Fragilità assoluta – saggi su psicoanalisi e contemporaneità

Patrick Heron, Tre rossi in verde e magenta in blu: aprile 1970, 1970
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da GIOVANNA BARTUCCI*

Estratto selezionato dall'autore del libro appena curato

Il fatto è che, se vogliamo circoscrivere la postmodernità nell'ottica della globalizzazione neoliberista, non sarà difficile identificarla con la crisi degli stati-nazione, con l'indebolimento dei confini, delle distinzioni tra culture, alleate a una crisi economica, mobilità geografica e culturale. A ciò si aggiungano le caratteristiche della generalità della guerra e della pace alla fine del XX secolo – una linea di demarcazione che distingue i conflitti interni da quelli internazionali che è scomparsa o tende a scomparire – e riconosceremo nella contemporaneità il posto della assenza di garanzie.

I nostri analizzandi, infatti, lo confermano: chi, nato dopo la guerra, è produttivo, teme per i propri figli e nipoti. Coloro che sono improduttivi cercano di capire cosa è andato "storto" attraverso un'esperienza di riformulazione della propria vita. Ciò che stupisce profondamente, però, è che le nuove generazioni non credono, non hanno la certezza incrollabile – che la maggior parte di noi portava con sé – che le loro proiezioni sul futuro si avvereranno.

Le nuove generazioni, infatti, non hanno aspettative per il futuro. Partecipanti al nostro mondo globalizzato, sottomessi alle esigenze contemporanee di performance permanenti, i soggetti “fanno accadere” o, quantomeno, si avvalgono di tutti gli strumenti a loro disposizione per non restare esclusi, avvalorando la promozione dell'indistinzione tra “essere” e “apparire”. Come sottolineano sociologi, storici ed economisti che hanno come tema la contemporaneità, ai soggetti si chiede di essere agili, di essere disponibili a cambiamenti di breve periodo, di rischiare continuamente, di essere indipendenti. Relegati al proprio destino, la loro autonomia finisce per essere un'illusione di libertà.

È così che, immersi nel cuore dei processi psicologici di normalizzazione, a scapito dei processi che si fondano sul confronto permanente tra il medesimo e l'altro[I] – caratteristica delle società democratiche –, situata tra il desiderio di normalizzazione e la possibilità di resistenza di fronte alla rinuncia a qualsiasi progetto o speranza utopica, troviamo, allora, che la frammentazione della soggettività ha un posto fondamentale nella nuova configurazione del sociale costituita in Occidente. Egocentrismo che si coniuga così con il valore dell'esteriorità – i destini del desiderio assumono una direzione egocentrica ed esibizionista, determinando uno spostamento generalizzato dall'“avere” al “apparire”.

Infine, di fronte all'esperienza modificata del tempo, si aggiunge l'esperienza alterata dello spazio. Il disagio, la violenza simbolica e il sentimento di insicurezza sono interrelati alle modificate esperienze dello spazio e del tempo, le cui radici sembrano essere nei processi di frammentazione sociale, in quanto viviamo una pluralità di codici imposti dal processo di globalizzazione, verificati, fondamentalmente , nelle istituzioni socializzanti. Di fronte all'impossibilità di rispondere alle esigenze di risultati e di produttività che vengono loro imposte, si aggiunge la perdita degli ideali. Con le loro libertà ristrette, i sudditi portano con sé una violenza profonda, frutto della decomposizione degli ideali.

È in questa misura, allora, che se la modernità ha portato a ciascun soggetto il compito intrasferibile di autocostituirsi – alimentando l'ideologia di una dinamica sociale basata sull'innovazione permanente e la convinzione che, attraverso la ragione, sarebbe possibile agire sulla natura e sulla società nella costruzione di una vita soddisfacente per tutti – la postmodernità ha reso questo compito eccessivo. Inteso, qui, nella sua concezione storica come momento di esacerbazione dell'autocostituzione, in cui l'immaginario e l'intimità venivano inglobati nell'universo dei beni,[Ii] lasciando spazio all'esperienza dell'eterno presente di un “non ho mai finito”,[Iii] si tratta, in fondo, di interrogarsi su cosa saremo in grado di costruire, creare, dato questo luogo-limite, bordo-margine in cui ci troviamo.

È vero, non si può negarlo: in questo contesto storico-sociale anche la psicoanalisi è entrata in crisi, proprio nella misura in cui si oppone ai presupposti etici della cultura postmoderna. La condizione di possibilità dell'emersione dell'inconscio e della frammentazione pulsionale si basa proprio sulla decostruzione della “storia ufficiale” del soggetto, cioè della registrazione narcisistica di sé.

È anche un dato di fatto che, senza la reinterpretazione freudiana delle narrazioni fondanti, Edipo sarebbe solo un personaggio di finzione, e non un modello di funzionamento psichico, senza alcun complesso o organizzazione edipica nella famiglia occidentale.[Iv] Di fronte, tuttavia, all'impotenza derivante dalla diluizione delle grandi narrazioni della modernità, situata tra la paura del disordine e l'apprezzamento della competitività basata sul successo materiale, caratteristica della postmodernità, l'uomo postmoderno sembrerebbe perdere la sua anima, senza rendersene conto. La questione fondamentale, però, è che, se dovesse prevalere la pretesa della norma sulla valorizzazione del conflitto, caratteristica delle società democratiche, la psicoanalisi perderebbe anche la sua forza sovvertitrice. Così, messa in discussione la sua competenza clinica, la lamentela di fondo sembra essere che la psicoanalisi sia diventata inoperante nell'attuale contesto storico.

