Di Airton Paschoa*
BO
Perché il poliziotto voleva perché voleva essere servito dall'insegnante? Il servitore gli portò il suo caffè, appena preparato, secondo la testimonianza del testimone oculare, doppiamente, infatti, che portava sempre gli occhiali, una buona vista non l'aveva mai, da quando giocava in cerchio, lei o il tempo, non chiarisce, e che si rammarica profondamente, annusa anche, non avendo potuto continuare a studiare, voleva tanto, tanto bello, annusa ancora, ma lavora lì, almeno, in segreteria, un sogno, e che non l'ha fatto Non dobbiamo indossare un'uniforme come molte persone, vero? ha risposto, invadente, cioè, interrogato, che aveva ripetuto, più di una volta, all'agente pubblico, cioè pubblico, che non funzionava, che proprio in quel piccolo momento di pausa, lui, cioè, lei, il piccolo maestro, non lui, il suo caffè goloso, che scaldava, non il caffè, l'agente, costretto a suo tempo, cioè, filtrato il piccolo, lo gettò arrabbiato. Sì, era in sogno, confessa, e questo ci porta coercitivamente alla domanda più seria: perché la polizia ha deciso di invadere il sogno?
In scatola
(o conversazione e con servitore)
Cosa commuove un ragazzo così soddisfatto di sé? L'estinzione dei popoli? di specie? della famiglia? Forse i sigari. Non che le fumasse, sano com'era, ma è come se le fumasse; come se indossasse bretelle e trapezio, con grazia e senza rete, anche portando sulle spalle una cassa di banconote, un diluvio di spese! e aspettando che cadano, chiarendo ogni tanto i dubbi della donna che effettuava gli acquisti. Un soggetto soddisfatto di sé è un soggetto conservatore e conversazionale, e un soggetto conversazionale e conservatore è un soggetto soddisfatto di sé. Eccola, rotonda, sorridente, tautologica, la verità poco lusinghiera, autologica come la bonaria conversazione del soggetto in salamoia (o viceversa), limpida, cristallina, vista dall'esterno, trasparente, trascendente. Estinzione delle tasse! SÌ! poteva esserci un'utopia più toccante? Dio lo tenga sempre così, il buon uomo! — Figurati, è stato un piacere! facendo un punto di essere specifico.
Tonico e Tinoco
Gente che ha faticato dall'alba al tramonto, che ha nascosto le mani, la voce, gente silenziosa e insensibile. Gemeva per lei nei giorni di festa come una viola alla radio. Vecchi, vecchi maturi, vecchi adulti, vecchi bambini in cammino verso il destino, donne in cammino verso la messa, giovani in cammino per giocare a calcio, uomini in cammino verso la fossa. Nonne, madri, zie, cugine, che passano tranquillamente per la magione, vegliando sul volto, sul passo, sul passato. Mia nonna, piccola e muta, andava a letto e si alzava all'alba, era la prima ad aprire e l'ultima a chiudere gli occhi. Dopo che suo marito è morto ed è caduta a letto, ha implorato i suoi figli di lasciarla morire, era stanca. Non so se siano rimasti sorpresi dalla chiamata. Morto, almeno. Di tanto in tanto, tirando un sospiro, forse sfuggendo col pensiero di amareggiare la sottile risata, non so, chissà. I redneck erano redneck.
Condor
La chiesetta, così uscita dall'infanzia, forse suona la campana. Sullo sfondo cumuli di nascondino giocano con nuvole intrecciate. Erano sempre vaporose, le ragazze, con le ali blu. Non è solo la terra che trema, o noi, anche l'aria. Il fiume — no, fermo e bruno, la salsa che quando ha scoperto il brivido / la ghigliottina del vento gli sale sulla nuca, ha sorriso, girando la testa finché ha visto le ambasciate e la bomba ben mirata nel secchio, puttana senza saltare. Perché c'è il salto, ci sono cose che non hanno spiegazione. Stesso cocuruto, lo stadio, o il secchio. Dall'alto tutto sembra bello. Fabbrica, banca, mulino, cimitero? e edificio edificio edificio, edificio di ogni altezza e vertigine, aprì gli occhi. La casetta con l'uomo e il cane, stretti l'uno all'altro come un quadro caduto, non sapevo se vedere o cambiare, uno che abbaiava e l'altro ringhiava. Aveva l'impressione di non essere mai scappato dal cortile. Da qui forse il piano, alto, largo, con le braccia aperte, bento e tonfo.
bemol
Arrivava di tanto in tanto, come una tempesta, e veniva gocciolando. L'abito lungo, ampio, un po' malizioso, drappeggiato da occhi acquosi, lasciava intravedere altezze morbide e svolazzanti sotto la cascata di riccioli. L'ho subito fasciata, meno per lei che per me, e siamo rimasti sul divano, avvolti in una coperta, a chiacchierare, — io, il vecchio scrittore e confessore; lei, l'apprendista che non imparava, non voleva, rideva, delirava. Abbiamo appena sfiorato la letteratura, argomento che, come osservava, evitava come la croce, il diavolo. Si parlava di cose a caso, tanto per cambiare, di tutto e di niente, di amori presi in giro, al limite del sognare ad occhi aperti, del tempo e del vento, che schiaffeggiava i fornelli e faceva venir voglia di plagiare. Scese il pomeriggio, scese la notte, la conversazione fluì e fluì, tra i caldi silenzi di un respiro stretto e opprimente. Sono arrivato a pensare che fosse venuto per arrendersi ed era venuto solo per salutarmi. O che era venuto a salutarci e si era semplicemente arreso. Non l'ho mai saputo, mai più, né da lei né da Schubert. La pioggia, la tempesta, è stata più un'improvvisazione.
*Airton Paschoa è uno scrittore, autore, tra gli altri libri, di la vita dei pinguini (Nankem)