Franz Kafka e il suo bestiario in transito

Foto: Kyle Killam
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Di RICARDO IANNACE*


Commenti al bestiario di Kafka



1.

Un sentimento di commiserazione ci riempie quando ci viene presentata la topa di nome Josefina. Senza dubbio sembra inevitabile non lasciarsi toccare dalla natura del personaggio di Franz Kafka, al quale tutta l'attenzione si rivolge per la sua straordinaria potenza canora.

In bundle in volume Un artista della fame e La costruzione, “Josefina, la cantante o Il popolo dei topi” si propone come una sorta di favola. Il narratore, un membro della stirpe, il cui punto di vista appare in terza persona, inebriato dall'unicità dell'eroina, la presenta circondata dagli impasse che caratterizzano la comunità dei roditori. Secondo lui, ci sono, in questo gruppo, coloro che si identificano autenticamente con Josefina e la stimano; Ci sono gli adulatori e quelli che la calunniano.

È un dato di fatto che l'incostanza emotiva del protagonista, misurata da alti e bassi, favorisce tali controversie tra coetanei. A volte Josefina si impone con la volontà di fare incondizionatamente ciò che sa meglio, a volte, con orgoglio ferito, si ritira, riverberando comportamenti antisociali – ritrovandosi così a volte accolta dal gruppo e a volte trascurata. Che fischi o canti, è unico; contagioso. E tanta eccezionalità, innanzitutto, è giustificata da questo: “ama la musica e sa anche trasmetterla”. (Kafka, 1998, p. 37).

Si scopre che in questo, come in altri resoconti dell'autore, ogni argomento – a prescindere dalla sua plausibilità e dallo sforzo di grandezza reiterativa nel convincere – deraglia nel corso dell'enunciazione, attestando fragilità e insufficienza (è un espediente retorico di Kafka) ; parallelamente, c'è un altro stratagemma caro al letterato: lo svuotamento del senso comune a favore della riflessione, attraverso l'incorporamento di un ragionamento di latitudine paradossale, racchiudendo il pensiero duale, in un gioco continuo di indefiniti.

A questa grammatica è circoscritta la topolina che compare nell’entrecho, prima donna dal talento unico: lei, “che canta ai sordi”, funge da dinamo dell’ordito in cui operano i dispositivi verbali in un’ottica di trazione e retrazione quando si segna l'accordo dei mammiferi. Non si può dimenticare che la trama riporta alla luce l'arte (il sibilo viene colto nella sua genuina gradazione, fino a raggiungere vibrazioni elevate).

È importante sottolineare che l'estesia si manifesta all'interno di una legione abiurata e in un habitat indegno. L'arena in cui si diffonde il canto di Josefina è miserabile — e proprio in questo terreno abietto si consolida la cadenza verbale che Kafka affida alla scrittura, da imitare, in lenti avanti e indietro e lunghi paragrafi, cioè sotto forma di canto deittico in cui non vi è Non mancano (letteralmente) i punti interrogativi, i momenti produttivi del soprano e le fasi di silenzio. A parte questo predicato, il testo fa propria la dizione protocollare, costellata di frasi, nonché di congiunzioni (esplicative, conclusive, avversetive) che la critica dello scrittore di narrativa praghese ha da tempo messo in luce.

Vince la figura di Josefina status di una leggenda: infatti, questo animale è, di per sé, una narrazione (nelle pagine si diffonde il discorso della tradizione popolare che porta con sé un certo binario basato su verità e menzogna). Nel racconto di Kafka c'è evidentemente un sostanziale cenno all'esclusione di questa specie bestiaria (c'è iscritto il monito sociale); e ancora: si dice che, affinché questo villaggio trovi la forza di resistere agli elementi, a quanti momenti si appoggia ogni persona? qualcun altro (monadi che si scaldano a vicenda, estasiate dall'inno magico del loro connazionale che, in fondo, è diverso da tutti gli altri).

Ne consegue che, per una buona ricezione della vocalizzazione di Josefina, il pubblico dovrebbe seguirla performance dell’artista, perché nel suo concerto “stringe le labbra, espelle l’aria attraverso i suoi graziosi denti anteriori” – e così, in queste ore di ricreazione e contemplazione, prevale un sogno collettivo. Dice il narratore: “[…] è come se le membra dell'individuo si rilassassero, come se questa volta all'inquieto fosse concesso di distendersi e distendersi a piacimento sul grande e caldo letto del popolo”. (Idem, p. 51). La cantante, anche quando viene investita dall'ondata di disperazione che grava sul suo popolo (perché soprattutto lei ne è parte), reagisce con forza, da redentrice, e il suo corpo appare imponente: “la testolina lanciata schiena, la bocca semiaperta, gli occhi rivolti in alto […].” (Idem, p. 42). Altezzosa, capiamo subito che Josefina canterà, “e poi sfileranno i cortei” mentre ascolta.

