Glauber Rocha e “Hiroshima amore mio"

Rubens Gerchmann, senza titolo
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da MATEUS ARAÚJO*

Nota su un amore eclissato

Il primo lungometraggio di Alain Resnais, Hiroshima amore mio nel 1959 consolida due tratti salienti della sua già consolidata carriera di cineasta: il fitto rapporto con la letteratura e la tematizzazione dei traumi collettivi prodotti dalla guerra. Nei film precedenti aveva già integrato nella colonna sonora, con grande disinvoltura, versi di Paul Éluard e Raymond Queneau in Guernica (1950) e Il canto dello stirene (1958), così come un testo in prosa di Jean Cayrol in Notte e nebbia (1955). E aveva già affrontato, in due di essi, episodi particolarmente traumatici della storia del Novecento: la distruzione di Guernica da parte dei nazifascisti, nel 1937 (in Guernica), e i campi di concentramento nazisti (in Notte e nebbia).

Insistendo su questo universo di domande, su cui tornerà nei film successivi,[I] Resnais invita a un nuovo sodalizio letterario, questa volta attorno alla bomba di Hiroshima (soggetto proposto dai produttori), Marguerite Duras, scrittrice già riconosciuta all'epoca, ma poco esperta di cinema. In stretta collaborazione con il regista e Gérard Jarlot, scrive una storia d'amore tra un uomo giapponese, "ingegnere o architetto", e un'attrice francese (traumatizzata anche lei, nel suo paese, dalla seconda guerra mondiale), che era in visita Hiroshima a un film sulla pace.[Ii]

Il regista ne fa uso in un disco che unisce finzione sulla coppia di innamorati e brani semi-documentaristici riferiti alla memoria della distruzione causata dai bombardamenti della città giapponese. Se i personaggi (soprattutto la donna) hanno affrontato il bisogno vitale di elaborare psichicamente il trauma della guerra per esorcizzarlo, addolorarsi e continuare a vivere, il film cerca anche di inventare un modo capace di organizzare l'esperienza collettiva di quel trauma . In esso si intrecciano il documento e l'immaginazione, l'evocazione del disastro passato e la meditazione su cosa farne nel presente.

Un lavoro artistico di tale ambizione e portata invita a un'infinità di approcci, dalle angolazioni più diverse, alcuni dei quali sono proposti in questo dossier, dal punto di vista della dimensione letteraria del film, del contributo fondamentale di Marguerite Duras a la sua costruzione, il rapporto innovativo tra immagine e suono, il suo modo inventivo di affrontare i disastri della guerra, e così via.

Nel testo che segue, ritorno su un caso di accoglienza critica del film in Brasile che attendeva un approfondimento. Come sapete, Hiroshima è stato uno dei lungometraggi con la più grande, varia e qualificata fortuna critica del secondo dopoguerra europeo, fin dalla sua uscita nel 1959, che suscitò un'appassionata reazione in quasi tutti i critici. Come quella prodotta in diversi altri paesi, anche la sua fortuna critica brasiliana fu abbondante e varia, come Alessandra Brum ha già mostrato e discusso nella sua preziosa Tesi di Dottorato, Hiroshima mon amour e accoglienza critica in Brasile (2009), che esamina i testi dedicati al film, nella foga del momento, da 17 dei più importanti critici brasiliani dell'epoca.

Il mio discorso consisterà in una nota a piè di pagina sul contributo duraturo di Alessandra, la cui scelta per il panorama nella sua ricerca approfondita ha prodotto una mappa generale della ricezione critica del film in Brasile, ma le ha impedito di approfondire la discussione sull'approccio di alcuni dei critici scelti. Riaprire il fascicolo e riesaminare più in dettaglio il caso particolare di ricezione Hiroshima di Glauber Rocha, mi propongo qui di fornire una disamina più completa del suo rapporto con il film e con il suo regista, ampliandone l'arco temporale e l'insieme dei testi da trattare[Iii].

Nelle tre sezioni successive segnalerò un movimento, percepibile nei testi, dall'iniziale entusiasmo di Glauber (espresso in due articoli a lui interamente dedicati) ad un progressivo allontanamento, che culmina nella curiosa assenza di tali articoli dalla sintesi di IL secolo del cinema, il suo libro principale sul cinema mondiale.

