Gaza: una sfida morale

Immagine: Ememe
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da REGINALDO NASSER*

La storia dei palestinesi della Striscia di Gaza non inizia il 07 ottobre 2023, come vogliono coloro che fanno tabula rasa della storia

Dal 07 ottobre 2023, in seguito ai massacri guidati da Hamas che hanno causato la morte di più di mille israeliani, tra militari e civili, l’azione militare israeliana ci ha successivamente posto di fronte a un processo storico senza precedenti. Dalla sua lunga esperienza nella lotta al razzismo negli Usa, l'attivista Angela Davis non potrebbe definire meglio il momento che stiamo vivendo: “La Palestina è un test morale per il mondo”.

Tuttavia, la storia dei palestinesi della Striscia di Gaza non inizia il 07 ottobre 2023, come vorrebbero coloro che cancellano la storia. Dal 2007, 2,5 milioni di abitanti, di cui il 75% rifugiati, vivono in condizioni disumane in un territorio di 360 km2 sotto assedio da parte di Israele per terra, mare e aria con privazione di acqua, medicine e cibo. Questo è, senza dubbio, un caso esemplare di necropolitica, una politica di morte pianificata di una certa popolazione in modo lento, progressivo e debilitante.

Se ciò non bastasse, dal 07 ottobre in poi i palestinesi hanno cominciato a rivivere un tragico ricordo: nakba (catastrofe in arabo) più intensamente che in passato. Si contano almeno 42mila morti (circa 16.700 bambini), più di 96mila dispersi, più della metà delle case di Gaza (danneggiate o distrutte) e il 50% delle infrastrutture sanitarie inutilizzabili.

Gaza è una vera distopia. Un’ora dopo aver scritto questo articolo, sia chiaro, non è un giorno, che sarebbe già catastrofico, aggiungere altre 15 persone morte (6 bambini) ai numeri sopra. Ma, per raggiungere queste cifre orribili, c’è stata una convergenza di tre fattori: l’intenzionalità del governo israeliano, il sostegno delle potenze e la condiscendenza della comunità internazionale.

I politici e il personale militare israeliano hanno rilasciato numerose dichiarazioni attribuendo la colpevolezza collettiva ai palestinesi di Gaza per l'omicidio di massa degli israeliani. Benjamin Netanyahu ha denunciato il nemico biblico di Israele, Amalek. «Ora va' e colpisci Amalek», «distruggi tutto ciò che hanno e non risparmiarli; uccidi uomo, donna, bambino, bue e pecora, cammello e asino”. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato un “assedio totale” della Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, ha detto, né cibo, né carburante.

Oltre all’intenzionalità, un altro elemento importante affinché il genocidio diventi realtà è il sostegno politico e materiale. Israele è il più grande destinatario di aiuti militari statunitensi nella storia, ricevendo 251 miliardi di dollari al netto dell’inflazione dal 1959. Inoltre, i 18 miliardi di dollari inviati, al 7 ottobre 2023, sono di gran lunga il più grande aiuto militare inviato a Israele in un anno, anche dopo che la Corte internazionale di giustizia ha ordinato misure provvisorie per fermare il genocidio a Gaza.

Per quanto riguarda il ruolo della comunità internazionale, è vero che Israele non è mai stato così criticato come oggi, sia a livello diplomatico che nelle istituzioni internazionali (ONU, Corte Penale Internazionale, Corte Internazionale di Giustizia), ma, a livello D'altra parte, non vi è stato alcun atteggiamento concreto da parte di alcuno Stato che potesse interrompere l'azione di Israele. Il che ci ricorda, non a caso, le forti analogie tra la colonizzazione della Palestina e il caso dell' apartheid in Sud Africa e, quindi, che questo regime razzista è stato rovesciato solo quando sono state adottate misure economiche di sanzioni e boicottaggio.

D’altro canto, bisogna anche riconoscere che, per la prima volta, la cosiddetta “questione palestinese” è diventata globale, al punto da mettere in secondo piano la guerra in Ucraina nelle controversie internazionali. Grandi manifestazioni popolari sono scese in piazza non solo nei paesi arabi, ma in tutti i continenti, soprattutto nei governi che più sostengono Israele, come quelli di Usa, Inghilterra e Germania, soprattutto.

In questo senso vale la pena ricordare, in particolare, la dimensione della protesta studentesca iniziata negli Usa e diffusasi nelle università europee, canadesi e australiane. Non sorprende che la repressione dei movimenti nelle università sia stata così brutale, dopo tutto, le bombe e gli aerei guidati da sofisticate tecnologie militari sono il risultato di ricerche finanziate e progettate dal Pentagono nelle università.

Oltre a protestare contro il genocidio, gli studenti sono riusciti, ad un livello senza precedenti, a inserire nell’agenda internazionale la protezione delle vite palestinesi, la richiesta di uno Stato palestinese e la fine dei partenariati universitari con il complesso militare-industriale statunitense, un vera e propria macchina da guerra responsabile, direttamente o indirettamente, della distruzione di gran parte della vita nel mondo.

È vero che la questione palestinese ha le sue peculiarità storiche e la sua complessità geopolitica che dobbiamo conoscere a fondo, ma questa non è una precondizione per ripudiare, a voce alta e chiara, un genocidio che sta diventando naturale ai nostri occhi, dobbiamo solo bisogno di risvegliare il sentimento di giustizia.

*Reginald Nasser è professore di Relazioni Internazionali presso PUC-SP. UNautore, tra gli altri libri, di La lotta al terrorismo: gli Stati Uniti e i loro amici talebani (Editore controcorrente). [https://amzn.to/46J5chm]


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