da BENEDETTO NUNES*
Il poeta sosteneva la metafisica come drammatica interpellanza dell'essere
La poetica di Fernando Pessoa, che ha assorbito diversi ingredienti teorici, come mostrato da Georg R. Lind[I], è ampiamente sottoscritto dagli eteronimi, ed era (con l'eccezione del paulismo, prima del Orfeo) in gran parte elaborati o in conseguenza di essi o parallelamente ad essi, come nei casi dell'Intersezionismo e del Sensazionismo.
Per limitarci alle linee principali che interessano questo studio, possiamo dire che questa poetica si è sviluppata verso l'alto, al livello più generale di un'estetica o filosofia dell'arte, e verso il basso, al livello di una riflessione, allo stesso tempo psicologico, estetico e gnoseologico sulla sincerità e la finzione. Nel mezzo, seguendo il dispiegarsi del poeta stesso e della sua opera (la scena eteronimica), c'è la dottrina dei gradi della poesia lirica e una Psicologia della Creazione.
Il primo grado della poesia lirica è la concentrazione dei sentimenti, di espressione spontanea o riflessiva, generalmente monotona; il secondo è il grado di dispersione dei sentimenti personalizzati, acquisendo, come nella poesia di Swinburne, "così monotoni nel temperamento e nello stile"[Ii], lo stato di personalità multiple che si esprimono diversamente; nella terza, sotto il fuoco dell'intelligenza che produce di riflesso l'allontanamento di sentimenti prima espressi solo in diversi toni personali, la dispersione diventa puramente immaginaria, fino a far scomparire l'unità di temperamento; e, infine, nel quarto grado, l'unità di stile scompare nell'esistenza fittizia di uno o più personaggi che, a differenza del poeta, non sono più se stesso, di fronte a lui come altri esseri. Conclude Fernando Pessoa: “E così la poesia lirica – o qualsiasi altra forma letteraria simile nella sostanza alla poesia lirica – sarà stata portata alla poesia drammatica, senza però darle la forma del dramma, né esplicitamente né implicitamente». [Iii].
Come puoi vedere, questi gradi sono passi sulla strada dal lirico al drammatico. Stabiliscono inoltre una tipologia del lirismo, classificando i poeti più secondo la loro specie rappresentativa che secondo le modalità di espressione lirica oggettivamente considerate. Di valore ineguale, tali modalità si distinguono anche, secondo il ruolo svolto dalla sensibilità, dall'intelligenza e dall'immaginazione, in quanto traducono scale di realizzazione individuale e storica del fenomeno poetico.
Non sarà difficile riconoscere nei primi due gradi della poesia lirica, “in cui il poeta concentrato sul suo sentimento esprime quel sentimento”, il processo romantico che Fernando Pessoa ha descritto in una sua nota[Iv]. E sarà molto meno difficile riconoscere negli ultimi due, accessibili a poeti di tipo riflessivo, in contrapposizione a quelli di tipo istintivo, spontaneo o romantico, il lavoro coordinato di immaginazione e intelligenza, presenti, in una certa misura, nel processo classico, capace di raggiungere, eliminando l'elemento individuale dall'emozione e trasformando il lirico nel drammatico, poesia per eccellenza.
È fuor di dubbio che Fernando Pessoa abbia ripensato criticamente la poetica del Romanticismo e del Simbolismo. La sua concettualizzazione di poema lirico, media delle tante definizioni che le sue carte registrano, ci riporta, corretta e ampliata, alla concettualizzazione di Wordsworth, secondo la quale la poesia è emozione raccolta nella memoria, secondo la prefazione a ballate liriche: “La composizione di una poesia lirica deve essere fatta non al momento dell'emozione, ma al momento del suo ricordo. Una poesia è un prodotto intellettuale, e un'emozione, per essere intellettuale, ovviamente, perché non è intellettuale di per sé, deve esistere intellettualmente. Ora, l'esistenza intellettuale di un'emozione è la sua esistenza nell'intelligenza, cioè nella memoria, l'unica parte dell'intelligenza propriamente tale che può conservare un'emozione. [V].