Primo impatto (con oscillazioni)

Con sede a Salvador, attivo nella stampa bahiana, ma già collaboratore con il supplemento domenicale del Giornale Brasile, Glauber vide il film per la prima volta tra la fine di settembre e la metà di ottobre del 1960, dopo avervi fatto riferimento, senza averlo visto, in almeno 4 articoli da giugno a ottobre di quell'anno, segnati dagli echi dei dibattiti ha cresciuto in altre capitali brasiliane[Iv] e da testi pubblicati su di lui dai suoi colleghi di altri stati.

Da quel momento in poi, i suoi giudizi sul film sembrano infiammarsi, oscillando però tra il forte elogio della forma (o del montaggio in particolare) e la critica della sua dimensione letteraria. Come questo, Hiroshima avrebbe elementi integrati della teoria del montaggio di Eisenstein,[V] e la sua forma porterebbe "progressi ingegnosi e riformisti"[Vi], forse “una rivoluzione”.[Vii] Ma i dialoghi di Marguerite Duras, “della peggiore letteratura, a quanto si dice”, “strangolano lo spettatore a causa della cattiva letteratura che possiedono”.[Viii]

Il 2-3/10/1960, settimane prima del suo primo testo dedicato al film, il Diario delle notizie pubblica, in Salvador, senza firma la nota “O Filme novo: HIROSHIMA” [Fig. 1], ripubblicato quasi integralmente il 21-22/5/1961, con il titolo “Un capolavoro di New wave" [Fico. 2], sempre senza indicazione di paternità, nella stessa pagina in cui compare il secondo articolo di Glauber (sul quale tornerò), questo firmato con le sue iniziali GR Sebbene sia stato attribuito a Glauber due volte in lavori recenti[Ix], tutto fa ritenere (compreso lo stile e l'impostazione un po' glauberiana), con la massima plausibilità, che quella nota non sia di Glauber, il quale non la firma in nessuna delle due versioni (la seconda è timbrata accanto a un testo firmato), ma da redazione del giornale, e probabilmente da Hamilton Correia, critico e giornalista responsabile della sezione cinema.

Figura 1. “Il nuovo film: HIROSHIMA”. Diario delle notizie, 2-3/10/1960, 3° Quaderno, p. due
Figura 2. “Il capolavoro della Nouvelle Vague”. Diario delle notizie, 21-22/5/1961, 3° Quaderno, p. 8.

Nel suo primo testo sul film [Fig. 3], intitolato “Prima visione di Hiroshima"(Diario delle notizie, 23-24/10/1960) e articolato in 5 sezioni, Glauber unisce un atteggiamento di umiltà critica nei confronti del film (il cui impatto richiederebbe, almeno inizialmente, la sospensione provvisoria del giudizio) e un entusiastico elogio delle sue qualità, che non si priva del fare.

Figura 3. "Prima vista di Hiroshima". Diario delle notizie, 23-24/10/1960, Supplemento Arti e Lettere, 3° Quaderno, p. 6 e 2.

Questa coesistenza di due gesti quasi incompatibili di sospendere il giudizio (insolito nei suoi testi dell'epoca) e di pronunciarlo con enfasi, senza lesinare i superlativi, appare nella prima sezione dell'articolo, per poi riapparire nella terza: “Ma prima da una prima visione di Hiroshima, mon amour, di Alain Resnais, non posso registrare altro che “impressioni”. Perché Hiroshima lascia sbalordito qualsiasi spettatore che lo veda per la prima volta. E iniziamo a “scoprire” il film solo molto tempo dopo averlo visto. È pericoloso da vedere Hiroshima. Io, per esempio, non mi vergogno di confessare che guardo Hiroshima è stata una delle mie più grandi esperienze umane. […] Sarebbe in una seconda visione che potremmo concettualizzare questo film. Ma non critichiamolo. A proposito, non posso criticarlo finora. Devo però parlare di quel territorio apparentemente caotico di immagini che nasce circondato da un bellissimo testo, preparato da Marguerite Duras. Il film oscilla tra immagine e testo? Questa domanda mi assale più volte. Francamente, non so rispondere". (ROCHA, [1960e] 2019, pag. 155)

