Fellini, 100 anni

Immagine: Elyeser Szturm
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Commento all'opera e al percorso intellettuale del regista italiano e programma completo della retrospettiva Fellini Il Maestro

da Lucas Fiaschetti Estevez*

Celebrare i XNUMX anni di Federico Fellini significa puntare su un'estetica cinematografica che esprima una potenza a cui, apparentemente, non siamo abituati. Conoscere i suoi film ed entrare nel suo universo è lasciarsi permeare da un altro tipo di soggettività, da un'altra temporalità. I suoi film hanno catturato una certa fantasmagoria che si rivela, ancora oggi, in immagini potenti e scene indimenticabili. Per poter comprendere tale potenza felliniana, è necessario dimensionare il significato del suo lavoro e dei suoi tratti principali, come i diversi strati che costituivano la sua unica costruzione estetica.

L'avvento del cinema italiano del dopoguerra finì per plasmare un nuovo approccio alla realtà sociale. Precursore della cosiddetta “politica degli autori” che predominerà nelle avanguardie artistiche del periodo e permeato dalla tendenza alla rappresentazione realistica del mondo che allora dominava il cinema, il neorealismo italiano finisce per assorbire una nuova articolazione tra l'autore e la produzione, l'immagine è realtà.

Roberto Rossellini e i suoi film Roma, Città Aperta (1945) e Nazione (1946) evidenziano questo nuovo approccio cinematografico al mondo. Secondo lo stesso Fellini, il neorealismo è stato estremamente importante per l'Italia per conoscere se stessa, creando nei film la possibilità di riconoscimento tra il pubblico e la nazione, esponendo così una società in rovina subito dopo la guerra. Nelle sue parole, tali film rappresentavano "una sorta di avida indigestione, l'esplosione di una realtà che era stata sepolta, negata, tradita"[I], e che solo ora ha potuto mostrarsi.

La tendenza del cinema del dopoguerra a rappresentare fedelmente la realtà è stata notata da numerosi critici. Secondo André Bazin, il cinema italiano dell'epoca ha saputo costruire nelle sue opere “resoconti ricostituiti” della società e delle sue fratture sociali, opere di estrema attualità e di “perfetta e naturale aderenza alla realtà”. Per il critico “il cinema italiano è certamente l'unico che conserva, nell'interiorità stessa del tempo in cui dipinge, un umanesimo rivoluzionario”[Ii], reinventando così il linguaggio cinematografico e portando a un “progresso espressivo”.

È importante capire che il periodo formativo di Fellini nasce da questa fase del cinema italiano, con il neorealismo che rappresenta il legittimo slancio artistico di un'Italia in ricostruzione. L'approccio del giovane Fellini alla produzione cinematografica dell'epoca può essere esemplificato dalla sua partecipazione come sceneggiatore di classici del neorealismo, come nei due citati film di Rossellini.

Occorre dunque analizzare come Fellini sia migrato da una posizione all'altra, cioè dal sostenere il neorealismo italiano alla proposta di un linguaggio cinematografico unico, estremamente diverso dai suoi predecessori. Già nei suoi primi film c'è una distanza crescente dai presupposti estetici che hanno prevalso fino ad allora. Tuttavia, è necessaria la cura. Secondo Bazin, l'opera di Fellini non può essere intesa come una negazione del neorealismo, dato che i suoi film continuano a dare il primato alla rappresentazione di una certa realtà. Tuttavia, il cambiamento sostanziale è nella stessa status dato alla realtà – ora è inteso in modo diverso.

Nel suo linguaggio, la realtà non è più corretta e distanziata da possibili influenze della psicologia dei personaggi e dalle esigenze drammatiche della trama, come faceva il neorealismo. La realtà materiale e visibile è ora compresa in un altro regime di tempo e spazio, comandato dalla soggettività dei personaggi. Reale e irreale si mescolano, in un'interpretazione che restituisce al mondo una realtà più complessa permeata di molteplici e contraddittorie attribuzioni di senso.