In un tuo passaggio Erostrato, Fernando Pessoa ha classificato tra le emozioni capaci di produrre grande poesia quelle che sono false, perché si sentono nell'intelletto[Vi]. Sono emozioni che si producono con la poesia, costruite, come questa, da un lavoro intellettuale al quale partecipano immaginazione e intelligenza logica. Il poeta ha chiamato la prima, in una stesura di una lettera ad Adolfo Rocha [Miguel Torga], “intellettualizzazione diretta e istintiva della sensibilità”; al secondo, una riflessione critica su questa intellettualizzazione [Vii].
Ciò significa che riflessione e costruzione, inseparabili, dominano la genesi e racchiudono l'esito del fenomeno poetico. Dal punto di vista di questa operazione riflessivo-costruttiva, quella per la poesia ortoonima e per gli eteronimi – questi mai adiacenti all'opera poetica, ma figure integranti di essa –, né l'esperienza del poeta esiste indipendentemente dalla formazione della poesia, né la poesia esiste indipendentemente da questa esperienza che la forma.
Qui siamo già ai limiti della poetica e dell'estetica. La stessa operazione che il poeta sentimentale ignora, e che condiziona i più alti gradi di lirismo, determinerebbe le diverse altezze delle arti, alcune superiori, altre inferiori. Un'arte è tanto più elevata quanto maggiore è il predominio nella sua forma degli elementi di astrazione della materia sensibile.[Viii]. Le arti inferiori sono quelle che, come il canto e la danza, hanno lo scopo di intrattenere; superiori, che educano permanentemente, influenzano l'evoluzione spirituale dell'uomo, che agiscono sulla sensibilità e sull'intelligenza, sia attraverso forme concrete, come la pittura, la scultura e l'architettura, sia attraverso forme astratte, come la musica, la letteratura e l'ultimo ma non meno importante, filosofia.
Sembra di sentire in tutto questo il ritornello dell'estetica di Hegel: l'arte al servizio delle esigenze dello spirito. E questa classificazione diventa ancora più nettamente hegeliana quando ci rendiamo conto che essa include la filosofia, e quando il suo autore ci dice che tutta l'arte, qualunque sia il suo posto naturale, deve tendere all'astrazione delle arti maggiori, cioè alla letteratura dopo la musica, e per la filosofia dopo la letteratura.
Le arti non aspirano quindi allo status di musica. Anche la musica, in questa risposta al Simbolismo, aspira allo statuto di letteratura. “Tutta l'arte è una forma di letteratura”, ha registrato Álvaro de Campos, in “Outra Nota ao Chance”[Ix]. Ma l'inclusione della filosofia tra le arti e la sua conseguente riduzione a letteratura, dalla quale si distinguerebbe solo come "esercizio dello spirito per immaginare mondi impossibili"[X], non è casuale e tanto meno un capriccio di questo provocatore di idee, provocato dalla filosofia fino alla fine della sua vita. "Ero", ha detto, "un poeta guidato dalla filosofia, non un filosofo dotato di facoltà poetiche". [Xi].
Fernando Pessoa si dedicò, invece, alla filosofia, come attento discepolo di pensatori che studiò e commentò un gran numero di appunti, schizzi, articoli e saggi. Lo vediamo viaggiare, a volte per conto di un personaggio – “António Mora” o “Rafael Baldaia” – e avere in mano la mappa dell'idealismo, tracciata da Cartesio a Kant, e da Kant a Hegel, il classico copione delle questioni metafisiche, che partono dal problema dell'essere e che vi ritornano sempre.
Pragmatico come António Mora, ammette lo scopo utilitaristico della scienza deviato dall'antropomorfismo della filosofia[Xii]. La scienza serve solo la vita, senza penetrare nel mondo esterno, e la filosofia soddisfa lo spirito, senza penetrare la coscienza. Ma questo lettore di Kant, che si sofferma sull'esame della differenza tra fenomeno e noumeno, si ribella al relativismo critico in nome del “desiderio di pensare profondamente”; e, sapendo che la verità metafisica comporta un'esigenza di un Assoluto, pensa che il cammino della filosofia debba “cominciare dall'ignoto nel conosciuto all'ignoto in sé” [Xiii].