Nel prosieguo del testo ricompaiono clausole cautelative, come “vediamo fin dove posso spingermi”, “potrei sbagliarmi totalmente”, “anche confuso e incerto” e “nessuno può dire l'ultima parola su Hiroshima. Nemmeno lo stesso Alain Resnais. Forse il tempo può arrivare a qualche conclusione. Ma non impediscono a Glauber di avanzare enfatici giudizi e affermare l'eccellenza del film, preliminarmente caratterizzato nella sezione II in dieci brevi formule (alcune apprezzative, altre peggiorative), di cui il testo sembra esplorare nelle sezioni successive le risonanze di almeno tre, avvicinandosi al lungometraggio come “un film letterario, anzi, una 'letteratura illustrata'”, come “un film d'avanguardia” e come un film “che eleva il cinema al livello della filosofia”. L'intrigo di Hiroshima nella sezione IV, Glauber giudica che “Alain Resnais non solo ha realizzato un film di idee, o anche un film che è una prova del dramma più importante del nostro tempo, ma ha anche rivoltato la forma cinematografica e inaugurato il film moderno, nella senso parallelo delle altre arti, come la pittura, la poesia e la musica, sempre più distanti dalle forme narrative del passato. Alain Resnais è per il cinema ciò che è per la pittura in quanto primo artista a rompere con la scuola pittorica accademica. È, in termini di relatività, come un James Joyce in letteratura, ed è lui che, dopo Eisenstein, per primo mette in pratica la teoria del montaggio nel cinema come processo di indagine della realtà umana e come strumento di studio metafisico”. (ROCHA, [1960e] 2019, pag. 159)

Dopo aver confrontato la novità del film di Resnais con quelle introdotte da innovatori di altre arti (Joyce nella letteratura, Eisenstein nel cinema), Glauber estende l'analogia alla filosofia, e parla di Resnais come di "un filosofo del cinema", che "ha fatto della macchina da presa un sistema più potente per penetrare i problemi dell'uomo e del mondo dell'intera piramide della filosofia verbale”. Il film costituirebbe così un'operazione di conoscenza filosofica del mondo, più potente anche della filosofia in senso stretto.

Un'operazione del genere risulterebbe meno dal testo di Duras (che non sarebbe il vero autore del film, ma il suo “spirito laterale”) quanto dalla regia di Resnais: “La macchina da presa di Resnais è il vero creatore – o studioso? - di tutto. Resnais è un 'documentarista dello spirito', cioè un uomo che vede la mente dell'uomo e non l'immagine. […] L'inquadratura è semplice. Ma il montaggio frantuma il tempo, scavalca la continuità, frantuma l'azione morta e si concentra sugli "stati" totali della rivelazione. Documentario, dunque, dello spirito e della verità» (p. 160).

Per tutto ciò, Glauber si permette, sempre enfaticamente, di concludere che il film “ha realizzato le teorie del 'cinema ideale e assoluto'”. Per chi inizialmente sventolava una sospensione del giudizio, Glauber finisce per lasciare affermazioni entusiaste in questo primo testo: il film realizzerebbe le teorie del cinema ideale e assoluto, innoverebbe come già Eisenstein aveva fatto nel cinema e Joyce nella letteratura, realizzerebbe il filosofia della macchina da presa più penetrante della filosofia scritta, inaugurerà il cinema moderno. I testi seguenti, sebbene elogiativi, sembrano tuttavia più sobri.

Nel suo secondo articolo dedicato al film, “Hiroshima: poema verbale-visivo (polemico)”, pubblicato anche nel Diário de Notícias (21-22/5/1961) [Fig. 4],[X] Glauber esordisce dicendo che “questa nota non intende analizzare Hiroshima, meu amor”, di cui sottolinea in apertura il carattere polemico (motto della pagina di giornale).

Figura 4. “Poesia verbo-visiva di Hiroshima (polemica)” Diario delle notizie, 21/25 e 5/1961/3, Supplemento Arti e Lettere, 8° Quaderno, p. XNUMX). Firmato in verde dalle iniziali GR, il testo di Glauber è nella colonna laterale a destra.

