle posizioni staliniste. C'è chi tende a indicare come palesemente confluenti con lo stalinismo solo l'insieme degli scritti degli anni Trenta, mentre c'è chi vede già in opere subito successive a Teoria generale del diritto e marxismo il cambio di pensiero. Márcio Bilharinho Naves, il più importante studioso di Pachukanis, respinge il principio di un taglio nell'opera dell'autore russo semplicemente riferito a una data precisa.

Riconoscendo che vi sono differenze sostanziali tra i testi dell'ultima fase e quelli dell'epoca del libro centrale del giurista, Naves fa notare, tuttavia, che Pachukanis resiste nel suo processo di autocritica. Questo problema ritorna molte volte nei testi degli anni Trenta, anche sotto l'adeguamento forzato alle costrizioni del contesto politico. Non si tratta, dunque, di tracciare in modo assoluto un prima e un dopo, ma piuttosto di verificare la persistenza, le rettifiche e le continue alterazioni della problematica pachukaniana nei suoi ultimi testi.

Dice Naves: “Pachukanis modifica e abbandona efficacemente le proprie posizioni. La differenza tra la nostra analisi di questo processo autocritico e le altre risiede, da un lato, in un nuovo sforzo di leggere il modo in cui Pachukanis riorganizza il suo dispositivo teorico, e cerca di dar conto delle sue esitazioni e resistenze, in particolare nel riconoscere l'esistenza di una “destra proletaria” o “socialista”. D'altra parte, e in stretta connessione con la prima, proviamo a pensare la ricostituzione dell'apparato concettuale giuridico negli anni Trenta come la negazione delle tesi originariamente difese da Pachukanis. Possiamo dividere questo periodo in due momenti. Nella prima, Pachukanis introduce uno “squilibrio” teorico non trascurabile nella sua teoria del diritto, compromettendone la costruzione teorica, ma conservando comunque – anche se in contraddizione con le nuove tesi – alcuni elementi della concezione originaria. E un secondo momento – dal 1930 – in poi, in cui Pachukanis sostiene una teoria del diritto – e dello Stato – conforme all'orientamento stalinista, nettamente delimitata rispetto alle formulazioni di Teoria generale del diritto e marxismo".[Iii]

Nella lettura di Márcio Bilharinho Naves – con la quale siamo d'accordo –, le opere di Pachukanis degli anni '1930, comprese quelle del 1935, presentano già uno “squilibrio” che ne altera le posizioni originarie, sebbene si cerchi di proteggerle in qualche modo . Le opere del 1936 segnano un completo contrasto e una totale sottomissione allo stalinismo, prima che fosse ucciso nel 1937. Con questo scenario come guida, l'insieme dei testi sul fascismo è distribuito in parte da quella che è la sua fase più vigorosa e originale: gli anni Venti – e, in un altro, il momento della rettifica stalinista, in cui cercò ancora di sostenere i fondamenti della sua analisi.

Infatti, in “La crisi del capitalismo e le teorie fasciste dello Stato” e “Come i socialfascisti hanno falsificato i soviet in Germania” si può vedere la presenza di alcuni tratti della posizione politica ufficiale del governo sovietico: la nomenclatura di «socialfascisti» ai socialdemocratici tedeschi, in particolare, rivela un gergo gradito allo stalinismo. Tuttavia, in generale, i testi degli anni Venti, e anche quelli degli anni Trenta, sono sostanzialmente costruiti dalla problematicità, dal metodo e dal radicalismo del pensiero principale di Pachukanis.

* * *

Il primo testo di questo libro si intitola “Per una caratterizzazione della dittatura fascista”. In esso, Pachukanis rifiuta l'idea che il fascismo sia una dittatura della piccola borghesia o dei proprietari terrieri. È soprattutto una dittatura dei grandi industriali e del capitale finanziario. Lo stato fascista italiano è uguale agli altri stati del grande capitale borghese, come quello francese, inglese e americano. Di qui, subito, la questione centrale di Pachukanis a supporto della caratterizzazione del fascismo, che replica quella che è la questione più importante di Teoria generale del diritto e marxismo. Dato che esiste un rapporto tra capitalismo e diritto, Pachukanis si chiede, nella sua opera più grande, perché è proprio il diritto a strutturare il capitale. Le sue parole sono classiche: “Perché il dominio di classe non si presenta così com'è, cioè l'assoggettamento di una parte della popolazione all'altra, ma prende la forma del dominio statale ufficiale o, il che è lo stesso, perché è l'apparato di coercizione statale non si costituisce come apparato privato della classe dirigente, ma se ne distacca, assumendo la forma di un impersonale apparato di potere pubblico, separato dalla società?[Iv]