Alcune tendenze o simpatie risaltano nella speculazione filosofica del nostro poeta. Incline a un monismo di coscienza, è allo stesso tempo sospettoso dello spiritualismo sostanzialista, e assume, di fronte alla religione e alla logica, un atteggiamento pragmatico-vitalista, più in sintonia con Nietzsche che con William James. Inoltre, i problemi della coscienza e dell'essere catalizzano, come due costanti, le indagini di questo rigoroso autodidatta dominato da di negazione e contraddizione. Per l'ampiezza che ha raggiunto, anche nei gialli, e soprattutto nel O l'anarchico Banqueiroquesto della negazione e della contraddizione condizionarono il suo modo di pensare, e imposero un singolare radicalismo nella trattazione delle questioni metafisiche, quando se ne occupò, che unisce un atteggiamento scettico o agnostico al principio di trascendenza.
Ci basterebbe, per illustrare questo radicalismo, richiamare, al di fuori delle raccolte di testi filosofici di Fernando Pessoa, la sua “Arte de Raciocinar”, dove il detective Quaresma, sviluppando un'intera analisi del sapere, mostra che esiste , al di sopra dell'intelligenza concreta dello scienziato e dell'intelligenza astrattiva del filosofo, un terzo tipo, in nome del quale si possono criticare sia i presupposti della scienza sia le astrazioni della filosofia speculativa. È un'intelligenza eminentemente negatrice e negativa, pur sempre filosofica, che converte però ogni affermazione in negazione, e che fa della filosofia una non-filosofia. Stabilire antitesi, stabilire contraddizioni, senza soffermarsi sull'equilibrio kantiano delle antinomie o senza avanzare alla sintesi hegeliana, negare gli opposti o affermarli al tempo stesso, generare il paradosso: questi i principi della magna arte della negazione del filosofo, che egli lo stesso la riassume come una probabile introduzione agli scritti che considerava portatori di contro-opinioni ed esercizi di smascheramento: “Alla certezza con cui ognuno pensa, è opportuno opporre la certezza con cui si può pensare il contrario, con quale riesce a rendere logico l'assurdo” [Xiv].
In questa linea che caratterizza il suo radicalismo, e che è venuto a chiamare a volte nichilismo, a volte agnosticismo trascendentale, Fernando Pessoa si è esercitato nello smantellamento dell'oggettività della conoscenza e dei criteri di verità. Se, da un lato, mantiene l'esigenza dell'Assoluto, dall'altro, il concetto di Verità, sottoposto a un'analisi disaggregante che lo sgancia dai tradizionali criteri di l'adeguatezza della realtà e della comprensione o il concordanza idearum, diventa, meno che un ideale della Ragione in senso kantiano, “una nostra idea o sensazione non sappiamo di cosa, un significato quindi senza valore, come ogni altra nostra sensazione” [Xv]. Così, gli sembra che la metafisica si riduca a un unico problema: quello della conoscenza, i cui termini, soggetto, oggetto e relazione, costituiscono limiti ontologici invalicabili alla verifica di ogni verità e dannosi per lo stabilirsi della certezza, che ha un “ carattere puramente soggettivo” [Xvi].
A volte, il radicalismo intellettuale di Fernando Pessoa, con il laccio emostatico logico della sua analisi, ci ricorda, raccomandando di risparmiare gli sforzi per esprimere l'ignoto [Xvii], ovvero di formulare problemi inrisolvibili, gli intenti terapeutici della filosofia di Wittgenstein: “Il problema dell'eternità e dell'infinità del mondo non si può porre, perché non abbiamo gli elementi per risolverlo” [Xviii]. Ma poiché l'Ignoto è l'Assoluto, che ci perseguita attraverso la Metafisica e la Religione, suoi mediatori, è impossibile accontentarsi di condividere le verità proposte dal relativismo sensibile di Spencer, che è ancora depositato in queste concettualizzazioni del nostro poeta. Interstizio tra errore ed errore, manifesto di errore in errore, la Verità è un valore ingannevole di fronte all'Assoluto, che condanna tutte le idee all'insufficienza, conferendo loro il carattere di finzione. Indefinibile di per sé, l'Assoluto è anche fittizio.
