da LUCAS TRINITY*
Commento al libro di Diogo Valença de Azevedo Costa & Eliane Veras Soares
1.
L'opera qui recensita, che fa parte della serie “Teoria sociale latinoamericana classica e contemporanea”, curato da Adrian Scribano, prende sul serio le proposte avanzate negli anni Cinquanta e Sessanta da autori come lo stesso Florestan Fernandes e Luiz de Aguiar Costa Pinto circa l’importanza decisiva della teoria sociale (rielaborata nelle (semi)periferie del sistema mondiale capitalista per la produzione socio-scientifica internazionale.
Segue inoltre il programma delineato da una miriade di autori – come Brandão (2010), Maia (2011), Lynch (2013), Tavolaro (2014), Botelho (2019), Ribeiro, Dutra e Martins (2022), Rios e Klein (2022), Oliveira e Alves (2023) – non solo di mettere in discussione la divisione tra teoria sociale (nel Nord) e pensiero sociale (nel Sud), ma di evidenziare che la teoria sociale viene fatta anche qui, con lettere maiuscole volutamente, offrendo strumenti per la comprensione globale del mondo moderno e contemporaneo che non si limitano alla comprensione di una singolarità formativa regionale o nazionale come, rispettivamente, l'America Latina o il Brasile.
Come suggerito all'evento di lancio[I] Curata dalla coautrice Eliane Veras Soares, la pubblicazione contribuisce a due importanti movimenti: (a) offrire ai lettori di lingua inglese un approccio sintetico e ben fondato che, soprattutto, mette in luce il contributo di Florestan Fernandes alla teoria sociale intesa a livello globale; (b) grazie al riconoscimento che la lingua inglese ha nelle dinamiche accademiche internazionali, il libro richiama l'attenzione della comunità scientifica brasiliana sulla rilevanza sovranazionale dell'opera di Florestan Fernandes e sulla sua validità.
Per mettere in luce la portata della teoria sociale di Florestan Fernandes – il suo lavoro di sintesi teorica e la sua inventiva nell'appropriarsi e dialogare con diversi filoni delle scienze sociali del XIX e XX secolo – il lavoro si colloca sulla scia di importanti opere basate sui contributi di Fernandes, come quelle di Octavio Ianni, Gabriel Cohn, Miriam Limoeiro Cardoso, Elide Rugai Bastos, Antonio Brasil Jr., tra gli altri.
Il lungo percorso di ricerca degli autori attorno all'opera di Fernandes consente un lavoro rigoroso che unisce la ricostruzione del percorso biografico e intellettuale del sociologo dell'USP, in particolare sulla base di un'interpretazione delle sue narrazioni autobiografiche, e la presentazione al contempo profonda e chiara dei suoi contributi centrali a una teoria sociale critica.
Nel libro, l'insieme delle opere di Florestan Fernandes pubblicate tra gli anni Quaranta e Novanta del Novecento viene affrontato diacronicamente, nelle sue continuità e discontinuità, un'opera che attinge allo stretto rapporto degli autori con l'archivio personale e la biblioteca del sociologo, conservati presso l'UFSCar.
Il libro è strutturato in tre parti, oltre all'introduzione, alla conclusione e all'indice. La prima parte ("Dal lumpen ambiente sociale all’Università di San Paolo”), fortemente ispirato dalla sociologia della conoscenza di Karl Mannheim, propone la nozione di “stile di pensiero il nodulo"che opera, nell'economia del testo, in un duplice senso: (i) mette in luce le complesse mediazioni che legano il pensiero dell'autore alla sua esistenza in un particolare tempo-spazio; (ii) individua, in contrasto ad altre teorie sociali, un "modo" unico di pensare e, quindi, di concepire e organizzare l'esperienza sociale e individuale.
La tesi dello “stile di pensiero” il nodulo” attraversa non solo la prima parte e l'interpretazione del percorso intellettuale di Florestan Florestan, ma l'intero libro. Pertanto, la seconda parte (“La costruzione della sociologia critica di Florestan Fernandes: dai “dilemmi sociali” brasiliani alla categoria del “capitalismo dipendente” in America Latina”) affronta la sua opera nel suo complesso e ne ricostruisce i concetti centrali, tenendo sempre presente la loro saturazione da parte di quello stile, che conduce, a partire dagli anni Settanta, alla proposta di un marxismo latinoamericano originale e di una “sociologia critica e militante”.