In “Per una caratterizzazione della dittatura fascista”, si pone la stessa domanda per capire perché, essendo lo Stato borghese, il capitale abbia proprio bisogno della dittatura fascista. Il problema della forma si pone fin dall'inizio: “dire che la dittatura del fascismo è la dittatura del capitale è dire poco. Occorre dare una risposta alla domanda: perché la dittatura del capitale avviene proprio in questo modo? Non si può dimenticare il pensiero di Hegel sulla forma come punto essenziale del contenuto. Abbiamo quindi l'obbligo di scoprire cosa ha generato come nuovo questa particolare forma, cosa ha offerto come nuovo, quali le sue specifiche possibilità e le sue specifiche contraddizioni”.[V]

Pachukanis si chiede se il fascismo sia una specifica dottrina intellettuale o filosofica. Infine respinge questa ipotesi, sottolineando la natura primitivista delle idee fasciste, il cui carattere è frammentario, contraddittorio. Quanto alla specificità delle condizioni del suo sorgere, l'autore riconosce che, nel caso italiano, il fascismo germogliò da condizioni più propizie e care che in altri paesi: sentimenti di liberazione nazionale (che simbolicamente poté abbeverarsi anche a Garibaldi), irredentismo , la peculiare figura di Gabriele D'Annunzio, l'agitazione nazionalista.

In questo contesto sorgono anche contraddizioni: la piccola borghesia che dà impulso al fascismo non è quella degli artigiani e dei negozianti – che potrebbero eventualmente competere con il grande capitale –, ma piuttosto una piccola borghesia di giovani accademici – intellighenzia tecnica e dipendenti pubblici, subordinati a grande capitale. Pachukanis sottolinea, già qui, il fatto che questo era lo stesso e specifico profilo della frazione di classi che in Germania fu coinvolta con l'hitlerismo.

Tutto ciò ci porta a identificare, nel contesto generale del capitalismo e della sua socialità, un nucleo del fascismo. Pachukanis dirà che forse la sua caratteristica più sorprendente è l'organizzazione di massa, disciplinata, alla maniera della guerra. In questo, il fenomeno differisce dal bonapartismo, che si basa sull'esercito. Il fascismo è sostenuto dall'organizzazione politica delle masse, in modo tale che si nutre di una lotta e di un conflitto continui tra fascisti e antifascisti. Già al potere, il fascismo agisce come uno stato nello stato: non si afferma come una burocrazia impersonale, ma come un'organizzazione che detta la sua volontà al governo o agli organi statali.

Per questo, contrariamente alle aspettative della grande impresa e della borghesia liberale, Mussolini non soppresse né sciolse le milizie fasciste. Pachukanis è consapevole del fatto che la forza dei partiti di sinistra in Italia, negli anni precedenti l'ascesa del fascismo, è stata rivelata dai vari governi municipali che hanno amministrato. C'erano anche molti sindacati responsabili di azioni di lotta e scioperi. In questo contesto, il fascismo, che era poco espressivo, diventa in breve tempo una forza enorme, unendo settori del grande capitale e proprietari terrieri.

Quando prende il potere, abbandona le pretese rivoluzionarie e difende apertamente un potere forte e la libera circolazione dei capitali. Il movimento operaio, perseguitato, va in declino. La successiva riduzione salariale portò ad un aumento della produzione negli anni successivi. Tuttavia, Mussolini non ha riorganizzato l'economia nei termini di un nazionalismo economicamente sovrano; al contrario, ha consentito una serie di denazionalizzazioni. La connessione tra fascismo e nazionalismo tradizionale italiano rimane più evidente solo a livello internazionale, con l'accento sulla sua posizione imperialista. Pachukanis fa notare, però, che l'imperialismo italiano non è fatto in opposizione all'imperialismo inglese, ma in armonia con esso. L'interesse del capitale opera nelle dinamiche internazionali del fascismo.

Di fronte a tutto questo quadro, Pachukanis si chiede quale sarebbe lo specifico del fenomeno del fascismo, visto che il golpe francese del 1851 conteneva già molte di tali caratteristiche. Con le sue stesse parole, dice: "La differenza è che, accanto alla repressione legalizzata, continua la repressione attraverso l'arbitrarietà".[Vi].

Pachukanis segnala, attraverso tabelle pubblicate sulla stampa, il numero di persecuzioni, arresti, morti, distruzioni e condanne effettuate dagli organi ufficiali dello Stato e dalle bande fasciste, arrivando anche all'esecuzione di pogrom. È vero che la borghesia, al suo limite, teme il potere arbitrario del fascismo, ma i benefici del crollo dei movimenti operai le fanno accettare un governo subordinato a una gerarchia diretta dal capo fascista.