Nella trama in questione si notano alcune specificità della banda; tra questi, che i topi non amano l'infanzia e la giovinezza: invecchiano in anticipo. Anziani anche per la musica (“amusicals”) – la maestria e l’eccentricità della cantante la elevano a un grado nobile di differenza, che tollera perfino gli insulti che pronuncia, quando indignata, in certe stazioni, con il basso riconoscimento di lignaggio alla sua carriera solista. In queste circostanze assomiglia più ad una cicala arrabbiata.

Tuttavia, il perdono sembra essere un gesto familiare per questi topi e, come il lettore identifica alla fine del testo, il collettivo spera di trovare la soluzione aedo – in altre parole, Josefina scomparve (in precedenza aveva segnalato di ritirarsi a causa della debilitazione dovuta ai postumi di un infortunio al piede che la lasciò invalida). Ci sono voci che non tornerà mai più.

Ma sarebbe mai esistito? Oppure, se in Josefina c'è tangibilità, lei si rivelerà con questa dimensione narrata? Uno Fare fintaA C'era una volta, una fantasia per chi ha bisogno di credere? “Non sarebbe piuttosto che il popolo, nella sua saggezza, alzasse così in alto il canto di Josefina perché in questo modo lei non potesse perdersi?” (Idem, p. 59).

Un inno inventato.

2.

Se desumiamo che la cantante sia fuggita, il suo percorso aggirerebbe zone pianeggianti. E chissà, forse le tue impronte saranno sentite da un tasso, in un terreno sabbioso e sotterraneo.

La galleria dai canali labirintici è scavata da un altro animale di Kafka (in questo caso un animale solitario, protagonista del romanzo che dà il titolo a La costruzione). Se in Josefina risalta l'eufonia, nell'onnivoro dalle gambe corte risaltano il suo fine udito e il malsano senso di autodifesa.

La possibilità di essere sorpresi in qualsiasi momento da un predatore diventa un'idea fissa. Ciò è inquietante: il personaggio non dorme nemmeno, rimane costantemente vigile: organizza blocchi nella sua tana contro un ipotetico nemico (il corpo esausto e automutilato). Afferma: “Per quest'opera avevo solo la fronte. […] Ero felice quando scorreva il sangue […].” (Kafka, 1998, p. 67)

A proposito, il sangue gli pulsa nell'orecchio. È innegabile che le riflessioni rivelano sintomi schizofrenici. Ma tanta inquietudine racchiude metaforicamente una vera e propria persecuzione che l’autore ebreo mette in luce. Secondo Modesto Carone “La costruzione è il grande romanzo autobiografico di Kafka nella sua fase terminale. Offre un'immagine insuperabile del modo di esistere dello scrittore, perseguitato dall'interno dalla tubercolosi e dall'esterno dal fascismo tedesco. (Carone, apud Kafka, 1998, pag. 113 [Postfazione]).

Di fronte al pericolo imminente che richiede indagine, i passi dell'animale presentano una marcia ostinata, o meglio, una scrittura su e giù, in un atlante rizomatico, come preferirebbero i filosofi Deleuze e Guattari, considerato il flusso teso che delimita irruzione e reclusione intermittente in questa trincea chimerica. Il protagonista afferma: “E non sono solo i nemici esterni a minacciarmi. Ci sono anche quelli che vivono sottoterra. Non li ho ancora mai visti, ma le leggende parlano di loro e io ci credo fermamente”. (Kafka, 1998, p. 65).

In questa proprietà i nascondigli non mancano: ogni precauzione sembra insufficiente. Oltre a questo, ci sono calcoli che implicano un altro ordine di resistenza (la fornitura, poiché la riserva di cibo è l'obiettivo dell'artigiano la cui casa rifiuta qualsiasi ospite). A questo sostentamento alimentare si aggiunge un altro nutriente: il sonno.

Quando il tasso crolla per la stanchezza e dorme tranquillo per pochi minuti, si diletta nel realizzare, in ambito onirico, la ristrutturazione della sua casa: “[…] il sonno in cui ciò avviene è il più dolce di tutti; Quando mi sveglio, lacrime di gioia e di redenzione brillano ancora nella mia barba”. (Idem, p. 73). Il tratto metanarrativo è prezioso in questa narrazione. L'edificio del protagonista, con i suoi angoli incompiuti e plurali (buchi da riempire), grava sul costruttore, che fa del lavoro la causa della sua vita: “è allo stesso tempo esasperante e commovente quando mi perdo nella mia stessa creazione e nel il lavoro sembra sforzarsi di dimostrarmi […] il suo diritto all’esistenza”. (Idem, p. 73).