In questo modo Fellini non nega il neorealismo, ma lo supera dialetticamente. Nelle parole di Bazin, Fellini è il risultato di un'implosione di tendenze nello stesso cinema italiano, in cui la rappresentazione della realtà supera se stessa in un nuovo linguaggio: "Tutto accade, in effetti, come se, raggiunto questo grado di interesse per le apparenze, ora ne percepiamo i caratteri, non più tra gli oggetti, ma per trasparenza, attraverso di essi”[Iii]. La rappresentazione del mondo, così, è passata dal “senso” all'“analogia”, dall'“analogia” all'“identificazione con il soprannaturale”, con ciò che sfugge all'immediatezza del dato materiale. Fellini ha rivelato un'altra realtà, più fondamentale del mondo oggettivo stesso. Ha operato una “riorganizzazione poetica del mondo”.

Già nei suoi primi film il filo conduttore della narrazione è dato dai conflitti interni dei personaggi e dall'alto grado di soggettività conferito alla realtà materiale. Nei film come le buone vite (1953), la strada della vita (1954), il tradimento (1955) e notti di cabiria (1956), troviamo personaggi corrosi da un bisogno di ascetismo e spogliamento dei loro conflitti interni, tutti alla ricerca di una certa redenzione personale. Sebbene si possa rilevare che, esteticamente, ci sono ancora elementi di neorealismo in tali opere, è visibile l'allontanamento di tali film dall'esigenza di una rappresentazione fedele della realtà.

In essi, la materialità della realtà e il suo significato non sono affatto esposti. È nascosto nei personaggi stessi, nella loro tensione interna, nei conflitti soggettivi inconciliabili che portano attraverso la trama. Tali tendenze al decentramento del reale a scapito del fantastico, dell'immaginazione e della soggettività diventano ancora più evidenti nelle due opere più note del regista, La dolce vita (1959) e Otto e mezzo (1963).

In tutti questi film i personaggi non evolvono, non riescono a placare i loro conflitti interni in uno sviluppo che finisce con la riconciliazione. A volte, si ha l'impressione che rimangano persi in mezzo a una soggettività conflittuale, che finisce per imprimere nella realtà i dubbi e le incongruenze della propria personalità. Fellini ha invertito la status di ciò che viene mostrato sullo schermo: i fatti e gli eventi registrati non hanno più la portata logica nella catena di una narrazione lineare, non sono più lì per illustrare il carattere dei personaggi. La realtà, infatti, è ormai soggetta all'imponderabile, all'irrazionale, all'erranza dei personaggi nella propria interiorità. È da questa marginalità dei fatti che si svela l'essenza (sempre irrisolta) dei suoi “eroi”.

Rappresentando la realtà da questa angolazione, Fellini esplora elementi che incarneranno un nuovo linguaggio. L'uso eccessivo della satira e dell'assurdo, ad esempio, è un riflesso della sospensione della credenza, così radicata nel neorealismo, della trasparenza dei segni e dei fatti. Non c'è più trasparenza nella materialità del mondo per il cinema felliniano. Si costituisce un nuovo campo di realtà, incentrato sull'interno contraddittorio della soggettività, e condiviso tra noi spettatori ei personaggi che vediamo nei film. Il mondo non è più rappresentato come vero ed eterno.

I film di Fellini sospendono la pretesa di essere reali, essi stessi vogliono porsi come opere d'arte, come rappresentazioni lontane della realtà immediata. In questo senso, la vera attribuzione del suo significato risiede nella mediazione operata tra il mondo e la tecnica del linguaggio cinematografico. Possiamo dire, allora, che “la totalità del mondo cede il passo al processo scenico come nuovo campo di immanenza”[Iv]. Secondo lo stesso Fellini, affinché le immagini “possano veramente costituire l'espressione più profonda, onesta, leale e credibile, affinché possano essere la testimonianza di ciò che qualcuno ha immaginato, queste immagini devono essere totalmente controllate”[V].

Il film tocca il mondo quando lo rappresenta come opera d'arte, come allegoria di una soggettività immanente. Sia nelle lunghe immaginazioni di Guido in Otto e mezzo, come nella rappresentazione della cittadina in Amarcord, emerge una nuova soggettività, insieme individuale e collettiva, che tinge il mondo con i colori dell'interiorità umana, portando così le sue contraddizioni alla massima esposizione distruttiva.