La terza parte (“Brasile e America Latina in una prospettiva socialista: dilemma razziale, capitalismo dipendente e autocrazia borghese”) analizza il periodo che va dall'esilio in Canada (1969-1972) ai suoi mandati da parlamentare dal 1987 al 1995 e ricostruisce l'interdipendenza tra le riflessioni di Florestan Florestan sul dilemma razziale brasiliano, il capitalismo dipendente e l'autocrazia borghese, nonché tra la pratica teorica e la pratica politica dell'autore.
Nel caratterizzare lo “stile di pensiero il nodulo” di Florestan Fernandes, gli autori, sulla base di testimonianze e schizzi autobiografici, evidenziano come l'origine sociale del sociologo[Ii] hanno successivamente permesso una comprensione non solo interpretativa, ma anche empatica o endopatica delle difficoltà vissute da individui e gruppi subalterni nella società brasiliana. Evidenziano inoltre il carattere attivo di un florestano in formazione che, nell'esperienza del contrasto tra "due mondi",[Iii], "rimarrà fedele alla sua provenienza sociale"(Pagina 14).
Lealtà il nodulo che ha permesso addirittura una rielaborazione critica e creativa del “modello tipicamente europeo di analisi di classe” (p. 14), tenendo sempre in considerazione, nelle loro elaborazioni, segmenti di popolazione esclusi, sfruttati e non integrati, inintelligibili da una nozione ristretta ed eurocentrica della classe operaia.
La tua “socializzazione politica indiretta” il nodulo, o “socializzazione plebea” (espressione usata dallo stesso Florestano e sottolineata dagli autori), sarebbe la base di una formazione etica, nel senso di incorporare concetti di solidarietà e impegno collettivo forgiati nell’esperienza di cameratismo con coloro su cui poteva contare durante il suo difficile percorso, valori antitetici all’ultraindividualismo antisociale dell’“ordine sociale competitivo”.
Tal ethos plebeo condizionerebbe, sempre attraverso la carne del vissuto, la percezione delle insolubili impasse del capitalismo, in generale, e del capitalismo dipendente, in particolare, per il consolidamento di accettabili standard civilizzanti di uguaglianza (materiale e simbolica) e di partecipazione politica della maggioranza.
La tesi dello stile di pensiero il nodulo, riflettere sulla teoria sociale di Florestan Fernandes, consente di parlare di una prospettiva di conoscenza capace di mettere in luce non solo le contraddizioni del mondo del lavoro tipicamente capitalista, come fa il punto di vista che ha sostenuto la critica dell'economia politica nel contesto della rivoluzione industriale europea.
Uno stile di pensiero il nodulo, quando emerge come prospettiva feconda per la produzione di conoscenza teorico-scientifica, consente di vedere (spiegare e comprendere) il mondo del non-lavoro, inteso come i settori non inclusi negli schemi tipici della cosiddetta forza lavoro libera salariata, filone centrale delle sue opere principali, come L'integrazione dei neri nella società di classe e La rivoluzione borghese in Brasile.
2.
