da RONALDO TADEU DE SOUZA*
Le forme di lotta e di resistenza al razzismo dovrebbero, soprattutto, da parte di coloro che ne sono direttamente colpiti
Theodor Adorno, nel libro Introduzione alla sociologia, afferma che la totalità sociale si esprime nelle individualità. Questo era il modo Adorniano di dire, riecheggiando la critica materialista di Karl Marx, che la costellazione dialettica di molteplici e diverse variazioni determinate attraversa gli individui; che l'articolazione sociale concentrata ha la sua esistenza nelle persone e nelle relazioni che hanno tra loro nel corso della storia.
Ma da ciò derivano due situazioni: da un lato, il tutto immanente negli individui può manifestarsi in modo simmetrico, lineare e coerente, manifestando disposizioni positive di e con benefici razionalizzati o meno e, dall'altro, la manifestazione patologica della pienezza può verificarsi in queste circostanze sociale nell'esperienza individuale; ovvero, le rappresentazioni concrete dell'infelicità personale e di gruppo, sono soprattutto modi in cui si costituisce il tutto inautentico delle forme di esperienza frantumate dall'ordine sociale alienato.
Questo è ciò a cui assistiamo nelle società danneggiate dai modi dell'universale borghese, la rivelazione dei processi vitali nel capitalismo trionfante, che stanno rivelando aspetti del dolore collettivo e personale e della "incapacità" forzata di coloro che lo subiscono, proprio le classi subalterne (lavoratori, neri, donne, LGBTQIA+, persone svantaggiate di ogni tipo), di presentare risoluzioni immediate a tal fine. Le contraddizioni delle società umane organizzate dal capitale trafiggono le posizioni personali in un modo o nell'altro – e talvolta è dolorosamente indescrivibile.
È stato il caso dell'attrice Giovanna Ewbank e dei suoi figli, due bambini neri (Titi e Bless), che hanno vissuto una situazione di razzismo in Portogallo. Nelle immagini e nei suoni messi a disposizione dai social e che hanno cominciato a circolare lo scorso fine settimana, si vede Giovanna Ewbank, incisiva, pronunciare “imprecazioni” contro la donna che, in modo violento, crudele e vigliacco, ha offeso razzialmente i figli dell'attrice e modella, così come altre persone di colore del posto, un bar sul mare su una spiaggia di Lisbona.
Letteralmente Giovanna Ewbank diceva: “sei brutto […]”, “guardati in faccia, […] brutto […]”, “figlio di puttana […]”, “ti meriti un pugno in faccia [… ]” . Quest'ultimo è ciò che è accaduto; detto dalla stessa Giovanna Ewbank in un'intervista esclusiva con la giornalista nera Maria Júlia Coutinho al Fantastico – la madre di Titi e Bless sostiene di aver schiaffeggiato, una “aggressione” fisica, nei confronti della donna razzista.
Qui, subito e a prima vista, non è che Giovanna Ewbank sia una donna bionda, occhi azzurri, “bella” per gli standard occidentali ed eventualmente anche per altri, di abitudini visibilmente borghesi (ma con certi livelli di cultura e comprensione critica della realtà sociale) prese posizione in difesa di due bambini neri, che guarda caso erano suoi figli. Si tratta piuttosto di una questione rovesciata su come le forme di lotta e di resistenza al razzismo debbano, soprattutto da parte dei diretti interessati, uomini e donne di colore, essere attraversate da una soggettività combattiva, come dimostra Giovanna Ewbank.
Dirà e farà il banale ponderato conformismo progressista, il cinismo borghese bianco che placa l'anima ferita di coloro che si considerano “l'élite civilizzata”, compresi uomini e donne di colore che sono saliti alla classe media diciamo che Giovanna Ewbank e Gagliasso lo hanno fatto perché hanno l'autorizzazione e la legittimità sociale per farlo. Se fossero neri... (sic). In altre parole, hanno il privilegio razziale e di classe di farlo, come hanno fatto.