È sulla base di una tale caratterizzazione che Pachukanis si preoccupa di rifiutare la spregevole associazione che la borghesia liberale intendeva intraprendere tra fascismo e comunismo. Qui risplende la sua proposta di forme sociali nel campo della politica. Non importa se, in termini di contenuto, le critiche fasciste ricordano in qualche modo la critica leninista alla democrazia borghese. La questione è di forma: il socialismo si rivela come la dittatura di classe del proletariato per instaurare un nuovo sistema di rapporti produttivi.

Nonostante sia anche una critica alla democrazia borghese, la dittatura di classe fascista è radicalmente diversa, in quanto è un tentativo di mantenere le forme sociali capitaliste, cercando di ritardare il loro estinzione. Dunque, la puntuale coincidenza di alcune critiche non basta a stabilire un'equivalenza. La distinzione radicale tra fascismo e comunismo sta nella forma: azione politica rivoluzionaria volta al superamento delle forme capitalistiche l'azione politica reattiva che cerca di salvare queste stesse forme.

Il fascismo chiarisce la possibile scissione del governo del capitale: è sempre diviso e diffuso dall'inganno democratico o dalla demagogia fascista, il cui terrore cerca di saldare artificialmente il dominio di classe. Si scopre che la necessità del fascismo genera anche il suo costo, dato che il suo modello di lotta esacerbata impedisce la possibilità di qualsiasi "normalizzazione". Pachukanis aveva già sottolineato, negli anni '1920, che un tale regime di guerra non sarebbe stato in grado di stabilizzarsi a lungo termine.

Il testo pachukaniano conclude l'analisi che tratta della tattica. L'autore sostiene la posizione secondo cui la soluzione al fascismo è il socialismo. La caduta del capitalismo in generale, attraverso la dittatura del proletariato, è la via più ambita per la questione fascista. Tuttavia, poiché in Italia non sono sorte le forze per rimuovere il fascismo dal gioco, esso continuerebbe ad esistere. Quindi, Pachukanis sottolinea la necessità di cercare la lotta contro il fascismo anche se la classe operaia non è abbastanza matura per portare avanti la rivoluzione proletaria.

Le contraddizioni interne tra fascisti e antifascisti devono essere esplorate. Come Lenin intravedeva, nel caso inglese, la possibilità di una concreta azione politica di massa che portasse ad un aumento dei conflitti e delle contraddizioni tra le frazioni della destra, così Pachukanis indica anche nel caso italiano la via d'uscita dalla passività proponendo una lotta antifascista, anche se la lotta proletaria per la presa del potere è immatura. Un tale passo leninista verso l'azione, un passo aperto all'imprevisto, anche se sembra piccolo[Vii] – potrebbe essere l'incontro delle condizioni che portano sia alla caduta del fascismo che alla caduta del sistema capitalista in Italia.

Facendo seguito a un testo così pionieristico, "Fascismo" era originariamente una voce scritta da Pachukanis per il Enciclopedia dello stato e del diritto. Questa avventura editoriale ha cercato di riunire i migliori e più canonici studi su temi fondamentali della politica, delle istituzioni e del diritto, facendo avanzare la conoscenza sovietica e socialista consolidando un repertorio enciclopedico.

Oltre ad altre voci che vi scrisse, Pachukanis scrisse la voce sul fascismo, in cui analizza le sue caratteristiche e la sua opposizione ad altre forme di dominio borghese. L'autore ricorre, nella sua riflessione, al riconoscimento del fascismo come fenomeno che non si colloca solo nello Stato, ma che avanza attraverso il tessuto politico e sociale contro le classi lavoratrici, fungendo da ancora di salvezza per i grandi capitalisti. Il caso italiano, dall'inizio degli anni Venti, consente di delineare alcuni dei quadranti generali del fascismo, come la negazione dell'ordine liberale e il corporativismo. Ma, subito, rimuove l'idea che il concetto di fascismo sia ampio al punto da estendersi alle dittature che, a quel tempo, mantenevano ancora la polizia e l'esercito come i principali organi di violenza, esemplificati da Ungheria, Bulgaria, Spagna, Lituania e Polonia.

Pachukanis ritiene che la Germania, anche quando scrive questo testo, differisse dall'Italia in quanto, nel dopoguerra, la borghesia tedesca fece un movimento per cercare di salvare le sue istituzioni statali, mentre gli italiani concentrarono il potere politico nel partito fascista. Con ciò, Pachukanis segna una costruzione rigorosa di un concetto specifico – e non esteso – di fascismo.

Il terzo dei testi qui pubblicati, “La crisi del capitalismo e le teorie fasciste dello Stato”, tratta di un bilancio, redatto nel 1931, della situazione del capitalismo mondiale e dei casi dell'Italia e, in particolare, della Germania. Il prisma attraverso il quale analizza questa dinamica è quello delle teorie – principalmente quelle sullo Stato e sulla politica – che cercavano di spiegare il fascismo. Pachukanis critica le letture fatte all'interno dell'Unione Sovietica che identificavano il fascismo con l'indebolimento dello Stato e delle sue istituzioni a favore di organizzazioni, associazioni e milizie armate fasciste.