Se si tratta, allora, di un mutamento storico degli analizzandi o di un mutamento dell'ascolto degli analisti, le cui interpretazioni di sintomatologie prima trascurate sarebbero state perfezionate, abbiamo discusso, efficacemente e in modo generalizzato, questioni cruciali sulla costituzione della soggettività nella contemporaneità.

Torniamo alla domanda, ora, con il vettore invertito: cosa fare, però, quando le soggettività e le sintomatologie contemporanee si configurano – a priori e precisamente – la lacerazione del registro narcisistico del sé, senza che questo rappresenti, come intendo qui, una psicosi o una perversione, appartenendo e rimanendo nell'ambito di ciò che consideriamo nevrosi?[V] Come rispondere a questa domanda?

Forse, infatti, si può considerare che, mentre oggi vediamo un tale malessere nella psicoanalisi, mentre, ad esempio, lo scenario classico di Edipo - il bambino che desidera il padre del sesso opposto e si identifica con quello del proprio sesso – entra in crisi, una delle più importanti scoperte della psicoanalisi, il carattere non adattivo della sessualità umana, non è mai stata così vera. È in questo senso che diventano fondamentali le problematiche relative all'intensità e all'eccesso pulsionale, in quanto presentate come caratteristiche eclatanti della sofferenza attuale. Preso dall'intensità e dall'eccesso, il soggetto non può che compiere un lavoro di connessione, che costituisce possibili destinazioni, ordinando circuiti pulsionali e iscrivendo la pulsione nel registro della simbolizzazione, abilitando così l'opera di creazione, di produzione di senso.[Vi]

Così, se è proprio l'apparato psichico a registrare le rappresentazioni e i loro valori significativi per il soggetto che si trova “danneggiato”, insistendo sull'esperienza della perdita, della mancanza, della castrazione simbolica come condizione del desiderio e del piacere, implica – anzi – un lavoro precedente: costituire limiti tra interiorità ed esteriorità, tra soggetto e oggetto, tra soggetto e altro. Questa, infatti, è una condizione indispensabile perché si verifichi la libertà psichica del soggetto.

Se consideriamo, allora, l'esperienza psicoanalitica come “luogo psichico di costituzione della soggettività”[Vii] – fondamentalmente per quei soggetti il ​​cui destino di soggetti sarà sempre quello di un progetto incompiuto, all'infinito in atto –, la possibilità di riappropriarsi dell'essenza sovversiva della psicoanalisi sarà, infatti, depositata nella possibilità di ristabilire le variabili che innescano il conflitto psichico , dato proprio attraverso l'esperienza psicoanalitica stessa.

*Giovanna Bartucci è psicoanalista. Autore, tra gli altri libri, di Dove tutto accade: cultura e psicoanalisi nel XXI secolo (Civiltà brasiliana).

 

Riferimento


Giovanna Bartucci. Fragilità Assoluta. Saggi di psicoanalisi e contemporaneità. 2°. Edizione. San Paolo, nVersos Editora, 2022.

 

note:


[I] Cfr. Roudinesco, Elisabetta. (1999) Perché la psicoanalisi? Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2000.

[Ii] Cfr. Jameson, Fredric. (1991) postmodernismo: la logica culturale del tardo capitalismo. San Paolo: Attica, 2002.

[Iii] Cfr. Sennett, Riccardo. (1974) Il declino dell'uomo pubblico: le tirannie dell'intimità. San Paolo: Companhia das Letras, 1988; (1980) Autorità. Rio de Janeiro: Record, 2001; (1988) La corrosione del carattere: conseguenze personali del lavoro nel nuovo capitalismo. Rio de Janeiro: record, 2001.

[Iv] Cfr. Roudinesco, Elisabetta. (1999) op. citazione.; (2002) La famiglia allo sbando. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 2003.

[V] Cfr. Bartuccio, Giovanni. Psicoanalisi e contemporaneità: per una clinica differenziale delle nevrosi. Tesi di Dottorato, Corso di Laurea in Teoria Psicoanalitica, Istituto di Psicologia dell'Università Federale di Rio de Janeiro (IP-UFRJ), 2004.    

[Vi] Cfr. Bartuccio, Giovanni. (2000), Psicoanalisi ed estetica della soggettivazione. In: Bartucci, Giovanna (org.). Psicoanalisi, cinema ed estetica della soggettivazione. Rio de Janeiro: Imago, 2000, pp. 13-17.

[Vii] Cfr. Bartuccio, Giovanni. (1999) Psicoanalisi freudiana, scrittura borgiana: spazio per la costituzione della soggettività. In: Cid, Marcelo; Montoto, Claudio (a cura di). Centenario Borges. San Paolo: Educ, 1999, pp. 125-143; Tra lo stesso e il doppio si inscrive l'alterità: psicoanalisi freudiana e scrittura borgiana, in questo volume.

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