In un primo momento, Fellini potrebbe anche essere visto come un regista che proviene da un contesto di emersione di una nuova concezione del regista, come si osserva nella politica degli autori e nella Nuova ondata. Riprendendo il ruolo di virtuoso che prepara il materiale ed esegue il montaggio, Fellini è presente in ogni momento e in ogni scena dei suoi film, ricordandoci l'impossibilità di rappresentare immagini senza la mediazione dell'autore.

Tuttavia, anche partendo da questo terreno comune ai francesi, Fellini compie un salto in avanti, in cui spoglia il cinema del suo valore di autenticità. Secondo Luiz Renato Martins, il regista implode consapevolmente e dissolve completamente l'aura e il culto dell'oggetto artistico: Fellini vuole ricollocare l'immagine su un altro livello. Per Martins, “Fellini avrebbe costantemente evidenziato l'aspetto artificiale e ripetitivo del cinema”[Vi], usando ironia, pastiche e assurdità, sempre in modo critico.

Quando riconosce che l'opera ha perso la sua aura, il suo cinema trova il potere di rappresentare la realtà nella sua complessità – oggettiva e soggettiva, naturale e soprannaturale, ordinaria e straordinaria. Così, i suoi film possono non solo fare un viaggio attraverso tempi e spazi diversi, ma, nelle stesse parole di Fellini, compiere un “viaggio attraverso un'anima”, permettendo di affrontare l'emergere dell'irrazionale come ciò che è più vero di essere rappresentato.

Se prendiamo per valida questa interpretazione, possiamo vedere Fellini come un regista che è riuscito a compiere nel cinema quello che per Benjamin era il “compito storico” della settima arte: “fare del gigantesco apparato tecnico del nostro tempo oggetto di innervazioni umane "[Vii]. Nel regista la tecnica non solo è sempre presente, ma vuole essere vista e sentita, conferendo così all'opera una “natura artificiale”. Quando guardiamo Fellini, abbiamo sempre il regista che ci avverte: “Questo è un film!”. Abbiamo quindi, nella terminologia di Benjamin, una “forma d'arte maturata”, in cui la realtà, ora mediata e volutamente purificata dalla tecnica, è diventata artificiale, ma vera.

Questa, secondo Glauber Rocha, è la forza del cinema felliniano. Esempio di una “vulcanizzazione estetica impareggiabile”, Fellini è il “documentarista del sogno”, ricreandolo “magicamente attraverso scenografie e attori”, il sogno come “proiezione della sua Camera-Occhio”[Viii]. Questo è uno dei grandi punti di forza del suo lavoro: è riuscito a superare le rovine storiciste del realismo, la “follia industrializzata”, ha rinnovato l'inconscio. Diventa comprensibile perché Fellini abbia detto che avrebbe voluto fare il mago se non fosse stato un regista. Secondo il regista, le due professioni avrebbero in fondo lo stesso obiettivo: “dare possibilità a sogni spontanei”[Ix].

Quando ci concentriamo sullo sviluppo del suo lavoro, vediamo come il suo allontanamento dall'estetica del neorealismo e la costruzione di una nuova soggettività narrativa e immaginaria si sia trasformato nel motore generatore delle sue trame. Con l'instaurarsi di un nuovo rapporto tra l'opera e la realtà che essa rappresenta, il regista ha finito anche per dissolvere il paradigma contemplativo dello spettatore di fronte a una “unità soggettiva” che avrebbe costituito la personalità dei personaggi. La soggettività non solo è diventata la lente attraverso la quale il mondo è visto, ma non è più intesa come un'unità egocentrica.

Em notti di cabiria, la protagonista esprime bene questa trasformazione della soggettività: non sappiamo decifrarla fino in fondo e non sappiamo cosa voglia davvero, nemmeno i suoi sogni. Tutto è opaco e incerto. Ci sorprendono le sue azioni, la sua immensa forza morale, il suo inconfondibile umorismo. Lo stesso avviene in la strada della vita, con entrambi i protagonisti, Giselmina e Zampanó. La costruzione della sua soggettività è conflittuale, contraddittoria e mai risolta.