Successivamente, il critico bahiano riconsidera la sua posizione sulla principale paternità del film, che aveva attribuito nel precedente articolo a Resnais, ma che ora attribuisce a Duras: “In particolare, sebbene io sostenga il “cinema”, credo che Marguerite Duras è l'autrice principale, da quando il problema del “film” si basa sul dialogo e sul monologo letterario di Emanuelle Riva, che declama (e bene) lungo tutto il percorso, tacendo solo nella sequenza corridoio-camera-scala del albergo, quando va e torna. Sebbene il clima visivo di Alain Resnais sia il ponte verso l'ambientazione del dramma, non è il ponte comunicativo. Le immagini sarebbero assolutamente ermetiche se non fossero sottolineate dal testo, anche se talvolta si palesa un'opposizione tra immagine e dialogo”. (ROCHA, [1961c] 2019, pag. 162)

Un capovolgimento completo del suo giudizio, dunque, che ribadisce a conclusione del testo, sotto forma di paradosso: “Alain Resnais è il più grande cineasta moderno che io conosca, ma l'autore del suo film è Marguerite Duras, anche di dubbia letteratura ”. Qui la valutazione del testo di Duras, descritto come “bello” nel precedente articolo, e ora chiamato letteratura dubbia, è invertita. Questo riserbo rispetto al testo dà il tono a questo nuovo articolo, che continua a sottolineare le qualità formali del film (montaggio, tecnica visiva, uso di carrellate), ma suggerisce limiti nell'uso lirico del "discorso drammatico", nel comportamento nevrotico dei personaggi e persino nella sua struttura narrativa.

Il suo montaggio porterebbe un contributo senza precedenti “dai grandi film di Eisenstein”, ma il lirismo del suo “discorso drammatico” ne neutralizzerebbe la dimensione politica, anche se non riuscisse a farne un film “alienato”. Anche la costruzione dei due personaggi principali rivelerebbe problemi, quello dell'uomo per l'ingiustificabile tranquillità che presenta di fronte alla tragedia della bomba, e quello della donna per la nevrosi, che “assumerebbe un semplice dimensione del melodramma, se non fosse lavorata dalla tecnica di Alain Resnais, tecnica perfetta nel gestire il taglio e soprattutto il tracciamento, suo grande elemento di creazione cinematografica”.

Anche alla celebre struttura narrativa del film “si potrebbe obiettare che i processi (nuovi 'nel cinema') sono già una conquista della narrativa moderna”. Si limiterebbe a trasporre al cinema le conquiste della letteratura moderna, senza liberare il cinema dal modello letterario: “L'opposizione del monologo interiore all'azione, l'interferenza della memoria visiva e l'equilibrio tra passato e presente allo stesso tempo, sebbene queste sono novità “nel cinema”, non sono altro che una visualizzazione di ciò che la finzione ha realizzato. Non importa che lo stesso Joyce sia stato influenzato dal cinema, ma è ripugnante che un'arte per essere non decolli una volta per tutte e si affezioni sempre di più a un'arte per esaurimento”. (ROCHA, [1961c] 2019, pag. 163-4).

Brusco, meno riuscito nella scrittura e meno chiaro nelle argomentazioni, questo secondo articolo mostra, in ogni caso, un certo riflusso dell'iniziale entusiasmo di Glauber per il film, che continua a lodare, ma che ora gli suscita anche qualche riserva.

Sfumature e confronti sfavorevoli

Fermo restando il rispetto che Glauber continua a dedicare a Resnais e al suo film, tali riserve appaiono anche nei riferimenti ad essi presenti nei suoi testi paralleli e successivi, lungo tutti gli anni Sessanta, dedicati ad altri oggetti. In questi testi, Glauber afferma di aver seguito attentamente Resnais,[Xi] e continua a citarlo come se lo considerasse uno dei più grandi cineasti francesi moderni[Xii] o uno dei più importanti rappresentanti del cinema d'autore europeo.[Xiii] Del resto, in questo decennio come in quello successivo, non è raro vederlo invocare qua e là il collega francese quando si parla di altri registi.[Xiv], compresi brasiliani come Joaquim Pedro de Andrade, David Neves e persino Humberto Mauro.[Xv]