In una società di “riproduzione schiava” (Florestan Fernandes) e una “mentalità razziale di abnegazione” (Lélia Gonzalez), in cui il razzismo è un dispositivo di sfruttamento, oppressione e, quindi, di controllo e sterminio di presunti insorti con il nero pelle, è più che naturale che in situazioni di questo ordine emerga la posizione di quello che senza troppa precisione concettuale e analitico-pratica si chiama privilegio bianco.
C'è però qualcosa di più profondo nel caso Giovanna Ewbank: esso permea la lotta contro il razzismo oggi in Brasile, i vocabolari di questa lotta, la stessa soggettività degli attori del processo – e in termini più caustici, le stesse condizioni di costruzione di egemonia. Infatti, se fosse in gioco “solo” il problema del privilegio bianco, ne deriverebbero due circostanze. Da un lato, saremmo in una posizione relativamente semplice per convincere i privilegiati (con la coscienza di Giovanna Ewbank, ovviamente) a condurre la lotta contro il razzismo omicida brasiliano, e dall'altro, e in modo diametralmente opposto, la lotta sarebbe già perso in partenza, perché perché un privilegiato si comporterebbe diversamente, cosa significherebbe perdere i suoi privilegi? Quali sono le ragioni dell'esperienza che presumibilmente li farebbe smettere di godersi la bella vita, ecc., ecc.?
La vicenda di Giovanna Ewbank, in effetti, esprime, contraddittoriamente, che le modalità di lotta al razzismo, purtroppo, sono diventate una piaga istituzionalizzata in varie declinazioni, de-soggettivando in modo assoluto la capacità di azione politica e concreta dei neri. per quello geiststaunens quando si vedono le immagini del pugno chiuso della modella di fronte al razzismo. E se si comprende che qui la polemica è costruita a dispetto del coraggio di centinaia e migliaia di donne nere che giorno dopo giorno difendono la loro prole dal razzismo espresso nelle forme e negli espedienti più svariati: infatti la nostra situazione è molto peggiore di una immagina.
I meccanismi e le procedure di controllo dell'élite bianca dominante, con il ben inteso consenso (o meno) dei settori medi neri, impongono un insieme di pratiche che affrontano efficacemente i problemi del razzismo (a sua volta evidenziando un tipo di razzismo della classe dominante bianca – in assoluto disgiuntivo ai neri medi –, più sottile, dei gesti piccoli, cinici, dei dettagli) per situazioni di totale perdita di ribellione soggettiva, slancio insurrezionale collettivo e indignazione politica organizzata dei neri.
Sono costruzioni che sottolineano il linguaggio efficace del diritto, che abituano alla politica delle istituzioni, che “condannano” ogni posizione di risposta nello stile presentato da Giovanna Ewbank (conflittuale), che smonta il razzismo dalla lotta di classe, facendone un questione nazionale con sottigliezze discorsive, laterale – in poche parole, desublima il potere della stessa sottomissione nera. Tuttavia, ciò non avviene senza il consenso di settori della nascente classe media nera. Confermare e ratificare; promuovono se stessi ed elevano l'anima; mettersi all'idoneità al status quo e raccogliendo le briciole che il sistema lascia cadere. Ma perché ciò ottenga effettivi risultati, è necessaria l'imposizione, sempre acconsentita, di un intero vocabolario conciliante.
Così, i media, portavoce della classe dirigente e dell'élite bianca, ripetono ripetutamente che "giustizia deve essere fatta", "il razzismo è un crimine", l'intonaco "il razzismo è strutturale", "dobbiamo imparare da chi soffre di pregiudizi razziali". , “sono necessarie politiche sulla diversità”, “dobbiamo ripensare il privilegio bianco”, “dobbiamo costruire empatia”. Si tratta di tattiche discorsive che servono a stabilire un circolo nebbioso per evitare il vero confronto, il razzista-classista,, contro l'ordine sociale, politico, economico e culturale che ha prevalso nel paese per lungo tempo e che sostiene la buona vita delle élite bianche e della classe dirigente.