Poiché non c'è nulla che permetta di distinguere la realtà dall'insieme delle sue apparenze, Rafael Baldaia potrà scrivere nel suo trattato di negazione: “Tutta la creazione è finzione e illusione. Poiché la Materia è un'illusione, in modo dimostrabile, per il Pensiero; Il pensiero un'illusione per l'intuizione; Intuizione un'illusione per l'Idea Pura; l'Idea Pura è un'illusione per l'Essere. E il Sé è essenzialmente Illusione e Falsità. Dio è la Suprema Menzogna” [Xix].
In questa prospettiva di finzionalismo all'outrance, si adatta, a nostro avviso, all'occultismo del cosiddetto "cristiano gnostico", e vicino sia alla Sacra Kabbalah che all'essenza della Massoneria e dell'Alchimia. I mondi infiniti, i gradi di gerarchia e di perfezionamento, la minore distanza tra l'uomo e gli dei, la maggiore distanza tra gli dei e la divinità: tutti questi elementi di una credenza di cui Fernando Pessoa si confessava aderente e che sembra in altra parte del suddetto testo di Raffaello Baldaia – tutti questi punti di dottrina, che integrerebbero, come oggetto di rivelazione per gli iniziati, le molteplici scale dell'Essere, modulavano anche la dialettica senza sintesi di errori e di verità, rimandandoci, in un'apparenza nell'apparenza, a una realtà che si dispiega da un centro permanentemente nascosto.
Per il “ragionatore dettagliato e analitico” [Xx], che aveva bisogno di capire tutto fino alle “feci della comprensione”, l'occultismo sarebbe stata l'esperienza di nascondere il senso delle cose e dell'esistenza. Il mistico e il metafisico in lui si rivolgevano a una trascendenza vuota quanto nascosta, sebbene sostenuta nella coscienza stessa, alla quale Fernando Pessoa concedeva lo status privilegiato di puro fatto metafisico, il cui essere, incondizionato e indeterminato, si avvicina a "pour-soi Sartriano.
La coscienza, che non può essere conosciuta, pena il divenire oggetto, si modifica nella forma riflessiva. Non esiste una “coscienza cosciente di sé”, una coscienza che conosce se stessa e che diventa oggetto per sé. Ma, nonostante ciò, l'essere della coscienza soffre di un dispiegamento interno. La riflessività prende il sopravvento, avvolgendo la coscienza con la pseudo-identità del soggetto riflessivo. “L'autocoscienza è la bipartizione del sé in 2: soggetto e oggetto”, ha scritto Fernando Pessoa in una delle sue note filosofiche [Xxi]. Attraverserebbe così l'arco del dispiegamento riflessivo, portando all'interno la rotazione tra apparenza e realtà che domina il mondo esterno, l'immagine oggettivata del soggetto umano che, analogamente al “pour-soi” di Sartre, è un mescolanza di essere e di non essere. Infine, per impiegare categorie che ritroviamo sia nei sonetti in inglese che nella poesia ortonimica ed eteronimica, la nostra esistenza si coniuga nell'incolmabile differenza ontologica, che gli eteronimi poetici intensificano, riaprono o cercano di sopprimere, tra l'essere e l'avere, tra l'io che abbiamo e quello che siamo, tra il Il proprio e alterare, il Sé e l'Altro.
Il poeta conclude in un altro schizzo: “Tutto è illusione. L'illusione del pensiero, del sentimento, della volontà. Tutto è creazione e tutta la creazione è illusione. Creare è mentire. Pensare il non essere lo creiamo, diventa una cosa. Tutti i pensatori occulti creano assolutamente un intero sistema dell'universo, che rimane reale. Anche se si contraddicono: ci sono diversi sistemi nell'universo, tutti reali” [Xxii].
