da JORGE LUIZ SOUTO MAIOR*
È importante affrontare il diritto a non lavorare nei giorni delle elezioni, difendere e garantire il diritto di voto e la cittadinanza dei lavoratori e delle lavoratrici
Si segnala che è molto maggiore l'astensione alle elezioni dei “poveri” e tra questi, considerando soprattutto le politiche recessive e regressive dei diritti sociali degli ultimi anni, vi sono certamente lavoratori e lavoratrici inseriti in formali e rapporti di lavoro “informali”.”.,
Si sostiene che la situazione in questione sia dovuta alla maggiore difficoltà che queste persone hanno a recarsi ai seggi elettorali. Accade così che se i seggi elettorali rispettano, in linea di principio, la vicinanza alla residenza dell'elettore, la difficoltà più oggettiva per l'esercizio del voto si verifica quando i lavoratori sono obbligati a recarsi sul luogo di lavoro, che, quasi sempre, sono lontani dalle residenze e dai rispettivi seggi elettorali di tali cittadini.
Risulta, quindi, di estrema importanza affrontare il tema del diritto a non lavorare nei giorni delle elezioni, tema a lungo trascurato dalla pratica del lavoro, sia in ambito accademico che giurisdizionale, nonché in ambito sindacale.
Fin dalle elezioni del 2002 ho insistito sulla rilevanza di questo tema, che ritengo essenziale sia per il processo democratico sia per garantire la cittadinanza ai lavoratori e alle lavoratrici.
In questi termini, chiedo il permesso di riprodurre di seguito parte degli argomenti lanciati in un testo pubblicato all'epoca:
“I giorni delle elezioni per il Presidente della Repubblica sono stati definiti dall'articolo 77 della Costituzione federale, come la prima domenica di ottobre, nel primo turno, e l'ultima domenica dello stesso mese, nel secondo turno.
Legge n. 9.504 del 1997 ha aggiunto che le elezioni di Presidente e Vicepresidente della Repubblica, Governatore e Vice Governatore dello Stato e del Distretto Federale, Senatore, Deputato Federale, Deputato dello Stato e Deputato del Distretto si svolgeranno contemporaneamente (comma unico, punto I).
Nei giorni delle elezioni, la società brasiliana, come si suol dire, sperimenta il 'partito della democrazia'.
Quello che però è stato verificato è che a questa festa non sono stati invitati un gran numero di lavoratori, soprattutto nelle grandi fabbriche e nelle grandi catene di supermercati. Per loro il giorno delle elezioni è un giorno lavorativo come un altro, più l'"onere" di dover ancora votare, o giustificare il voto.
'Partito della Democrazia', sì, ma per i privilegiati che non dovevano lavorare, perché per i lavoratori che sono già abituati a essere esclusi dal processo democratico, forse tutto accade come se non fosse accaduto. Senza considerare, ovviamente, la situazione ancora più disperata di chi è senza lavoro.
E ci sono motivi legali per negare il lavoro subordinato il giorno delle elezioni? Sì, ci sono, e molti.
Per inciso, la base giuridica per giungere alla conclusione che imporre ai dipendenti di svolgere attività non essenziali, come quelle presenti nel commercio in genere, nel giorno cruciale della democrazia, sia una frattura esposta della Costituzione.
Lo stato di diritto democratico è stato definito nell'articolo 1o della Costituzione federale. Questo Stato si fonda sulla cittadinanza (capo II) e sui valori sociali del lavoro e della libera impresa (capo IV). Ora, la cittadinanza effettiva si esercita solo con il libero esercizio del voto. Il voto, tra l'altro, si configura come un modo per preservare la 'sovranità popolare' (art. 14 CF).
Inoltre, ai sensi delle suddette disposizioni, la libera impresa deve preservare i valori sociali e l'esercizio della cittadinanza è evidentemente uno di questi.