Quante sono le occasioni che ti spingono a mollare tutto, a svenire? D'altra parte, un'energia proviene da questa esperienza bizzarra e architettonica. Kafka, del resto, fa trapelare dalla sutura del testo un'intonazione peculiare, in cui ogni ambiguità sembra più una certezza, o viceversa: le frasi si scontrano e fanno germogliare sospetti; testimonia il narratore alla luce di ipotesi: “sarebbe possibile […] dire che in qualche punto lontano ci sia stata un'invasione d'acqua e che quello che mi sembra un ronzio o un sibilo sarebbe, in realtà, un soffio. " (Idem, p. 100).

3.

Il canto di Josefina avrebbe risuonato nella casa del maestro dall'udito raro? Forse. La lotta è inerente ad entrambi. Si può star certi che la violenza non fa parte della loro natura. Ma ecco una parentesi: in Racconti della tenuta, inserisce “L'avvoltoio”. La ferocia del rapace emerge dalla trama concisa.

In esso, un uomo cattura accidentalmente un uccello che becca ostinatamente un soggetto fragile. Lo spettatore promette aiuto, ritirandosi per prendere un'arma. L'animale ascolta la conversazione tra loro e, non appena lo sconosciuto si allontana, attacca la creatura indifesa che rimane lì: non la colpisce più ai piedi, ma alla bocca; Sono perforazioni profonde, che generano abbondanti pozze di sangue. L'autore di Il processo, nella colonia penale e innumerevoli intrighi che ritraggono ingiustizie e persecuzioni trovano anche nell'avvoltoio il simbolo per esternare una paura legata a tempi bui di oppressione (L'animale. Questo sconosciuto. Da affrontare).

Per quanto riguarda il lavoro per metamorfosi, La storia della vita e i gesti gentili di Gregor ci toccano. Vale la pena notare che la mutazione negli insetti compromette la perdita della voce umana; Se non emette un suono leggibile capace di perforare le porte del dormitorio, l'udito del rinchiuso non viene quindi pregiudicato. L'animale è ricettivo alla musica e Grete, che suona il violino dopo cena, affascina uno degli inquilini barbuti. L'apparizione di Gregor nella stanza sarà lo stimolo per il signor Samsa a ordinare all'insetto, attratto dalla sublimità dell'opera, di tornare nella stanza dove non è mai stato autorizzato a oltrepassare la linea che divide il pavimento e la porta.

Sì: il bambino ne è privo voce, indifeso (la scarpa di suo padre non gli era mai sembrata così colossale); paradossalmente, nella contingenza della stravaganza del romanzo, una tenerezza stoica, forse immanente al Homo sapiens, persiste in Gregor Samsa.

Un'osservazione: Jacques Derrida, in un saggio dal titolo L'animale che sono, deduce sul mutismo della specie: “[…] Tutti i filosofi che interrogaremo (da Aristotele a Lacan, passando per Cartesio, Kant, Heidegger, Levinas), dicono tutti la stessa cosa: l'animale è privo di linguaggio. O, più precisamente, di risposta, di una risposta da distinguere con precisione e rigore dalla reazione: dal diritto e dal potere di “rispondere”». (Derrida, 2002, p. 62). Il pensatore della decostruzione aggiunge: “E tante altre cose che sarebbero caratteristiche dell’uomo”. (Idem, p. 62).

Il ragazzo che viveva in transito, ha trascorso la notte in hotel e ha goduto a malapena delle comodità della sua stanza a casa, ora deve vivere in isolamento e adattarsi al silenzio; non si tratta di trincerarsi, come ha intuito il rappresentante dell'azienda che lo ha assunto, plagiando il giudizio del datore di lavoro; tutt'altro. Se il modus operandi era legittima difesa, come il tasso kafkiano di La costruzione, perché Gregor dovrebbe allora presentarsi in una condizione parassitaria e, di tanto in tanto, coltivare la vana speranza di essere accettato dalla sua famiglia come un suo pari?

Vale la pena sottolineare che l'uomo-insetto non teme gli attacchi, per questo non si trincera. Nascondersi sotto il divano imita piuttosto la discrezione: ha paura di risvegliare la paura in chi lo vede. In questo aspetto lo scrittore contrappone Gregor al soggetto esibizionista che si vanta assurdamente per mancanza di cibo e conseguente magrezza: l'eroe del racconto “A Hunger Artist”. Il pubblico “voleva vedere la persona che digiunava almeno una volta al giorno; negli ultimi c’erano spettatori che sedevano giornate intere davanti alla piccola gabbia […].” (Kafka, 1998, p. 23). A tutto questo c'è un'altra differenza: Gregor rimane in alto.