Ma la sua lode si alterna a considerazioni critiche,[Xvi] e sono spesso temperate da qualche riflessione, come in questo lungo estratto da “América Nuestra” (1969), esempio di queste oscillazioni, in quanto ricco di osservazioni contrastanti sui suoi film: “Si può dire che la nouvelle vague ha creato un'estetica borghese per eccellenza. Questo è stato confuso con il cosiddetto cinema d'autore, che a sua volta viene confuso con l'inefficienza. Gli unici film di questa scuola che hanno avuto successo sono stati per motivi sessuali - e altri simili Hiroshima e La guerra è finita [La guerra è finita] di Resnais, o qualcuno di Truffaut – per alcune innegabili qualità dirompenti. La rottura di Resnais è pre-joyceana. Cosa caratterizza questa straordinaria capacità dei francesi contemporanei di criticare la propria incapacità creativa. Resnais ha disarticolato il tempo senza articolare la dialettica. Il suo cinema potrebbe essere dialettico se non fosse letterario – voglio dire borghese – con il classico problema di coscienza. E con dati moralistici snob e infantili come le scene d'amore de La guerre est finie, l'esemplare troia “artistica”. Un punto debole di Resnais: i suoi attori. Ma è un geniale regista di documentari ed è stato un rivitalizzante del tracciamento nel cinema. Notte e nebbia [notte e nebbia] è un film con una struttura dialettica e Prendi la memoria del mondo, un poema (antididattico) di grande bellezza. Come i momenti di apertura di Hiroshima. Ma quanto è triste il tuo episodio Loin du Vietnam. L'anno scorso a Marienbad [L'anno scorso a Marienbad] è un saggio di un espressionista, capolavoro letterario, soggiogato a un neoalfabetizzato come Robbe-Grillet. Ma è un film affascinante, anche se la sua apparente modernità nasconde un profondo accademismo. Se Resnais fosse tedesco, Marienbad sarebbe un capolavoro. Ci sono carrellate brillanti! A Eisenstein piacerebbe Marienbad”. (ROCHA, [1969c] 2004, pag. 168-9)

Nello stesso brano, le “innegabili qualità dirompenti” di Hiroshima sono descritti, tuttavia, come "pre-joyceani". La sua disarticolazione del tempo appare incapace di articolare la dialettica per la sua natura letteraria o borghese, legata al problema della coscienza. Gli elogi per il suo brillante documentarismo, la sua rivitalizzazione del viaggio, la struttura dialettica di Notte e nebbia, alla bellezza di Prendi la memoria del mondo (1956) e l'inizio di Hiroshima vivere con dure critiche di La guerra è finita (1966), La debolezza degli attori, il suo episodio di Loin du Vietnam (1967). A coronare l'insieme delle considerazioni pendolari, ogni frase circa Marienbad mescola lodi e critiche.

Se questa convivialità di valutazioni contrastanti tende a temperare l'iniziale entusiasmo di Glauber per Hiroshima e il suo regista, sono influenzati anche dai vari testi in cui Glauber stabilisce una qualche forma di paragone tra Resnais e altri registi, che sembrano avere un vantaggio. Partendo da un articolo del marzo 1961 su un oscuro film americano, Borchie Lonigan (Irving Lerner, 1960). Hiroshima amore mio, di Alain Resnais. Un film brillante, un film moderno, rivoluzionario, che sta al cinema come Joyce sta alla letteratura: Borchie Lonigan – Produzione di classe B, scritta e prodotta dal veterano e irregolare Philip Yordan e diretta da Irving Lerner. Lo confesso solo da Eisenstein e Jean Vigo Rapina a mano armata e Il bacio di Killer, di Kubrick, e successivi Hiroshima amore mio, sono stati film che mi hanno impressionato [entrambi] come fenomeno estetico”. (ROCHA, [1961a, p. 4] 2006a, p. 133)