Non si dica che ci sia un interesse economico, anche dei lavoratori, con l'apertura del commercio in quel giorno, ad aumentare il reddito salariale e aumentare i posti di lavoro. Anche rispetto alle argomentazioni addotte, poiché la democrazia si fa con la convivenza degli opposti, sta di fatto che c'è una certa confusione di situazioni. La chiusura degli scambi in un giorno (o due) ogni quattro anni non può in nessun caso generare l'effetto accennato.
Peraltro, sotto questo stesso prisma, ponendo sullo stesso equilibrio le prospettive economiche e politiche, e ottemperando ad un altro principio costituzionale, quello di proporzionalità, non si può non riconoscere che la difficoltà creatasi per l'esercizio del voto, con il requisito lavorare in vista delle elezioni, arreca molto più danno alla democrazia di quanto la chiusura del commercio, in quel giorno, provochi la salute dell'economia del Paese.
È consuetudine sostenere che il lavoro festivo fosse consentito dall'interpretazione analogica della legge n. 10.101/00 (art. 6o.). Anche se fosse possibile tale analogia, cosa che non si crede perché la domenica (di cui si occupa la legge) non può essere confusa con un giorno festivo, neppure per un motivo matematico, poiché mentre le domeniche nell'anno sono 52, i giorni festivi sono molto più rari, il fatto sta che il fulcro della questione è deviato, poiché non si tratta di una semplice 'vacanza', ma del giorno in cui, ogni quattro anni, i piani della nazione vengono decisi dalla sovranità popolare ("ogni potere emana dal popolo, che la esercita mediante rappresentanti eletti o direttamente, a norma di questa Costituzione» – comma unico, art. 1o., CF).
Non si tratta, inoltre, di propugnare la chiusura del commercio, ma l'impossibilità di utilizzare i dipendenti, quale modalità ristretta di garantire a questi cittadini il libero esercizio del proprio voto, preservandone anche, in certo modo, la dignità (capo III, Articolo 1o., CF) e la sua vita privata (punto X, art. 5o., CF).
Non va inoltre considerato che un sistema di lavoro appositamente previsto per tale giornata possa, in qualche modo, garantire il diritto di voto, o consentendo al lavoratore di ritirarsi dal lavoro per votare, rientrando successivamente, o fissando orari di lavoro che consentano di votare prima o dopo l'esercizio del suo lavoro.
Questo, in effetti, poco importa, perché è in gioco un valore altissimo della sovranità popolare, cioè il voto, che non può essere limitato con nessun pretesto.
Concretamente, anche con l'adozione di tali cautele (se seguite, effettivamente, che qui non si discute, ma che da un punto di vista più approfondito potrebbe anche esserlo, poiché non sono rare le denunce lavorative in cui si fanno valere le retribuzioni non corrisposte per ferie lavorate e straordinari non retribuiti), quello che si può ragionevolmente ipotizzare è che lavorare il giorno delle elezioni crei una difficoltà di voto configurabile come insormontabile in diverse situazioni.
Non sono pochi, ad esempio, i lavoratori che esercitano la loro attività in una città e votano in un'altra; lavoratori che votano in luogo distante dal luogo di lavoro, essendo il seggio elettorale collegato alla loro residenza; lavoratori che non dispongono di mezzi propri, ecc.
Il voto, quindi, anche se esercitabile, cessa di essere uno strumento di integrazione della persona allo Stato di diritto e diventa un ennesimo strumento di oppressione, di offuscamento e addirittura di annullamento della cittadinanza.
Infatti, nel caso specifico delle ultime elezioni nazionali del 06 ottobre 2002, forse per ironia o per sfortuna, si sono verificati molti casi di ritardo nelle votazioni, con la formazione di lunghe code e lunghi tempi di attesa”.,
Il fatto è che tutti coloro che difendono la democrazia devono anche difendere e garantire il diritto di voto e la cittadinanza dei lavoratori e delle lavoratrici!
*Jorge Luiz Souto Maior è docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Il danno morale nei rapporti di lavoro (Editori dello Studio).
note:
[2] SUTO MAIOR, Jorge Luiz. Lavora nel giorno delle elezioni nazionali. Rivista Amatra II. Associazione Magistrati del Lavoro della II Regione, v. 2, n. 3, pag. 7-52, 54.
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