Questo porterebbe le lotte antifasciste, secondo l'autore, a un ritorno alla difesa dello Stato borghese, e ciò che occorreva era proprio prendere il potere statale per distruggerlo. In contrasto con tali visioni, che dissociavano le milizie fasciste dalle istituzioni statali, come se queste ultime fossero indebolite, ciò che accade con il fascismo dal punto di vista pachukaniano è fondamentalmente un aumento del potere statale. Aumentano gli apparati di guerra, la repressione e l'intimidazione, il salvataggio delle banche, la dipendenza della popolazione povera da una minima assistenza statale.

La crisi del capitalismo mondiale provoca crepe ideologiche che devono essere esplorate. Le manipolazioni repressive, oltre a quelle salvifiche da parte del capitale, si ripercuotono sul cuore delle masse. Pachukanis cita addirittura il Brasile nella sua valutazione della crisi: “Quando in Brasile milioni di chili di caffè vengono gettati in mare, […] quando in Sud America l'intero raccolto di patate viene abbandonato sulla terraferma, allo stesso tempo, milioni soffrono la fame – e questo, ovviamente, non può che influenzare la psicologia degli strati operai più arretrati e oppressi. Il capitalismo si rende conto che ora è diventato odiato.[Viii]

La lettura pachukaniana della crisi non ammette la posizione liberale che cerca di dissociare i socialdemocratici dai fascisti. Sono due brigate che si completano e continuano a vicenda. Pachukanis assume la chiave di lettura di Stalin, il quale sostiene che la socialdemocrazia sia l'ala moderata del fascismo, chiamandola addirittura con il termine socialfascismo. In questa molteplicità di correnti che convergono nella difesa del capitalismo, accanto alle visioni fasciste tedesche più crude, vi sono quelle che cercano di basarsi su concetti teorici ritenuti più sofisticati. Pachukanis attacca, nel suo testo, proprio contro tali correnti ei loro ideologi. L'Ordine dei Giovani Tedeschi (JungDeutsche Ordine o ancora, jungdo), in cui, per inciso, erano presenti numerosi giuristi e specialisti in materia di diritto pubblico e dello Stato, è il suo obiettivo prioritario.

L'autore espone che il riferimento teorico di tali fascisti che intendevano essere meglio elaborati, elitari, era Ferdinand Tönnies. Già alla fine del XIX secolo Tönnies proponeva la differenza concettuale tra società (Società) e comunità (Gemeinschaft): il secondo sarebbe il risultato di legami organici collettivi, mentre il primo, scaturirebbe da relazioni artificiose, individualistiche. La comunità si fonda sulle tradizioni del passato; la società non tiene questa zavorra ed è guidata dalle strategie future, dal profitto. In questo binomio concettuale si ammetterebbero le cosiddette sofisticate posizioni reazionarie tedesche, che si ritenevano eredi del vero spirito prussiano – della caserma –, motto “contro” la borghesia e il suo individualismo. Un tale “contro” è, infatti, “a favore”: il motto della comunità, eretto in una lotta per un collettivo ispirato da un idilliaco passato comunitario, rimuove la possibilità della lotta di classe, cercando così di amalgamare l'insieme sociale da di un modello che ha impedito fratture, divisioni e conflitti all'interno della socialità capitalista.

Gustav Adolf Walz e altri teorici più recenti si sono dedicati a sviluppare i benefici di questa coppia concettuale comunità/società. Pachukanis sottolinea l'assenza di scienza – pura assurdità – in tali letture, che cercavano di rifondare la società tedesca a partire da pezzi selezionati di feudalesimo e società borghese, facendo di questa miscela una sostanza capace di servire come principio guida della storia mondiale.

Tali letture identificavano l'assolutismo moderno, il fascismo italiano e persino l'esperienza bolscevica come esempi di subordinazioni sociali che davano valore alla comunità rispetto alla società. La differenza della dittatura proletaria rispetto alle altre subordinazioni sarebbe solo il dettaglio degli obiettivi della rivoluzione. Pachukanis accusa di presunzione tale proposizione che, assumendo la ragione della lotta proletaria come un particolare “dettaglio”, non merita nemmeno di dedicare tempo alla sua critica, data tale follia scientifica.