Nei limiti di una rassegna, è importante sottolineare l’originalità degli autori nello stabilire le mediazioni tra questo stile di pensiero il nodulo e la formazione interdipendente dei concetti fondamentali del dilemma razziale brasiliano, del capitalismo dipendente e dell'autocrazia borghese, un aspetto particolare del libro sviluppato nella seconda parte, in cui si cerca di mettere in luce: (a) da un lato, la rete che collega quei concetti, formulati negli anni '1960 e '1970, con le opere dei decenni precedenti (anni '1940 e '1950); (b) dall'altro, le reti della teoria sociale di Florestan con altri autori latinoamericani, marxisti o no, e con le appropriazioni e le critiche delle teorie della modernizzazione e dello sviluppo.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, che apre un intero programma di ricerca per coloro che sono interessati all’opera di Florestan Fernandes e al modo in cui l’autore “divenne parte di un movimento più generale verso la latinoamericanizzazione delle scienze sociali” (p. 78), il dialogo più o meno esplicito con l’opera di istituzioni come ECLAC, FLACSO, CLAPCS e autori come Costa Pinto, Celso Furtado, Fals Borda, Torres Restrepo, Guerreiro Ramos, Stavenhagen, Pablo Casanova, Eliseo Verón, Theotonio dos Santos, Aldo Solari, Sergio Bagú, Prado Jr., Orlando Albornoz, Gino Germani, Mendieta y Nuñez, Isaac Ganón, Louis Swenson, Manuel Diégues Jr., Medina Echavarría, FH Cardoso, Octavio Ianni, José Nun, Roger Vekemans, Domingo Rivarola, Jorge Graciarena, Gérard Pierre-Charles, Julio Le Riverend, Roberto Retamar, Armando Dávolos, tra gli altri.
Gli autori, seguendo le reti intellettuali di Florestan Fernandes in America Latina, suggeriscono una periodizzazione di questa relazione politico-intellettuale: (1) dall'inizio degli anni '1960 fino al suo pensionamento obbligatorio, il periodo di ricerca al CESIT e di dialogo sulle possibilità di superare il sottosviluppo e la dipendenza in America Latina; (2) dal periodo all'Università di Toronto (1969-1972) fino alla fine degli anni '1970, quando lesse "America Latina"attraverso il prisma del pensiero critico anticoloniale, antimperialista e marxista” (p. 122); (3) il periodo di partecipazione all’Associazione Culturale José Martí di San Paolo e al movimento Solidarietà con Cuba fino alla metà degli anni Ottanta.
Per quanto riguarda il primo aspetto, che mette rigorosamente in luce il filo rosso che collega le opere prodotte tra gli anni Quaranta e Settanta, segnalo, fin da subito, la ricca suggestione degli autori secondo cui, fin dai suoi primi scritti sul folklore, Florestan aveva già espresso uno sforzo di rivalutare una cognizione dualistica quando pensava ai mutevoli rapporti tra tradizionale e moderno: “una delle sue conclusioni è che il folklore nell'ambiente sociale urbano continua a svolgere un ruolo costruttivo nell'adattamento dei gruppi familiari e degli individui all'interno di una società altamente competitiva"(Pagina 61).[Iv]
Dai suoi studi sulle relazioni razziali in Brasile, Florestan conclude, in modo simile, che “[l]o mero sviluppo della società di classe non eliminerebbe il pregiudizio di colore e la discriminazione razziale” (p. 75). Negli anni Settanta, sempre attento al “limiti alla realizzazione di un'autentica democrazia, imposti dalla discriminazione razziale brasiliana” (p. 77), Florestan scrive dei processi di “modernizzazione dell’arcaico” e di “arcaicizzazione del moderno” (Fernandes, 2009, p. 48) che caratterizzano il capitalismo dipendente.
Questo concetto, “basato su un’interazione dialettica tra imperialismo, dipendenza e sottosviluppo” (p. 88), rappresenta il culmine di una critica della ragione dualistica (Oliveira, 2003) nell’opera di Florestan Fernandes, “decostruire i confini tra i sistemi sociali sotto forma di coppie concettuali opposte: avanzato e arretrato, moderno e arcaico, centrale e periferico, autonomo e dipendente, sviluppato e sottosviluppato"(Pagina 88).
Tale critica, che si realizza attraverso una sintesi creativa delle teorie sociali classiche e contemporanee di Florestan Fernandes e offre contributi teorici originali “allo studio sociologico del capitalismo e del sistema capitalistico mondiale” (p. 86), è direttamente correlato, sostengono gli autori, con “la sua posizione di marginalità come sociologo politicamente attivo in una società periferica, sottosviluppata e dipendente di origine coloniale"(Pagina 85).
Sottolinearlo significa anche portarlo al presente, come una sfida”per gli scienziati sociali situati nelle molteplici periferie del sistema mondiale” (p. 90), il modo di lavorare di Florestan, che fin dalle sue sistematizzazioni teoriche degli anni Cinquanta ha cercato di collocare “la riflessione epistemologica negli sfondi concreti” (p. 90) della sua produzione intellettuale.