Solo la coscienza sussiste nell'illusione generale che impianta la scissione tra il soggettivo e l'oggettivo, che separa l'essere e il non essere – per quanto identici quando li consideri il pensiero – e che decentra il reale in una serie di apparenze. Di conseguenza, ogni senso che nasce dalla coscienza è un senso fittizio; esiste come possibilità e mai come realtà. È creazione e bugie. Con ciò, il vitalismo di Nietzsche si innesta nel pensiero di Fernando Pessoa.
quando si spiega L'origine della tragedia, in una delle bozze per il suo project work, La volontà di potenza (Der wille zur macht), rimasta incompiuta, Nietzsche affermava che il pessimismo maligno del suo primo grande libro manca dell'opposizione tra il mondo apparente e il mondo vero. Esiste un solo mondo vero, che è falso, crudele, contraddittorio, seducente, senza senso (oh peccato). Nella prospettiva del nichilismo – la svalutazione di tutti i valori – come limite estremo del processo storico-culturale che ha minato, con la cornice del pensiero occidentale, metafisico nella sua origine ed evoluzione, il vincolo platonico della verità, collegando il superiore ordine e visibile dalle essenze al mondo inferiore e visibile delle apparenze, si è reso necessario inventare, creare e quindi mentire per vivere.
“Che si abbia bisogno della menzogna per vivere è ancora un altro aspetto del carattere spaventoso e problematico dell'esistenza (caratteri fuerchtbaren e fragwürdigen des Daseins) " [Xxiii]. La scienza, la religione e la metafisica vogliono mantenere l'immagine della verità, e per questo mentono con la malafede di chi presume di ostentare ciò che non ha. La menzogna leale, e quindi paradossalmente vera, è l'arte come affermazione tragica. Invece di nascondere la verità che non esiste, afferma la sua “volontà di apparenza, illusione e finzione”. E quindi costituisce l'unico movimento possibile all'interno del nichilismo e contro il nichilismo. In queste condizioni, l'apparenza cessa di significare solo la negazione della realtà; e la verità, che diventa apparenza, assume un nuovo significato. “Chez Nietzsche”, riassume Deleuze, “nous les artistes = nous les chercheurs de connaissance ou de verité = nous les inventeurs de nouvelles possibilites de vie” [Xxiv].
Al filosofo e al poeta, condividendo il tragico sentimento – Amor Fati – accettando le apparenze, rimarrebbero, per il perseguimento della conoscenza e della verità, comuni a entrambi, sottospecie artis, la tattica obliqua di creare nuove possibilità di vita o nuove possibilità di essere, fingendo che l'uomo capisca il mondo e capisca se stesso. La menzogna vitale nietzschiana ci conduce al finzione, alla menzogna artistica del lirismo del nostro autore. Principalmente tematizzato dall'“impuro e semplice” Fernando Pessoa di canzoniere, finzione, che ci riporta al problema della conoscenza, della verità e dell'essere, al centro della creazione poetica, è il legame che unisce poesia e filosofia nell'opera di questo straordinario artista.
Secondo i celebri versi di “Autopsicografia”, il poeta è un pretendente, e quanto più è poeta tanto più compiutamente finge i propri sentimenti e pensieri, raggiungendo la sincerità attraverso l'insincerità. Indice di sospensione, trasformazione e costruzione dell'esperienza nel linguaggio, segno di quello che Fernando Pessoa chiamava anche distacco, finzione, che sarà così un artificio della sincerità, e come tale svolgente una funzione estetica, ha, proprio per questo, come già ha osservato Jorge de Sena [Xxv], un significato non etico e più che psicologico-empirico: un significato gnoseologico e ontologico, basato sull'interrogazione attorno alla coscienza riflessiva.
Nessuno sa cosa provi veramente, diceva l'acutissimo poeta, il quale, completando il suo taglio psicoanalitico-esistenziale in difesa della sincerità artistica (che non si manifesta nell'emozione come crede l'artista inferiore), aggiungeva che “è possibile provare sollievo con la morte di una persona cara, e pensare che ci dispiace, perché è quello che ci si deve sentire in queste occasioni”[Xxvi]. La sincerità psicologica è insincera perché presuppone, peraltro in un atto di malafede, l'impossibile fissità dei sentimenti che, sempre cangianti e sempre modificati dalla riflessività, si stabilizzano solo quando si convenzionalizzano, cominciando ad affacciarsi nel sentimentalismo di una “specificazione delle specificazioni”. ” racconto dell'io in cui ci oggettiviamo.