Tali posizioni falsificano la pretesa fascista al radicalismo e la lotta contro la borghesia, la democrazia o il parlamentarismo. Espressioni come “Stato borghese”, criticato in queste letture, o “vera democrazia”, da esse elogiata, rivelano che lo stesso Stato e la stessa democrazia sono proposti, solo avvolti negli involucri delle passate pretese. Pachukanis espone una svolta così falsa delle dichiarazioni fasciste: è solo un movimento politico sovrastrutturale del capitalismo in crisi e decadenza. Non potendo risolvere le sue contraddizioni in termini liberali, allora vi rimedia facendo un passo indietro, risalendo al passato, snaturandolo per farlo sostituire al già inefficace liberalismo.

Il trucco voluto dai teorici fascisti più affermati è fatto addirittura di obiettivi e strategie che variano secondo i venti, attraverso affaristi che fiutano i migliori piaceri alla potenza dell'occasione. Pachukanis fa notare che teorici come Reinhard Höhn – che anni dopo sarà responsabile di aver disonorato il correligionario Carl Schmitt all'interno dello stesso circolo nazista – suggeriscono che la Germania dovrebbe superare la democrazia borghese e instaurare un regime statale organico, simile a una comunità dei vicini, dato che, per il suo status superiore rispetto agli italiani, non sarebbe compatibile con la dittatura di una forte personalità. Nelle ironiche parole di Pachukanis, “non contavano sul successo del tedesco Mussolini”.

Alla base di queste falsificazioni e truccature antiscientifiche delle teorie fasciste elitarie, c'è il fatto che i fondamenti economici della società non sono messi in discussione. Pachukanis afferma fermamente che solo la sovrastruttura politica è in questione nel fascismo. Il capitalismo e lo sfruttamento borghese rimangono intatti. Sotto i riflettori solo il sistema parlamentare, la democrazia, le libertà e il campo politico. In questo cambiamento c'è davvero qualcosa di estremamente reale: le alleanze militari. Sta qui, secondo il pensiero pachukaniano, la novità del contributo del fascismo alla dittatura borghese. Il capitalismo sostituisce il vecchio sistema dei partiti politici con organizzazioni terroristiche di capitale, paramilitari e militari.

Pachukanis brilla vigorosamente, nella sua analisi, quando affronta la pretesa dei teorici fascisti di mettere in relazione qualcosa della politica dell'estrema destra con qualcosa del marxismo. E così fa nella riflessione su due temi: la pubblicizzata somiglianza in politica e la somiglianza nei principi economici. Per quanto riguarda la politica, c'è un tentativo da parte dei teorici fascisti di dire che Marx avrebbe operato la stessa critica della democrazia borghese, mancando in lui l'apprezzamento dello Stato. Essendo difensori della comunità derivante da tradizioni organiche e raccolta attorno al capo dello stato, non potevano conformarsi alla nota marxiana secondo cui lo stato deve essere combattuto.

Pachukanis rileva che falsificano Marx quando considerano che, per i socialisti, il passaggio al socialismo sarebbe qualcosa di immediato, senza la dittatura del proletariato; allo stesso tempo, rivela che gli stessi teorici fascisti non sono in grado di stabilire alcuna approssimazione più rilevante con orizzonti di lungo periodo, tanto da prendere le distanze dalle critiche di Marx, contrapponendolo a Ferdinand Lassalle - quest'ultimo, sì, secondo Höhn , difensore dello Stato, desideroso di uno Stato social-popolare.

Qui i fascisti si riconciliano con le vecchie tesi del socialismo giuridico, contro le quali Friedrich Engels e Karl Kautsky si erano già sollevati in socialismo giuridico[Ix]. Pachukanis sostiene la correttezza di questa opposizione inconciliabile, proprio perché è il pensatore marxista più importante ad affrontare il tema della critica allo Stato in Teoria generale del diritto e marxismo. Riguardo alla politica, l'autore conclude: “I teorici fascisti ei socialdemocratici abbracciano e volgono lo sguardo a Lassalle, contrapponendolo a Marx”. Pachukanis rimane con Marx.

Per quanto riguarda il rapporto economico tra fascismo e marxismo, c'è una differenza di bersaglio: Pachukanis assesta un colpo fondamentale contro il tentativo di stabilire questa somiglianza dal seno stesso del marxismo, soprattutto da parte di Nikolai Bukharin, che intendeva elogiare il bolscevismo per la sua efficienza economia simile a quella di un'economia fascista alla fine fiorente. Ciò che avrebbe in comune tale forza sarebbe il capitalismo di stato. Questa, secondo Bucharin, era stata presa come l'espressione superiore, l'evoluzione naturale, del capitalismo monopolistico. Sarebbe un progresso nelle forze produttive, succedendo consecutivamente alle fasi industriali e monopolistiche del capitalismo.

