da RICARDO IANNACE*
Sono molti, nel tessuto kafkiano, gli spazi della sfera domestica e pubblico-amministrativa sotto il manto di sciocchezza
I compartimenti domestici e ufficiali
È difficile non rimanere sorpresi dalla figurazione degli spazi nella prosa romanzesca di Franz Kafka (1883-1924). Per il lettore per metamorfosi (1915), O processo (1925), O castelo (1926) e I dispersi o l'America(1927) si concentra sulla convivenza con personaggi racchiusi e intrappolati in stanze di singolare grandezza. Sono vani in cui si ritirano – zone giorno – e stanze che frequentano in situazioni poco favorevoli, la cui descrizione e inadeguatezza rispetto alle funzioni per le quali, in teoria, sono state progettate accrescono l'oscurità delle pagine di chi scrive.
A titolo di riferimento è opportuno ricordare che la stanza di Gregor Samsa ha un significato unico: il pavimento e le pareti ricoperte dall'animale conservano una striscia viscosa, tracciata dalla linfa con una morfologia adesiva; Con questo attrito, la busta corporea del commesso viaggiatore imprime la sua firma sul filmato fisico dell'appartamento. Durante per metamorfosi, la stanza esprime queste stagioni e queste mutazioni: la camera da letto diventa una cella che nasconde un innominabile segreto di famiglia, assume l'aria di un'infermeria, diventa un ricettacolo di macerie, fino ad annunciarsi come una camera funeraria.
In effetti, nel quadro kafkiano, ci sono molti spazi nella sfera domestica e pubblico-amministrativa sotto il manto di sciocchezza (camera da letto, soggiorno, anticamera, cucina, studio, studio, soffitta abitabile). Tali quadranti e angoli, che tendono ad avere proporzioni geometriche non standard (dimensioni ampie o limitate), con illuminazione rarefatta e soffitti bassi (stanze asfissianti per la scarsa ventilazione, derivante dalla mancanza di porte e finestre).
Questa topografia, dunque, manifesta un'eccentrica versatilità, al punto che un'aula, di notte, diventa il dormitorio del coito e il palcoscenico del sonno di Frida e del geometra in Il Castello (i coniugi, infatti, appena fa giorno, hanno urgentemente bisogno di occuparsi di risanare la zona, perché lì arrivano i figli per studiare).
Per quanto incongruo, per il lettore di Il processo, è scoprire che, la domenica, il soggiorno di uno degli appartamenti situato in una palazzina in zona periferica, con scale e corridoi stretti, diventa uno spazio per le udienze dei tribunali. Simili sciocchezze – manifestate dunque in una soglia crepuscolare, cioè alla pari dello statuto del sogno, grazie al quale qualche scintilla paradossalmente si impone come verità – risaltano sotto forma di artifici discorsivi in Franz Kafka.
In altre parole, l'affermazione dello scrittore praghese gioca un gioco molto interessante: sfilando in un ciclo episodi di natura illogica (qualcosa di familiare al mondo dei sogni e degli incubi, uno scenario in cui non esiste un percorso sicuro), un Il ragionamento coeso, sillogistico, si elucida nella voce diretta, o si organizza nei pensieri di un personaggio, nella sedimentazione di un resoconto denso e reiterativo, esponendo a un dato interlocutore le contraddizioni, le lacune, i fragili percorsi (di rischio) coinvolti nel scelta di questo o quel ramo di idee. Nel corso di questi lunghi discorsi segnaliamo una certa intellezione di retorica fallace: astuta circonlocuzione.
La sintassi utilizzata riflette innegabilmente un esercizio di pensiero tenace, esaustivo e persuasivo. Come una scrittura che assume il genere del saggio, mette in scena ipotesi, prove, controprove; Soprattutto denuncia la contraddizione insita nel verbo: fratture polisemiche.
Per quanto riguarda il romanticismo Il processo, mi attengo a questi diametri: camera e cucina dell’avvocato Huld; il magazzino della banca dove Josef K. funge da avvocato; la camera da letto del pittore Titorelli. Le tre sequenze narrative che si dipanano in questi luoghi hanno elementi in comune: scambiano esperienze di credibile distinzione con eventi inconsueti; per contiguità emergono: corpo, tortura e trappola.