3.
Per quanto riguarda gli studi teorici e metodologici di Florestan negli anni Cinquanta, ben prima del famoso “nuovo movimento teorico” (Alexander, 1950) degli anni Settanta e Ottanta, gli autori sottolineano come Florestan abbia cercato di sintetizzare i contributi dei classici della sociologia (Marx, Weber e Durkheim) non in modo eclettico.
Al contrario, il suo lavoro di sintesi si compie attraverso la proposta attenta di possibili complementarietà teoriche basate sulla chiara evidenziazione delle differenze tra contesti, tradizioni, autori e, soprattutto, le diverse forme di costruzione dell'opera. tipo (tipo ideale, tipo medio e tipo estremo) forniti, rispettivamente, dal metodo comprensivo (Weber), dal metodo genetico-comparativo o oggettivo (Durkheim) e dal metodo dialettico (Marx), evidenziando come ciascuno di essi custodisca una peculiare concezione del tempo storico e propri margini di astrazione/concretezza per il soggetto della conoscenza.
Se nei saggi scritti negli anni Cinquanta, soprattutto quelli raccolti in Fondamenti empirici della spiegazione sociologica, la sintesi teorica avviene ad un alto livello di astrazione, a partire dal saggio del 1959 (nel testo “Atteggiamenti e motivazioni sfavorevoli allo sviluppo”), secondo la datazione precisa degli autori, il lavoro è svolto con l’obiettivo di far luce su un problema specifico: “i problemi di ricerca delle nazioni del Terzo Mondo impegnate a superare il sottosviluppo"(Pagina 95).
Una forma di sintesi teorica che opera anche in testi fondamentali per la formulazione del concetto di capitalismo dipendente, come Società di classe e sottosviluppo (1967) e l'intervento in Seminario sui problemi di concettualizzazione delle classi sociali in America Latina (1971). Esiste, quindi, una relazione intricata e reciprocamente arricchente tra la sintesi teorica di Florestan e la sociologia della dipendenza, una relazione che deve essere approfondita per considerare la validità del suo lavoro.
Il concetto di capitalismo dipendente non solo caratterizza un modo originale e produttivo – teoricamente e politicamente – di pensare all'integrazione di alcuni paesi latinoamericani, di cui il Brasile rappresenta un esempio estremo (p. 121), nel sistema mondiale inteso in termini ampi (economico, sociale, politico e culturale). Rappresenta anche un nuovo modo di pensare le modalità di articolazione di tali sfere o istanze all'interno delle formazioni sociali (cfr. Silva, 2022a).
L'emergere di questo nuovo modo di pensare è evidente nel passaggio, evidenziato dagli autori, dalla nozione di ritardo culturale (un concetto proposto da William Ogburn e comunemente utilizzato nella teoria della modernizzazione) alla nozione di dilemma. La prima è ancora legata a un immaginario dei processi di modernizzazione per stadi, progressivo e unilineare; la seconda indica decisamente "alle impossibilità strutturali di trasformare l'ordine sociale verso la realizzazione dei suoi costumi o valori ideali consacrati"(Pagina 120).
Pertanto, in quest'ultimo caso, la compatibilità tra arcaico e moderno nell'articolazione tra e all'interno delle sfere sociali non è vista come un conflitto tra passato e presente, come residui di tradizione, ma come una modalità di articolazione strutturale capace di (ri)produzione e trasformazione attraverso l'azione collettiva, guidata dai valori. Qui, la modernità e i processi di modernizzazione possono essere concepiti nelle loro contraddizioni e ambivalenze fondamentali – al livello delle molteplici forme di articolazione strutturale e di perpetuazione di forme di oppressione, dominio e sfruttamento – e come un patrimonio di valori utopici in grado di innescare e sostenere movimenti di trasformazione riformisti o rivoluzionari, all'interno o contro l'ordine. A Florestan, la modernità non è finita né un progetto incompiuto; è sia ciò che è sia ciò che promette.