Una tale posizione finirebbe per vedere tratti positivi nel fascismo, se lo prendiamo, in termini economici, anche come capitalismo statale. Pachukanis si ribella a tale lettura. Il capitalismo di Stato è un indice della debolezza, dell'impotenza e delle contraddizioni del capitalismo, non della sua crescita o dell'aumento olimpico delle sue forze produttive. Ne consegue che questa visione, oltre ad essere scambiata per vedere il successo nel fallimento – il cui sintomo è il fascismo –, si rivela anche pienamente riformista, non contribuendo alle lotte rivoluzionarie.

L'intento dei teorici fascisti era proprio quello di mantenere sotto il loro potere, attraverso la demagogia ideologica, gli strati intermedi della società che potessero conquistare il proletariato. Tutto questo solo a beneficio della redditività capitalista. Per Pachukanis, la lotta per il socialismo, in Unione Sovietica e in Occidente, deve passare attraverso la lotta ideologica, dimostrando la natura del fascismo e smascherando la sua ideologia.

Il quarto e ultimo testo di questa antologia, “Come i socialfascisti falsificarono i soviet in Germania”, è sottotitolato “Sugli atti del primo congresso tedesco dei deputati operai e soldati”. Pachukanis investe con vigore nell'analisi di tali verbali, che trattano fatti accaduti in un momento cruciale della storia tedesca e delle lotte proletarie internazionali: la svolta dal 1918 al 1919. Dopo il rovesciamento della monarchia tedesca con la fine della prima guerra mondiale , esplosero le lotte e le contraddizioni delle masse lavoratrici.

alla sinistra di Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) – il Partito socialdemocratico tedesco –, sorsero gruppi rivoluzionari come Spartacus, guidati da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Ma la socialdemocrazia, invece di avanzare sulla via del superamento del capitalismo, ha frenato gli impulsi di lotta più consequenziali. In un processo di dibattiti, dispute, congressi e assemblee, si cercò di gestire – e bloccare – la rivoluzione socialista tedesca, che finì per portare, mesi dopo, alla nascita della Costituzione di Weimar, inaugurando il periodo chiamato Repubblica di Weimar – da pronto sotto il dominio SPD, che alla fine fu distrutto dal nazismo negli anni '1930[X].

Il contesto in cui esplosero consigli e soviet in Germania portò, nel dicembre 1918, al Primo Congresso tedesco dei deputati operai e soldati, a Berlino. Lo spartacismo aveva come piattaforma “tutto il potere ai consigli”. Pachukanis analizza come l'SPD e le sue fazioni associate tradiscono il movimento sovietico. Con le sue stesse parole, aprendo il suo studio, dice: “[…] la socialdemocrazia ha falsificato i soviet e ha riempito questa forma di organizzazione delle masse rivoluzionarie di un contenuto ad essa radicalmente ostile, trasformando i soviet in complici e maschere del controrivoluzione"[Xi].

Pachukanis è enfatico nell'affermare che la socialdemocrazia – che chiamerà socialfascismo – salvò il capitalismo proprio in un momento decisivo della rivoluzione tedesca, organizzando le forze della reazione borghese e creando così il grembo in cui avrebbe trionfato il nazismo. Bandiere come la difesa della “democrazia pura” (tradizionale, senza consigli) e della pace iniziarono ad essere brandite dalle forze controrivoluzionarie.

Rigoroso nell'analisi di quel periodo, Pachukanis segnala anche, nelle posizioni a sinistra, errori strutturali. La cosa principale è nelle posizioni lussemburghesi quando assumono orientamenti antibolscevichi, come la valorizzazione della spontaneità, la negazione del ruolo organizzativo del partito nella preparazione dell'insurrezione armata e il settarismo, che si rivelava in distici come “ sindacati sindacali”. Inoltre, Pachukanis attacca l'errore tattico fondamentale della ricerca della conservazione dell'unità tra Spartacismo e gli indipendenti SPD.

Unendosi ai kautskisti, hanno deviato la posizione delle classi lavoratrici, confondendole a causa del loro accordo con i loro oppositori e, quindi, frenando lo slancio rivoluzionario delle masse. L'autore è assertivo quando conclude che la Germania era oggettivamente matura per la rivoluzione socialista. Non poteva esserci altro compito che la lotta proletaria; il tempo della lotta per la democrazia era passato da tempo. Solo la rivoluzione era la lotta del tempo storico.

O Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands (USPD) – Partito socialdemocratico indipendente tedesco –, che ha tradito i soviet, è stata l'unica organizzazione di massa che ha riunito strati significativi della classe operaia, dato che lo spartacismo era piccolo. Nell'ora decisiva della rivoluzione, in un paese che aveva solo un tale compito da svolgere, il proletariato rivoluzionario tedesco fu disarmato dal punto di vista della direzione e dell'organizzazione del partito. Allora, la borghesia nazionale e internazionale, che aveva già imparato dall'esperienza della rivoluzione russa, agì spietatamente – “con calcolata crudeltà”, nelle parole di Pachukanis – contro i lavoratori rivoluzionari tedeschi.