Non c'è soggetto indivisibile che si evolve, ma desideri e affetti costantemente mobilitati che non si soddisfano mai, non si incontrano mai. Nel caso del personaggio di Marcello, in La dolce vita, il coinvolgimento di questa stessa opacità soggettiva avviene in modo ancora più confuso. Cosa spera di trovare Marcello in Sylvia, la famosa attrice americana? Marcello percorre tutto il film alla ricerca zigzagante di un oggetto del desiderio che non riesce mai a cogliere fino in fondo. La sua soggettività non si costruisce in direzione di un luogo sicuro, ma nei vagabondaggi che compie attraverso la vita notturna dell'aristocrazia romana, nelle confusioni e nelle feste che, smarrito, cerca di ritrovare.

La complessità dei personaggi di Fellin è sempre stata un punto importante per capire come il regista abbia riconfigurato la rappresentazione della soggettività e della realtà nel cinema. Non standardizzare il carattere dei personaggi significa riconoscere la complessità della natura umana stessa, la sua realtà più brutale. C'è un desiderio di ritrovarsi e di salvarsi che, se risolto, annulla la complessità della realtà e del lavoro. Secondo Fellini, “cosa pretendono dai miei personaggi? Proclamino ad alta voce il loro pentimento? Chi sta annegando non grida il proprio pentimento, ma chiede aiuto. Tutto il mio film è un grido di aiuto”.[X]. Le sue idee erano, insomma, il risultato di un “tipo di sofferenza che cerca la sua realizzazione”[Xi].

con i film la strada della vita e notti di cabiria premiato all'Oscar nella categoria Miglior Film Straniero, Fellini diventa famoso a livello internazionale e acclamato come uno dei grandi cineasti del suo tempo. Tuttavia, è solo con La dolce vita che la sua statura sia debitamente riconosciuta. In questo momento, Fellini viene visto come un sintomo di un cambiamento nell'espressione del nuovo statuto autoriale del cinema, un esempio della maturazione del linguaggio cinematografico.

Secondo la ricezione del film all'epoca, attribuiscono al suo lavoro una concezione del cinema che va oltre le proprie premesse, capace di rivelare con acidità “la predominanza del marketing nella cultura e nei servizi” del suo tempo, come rappresentante di un “cambiamento radicale nei valori e nei comportamenti”[Xii] della società, mostrando in modo metalinguistico nelle loro opere i feticci che circolavano attorno al cinema, alle sue star e alla sua intera industria. Con il lancio di Otto e mezzo, premiato anche con un Oscar, Fellini si consolida come l'autore più riconosciuto del cinema italiano dopo Rossellini, esplicitando in quest'opera la rottura e il superamento con tutta la tradizione del cinema dell'epoca. Visto come l'apice del suo nuovo linguaggio, Fellini esplora in questo film non solo una nuova rappresentazione della soggettività, ma una nuova rappresentazione di un “io” diviso dai ricordi dell'infanzia e del passato. Il regista inizia a incoraggiare nuovi modi di rappresentare la società e la storia, le relazioni sociali e l'immaginario collettivo.

Seguendo tali tendenze nelle sue opere successive, il regista riesce a trasmettere l'immagine che sta soppiantando non solo una rappresentazione vecchia e idealizzata della soggettività, ma della stessa società italiana. Fellini passa poi a indagare l'obiettività attraverso la soggettività frantumata, osservando con attenzione “le trasformazioni storiche da una cultura totalitaria, di matrice agraria e provinciale, a una società segnata da meccanismi di mercato ed essenzialmente conflittuale, in termini di processo di industrializzazione e urbanizzazione”[Xiii].