Rifiutando la tesi di una rottura epistemologica che dividerebbe Florestan in una fase “accademico-riformista” e una fase “politico-rivoluzionaria”, e cercando di presentare il politico presente nello scienziato e lo scienziato presente nel politico in una traiettoria segnata da continuità e discontinuità, gli autori caratterizzano Florestan degli anni Settanta “come marxista brasiliano e latinoamericano” (p. 132). Una caratterizzazione che, paradossalmente, ha assunto contorni fondamentali nel suo esilio “in un'università di uno dei paesi capitalisti ed egemoni centrali del Nord del mondo” (p. 136), Università di Toronto[V].
4.
Mi interessa mettere in luce, nell'affrontare i capitoli finali del testo (incentrati sull'attività politica e intellettuale di Florestan negli anni Settanta, Ottanta e Novanta), i contributi apportati dall'opera alla comprensione del concetto di autocrazia borghese.
Questo concetto ha certamente uno stretto legame con la radicalizzazione teorico-politica dell'autore negli anni Settanta, quando il socialista marxista e il sociologo si compenetrarono senza alcuna ambivalenza nella ricerca di "interpretazione, negazione e alterazione" (p. 1970) dei dilemmi brasiliani e latinoamericani. Gli autori evidenziano elementi decisivi per la comprensione di tale concetto.
In primo luogo, si tratta di uno sviluppo concettuale direttamente collegato alle sue tesi precedenti e contemporanee “sul capitalismo dipendente e sulle controrivoluzioni borghesi nelle periferie del sistema capitalista mondiale” (p. 147). In secondo luogo, come spiegato nel suo Note sulla “teoria dell'autoritarismo” (corso tenuto alla PUC-SP nel 1977 e pubblicato nel 1979), il concetto è sviluppato in netto contrasto con le radici liberali della nozione di autoritarismo, che, per Florestan, “naturalizza la violenza istituzionalizzata insita nello Stato borghese senza mettere in discussione le sue radici storiche e strutturali nella società civile"(Pagina 147).
In terzo luogo, non può essere pensato indipendentemente dalla riconfigurazione delle funzioni dello Stato nel consolidamento del capitalismo monopolistico, dallo sviluppo diseguale e combinato di un nuovo tipo da esso generato e dalle tensioni con il campo socialista, che hanno rafforzato il carattere repressivo dello Stato borghese e creato sfide profonde e nuove per il pensiero”la 'transizione al socialismo''” (p. 148).
In quarto luogo, il concetto di autocrazia borghese, pur essendo fortemente legato a una riflessione sistematica sull’attuazione e il consolidamento della dittatura corporativo-militare brasiliana dal 1964 in poi (vedi in particolare pp. 171-172), non si limita a quel periodo, ed è fondamentale per comprendere sia la Repubblica prima del colpo di Stato sia, dal 1985 in poi, “il passaggio da un'autocrazia borghese aperta ad uno democrazia ristretta” (p. 150), come è evidente negli interventi di Florestan dalla metà degli anni ’1980 in poi e nella sua tesi “che la dittatura si prolungò con altri mezzi e divenne istituzionalizzata” (p. 150). Tesi che offre elementi importanti per riflettere sulla forza dei gruppi di estrema destra e fascisti nel Brasile contemporaneo.
In quinto luogo, gli autori evidenziano come Florestan indichi chiaramente la possibilità di generalizzare gli attributi del capitalismo dipendente e, quindi, dell'autocrazia borghese a livello globale (p. 151), senza considerarlo una deviazione o una singolarità periferica dello Stato borghese classico (vedi Silva, 2022b).
In sesto e ultimo luogo, la riflessione sull'autocrazia borghese non può essere dissociata dallo studio sistematico che Florestan conduce, a partire dagli anni Cinquanta, su “|le forme storiche di combinazione tra sfruttamento capitalista, divisione razziale del lavoro e razzismo” (p. 154). Come ribadito più volte nel testo, se Florestan prende “la storia del nero come vera storia dell'emergere del popolo nella società brasiliana”, questo ci permette di affermare che “studiare le relazioni razziali è stata la sua porta d'accesso alla comprensione dei dilemmi del capitalismo dipendente"(Pagina 154).