Data la popolarità dei soviet tra la classe operaia tedesca, alla dirigenza socialdemocratica non restava che falsificarli e appropriarsi del loro discorso. Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann si sono succeduti al potere con riferimenti elogiativi ai soviet; il governo Ebert si dichiara addirittura una repubblica socialista. Questa sequenza di lotte contro consigli e soviet, permeata da ipocrite dichiarazioni di sostegno e di entusiasmo per la causa rivoluzionaria, agendo secondo la tradizione borghese, fa sì che le masse, di fronte a tale falsità, prestino maggiore attenzione all'agitazione spartachista. Da lì deve seguire anche la preparazione alla repressione del gruppo Spartacus. Lo stesso Primo Congresso si è svolto in un susseguirsi di colpi di stato, blocchi e ingiunzioni che hanno gettato a mare o sfigurato le lotte di sinistra.

Pachukanis si rende conto che lo svolgimento dei verbali del Primo Congresso segue il tentativo di elogiare i soviet per il “contenimento degli operai e dei soldati rivoluzionari”, ma il potere dovrebbe essere nelle mani di un governo centralizzato, quindi borghese. Dallo stesso modello di odio per lo spartacismo e le masse rivoluzionarie tedesche, è presente nei verbali l'odio per la rivoluzione bolscevica: è considerata fragile, non resistente ai futuri attacchi di guerra dell'Intesa. I sostenitori di Kautsky ei socialdemocratici che si dichiaravano di sinistra hanno persino falsificato le letture di Marx per dire che la rivoluzione poteva avvenire solo con una macchina statale già pronta o un'economia sviluppata, insorgendo contro il leninismo. Raccontando gli orrori del terrore rivoluzionario russo, Scheidemann parla, in un chiaro invito all'azione pogrom, contro i soviet.

Infine, Pachukanis percepisce che gli stessi rappresentanti spartachisti e socialisti rivoluzionari, nei loro ultimi discorsi e proteste, in cui pesano il coraggio e l'esperienza pratica di molte delle loro posizioni, hanno anche grande difficoltà a stabilire una lettura rigorosa dei fatti e del marxismo. Fritz Heckert, spartachista, futuro leader del Kommunistische Partei Deutschlands (KPD) – Partito Comunista Tedesco –, e che Pachukanis chiama compagno, invece di denunciare la guerra e la dittatura borghese, fa considerazioni a margine sulle scorrettezze della nascente Assemblea Costituente per il grande ruolo dei rappresentanti, come ci si aspetterebbe un'assemblea con una maggiore partecipazione diretta delle masse.

Ma, a favore di questa critica generica al modello di rappresentanza politica, non si fanno più critiche di fondo al dominio borghese di quel momento, assumendo come naturalizzata l'ipotesi dell'assemblea costituente. Nonostante tutti i tradimenti della sinistra socialdemocratica, gli appelli spartachisti all'unità della sinistra persistono. Infine, il Congresso ha lasciato che Rudolf Hilferding pronunciasse i suoi studi scientifici su quali settori dell'economia sarebbero stati pronti o meno per la socializzazione. Pachukanis sottolinea che “fu proprio nel rapporto di Hilferding che furono espresse le maggiori volgarità sul tema dello 'spirito scientifico marxista', sulla realizzazione sensata della socializzazione”[Xii]. La farsa del Primo Congresso si tenne alla vigilia degli avvenimenti decisivi del gennaio 1919. Immediatamente la rivoluzione socialista tedesca fu dilaniata e la strada storica verso il fascismo e il nazismo si aprì allora del tutto.

* * *

I testi di Pachukanis sul fascismo sono, in particolare, per alcuni dei loro angoli tematici, la più importante riflessione marxista sull'argomento. In modo singolare l'autore giunge, in questa domanda, al problema delle forme della socialità borghese: merce, valore, Stato e diritto. La sua analisi non segue un pregiudizio politico – il fascismo come fallimento morale dello Stato e della politica, da salvare da istituzioni legali e democratiche – né un pregiudizio economicista – il fascismo come similitudine del capitalismo così com'è, senza specificarlo in questo contesto . Solo l'apice dell'analisi scientifica marxista, il Teoria generale del diritto e marxismo, permette di intraprendere la migliore applicazione alla situazione storica più acuta di quel tempo, il fascismo. Con Pachukanis, il fascismo affronta la sua lettura critica più completa. La formazione sociale trova la forma sociale con cui sarà letta.