La rappresentazione allegorica dei personaggi e della vita comunitaria in Amarcord, film premiato anche dall'Academy, è un esempio che dimostra lo sguardo attento del regista sull'eredità storica della guerra segnata come una profonda cicatrice sugli italiani. La famosa scena del corteo fascista che erutta da un fumo scuro che riempie le strade indica un'Italia che non aveva ancora lasciato andare il suo passato autoritario. Allo stesso modo, nella scena emblematica degli abitanti della città con le loro barche in processione marittima per vedere la “più grande conquista del regime”, un grande transatlantico, c'è il desiderio di essere attraversati dalla modernità, dal nuovo e dall'inedito.

Lo sguardo di stupore e di ammirazione dei personaggi davanti al grande lavoro dell'industria è lo sguardo del pubblico davanti al compito della modernità che li prende d'assalto. È la prospettiva stessa di Fellini, una riflessione che rasenta sempre l'incomprensione di fronte alle possibilità del futuro. Tutto questo, ovviamente, intervallato da una costruzione estetica di dissoluzione dell'aura, di esposizione del film come opera che media la realtà, ma non ne è il riflesso. Lo scenografico mare di plastica ricorda l'artificialità dell'opera stessa di Fellin. Secondo Roberto Schwarz, Fellini mette in discussione la “garanzia soggettiva di autenticità dell'arte stessa”, un compito che assume a partire dalla “rivelazione delle possibilità del desiderio” a diversi livelli – sia riguardo alla soggettività dei personaggi, sia riflettendo sui percorsi della società italiana.

Quando si cerca di Otto e mezzo, Schwarz chiarisce come l'immagine, in Fellini, diventi indipendente e potente, capace di dare “totale pubblicità a tutto”. Secondo il critico, “l'immagine ospita possibilità di cui la trama non è a conoscenza e resiste a essere inquadrata in essa; è per lui, che ne dispone, come auspicio personale per il cammino della società: è una cellula sovversiva, la cui ricchezza, senza uso della trama, respira”[Xiv].

Le immagini di questa nuova soggettività rendono le opere di Fellini complici dell'incoerenza, dipanando così la complessità dei personaggi e della realtà storica a cui sono legati, sia nel passato fascista del paese, sia nel suo passato più remoto, come in Satyricon (1969). Nel regno dell'immagine ancorata alla complessità e all'eterogeneità di una nuova soggettività, la contraddizione diventa la regola, non l'eccezione. Di qui il peso importante dato da Fellini, in numerosi suoi film, al tema della memoria e dell'infanzia.

Le immagini che costruiamo nei diversi periodi della vita sono generalmente opposte e contrastanti. Il nostro “io” bambino non si realizza nel nostro “io” adulto, così come anche noi iniziamo ad affrontare i nostri ricordi d'infanzia in modo modificato, maturato dal tempo. Fellini sa articolare, come nessun altro, presente, memoria e fantasia. In Otto e mezzo, l'andirivieni tra le diverse temporalità della vita di Guido impone questa logica della contraddizione, che vede nelle immagini e nella memoria il vero campo di realizzazione del realismo: “Il reale è il presente, l'infanzia è l'immaginario; ma la chiarezza è nell'infanzia, di cui il reale, il presente, è un intricato riflesso”[Xv].

La verità è in queste rappresentazioni, una “bellezza sfiorata dall'improbabile”, trionfante per aver saputo conciliare l'inconciliabile. Possiamo andare oltre: giocando con la linearità del tempo, Fellini stabilisce un regime temporale particolare, che non esiste nel mondo reale, solo nella soggettività dei personaggi. Per Gilda de Mello e Souza, questo è il più grande successo del regista. Tra tempo reale e tempo irreale, “quest'ultimo è l'unico significante”. Il tempo è stato fatto saltare in aria e "l'importanza del reale e del presente è stata annullata"[Xvi].

Ecco perché dobbiamo affrontare l'opera di Fellin con un misto di ammirazione e fastidio. Ci pone di fronte a un altro tipo di soggettività, in un potente campo di affetti e immagini capaci di erodere le apprensioni semplicistiche della realtà. Il suo lavoro resiste al riduzionismo: riconosce il particolare, lo pone in contraddizione con il tutto. Ma, anche così, non dovremmo fare di Fellini un idolo di culto. Dobbiamo superare il fan clubismo.