Il Sé, istanza oggettivante, maschera il posto di questo Altro che possiamo diventare – di questo Altro che, come possesso della soggettività dell'altro, Fernando Pessoa ha esternato nei suoi eteronimi, che gli permetterebbero di arricchirsi “nella capacità di creare nuove personalità, tipi di fingere di capire il mondo, o meglio fingere di poterlo capire”[Xxvii]. Fernando Pessoa non ci dice altro in molte delle sue poesie: “Essere uno è essere un prigioniero. / Essere me non è essere. / Vivrò fingendo / Ma vivo per davvero.”; “Sarai sempre il tuo sogno / Vivi cercando di esserlo.”; “Sono già quello che non sarò mai / Nella certezza di mentire” [Xxviii].
Quando, dunque, Fernando Pessoa scriveva che “fingere è conoscere se stessi”, non indicava solo un modo per aggirare le falsificazioni della vita interiore, i travestimenti della coscienza riflessiva, le maschere di cui è ricoperta. Nello stesso tempo un'espressione di ironia tragica, che accetta di consacrare le apparenze, questa finzione, autognosi negativa, antisocratica e anticartesiana, mediando la vittoria sulla sincerità del poeta ingenuo e del poeta sentimentale (e la sincerità di questo tipo è il “grande ostacolo che l'artista deve vincere”), costituisce l'unico atteggiamento coerente nei confronti dell'essere che reclama la parola dell'artista.
La finzione interessa il poeta come poeta, cioè come agente di poiesis, che crea o dà forma nel linguaggio a una possibilità di essere. Questa è la tua libertà e la tua verità. "Voglio essere libero e insincero / Senza credo, dovere o rango". Abbandonata alla parola fondatrice, è libera di tradursi, ed è insincera di diventare un'altra: “Sii io varia lettura / Per me stesso”. Ma questa lettura, questa leggibilità dell'essere, è condizionata dalla scrittura che la precede.
Fernando Pessoa si rivela, in una sua nota critica, sensibile alla tortuosa potenza della scrittura: “Parlare è il modo più semplice per diventare sconosciuti. E quel modo di parlare immorale e ipocrita, che si chiama scrivere, ci vela più completamente dagli altri e da quel tipo di altri che il nostro inconscio chiama noi stessi. [Xxix].
Per questo va considerato qui, come parte essenziale della finzione di Fernando Pessoa, il meccanismo di conversione e trasformazione della scrittura, in quanto, svelando e nascondendo, è in questo meccanismo, campo aperto della differenza dei segni, che viene elaborata, dall'irriducibilità dai significanti ai significati, sia l'evasione che la costruzione del senso delle cose e dello stesso soggetto lirico. Lì, per iscritto, parola o libro per il primo di 35 sonetti, il soggetto che si forma e si trasforma, che si espone e si nasconde, fingendo di poter essere, partecipa agli ingranaggi di un gioco estetico e conoscitivo.
Nella Psicologia della Creazione, che occupa, come abbiamo visto, lo strato intermedio della teoria poetica di Fernando Pessoa, l'immaginazione appare tra sensibilità e ragione. È persino considerata "una combinazione di emozione e ragione, avente il carattere non rigido dell'emozione (la mitezza) e la freddezza della ragione" [Xxx]. Per il suo ruolo nella sintesi dell'esperienza, l'immaginazione era, per Kant, la garante del “libero gioco delle facoltà rappresentative” [Xxxi] (Giochi gratuiti dal Vorstellungskräfte) corrispondente al giudizio estetico, gioco libero che, senza essere conoscenza oggettiva, si esercita tuttavia come se fosse conoscenza. Si potrebbe dire che è un gioco che finge di sapere, che è la possibilità fittizia della conoscenza.