Piuttosto che essere identificato con particolari regimi di governo, il concetto di autocrazia borghese mette in luce, nell'ambito del capitalismo dipendente, le forme di potere e di dominio (istituzionali ed extra-istituzionali) capaci di riprodurre una società capitalista moderna, strutturalmente chiusa alle classi lavoratrici e agli ampi segmenti subalterni in termini economici, politici e socio-culturali. In una formulazione precisa, interamente basata sulle parole di Florestano, gli autori scrivono: "l'autocrazia borghese costituisce il punto di partenza storico per il consolidamento di forme distorte di democrazia nel capitalismo periferico e dipendente"(Pagina 172).
Quando l’apparato analitico presentato viene mobilitato per riflettere sul tempo presente, gli autori suggeriscono non solo l’attuale rilevanza del concetto di autocrazia borghese, ma anche la sua validità al di là delle formazioni sociali sottosviluppate e dipendenti: “Mettendo in evidenza il dominio di classe specifico della periferia del sistema nell'era dell'imperialismo e del capitalismo monopolistico, la categoria di "autocrazia borghese" cattura precisamente una caratteristica strutturale delle società capitaliste su scala internazionale e che oggi tende forse a generalizzare. Il dominio di classe viene esercitato in modo autocratico di fronte all’egemonia delle frazioni parassitarie del capitale finanziario nei centri e nelle periferie del sistema mondiale capitalista."(Pagina 174).
L'interdipendenza tra capitalismo dipendente, autocrazia borghese e dilemma razziale nella teoria sociale di Florestan Fernandes ci consente di tornare a uno dei temi guida dell'intero libro: lo stile. il nodulo del pensiero dell'autore. Dopotutto, una delle tesi fondamentali del classico L'integrazione dei neri nella società di classe Affronta precisamente l'incapacità del cosiddetto ordine sociale competitivo, in un paese con un passato schiavista e coloniale come il Brasile, di integrare uomini e donne di colore negli attributi tipici della società di classe e del moderno lavoro salariato.
Ciò implica riconoscere che gli uomini e le donne di colore hanno formato e formano la maggior parte della il nodulo – Lélia Gonzalez (2020), basandosi su José Nun, predilige la nozione di massa marginale – da cui provenivano e combattevano doña Maria e suo figlio Florestan. Con la formulazione del concetto di capitalismo dipendente e autocrazia borghese, si assiste a un affinamento teorico dei meccanismi che rendono il super-sfruttamento, l'esclusione e la non-integrazione (in termini di reddito, prestigio e potere) espedienti normali e persino necessari delle dinamiche di una formazione sociale.
Pertanto, dal punto di vista di una sociologia della conoscenza, esiste un triangolo di posizioni spazio-temporali che condizionerebbe i contributi di Florestan alla teoria sociale: la periferia dipendente nel sistema mondiale (luogo privilegiato per analizzare le ambivalenze della modernizzazione e l'intreccio tra arcaico e moderno); continuo frustrazione temporale dei populismi sviluppisti e delle molteplici modernizzazioni autocratiche in America Latina; la sua condizione sociale il nodulo.
Lo stile di pensiero il nodulo offre elementi non solo per riflettere sui contributi teorici di Florestan, ma anche sulle sue posizioni all'interno della pratica politica, soprattutto a partire dagli anni Settanta, quando da un'analisi approfondita dell'esperienza cubana – in particolare Dalla guerriglia al socialismo: la rivoluzione cubana, del 1979 (vedi pp. 175-179) – e i suoi interventi politico-intellettuali negli anni Ottanta e Novanta.
In questi scritti, gli autori sottolineano: “Emergono i suoi primi tentativi di caratterizzare la "rivoluzione brasiliana" come un'unione tra le classi lavoratrici e le masse diseredate. Florestan Fernandes non ha ignorato il ruolo degli strati sociali sottoproletari nelle trasformazioni democratiche.” (p. 150). Caratterizzazione che guida la sua militanza nel Partito dei Lavoratori e la sua concezione di partito rivoluzionario, “capace di agglutinare le distinte bandiere dell'ecologia, delle donne, dei popoli indigeni, dei neri, dei lavoratori e delle lotte sociali giovanili con la partecipazione dei vari gruppi dissidenti emarginati dal capitalismo periferico"(Pagina 153).