Ad un certo punto della sua riflessione sull'opera d'arte, Benjamin dichiara che le opere lasciate ai posteri non devono favorire un dibattito incentrato sulla figura dell'artista, determinando così un certo atteggiamento apologetico, psicologizzante e romantico nei confronti della sua personalità. In opposizione a tale concezione, dobbiamo cogliere l'artista solo in ciò che voleva dire nelle sue opere, cioè nella forma e nel contenuto che ha scelto per veicolare il suo messaggio.

Fellini va ammirato per la costruzione di un altro modo di rappresentare il mondo, per lo sviluppo di uno specifico linguaggio cinematografico che partiva dal riconoscimento della povertà del reale per cercare spazio per la fantasia. Sempre con Benjamin, potremmo dire che “quello che muore nel maestro con la creazione compiuta è quella parte di lui in cui l'opera è stata concepita. Ma ecco, il completamento dell'opera non è una cosa morta”. Quando un'opera viene vista, viene creata di nuovo da chi guarda, "la creazione fa nascere il creatore"[Xvii].

Con tono sfogo, Fellini una volta dichiarò di avere l'impressione di essere diventato un “oggetto di turismo”, e di esserne disgustato. Secondo lui, "la mia provincia è di genere metafisico, può essere ovunque sulla mappa"[Xviii]. È così che si illuminano le parole di Benjamin sul creatore che diventa capace di superare la natura: "La sua terra natale non è il luogo in cui è nato, ma piuttosto viene nel mondo dove si trova la sua terra natale"[Xix].

*Lucas Fiaschetti Estevez è uno studente laureato in sociologia all'USP.

In commemorazione del centenario della nascita di Federico Fellini, la città di San Paolo ospiterà, dal 12 marzo, la retrospettiva Fellini, Il Maestro, che si svolgerà in CineSec, in Rua Augusta. Il programma, con tredici film in programma, copre tutte le fasi della carriera del regista, dalle sue prime produzioni, come Le belle vite (1953) e la strada della vita (1954), compresi classici indiscussi come La dolce vita (1959), Otto e mezzo (1963) e Amarcord (1973), fino ad arrivare ai suoi ultimi film, come Zenzero e Fred (1985) e la voce della luna (diciannove novanta). I biglietti costano R $ 1990, con opzioni a metà prezzo e sconti per i membri, e possono essere acquistati sul sito web del sez.

programma retrospettivo Fellini, Il Maestro:

12/3 (Giovedì)

 14:122: La voce della luna (XNUMX min, DCP)
16:30: The Good Lives (107 min, DCP)
18:30: La strada della vita (108 min, DCP)
21:110: Notti di Cabiria (35 min, XNUMXmm)

13/3 (Venerdì)

 14:70: Prove con l'orchestra (35 min, XNUMXmm)
15:30: E La Nave Va (132 min, DCP)
18:137: Giulietta degli Spiriti (XNUMX min, DCP)
21:174: La dolce vita (XNUMX min, DCP)

14/3 (Sabato)

 14:92: I Clown (35 min, XNUMX mm)
16:125: Ginger e Fred (35 min, XNUMX mm)
18:30: Amarcord (123 min, 35mm)
21:138: Otto e mezzo (XNUMX min, DCP)

15/3 (Domenica)

 13:30: Le notti di Cabiria (110 min, 35 mm)
15:30: La voce della luna (122 min, DCP)
18:174: La dolce vita (XNUMX min, DCP)
21:30: I Clown (92 min, 35 mm)

16/3 (Lunedi)

 13:30: Le notti di Cabiria (110 min, 35 mm)
15:30: La voce della luna (122 min, DCP)
18:174: La dolce vita (XNUMX min, DCP)
21:30: I Clown (92 min, 35 mm)

17/3 (Martedì)

 13:30: Amarcord (123 min, 35mm)
16:137: Giulietta degli Spiriti (XNUMX min, DCP)
18:30: Satyricon (129 min, 35 mm)
21:122: And La Nave Va (XNUMX min, DCP)

18/3 (Mercoledì)

 14:125: Ginger e Fred (35 min, XNUMX mm)
16:30: Prove con l'orchestra (70 min, 35mm)
18:138: Otto e mezzo (XNUMX min, DCP)
21:120: Roma (XNUMX min, DCP)

[I] FELININI, Federico. Intervista concessa a Roberto D´Ávila e Walter Salles Jr, realizzata per il programma “Conexão Internacional”, su TV Manchete, 13/06/1984.