In questo senso, il fingere di conoscersi di Fernando Pessoa è un atto eminentemente ludico, delineando un campo razionale-immaginario, in cui comprendere il mondo, interrogare l'essere, indagare la verità, da un lato, e dire cose, esprimere se stessi, se e tradurre, dall'altro, si intrecciano nell'unità mobile di un singolo poiesis. Poiché conoscere è creare e creare l'unico modo di conoscere ed essere, nella sospensione delle credenze e dei presupposti, autorizzata dal nichilismo trascendentale del filosofo e corroborata dalla finzione del poeta, la creazione poetica, fatta strumento di comprensione, e la speculazione filosofica, fatta a lingua fondante, si completano a vicenda.
Ciò non significa che Fernando Pessoa sia stato poeta come filosofo e filosofo come poeta. Si dà il caso, fatto di grave importanza, che la questione, riguardante l'opera di Fernando Pessoa, non si possa più porre in questi termini, poiché quest'opera, erede dell'estetismo di Nietzsche, già partecipa, su larga scala, alla intreccio, consumatosi oggi nella cultura intellettuale occidentale, parallelo alla crisi della metafisica, della letteratura con la filosofia.
Sarebbe un errore cercare una dottrina filosofica per l'opera poetica del grande scrittore, un sistema di pensiero elaborato internamente o esternamente, sia come sommario delle idee che essa secerneva dall'interno, sia come quadro intuitivo e concettuale che lo sostanziasse da fuori. In essa cominciano ad aver luogo l'incontro e il confronto del poetico e del filosofico, rompendo con gli schemi tradizionali, rivelandoci un aspetto di quella situazione intellettuale della filosofia come opera scritta, e quindi della filosofia come genere letterario, che Paul Valéry registrato nei suoi Quaderni – e che qui possiamo solo riferire [Xxxii].
In tal modo, la tesi, sposata da António Mora e Álvaro de Campos, e formulata in modi diversi e in occasioni diverse, della filosofia come opera d'arte o della metafisica come attività artistica, merita tutto il rispetto che si deve a un idea integrante della stessa situazione intellettuale, oltre ad essere una perfetta espressione dell'ironia, diciamo così, filosofica di Fernando Pessoa.
Fare della metafisica "varie metafisiche, cercando di organizzare sistemi coerenti e divertenti dell'universo" o, ancora, in termini di Ultimatum, che fanno del filosofo “un artista del pensiero”, sono espressioni della stessa esigenza di creare una comprensione del mondo che non ci fornisca più l'uso puro e semplice del discorso filosofico.
Considerando tutto ciò, la metafisica è per la poesia, nell'opera di Fernando Pessoa, lontana dal rapporto di parentela che vedeva Schelling e che renderebbe l'una come intuizione e l'altra come deduzione, forme equivalenti dell'Assoluto. Non rappresenta solo ciò che era per Marvell o Donne: la presenza di un pensiero astratto, che stimola l'esperienza poetica. [Xxxiii]. Senza il riparo di una concezione totalizzante, come quelle che Antero de Quental seppe ancora elaborare nel secolo scorso, il creatore di eteronimi, che ebbe, in termini di certezza, solo attraverso l'occultismo, un supporto neoplatonico - e tuttavia, mangiato via dal di negazione e contraddizione –, fu poeta metafisico, ma già impegnato nella crisi della metafisica che segna il pensiero attuale.
Rifiutandola e accettandola allo stesso tempo, il poeta portoghese sosteneva la metafisica come drammatica interpellanza dell'essere. E questa interpellanza era tanto più drammatica quanto più l'opera poetica di Fernando Pessoa interiorizzava, nel linguaggio, il movimento stesso dell'erranza dell'essere, che si nasconde nei simulacri, nelle maschere, che si svela senza mai svelarsi del tutto: “Di l'eterno errore nell'eterno viaggio / Il massimo che si esprime nell'anima che osa / È sempre un nome, sempre una lingua / Il velo e la copertura di qualcos'altro”.