[Primo] La stanza dell'avvocato Huld è priva di illuminazione: il medico legale riceve i suoi clienti a tarda notte. La fragilità della sua salute lo costringe a guardarli dal letto. Leni, l'infermiera, è libidinosa: molesta Josef K. e altri uomini che chiedono assistenza al suo capo. Notevole è la scena in cui il protagonista incontra il mercante Bock a casa dell'avvocato.
Leni li lascia in cucina; In questo spazio si svolge una prolungata conversazione tra i due uomini (uno scambio di discorsi come solo Franz Kafka poteva creare: ragionamenti altamente ordinati, coesi, gravidi di precisione – eppure costellati di indicatori morfosintattici convergenti a invalidare premesse che sembravano certe e inconfutabili) . La cosa curiosa è che, durante tutto questo dialogo, K. – inizialmente avverso alla figura di questo mercante – mostra simpatia per lui, le sue mani restano unite alle sue, giustapposte; K. è prodigo di affetto.
Quando l'infermiera annuncia che l'avvocato aspetta Josef K. nel dormitorio e che, dopo averlo ricevuto, commenta il motivo per cui lei molesta gli uomini presenti in casa, afferma che ogni soggetto in fase di indagine, durante l'elaborazione il suo caso legale, è considerato per bellezza e virilità senza pari. Ecco la dichiarazione dell’avvocato: “Gli imputati sono proprio più belli (…); Non può che essere, quindi, il processo avviato che, in qualche modo, vi aderisce”.[I]
Poi, dopo che K. ha espresso la sua intenzione di rinunciare ai servizi dell'avvocato, il mercante entra nella stanza accompagnato da Leni, e in questa telecamera viene mostrato un bizzarro atto di vassallaggio e umiliazione (uno spettacolo di baciamani). Block, sollecitato dall'infermiera, striscia ai piedi del letto, pronunciando parole di sottomissione allo scapolo. Un gesto dall'aspetto sadomasochista?
“– Chi è allora il tuo avvocato?
"Tu", disse Block.
– E oltre a me? – ha chiesto l’avvocato.
– Nessuno tranne te – disse Block […].”[Ii]
[Secondo] Nella scia mi riferisco brevemente ad un altro episodio sui generis. Un giorno K. si accorge che da una minuscola stanza della banca, adibita a ripostiglio, fuoriesce una scia di luce: un individuo frusta tre dipendenti. Nudità e supplica riempiono questo capitolo kafkiano. Nel cubicolo, uno “[…] degli uomini, che dominava chiaramente gli altri ed era il primo ad attirare l’attenzione, era vestito con una specie di abito di pelle scura, lasciando il collo scoperto fino al petto e le braccia interamente scoperte […] ]]”.
“- Quindi questo bastone può causare un dolore del genere? – chiese K. […].
– Dovremo essere completamente nudi – disse Willem.
– Ah, bene – disse K. guardando attentamente lo sculacciatore; Era abbronzato come un marinaio e aveva un viso selvaggio e riposato […]”.[Iii]
[Terzo] Infine mi reco nella stanza di Titorelli. Per raggiungere lo studio-dormitorio di questo artista che dipinge ritratti di giudici e magistrati che si presentano lì per posare per questo eccentrico cittadino, Josef K. si intrufola attraverso corridoi e scale strettissimi – e bambini rumorosi gli tirano i vestiti, sbirciano attraverso le fessure nelle finestre e nelle porte. Ecco l'osservazione di Titorelli rivolta al protagonista: “Il giudice che sto dipingendo adesso, per esempio, esce sempre dalla porta accanto al letto, gli ho anche dato la chiave di quella porta affinché lui, anche se non sono a casa a casa, può venire da me qui in studio. Perderesti ogni rispetto per i giudici se sentissi le imprecazioni con cui lo saluto quando sale nel mio letto la mattina presto […]”.
“Non appena [K.] si fu tolto la giacca, una ragazza gridò:
– Si è già tolto la giacca!
[...]
– Le ragazze credono che ti dipingerò ed è per questo che ti spogli – disse il pittore.[Iv]
Ebbene: la clausura, la brutalità e la punizione si uniscono ad altri appelli del corpo – lamentele di natura lasciva, licenziosa.