Oltre a rivelare l'entusiasmo per il film di Lerner, il paragone pone anche Hiroshima ad un alto livello di ammirazione per la critica. Ma dettagliandolo più avanti, Glauber suggerisce che il lavoro con il monologo interiore, il montaggio e il tempo è più ardito nel film di Lerner che in quello di Resnais: “Il monologo interiore, teorizzato da Eisenstein, fino ad allora una risorsa narrativa della letteratura, diventa, nelle mani di Irving Lerner, un elemento compiuto molto più che nelle mani di Resnais. Mentre l'autore di Hiroshima, meu amor va indietro nel tempo – e c'è un handicap per interrompere la narrazione, Irving Lerner utilizza un processo simile a quello di William Faulkner: narra contemporaneamente quattro elementi: due azioni – quella di uno Studs eccitato e quella di un normale insegnante; e "due coscienze" - l'insegnante sotto la memoria turbata di Studs. Il montaggio è simultaneo e non parallelo. E anche la fusione di suono e immagine, tutti combinati allo stesso tempo. Così, nel cinema, la coscienza umana viene messa in scena. Alain Resnais ha portato solo la memoria”. (ROCHA, [1961a] 2006a, p. 136)

Lerner si sarebbe comportato meglio di Resnais de Hiroshima il monologo interiore, sarebbe andato oltre il montaggio parallelo di Resnais in un montaggio simultaneo, e avrebbe esteso la sua rappresentazione della memoria attraverso una rappresentazione della coscienza.

Nei confronti successivi tra Resnais e altri cineasti che ammirava (Visconti, Buñuel, Straub & Huillet, Fellini), Glauber sembra rivelare la sua preferenza per loro. Difendendo, ad esempio, ancora nel 1961, Rocco e i suoi fratelli (Visconti, 1959), Glauber contrappone la forza del suo discorso apparentemente basato su una forma convenzionale alla novità esplosiva del film di Resnais, la cui modernità non gli sarebbe superiore, e di cui cerca di evidenziare i limiti:[Xvii] "Rocco – anche se è considerato solo un “capolavoro del cinema tradizionale” – è tanto moderno nel suo carattere stilistico quanto lo è Hiroshima amore mio – che, pur apparendo come un “nuovo”, non è altro che – se analizzato strutturalmente – un film che è “nuovo nel cinema”, ma non “nuovo per il cinema”, cioè i processi narrativi di Resnais sono nuovo romano – aggiunta ai capitoli sulla tecnica senza tempo di Faulkner come ancora supportata dalla teoria del monologo cinematografico di Eisenstein, esposta in Forma cinematografica, quando il maestro russo stava studiando l'adattamento di Odisseo di Joyce”. (ROCHA, [1961d] 2006a, pag. 229).

La cosa curiosa è che Glauber evidenzia i limiti della novità del processo narrativo di Hiroshima riducendole a una trasposizione al cinema di processi ereditati dalla letteratura – Nouveau romano, Faulkner – o la teoria del monologo interiore di Eisenstein, che in un certo senso rimanda al suo studio dei procedimenti letterari di Joyce. Così, sebbene il confronto con le manifestazioni letterarie e cinematografiche di scala tenda a valorizzare Resnais, allo stesso tempo sembra suggerire che egli non andò oltre una mera trasposizione di questi precedenti contributi nel campo del cinema, al cui sviluppo interno avrebbe voluto non aver contribuito in modo significativo.

Questa idea diventa ancora più chiara in seguito quando Hiroshima è paragonato al romanzo di Proust: “Quando Resnais ruppe con l'attuale tempo cinematografico, stava solo facendo ciò che il romanzo ha già fatto da Proust: e come problema posto – sottolineando memoria e oblio – siamo ancora in Proust che trascende il ciclo di tempo perso per l'esistenza di Hiroshima. […] Il discorso rivoluzionario è nei romanzi dei grandi autori – Dostoevskij, Dickens, Stendhal, Proust, Joyce e Faulkner (per citarne una mezza dozzina rappresentativa) e nel cinema comincia ad esistere solo in Hiroshima, che è una conseguenza dell'esperienza finzionale e della disperazione di questa forma narrativa, annientata non solo dalle destinazioni a cui era condotta dalla libertà della parola ma anche dall'evidenza della forza comunicativa del cinema, in termini di “ sociale” e “percezione”. Ma se Hiroshima vale anche perché è un film che porta al cinema il nuovo processo narrativo – un metodo di conoscenza umana – Rocco è valido perché sprigiona la conoscenza nel linguaggio apparentemente tradizionale – distruggendo allo stesso tempo la linea beneducata della vecchia cronologia cinematografica, imponendo la linea sinuosa del romanzo alla realizzazione dell'opera”. (ROCHA, [1961d] 2006a, pagg. 229-30).