[Ii] BAZIN, Andrea. Realismo cinematografico e scuola di liberazione italiana (1948). In: Cos'è il cinema? San Paolo: Ubu Editora, 2018, p.310.

[Iii] BAZIN, Andrea. Cabiria, ovvero il viaggio ai confini del neorealismo (1957). In: Cos'è il cinema? San Paolo: Ubu Editora, 2018, p.393.

[Iv] MARTINS, Luiz Renato. Conflitto e interpretazione in Fellini. San Paolo: Editore dell'Università di San Paolo e dell'Istituto Italiano di Cultura, 1994.

[V] FELININI, Federico. Intervista concessa a Roberto D´Ávila e Walter Salles Jr, realizzata per il programma “Conexão Internacional”, su TV Manchete, 13/06/1984.

[Vi] [vi] MARTINS, Luiz Renato. Conflitto e interpretazione in Fellini. San Paolo: Editore dell'Università di San Paolo e dell'Istituto Italiano di Cultura, 1994, p.22.

[Vii] BENIAMINO, Walter. L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (I versione). In: Magia e tecnica, arte e politica: saggi di letteratura e storia culturale. São Paulo: Brasiliense, 1 (Opere scelte, Vol. I), p.2012.

[Viii] ROCHA, Glauber. Glauber Fellini (1977). In: Fellini visionario: Dolce vita, Otto e mezzo, Amarcord. Org. Carlos Augusto Callil. San Paolo: Companhia das Letras, 1994, p.300.

[Ix] FELININI, Federico. Intervista rilasciata a Piero Blanchi, dal quotidiano “Il Giorno”, 05/04/1973.

[X] FELININI, Federico. Intervista concessa al quotidiano “L'Express”, 10/03/1960.

[Xi] FELININI, Federico. Intervista concessa a Valério Riva, dal quotidiano “L'Express”, 07/10/1973.

[Xii] MARTINS, Luiz Renato. Conflitto e interpretazione in Fellini. San Paolo: Editore dell'Università di San Paolo e dell'Istituto Italiano di Cultura, 1994, p.16.

[Xiii] MARTINS, Luiz Renato. Conflitto e interpretazione in Fellini. San Paolo: Editore dell'Università di San Paolo e dell'Istituto Italiano di Cultura, 1994, p.18.

[Xiv] SCHWARZ, Roberto. Il ragazzo perduto e l'industria (1964). In: Fellini visionario: Dolce vita, Otto e mezzo, Amarcord. Org. Carlos Augusto Callil. San Paolo: Companhia das Letras, 1994, p.155.

[Xv] SCHWARZ, Roberto. Il ragazzo perduto e l'industria (1964). In: Fellini visionario: Dolce vita, Otto e mezzo, Amarcord. Org. Carlos Augusto Callil. San Paolo: Companhia das Letras, 1994, p.153.

[Xvi] SOUZA, Gilda de Mello. La capriola di Fellini (1980). In: Fellini Visionary: A Dolce Vida, Otto e mezzo, Amarcord. Org. Carlos Augusto Callil. San Paolo: Companhia das Letras, 1994, p.163.

[Xvii] BENIAMINO, Walter. Piccoli frammenti di arte. In: Strada a senso unico. São Paulo: Brasiliense, 2012 (Opere scelte, Vol. II), p.285.

[Xviii] FELININI, Federico. Intervista concessa a Stefano Reggiani, dal quotidiano “La Stampa”, 26/06/1973.

[Xix] BENIAMINO, Walter. Piccoli frammenti di arte. In: Strada a senso unico. São Paulo: Brasiliense, 2012 (Opere scelte, Vol. II), p.285.

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