Per gli autori, uno degli esempi più grandi della forza pratica delle idee di Florestan è la sua influenza sul MST, la cui principale scuola di formazione, la Escola Nacional Florestan Fernandes (fondata nel 2005), porta il suo nome: “|un simbolo del ritorno di Florestan Fernandes alle sue origini contadine e lumpen"(Pagina 184).
5.
Concludo con due osservazioni finali. Da un lato, il libro recensito stimola una riflessione sistematica e collettiva su come l'opera di Florestan Fernandes concepisca e fornisca risposte a domande considerate centrali da una definizione già canonica (ed eurocentrica) di teoria sociale, ovvero: "'Cos'è l'azione?'; 'Cos'è l'ordine sociale?'; e 'Cosa determina il cambiamento sociale?'" (Joas e Knöbl, 2017, p. 33); nonché sul dispiegarsi di queste risposte nelle diagnosi d'epoca.
La risposta a queste domande e le diagnosi del periodo presenti nell'opera di Fernandes sono indissolubilmente legate – e questa connessione non fa che intensificarsi lungo il suo percorso politico-intellettuale – all'impegno a trasformare radicalmente le forme della vita sociale, quindi, come una "teoria sociale critica" (Collins, 2022).
D'altra parte, l'opera ci porta a riflettere sui limiti delle definizioni consacrate ed eurocentriche della teoria sociale e a tentare una definizione di essa basata sugli sforzi di autori che, come Florestan, hanno pensato sistematicamente ai dilemmi latinoamericani da una prospettiva totalizzante, prendendo sul serio le implicazioni che lo studio delle relazioni razziali, i problemi del sottosviluppo, della dipendenza e del dominio autocratico avrebbero nella definizione di una teoria sociale che non solo riflette, ma anela deliberatamente a essere uno strumento di riflessività e di lotta accanto a coloro che sono condannati da un sistema globale.
*Lucas Trindade è professore presso l'Istituto Humanitas dell'Università Federale del Rio Grande do Norte (UFRN).
Originariamente pubblicato sulla rivista Sociologie, v. 27, n. 64, p. e138453, 2025. DOI: https://doi.org/10.1590/1807-0337/e138453
Riferimento

Diogo Valença de Azevedo Costa & Eliane Veras Soares. La sociologia critica di Florestan Fernandes: una teoria sociale del Brasile e dell'America Latina. Oxon e New York, Routledge, 2024, 194 pp. [https://amzn.to/4kdPKjG]
Bibliografia
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YOUTUBE. Presentazione del libro: Sociologia critica di Florestan Fernandes30 novembre 2023. Disponibile all'indirizzo: https://www.youtube.com/live/sWyvgslXyvA?si=_Q6wnkXqH9BEu4bA.
note:
[I] L'evento può essere visto al link su YouTube (2023).
[Ii] Figlio di Dona Maria, madre single, collaboratrice domestica; “un bambino lanciato precocemente nel mondo del lavoro” (p. 19), lustrascarpe e cameriere in gioventù.
[Iii] Il mondo il nodulo di Dona Maria e il mondo opulento di Dona Hermínia, la sua datrice di lavoro e madrina di Florestan.
[Iv] Sempre nelle prime monografie di Florestan, quando apprezzano i suoi studi sui Tupinambá, gli autori sottolineano come questi gettino sospetti su “le visioni etnocentriche degli autori del XVI e XVII secolo” e “si avvicina a una controstoria del popolo originario 'sconfitto' sottoposto a un violento processo di detribalizzazione"(Pagina 65).
[V] Il libro contiene una grande quantità di documenti e testimonianze che fanno luce sul breve periodo di Florestan in Canada e sul suo ritorno in Brasile (vedere in particolare il capitolo 7, pp. 135-143), oltre a riprodurre le prime pagine dei programmi dei corsi offerti a Toronto (vedere le figure alle pp. 139-141).
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