I possibili modi di essere e di intendere il mondo, gli Altri che Fernando Pessoa proiettava fuori di sé, nello spazio immaginario di un dialogo – di un teatro senza dramma o di un dramma senza teatro, nelle parole di Álvaro de Campos –, non erano altro, come dell'autore che le ha create e che ne è diventato l'attore – e in questo sta l'ironia tragica dello svolgersi – se non il travestimento della realtà insondabile e profonda, maschera su maschera, modellando individui ea loro estranei. “Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi”, dice l'aforisma di Nietzsche che può servire da introduzione alla poesia della metafisica in crisi di Fernando Pessoa.
* Benedito Nunes (1929-2011), filosofo, professore emerito all'UFPA, è autore, tra gli altri libri, di setaccio di carta (Rila su).
Originariamente pubblicato su Rivista Colóquio/Lettere, no. 20, luglio 1974.
note:
[I] Giorgio Rudolf Lind, Teoria poetica di Fernando Pessoa, Porto, Editoriale Inova, Ltda.
[Ii] “I gradi della poesia lirica”, in Pagine di estetica e teoria e critica letteraria, testi stabiliti e preceduti da GR Lind e Jacinto do Prado Coelho, Lisbona, Édições Ática, p. 68, e Pagine intime e di autointerpretazione, testi stabiliti e preceduti da J. do P. Coelho e GR Lind, Lisbona, Edições Ática, pp. 106-9.
[Iii] Pagine intime e di autointerpretazione, P. 107.
[Iv] Pagine di dottrine estetiche, selezione, prefazione e note di Jorge de Sena, Lisbona, Editorial Inquérito, pp. 350-352.
[V] Pagine di estetica e teoria e critica letteraria, P. 72. Enfasi mia.
[Vi] ibid., pag. 267.
[Vii] ibid., p. 69-72.
[Viii] Presentazione della ver. Athenain Pagine di dottrine estetiche, P. 121.
[Ix] Pagine di dottrine estetiche, P. 289.
[X] ibid., pag. 129.
[Xi] Pagine intime e di autointerpretazione, P. 14.
[Xii] António Mora, “Introduzione allo studio della metafisica – Principi fondamentali, in Testi filosofici, stabilito e preceduto da António de Pina Coelho, Lisbona, ed. Attica, vol. io, pp. 7-9.
[Xiii] Testi filosofici, vol. io, pag. 20.
[Xiv] ibid., vol. io, pp. 3-4.
[Xv] Ibid., vol. II, pag. 220.
[Xvi] ibid., vol. II, pag. 249.
[Xvii] ibid., vol. II, pag. 235.
[Xviii] ibid., vol. II, pag. 70.
[Xix] ibid., vol. io, pag. 42.
[Xx] Pagine intime e di autointerpretazione, P. 74.
[Xxi] Testi filosofici, vol. II, pag. 183.
[Xxii] ibid., vol. io, pag. 44.
[Xxiii] Nietzsche, “Die Kunst in der Geburt der Tragédie», Werke, pag. 691, III, Carl Hanser Verlag.
[Xxiv] Gilles Deleuze, Nietzsche e la filosofia, P. 117, Presse Universitaires de France.
[Xxv] Pagine di Dottrina Estetica, p. 348.
[Xxvi] “Nota a caso”, in Pagine di dottrine estetiche, P. 285.
[Xxvii] Lettera a Casais Monteiro del 20/1/1935, in Pagine di dottrine estetiche, P. 275.
[Xxviii] Nei versi di Fernando Pessoa citati in questo articolo, ci limitiamo all'edizione del Opera poetica (organizzazione e note di Maria Aliete Dores Galhoz, Rio de Janeiro, Editora José Arguilar, Lda., 1960).
[Xxix] Pagine di estetica e teoria e critica letteraria, P. 42.
[Xxx] ibid., pag. 124.
[Xxxi] Kant, Kritik der Urteilskraft, § 9.
[Xxxii] Cfr. Derrida, Qual Quelle, Marges de la philosophie, P. 349, Le edizioni de Minuit.
[Xxxiii] TS Eliot, “I poeti metafisici”, in Saggi selezionati, P. 287, Faber e Faber, Londra.