Si ricorda che il locale è ancorato su una piattaforma di fondazione verticale. E la perdita di peso del personaggio è involontaria: la mancanza di appetito è dovuta a debilitazione biologica; Grete, pur priva di fraterna compassione, non si sottrae all'obbligo di portare in camera il cibo scaduto, cosa che allieta per mesi il palato del detenuto. Il dormitorio della prigionia ospita la condizione ibrida di chi non è né uomo né animale; senza identità e caste sociali, Gregor occupa a luogo della muratura e, camminandoci sopra, imprime la tua nuova impronta digitale: la sostanza adesiva.

Questo spazio tetro, in cui si accumulerà polvere e sporcizia, offre la personificazione della figura innaturale; la stanza è progettata nello stile di a prosopopea, conferendo silenzio e umidità alla creatura ivi confinata. Il protagonista, nelle cui ferite proliferano i batteri, aderisce al filmato fisico, spargendo residui acquosi e appiccicosi: sua sorella, mentre stava ancora pulendo la stanza, si lamentava del muco secco che permeava le pareti.

Forse si potrebbero correlare le impronte viscose che il corpo metamorfizzato espelle, garantendo il movimento e l'autonomia zoomorfa di Gregor in questo ingrassamento, alla rappresentazione della camera da letto come supporto verbale, o meglio, tavola pulita, quarto-testo, una superficie oliata ricca di tracce di esperienze umane e animali che la letteratura di Kafka esalta. Nell'alcova emerge infatti una morfologia di malsana verve; altrimenti, una poetica della malattia: stanza dell'infermeria.

L'adattamento di per metamorfosi sotto forma di racconto grafico, in bianco e nero, firmato dal nordamericano Peter Kuper nel 2003, proietta immagini che rimandano all'autoscrittura della stanza: i fumetti intarsiano parole, suggestivamente, sul pavimento, sulle pareti , sui mobili, sullo schienale del divano e sugli abiti appesi alle grucce: il lessico non si limita ai fumetti e ai palloncini. Kuper mette da parte una pagina per simulare il circuito dell'insetto nel dormitorio.

Sul foglio intervallato da rettangoli, in toni di piombo, la scrittura scorre lungo linee rette e trasversali che formano un percorso casuale; l'alfabeto, capovolto, evoca un flusso vertiginoso e imita la legge di gravità. La lettera perpendicolare in posizione invertita (pirouette lexia), che percorre la stanza, scrutandola, parodia il suo abitante. Auto dell'insetto viscido o un transfer fai da te?

In questa rifrazione, Josefina, i cugini e fratelli del topo, così come il tasso delle costruzioni e il rapace, nei loro rispettivi trasferimenti, recuperano qualche particolarità del carattere dello scarabeo o dello scarafaggio. Per concludere, questo ricordo sui generis: come l'avvoltoio, l'insetto Samsa ha il suo picco di rabbia; si tratta dello sfogo per la minaccia di rimozione del ritratto contenente l'incisione con bordi dorati di una certa signora vestita di pelliccia e un cappello boa che Gregor aveva ritagliato da una certa rivista.

*Ricardo Iannace È professore di comunicazione e semiotica presso la Facoltà di Tecnologia dello Stato di San Paolo e del Programma post-laurea in Studi comparati delle letterature linguistiche portoghesi presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Murilo Rubião e le architetture del fantastico (Edusp).[https://amzn.to/3sXgz77]

Riferimento


“Josefina, la cantante o The Mouse People” in Un artista della fame / La costruzione. Cia das Letras, 120 pagine. [https://amzn.to/3MVV1hC]


Nota


Questo testo è stato presentato a 5° Kafkiano – Dopo la Colonia Penale. Incontro letterario tenutosi il 18, 19 e 20 settembre 2024. FLLCH-USP | Casa della Cultura giapponese | Biblioteca Mario de Andrade.

Bibliografia


DELEUZE, Gilles; GUATTARI, Felice. Kafka: per una letteratura minore. Tradotto da Cíntia Vieira da Silva. Belo Horizonte, Autentica, 2014.

DERRIDE, Jacques. L'animale che sono. Traduzione di Fabio Landa. San Paolo, Editora Unesp, 2002.

KAFKA, Franz. per metamorfosi. Tradotto da Modesto Carone. 5a ed. San Paolo, Brasilianense, 1987.

_____. Un artista della fame e la costruzione. Tradotto da Modesto Carone. San Paolo, Companhia das Letras, 1998.

_____. Racconti della tenuta. Tradotto da Modesto Carone. San Paolo, Companhia das Letras, 2002.


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