Sì, questo è il confronto che interessa uomini e donne di colore. Quello che in realtà si vuole – è che “azioni” come quella della madre di Titi e Bless (che qui, cose ben intese e per meglio accogliere il presente argomento, emergano come ontologia simbolica del presente) non diventare trasformare (trasfigurare) un programma politico di azione collettiva. Segue, dunque, la nozione di egemonia. O il blocco consapevole e ben congegnato di modi e mezzi di reale persuasione di chi è, supposto e tendenzialmente, disposto a combattere il razzismo. Non sarà possibile incitare altri settori della società a combattere la lotta contro il razzismo se non ci poniamo come soggetti del processo. Senza coltivare la nostra soggettività combattiva (collettiva), nessuno e nessun settore della società brasiliana combatterà con noi la buona battaglia contro il sistema razzista che organizza il paese. Karl Marx diceva che la liberazione dell'operaio avverrà attraverso le mani e le opere dell'operaio stesso.
È un errore, ed è un errore fatale, la ripetizione ingenua e talvolta sciocca che i bianchi dovrebbero (ri)pensare il loro privilegio e stare soli dalla parte della lotta contro il razzismo. Cosa accadrebbe se Giovanna Ewbank si comportasse come impongono le tendenze standard e le tattiche di controllo? Non solo sarebbe stata cacciata via con la figlia e il figlio, ma avrebbe anche dovuto sopportare, qua e là, l'indifferenza a volte razionalizzata di molte persone.
La sua presa di posizione ha forgiato un evento egemonico minimale – viste le ripercussioni sociali della presa di posizione assunta. Perché in nessun momento si è comportata così, non ha accettato e/o fatto ricorso al normativismo schematico che nel suo nucleo immanente vuole questo piuttosto il “democratismo” delle razze come soluzione al razzismo – è urgente capire l'ermeneutica di Lélia Gonzalez (che purtroppo è diventata tema di un programma di cucina gourmet, “povera” Lélia…) sul razzismo per negazione. (A volte, ed è stato detto nella storia della politica e delle idee, “pericolosi” sono coloro che dovrebbero stare dalla nostra parte.)
E un tale schema di controllo desublimante è stato sperimentato; non è un caso che l'ultima domanda postale dalla direzione del Fantastico (uno dei principali prodotti della società di comunicazione capitalista della famiglia Marinho per più di quattro decenni) in tono lamentoso era “se lei; aveva aggredito la donna razzista?”; la risposta attesa, evidentemente, era “l'ho fatto per difendere i miei figli, ma la violenza non si combatte con la violenza… il dialogo, l'educazione e la giustizia devono essere la via…”.
Lei e il marito, l'attore Bruno Gagliasso, hanno riaffermato il duplice atteggiamento assunto all'epoca, di alzata di voce soggettiva e aggressiva e di violenza fisica (politica) contro il razzista. Hanno dato vita e forma a un evento dirompente. Ora, se non superiamo le nostre abitudini e pratiche mentali imposte, continueremo ad assistere a situazioni come quella che si è verificata di recente, tre giorni dopo quanto accaduto in Portogallo con Ewbank e la sua prole, presso la Biblioteca Municipale di Mário de Andrade a San Paolo, dove un razzista lo spazio con il Il mio Kemp di Adolf Hitler in mostra (lasciategli leggere quello che vuole a suo piacimento, non è vero...), con un sorriso sul volto e palesemente sicuro di uscire indenne dalla situazione, dice ad alta voce: che non non mi piacciono i neri ("quindi quello che il razzismo è un crimine [...] non mi piacciono davvero i neri"); la sicurezza del luogo, un uomo bianco, con le braccia incrociate era e con il braccio incrociato restava...
*Ronaldo Tadeu de Souza è ricercatore post dottorato presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'USP.
Nota
, È chiaro che questa non era la realtà del caso Ewbank-Gagliasso-Titi-Bless.
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