La macchina con i rastrelli
La telenovela nella colonia penale, secondo i riferimenti biografici di Franz Kafka, fu scritto nell'ottobre del 1914, contemporaneamente alla stesura di Il processo – anno in cui iniziò la Prima Guerra Mondiale. A proposito, Franz Kafka, all'epoca 31enne, non fu chiamato a combattere per l'impero austro-ungarico, a differenza di molti dei suoi amici; e certamente per questi motivi: essere ebreo, avere una salute cagionevole e lavorare dal 1908 a tempo indeterminato in un'azienda parastatale (l'Istituto di Assicurazione contro gli Infortuni dei Lavoratori).[V]
In questo contesto, l’arsenale militare che funge da pretesto in conflitti storici di questa portata è, metonimicamente, rappresentato nella narrazione come una macchina di tortura, la cui meccanica e i cui attrezzi sono al centro della scena e prevalgono come baluardo dell’assurdo.
Lo spazio unico, affidato allo sviluppo dell'intrigo, è l'isola penitenziaria, situata in una fascia tropicale dove è installata la macchina. Lì si tenevano sessioni pubbliche in cui il pubblico poteva osservare il funzionamento trionfale del dispositivo. Questa macchina, nel suo funzionamento estremamente efficiente, consente a un condannato alla pena di morte di sdraiarsi nudo e, per un lungo periodo, di allontanarsi dal compito dell'attrezzatura, ponendo fine alla sua vita nel giro di circa sei ore. È senza dubbio uno spettacolo crudele, una barbarie sinistra.
Tuttavia, si scopre che i suoi giorni sarebbero contati. Il lettore viene informato che il nuovo comandante intende porre fine a questa pratica, motivo per cui invita un esploratore straniero a vedere questo dispositivo unico. In questo campo chi accoglie il ricercatore si identifica come un ufficiale (nella narrazione, infatti, non vengono rivelati i nomi dei personaggi).
Oltre all'ufficiale e all'esploratore, nell'arena dove è fissata la macchina sono presenti esclusivamente il soldato e il condannato (il soldato osserva l'uomo – per ora semivestito – che non è stato informato della sua esecuzione). Una parentesi: sotto questo aspetto c'è somiglianza con la tragica esperienza di Josef K., che riceve nel giorno del suo compleanno una citazione in tribunale senza giustificazione né alcuna annotazione riguardo al delitto commesso. Questa ellisse continua fino all'ultima pagina del libro, quando il protagonista viene condotto in un vicolo da due uomini anonimi che lo pugnalano al cuore con un coltello.
Il lavoro nella colonia penale sottolinea l’ossessione dell’ufficiale – la sua idea fissa, la sua follia. Affascinato dall'ingegneria, dalla manutenzione tecnica e dalla permanenza delle attrezzature su questo terreno penitenziario, il miliziano tenta di convincere il visitatore che, senza il suo aiuto, diventerebbe impossibile dissuadere l'attuale comandante del progetto dal riformulare le leggi in vigore su tali strutture. un sito, disautorizzando ed estinguendo abusi e violenze di questa portata.
Ciò è dovuto soprattutto al fatto che il funzionario sostiene il mantenimento di un regime autoritario e sanguinario. Da qui il comportamento insensato di questo personaggio quando tiene un discorso a sostegno dell'esecuzione pubblica – un insano complimento alla mancanza di diritti di difesa di una persona sacrificata, che è soggetta alle azioni arbitrarie di un certo superiore gerarchico (la minima mancanza di rispetto per l'autorità è abbastanza da portare alla morte).
L'ufficiale si riempie gli occhi mentre mostra la struttura dei macchinari; lo sciovinista, abituato alla pedagogia dell'atrocità, spiega al visitatore la funzione e le specifiche di ogni parte dell'oggetto automa esposto al sole. La cosa più curiosa: tra le fasi che precedono l'annientamento del condannato, c'è la scrittura della sentenza sul suo corpo con un rastrello, trafiggendone la carne. O meglio ancora: una frase tratta dal comandamento si tatua come un rimprovero perpetuo.