Il pregiudizio di Resnais nel confronto è più evidente nel caso di Buñuel. In un'intervista a Diva Múcio Teixeira del 29/7/1962, rispondendo a una domanda sul cinema europeo, Glauber contrappone Buñuel ad Antonioni e Resnais, segnalando chiaramente la sua preferenza per il regista spagnolo: “Per me c'è un solo nome nel cinema di oggi Dalla parte di Visconti: Luis Buñuel. Nazzarino, Viridiana e angelo sterminatore sono i film più importanti nella storia del cinema moderno. Il delirio intorno ad Alain Resnais e Antonioni è violento, giustificabile. Di Buñuel non si parla molto, proprio perché è più profondo e meno sensazionalista. I critici discutono continuamente su Resnais e Antonioni. Critiche anche dalla Francia e dall'Italia. Ma entrambi sono alla ricerca di problemi che Buñuel ha già risolto molto tempo fa. […] Non essendo moralista e violentando la società con un anarchismo sempre più forte, Buñuel non si perde nell'automutilazione di Antonioni e Resnais, entrambi sulla via dell'astrattismo. […] Credo che il cinema vada male perché il regista vuole esserlo putteur-en-scène. Il cinema è fondamentalmente pensiero. Se l'autore è un decadente dilettante borghese, si comporta come Alain Resnais. Se sei disperato e scettico, fai come Antonioni. Se sei un anarchico virile e un eterno sinistro, fai come Buñuel”. (ROCHA, 1962a, p. 4).

Questa intervista segna chiaramente la decisione critica di Glauber a favore di Buñuel, che non è solo estetica ma anche politica. Attraversò gli anni Sessanta senza grandi scosse, come attesta una lettera a Jean-Claude Bernardet (Parigi, 1960/12/7). In esso, Glauber esprime ancora una volta il suo entusiasmo per il regista spagnolo (così come la sua costante stima per Godard), allo stesso tempo che tempera il suo precedente rispetto per Resnais e altri con una certa riserva: “Non ho visto niente di buono , salvo l'agonia finale del vecchio cinema di Bergman, Antonioni, Resnais, Visconti. Il tentativo che fanno di essere moderni è suicida” (ROCHA, [1967a] 1967, p.1997). D'altra parte, “Ho visto tutto Buñuel. Quando vediamo il set di chien camminava a Belle del giorno è che [vede] di essere il migliore, l'unico indisturbato» (Idem, ib.).

Accade ancora un anno dopo, nell'articolo “Il nuovo cinema nel mondo”. Lì, discutendo della cifra stilistica del “piano integrale”, Glauber contrappone Buñuel e altri cineasti (più capaci di intraprenderlo) a un gruppo che comprende Resnais (che non sarebbe riuscito a realizzarlo pienamente). Come Antonioni, Bergman e Visconti, Resnais non sarebbe all'altezza dei risultati ottenuti in questa direzione da Buñuel, Welles e Rossellini: “La conquista di un nuovo linguaggio è solo all'inizio, ma la tappa della scoperta della realtà con la macchina fotografica in mano è già superata dallo stadio di analisi della realtà dal piano integrale. È un territorio misterioso che né Antonioni, né Bergman, né Visconti, né Resnais sono ancora penetrati, sebbene si siano manifestati in questo senso. Gli unici registi tradizionali (o moderni) in grado di esercitare questo cinema sono Buñuel, Welles e Rossellini, poeti la cui influenza si fa sempre più sentire nel cinema moderno, non per i loro personaggi esotici, ma piuttosto per la permanente inconsuetudine delle loro opere. Buñuel, prima di Rossellini, in un chien andalù, stava già facendo cinema moderno. Libertà di creazione al di fuori della dittatura industriale”. (ROCHA, [1968a] 2006a, pag. 345).

