da MARCELO GUIMARÉS LIMA*
L'avventura neofascista finì per mettere a nudo sulla pubblica piazza il cronico autoritarismo sostenuto dal partito militare e la violenza come metodo
La notizia che Jair Bolsonaro teme di essere arrestato al suo ritorno in Brasile viene presentata su Internet e sulla stampa, mentre viene riportata la cosiddetta disposizione prudente del sistema giudiziario brasiliano riguardo all'arresto immediato dell'ex presidente in fuga: non sarebbe il momento.
Ora, se ci sono difficoltà ad arrestare Jair Bolsonaro, ce ne sono altre, e forse maggiori, a liberare chi, durante tutto il suo mandato, ha predicato il sovvertimento dell'ordinamento giuridico esistente, già aggredito dal golpe del 2016, e, in questo modo, gonfiato, ha preparato la folla neointegralista alla distruzione degli edifici centrali del potere pubblico a Brasilia come una sorta di prova generale, o aprendo le ali per un colpo di stato che unisca l'estrema destra e il potere militare.
O Jair Bolsonaro ha davvero paura di essere arrestato, oppure no. O la giustizia brasiliana vuole davvero ritenere Jair Bolsonaro responsabile, oppure no. Come di consueto, nel gioco mediatico delle narrazioni tutto suona possibile: si e no confusi, tutto e il suo contrario, e allo stesso tempo. Dopo la sorpresa della violenza preparata e ampiamente annunciata, il disorientamento attraverso la disinformazione programmata sembra emergere come il secondo atto di una tragicommedia brasiliana.
Nei video, sempre più numerosi sulle reti, di “buoni cittadini” bolsonaristi che commettono reati contro il patrimonio pubblico e contro l'ordine politico legale del Paese, si vedono cittadini delle classi medie, basse e alte, accanto a rappresentanti di gruppi emarginati, insieme a provocatori professionisti, ex detenuti, politici di estrema destra, pastori e loro fedeli, membri delle forze armate in una sorta di tragico carnevale che mette in scena qualcosa come una “(contro)rivoluzione fascista”, una minoranza, ma organizzati e finanziati dall'estero, gruppi in azione, e con la collaborazione delle forze dell'ordine e delle forze armate.
Da un lato, il ritorno gratuito di Jair Bolsonaro in Brasile, come un normale viaggiatore qualsiasi, sarebbe come un appello alla folla per nuove rivolte e violenze. È chiaro che molti dei protagonisti dell'8 gennaio, come mostrano alcuni video, si sono svegliati come da una trance alla dimensione e alle conseguenze delle loro illusioni e azioni nel mondo reale: il carcere serve loro da scuola ed è un deterrente efficace per nuovi attivismi e per nuovi attivisti. Ma il nucleo degli elettori e degli organizzatori non è ancora stato raggiunto, e non si lascerà superare da una battuta d'arresto, che, da estremisti quali sono, devono credere in una guerra temporanea contro la sempre traballante democrazia brasiliana, fino a quando non sarà sconfitta debitamente stabilito per loro e conclusivo nella situazione attuale.
Questo diventa più problematico con il passare dei giorni. Perché, come ha dimostrato il golpe del 2016, l'arresto di Lula, l'elezione di Jair Bolsonaro, la destra brasiliana si articola con l'estrema destra ogni volta che è opportuno. Non è esagerato ripetere che Jair Bolsonaro e il suo malgoverno sono stati, tra gli altri fattori ma in modo centrale, prodotti di decisioni del stabilimento Politico brasiliano, cioè di tutta la destra e dei suoi alleati, nella guerra santa contro Lula e il PT come rappresentanti delle classi popolari.
Passano decenni, anni e secoli, ma il colpo di stato, la violenza contro le nostre istituzioni democratiche sempre instabili, e quindi contro la volontà popolare, sembra essere una risorsa sempre disponibile e facilmente aggiornabile nella vita politica del Paese. Così come il “transformismo”, il miracoloso processo che trasforma, da un giorno all'altro, golpisti, autoritari e ladri di finanze in ardenti difensori dell'ordine democratico e vestali del repubblicanesimo (e che possono trasformarli anche in altri sensi, a piacimento). venti).
La sconfitta del golpe micareta sarebbe l'occasione per mettervi fine e cambiare la cronaca della vita politica brasiliana, lasciando definitivamente alle spalle, almeno nelle sue forme più immediate e oscene, la ferocia autoritaria e l'enorme ipocrisia che caratterizzano le strutture del dominio di classe in Brasile. E già un tale mutamento “esteriore” o superficiale sarebbe già un anticipo, poiché ogni superficie è solidale ad una struttura interna ei mutamenti esterni si riflettono in vario modo nelle dimensioni profonde.
Ma nel paese del trasformismo e dell'irresolutezza come stile di vita, non è chiaro cosa accadrà davvero da questa improvvisa conversione, dall'improvviso ardore democratico di Greci e Troiani, tanti fino a ieri alleati del Capitano del Caos o critici retorici e immaginari oppositori del neofascismo caboclo.
Jair Bolsonaro senza penna in mano è, per chi è al potere, l'ombra di quello che credeva di essere fino a ieri. La marginalità istituzionale che conosceva come politico di basso clero potrebbe essere ancora una volta il suo futuro. Se c'è un futuro, allora, anche qui, quel che è certo è che tra la retorica del Capitano del Caos e le sue capacità di fatto di “grandi” azioni, la distanza si è rivelata abissale, deludente per chi era stato più volte chiamato alla guerra fallita. I generali orfani della dittatura militare prima o poi dovranno cercare altri rappresentanti e forse altre maschere.
Le strutture che hanno alimentato l'episodio di Bolsonaro e il bolsonarismo hanno radici nella storia del Paese e decisamente nel contesto storico generale dell'epoca. Il che non vuol assolutamente dire che la congiunzione dell'arretratezza politica (che include ripetuti attacchi alla sovranità nazionale) con il de facto l'attuale dittatura neoliberista sia il nostro destino, perché, va ricordato, siamo anche il paese in cui, con tutte le disavventure, contraddizioni, impasse e limitazioni, un leader operaio è diventato un leader popolare e nazionale.
Lula vinse i suoi aguzzini e, con il sostegno popolare, tornò al potere per affrontare la crisi che la classe dirigente aveva coltivato fino all'attuale impasse, in un contesto mondiale di profondi squilibri economici e politici, per i quali le cosiddette élite brasiliane non hanno risposte altro che il perenne autoritarismo, la continua spoliazione della maggioranza e la violenza sotto maschere sempre più diafane.
L'avventura neofascista finì per mettere a nudo sulla pubblica piazza il cronico autoritarismo sostenuto dal partito militare e dalla violenza come metodo. Uno spettacolo troppo osceno che, da un lato, va esorcizzato con tutti i mezzi per la continuità della “democrazia istruita” dal neoliberismo radicalizzato emerso dal golpe del 2016.
D'altra parte, con tutte le sfide e le difficoltà della situazione attuale, l'8 gennaio può anche, e qui siamo ottimisti per necessità e scelta, segnare l'inizio di un altro processo e progetto di democrazia, quello che, contro il padroni della patria e dei suoi complici e servitori, non ha paura di pronunciare il suo nome e il suo vero significato di effettiva sovranità popolare.
*Marcello Guimarães Lima è un artista, ricercatore, scrittore e insegnante.
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