Ecco cosa ha detto l'ufficiale rivolgendosi all'esploratore: “[…] Non vuoi avvicinarti per osservare gli aghi? […] Ogni ago lungo ne ha accanto uno corto. Quello lungo è quello che scrive, quello corto spruzza acqua per lavare via il sangue e mantenere la scrittura sempre chiara. L’acqua e il sangue vengono poi trasportati qui in questi canali e confluiscono infine nel canale principale, il cui tubo di drenaggio conduce alla fossa”.[Vi]
Dice di più, mentre tiene la mano sul braccio del suo interlocutore e indica verso l'alto: “- Là - nel progettista ci sono gli ingranaggi che comandano il movimento del rastrello; sono disposti secondo il disegno che accompagna il contenuto della sentenza”.[Vii]
L'ufficiale tira fuori alcune pagine dal portafoglio di cuoio e le mostra, da una certa distanza, all'esploratore, che non riesce a decifrare nulla. Sono linee labirintiche: occorrerebbe più di uno sforzo per decodificarle, forse occorrerebbe un apprendimento speciale per scoprire il crittogramma.
È interessante, quindi, riscontrare in questa fiction la presenza di un tale dispositivo grafico, in senso stretto, incomprensibile. Ovvero: un diagramma nebuloso che si inscrive in una narrazione di latitudine inquietante, lacerando la pelle umana e definendosi nel corpo che, sul punto di spirare, svenuto, verrà espulso dalla macchina come uno spettro.
In questa favola l’autore mette in guardia da qualcosa che risuona come una doppia eredità.
[Primo essenza della sua fabbricazione estetico-verbale; Il testo di Kafka materializza un'ambiguità senza pari, ottenuta attraverso procedimenti morfosintattici – lo ha detto bene Modesto Carone, il suo principale traduttore in portoghese.
[Secondo] L'allegoria intrapresa attraverso questa macchina omicida ratifica qualcosa che la critica di Kafka ribadisce: la sensibilità del letterato ebreo nel prevedere il nazifascismo, il totalitarismo, l'antisemitismo, le camere a gas.
Em nella colonia penale, il mancato consenso dell'esploratore alla continuazione di questa pratica di tortura porta l'ufficiale a chiedere l'allontanamento del condannato dalla macchina e a prendere il suo posto, in un atto di natura oscura, che ammette, almeno, queste due chiavi di interpretazione: (i) Tale è la disperazione dell'ufficiale nell'elencare i predicati ingegneristici dell'apparecchio, che ha dovuto eseguirli, esprimendoli didatticamente con il proprio corpo; oppure (ii) l'ufficiale si sarebbe arreso, cioè, calcolando l'inceppamento e il sovraccarico dell'attrezzatura, il personaggio si sarebbe suicidato.
Dopotutto, in questo passaggio teso e angosciante della trama (il suo climax), traspare il disadattamento dell'attrezzatura, il disadattamento, l'incomunicabilità e la disarticolazione delle parti che compongono la catena portante e gli altipiani – tutto, quindi, in disgiunzione.
Günther Anders, autore di un magnifico saggio sul suo connazionale, Kafka: pro e contro, sottolinea: “[…] La prosa di Kafka è molto più vicina all''arte plastica', perché, per lui e per le persone del suo mondo, la vita è così intricata che non si muove; e anche perché questa immobilità può stabilirsi solo come immagine”.[Viii] E aggiunge: “[…] ciò che traduce in immagini non sono concetti, ma situazioni”.[Ix]
Situazioni assordanti e continue – stragi onomatopeiche.
*Ricardo Iannace È professore di comunicazione e semiotica presso la Facoltà di Tecnologia dello Stato di San Paolo e del Programma post-laurea in Studi comparati delle letterature linguistiche portoghesi presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Murilo Rubião e le architetture del fantastico (edusp). https://amzn.to/3sXgz77
note:
[I]Francesco Kafka, Il processo, traduzione: Modesto Carone, São Paulo: Companhia das Letras, 1997, p. 226.
[Ii]Idem, pag. 235.
[Iii]Idem, ibidem, pp. 105-07.
[Iv]Francesco Kafka, Il processo, traduzione: Modesto Carone, São Paulo: Companhia das Letras, 1997, pp. 189-90.
[V]Vedi Paul Strathern, Kafka in 90 minuti, traduzione: Maria Luiza X. de A. Borges, Rio de Janeiro: Zahar, 2009.
[Vi]Franz Kafka, “Nella colonia penale”. In:_____. Ci vediamodetto / Nella colonia penale, traduzione: Modesto Carone, São Paulo: Companhia das Letras, 1998, p. 40.
[Vii]Idem, pag. 42.
[Viii]Günther Anders, Kafka: pro e contro: i fascicoli, traduzione: Modesto Carone, 2a ed. San Paolo: Cosac Naify, 2007, p. 74.
[Ix]Idem, pag. 56.
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