Tale è l'impatto dell'analisi del fascismo di Pachukanis che, in storia del marxismo, opera curata da Eric Hobsbawm, Elmar Altvater la considera la migliore lettura effettuata dal marxismo all'epoca della Terza Internazionale. Come dice Altvater: “Il concetto di razionalità, non solo nell'interpretazione della socialdemocrazia di Weimar ma anche in quella del marxismo della Terza Internazionale, non permette di cogliere – come abbiamo detto – il problema della forma della società borghese . […] Alcuni teorici l'avevano intuito in modo impreciso e, in generale, tardivo, ma molti – e per di più quelli politicamente determinanti – avevano perso di vista questo problema, che era diventato un vicolo cieco per il marxismo della Seconda Mondo e della Terza Internazionale. Come ciò sia potuto accadere si spiega forse con l'analisi intelligente e precisa che E. Pachukanis fece del fascismo italiano, subito dopo la sua vittoria. Si rende pienamente conto che la vittoria del fascismo in Italia, da un lato, è la conseguenza di valutazioni errate, errori e debolezze del movimento operaio, e, dall'altro, è la risposta del dominante a una certa crisi economica e situazione politica della società italiana: è una “dittatura di stabilizzazione”. Ma l'analisi che presenta non intende determinare le cause della sconfitta del movimento operaio e spiegare il carattere del fascismo come sistema sociale di ristrutturazione borghese, ma piuttosto dimostrare che il fascismo e il bolscevismo sono completamente diversi nelle dinamiche del loro sviluppo. , sebbene non si possano negare alcune analogie formali. Il suo tema, quindi, è il rifiuto dell'accusa che "rosso" e "nero" siano equivalenti. […]

“Il fascismo, quindi, appare come espressione del crollo del dominio borghese e dimostra precisamente che l'unica via in grado di condurre al socialismo è la dittatura del proletariato. Così il fascismo è espressione della decadenza, mentre il bolscevismo è l'organizzazione del nuovo, del progresso. Il problema della ristrutturazione sociale operata dal fascismo viene in gran parte spostato nel campo della critica dell'ideologia, con l'obiettivo di fornire argomenti di agitazione e di propaganda a chi lavora per il Partito. L'analisi del fascismo, come quella svolta da Pachukanis, è precisa, ricca di contenuto empirico; al contrario, perde ogni carattere essenziale nelle riflessioni di altri teorici della Terza Internazionale”.[Xiii]

Il più importante filosofo del diritto marxista rivela, anche nella sua analisi del fenomeno più nefasto del capitalismo del suo tempo, il fascismo, il rigore scientifico e la genialità della sua riflessione.

*Alysson Leandro Mascarò È docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Stato e forma politica (Boitempo).

Riferimento


Evguiéni Pachukanis. Fascismo. Traduzione: Paula Vaz de Almeida. San Paolo, Boitempo, 2020, 128 pagine.

note:


[I] Luiz Felipe Brandão Osório, “Rapallo, un ponte tra Weimar e Mosca”, in Gilberto Bercovici (a cura di), Cent'anni della costituzione di Weimar (1919-2019) (San Paolo, Quartiere Latino, 2019), p. 632.

[Ii]Evguiéni B. Pachukanis, Teoria generale del diritto e marxismo (San Paolo, Boitempo, 2017), p. 134-5, pag. 151 e pag. 173.

[Iii] Marcio Bilharinho Naves, Marxismo e diritto: uno studio su Pachukanis (San Paolo, Boitempo, 2000), p. 127.

[Iv]Evguiéni B. Pachukanis, Teoria generale del diritto e marxismo, cit., pag. 143.

[V] Vedi, in questo volume, p. 26.

[Vi]Vedi, in questo volume, p. 48.

[Vii] Mi riferisco alle riflessioni sulla casualità in politica sviluppate in “Incontro e forma: politica e diritto”, in Alysson Leandro Mascaro e Vittorio Morfino, Althusser e il materialismo casuale (San Paolo, Controcorrente, 2020).

[Viii]Vedi, in questo volume, p. 67.

[Ix] Vedi Friedrich Engels e Karl Kautsky, socialismo giuridico (trad. Lívia Cotrim e Márcio Bilharinho Naves, San Paolo, Boitempo, 2012).

[X] Sviluppo riflessioni su quel periodo in Alysson Leandro Mascaro, “O marxismo e Weimar”, in Gilberto Bercovici (a cura di), Cent'anni della costituzione di Weimar (1919-2019), cit., pag. 53-82.

[Xi] Vedi, in questo volume, p. 89.

[Xii] Vedi, in questo volume, p. 117.

[Xiii]Elmar Altvater, "Il capitalismo organizza: il dibattito marxista dalla guerra mondiale al crollo del 1929", in Eric J. Hobsbawm, storia del marxismo, v. 8 (Rio de Janeiro, Pace e Terra, 1987), p. 67-9.

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