Più tardi, elogiando Jean-Marie Straub, Glauber ritorna sulla questione del piano integrale, opponendo il suo modo di esplorare il tempo a quello di Resnais, che sembra rimetterci nel confronto: “Il piano integrale, in Straub, raggiunge il suo pienezza. Il film obbedisce alla tecnica di un'inquadratura per ogni azione o di un'idea per ogni inquadratura. È una successione di piani frontali diretti, generalmente fissi, che sono uniti da rapide sfumature di nero. Il dialogo è pronunciato con freddezza, senza aggettivi, come un recitativo corale. Gli attori si muovono appena. Il tempo è libero, il film si svolge nel presente e nel passato. Passa dal passato al presente e viceversa senza gli espedienti di Resnais o le classiche tecniche di flashback. Tutto accade sullo schermo. Il dialogo, il testo, i rumori, la musica rara, agiscono simultaneamente. Il tempo (la nozione schiavizzante del tempo) è abolito, il film È”. (ROCHA, [1968a] 2006a, pag. 350).

Qualche anno dopo, in un notevole testo tributo a Fellini, Glauber ne sottolinea la maggiore libertà e autonomia rispetto ad altri “film-autori”, tra cui Resnais: “Casanova è il discreto successo di Fellini, in un mercato di cineasti, dominato da Bergman, Antonioni, Buñuel, Resnais ecc., – con Fellini il più costoso, il più libero e il meno fedele alle regole del gioco” (ROCHA, [1977] 2006a, p. 273).

Al di là delle loro differenze, tutti questi brani suggeriscono, ognuno a suo modo e in base alla sua domanda specifica, la preferenza di Glauber per altri registi di cui Resnais appare come un paragone svantaggiato. Naturalmente, il semplice inserimento del suo nome in una rosa di registi che contano (e quindi favoriscono il confronto) indica sempre la considerazione che continua a meritare da Glauber, ma la sua collocazione nei confronti fa capire che la maggiore adesione del brasiliano ha sempre un altro indirizzo . .

Eclissi

Dagli anni '1970 in poi, Resnais e Hiroshima praticamente scompaiono dai testi e dalle dichiarazioni di Glauber, che sembra disinteressarsi del lavoro del collega francese, a favore di altri registi con i quali sentiva maggiori affinità – alcuni dei quali erano già stati oggetto di suoi testi precedenti (Rossellini, Pasolini, Buñuel, Godard, Straub & Huillet), altri diventati amici o invocati in interviste e dichiarazioni (Bertolucci, Carmelo Bene, Miklos Jancso, Robert Kramer, Gutierrez Alea, ecc.).[Xviii]

Questo forse deriva dalla sua distanza rispetto ai film di Resnais dell'epoca – non ricordo, ad esempio, le sue dichiarazioni sui film di Resnais dopo La guerra è finita e al tuo schizzo a Loin du Vietnam - che già non gli piaceva[Xix]. Ma forse è anche dovuto al consolidamento del proprio progetto cinematografico da Dio e il diavolo nella terra del sole[Xx], che raramente ha cercato di esplorare la regione dell'interiorità psichica, o il tempo interno della coscienza. Ad eccezione di Terra em transe,[Xxi] i possibili echi di Resnais sono rari nei suoi film, che non investono nell'interiorità, nei flashback, nell'esplorazione di strati temporali, e sembrano quindi avere poco da integrare con il programma cinematografico generale del collega francese, così come con la poetica di Hiroshima.

Il riflusso dell'entusiasmo iniziale di Glauber per Hiroshima culmina nella sua decisione di non includere i suoi due articoli sul film nel riassunto di Century of Cinema,[Xxii] antologia dei suoi testi sul cinema mondiale che ha preparato prima di morire, anche se non ne ha mai visto la pubblicazione postuma due anni dopo. Dato il forte impatto provocato dal film sul giovane Glauber, suona strano l'esclusione di questa coppia di testi dal riassunto finale del libro, nel cui pantheon il film potrebbe figurare accanto ad altre rinfrescanti manifestazioni del cinema moderno agli occhi del giovane Glauber. Anche se questa non è l'unica stranezza di questo riassunto,[Xxiii] tale assenza danneggia il libro sbilanciandone un po' la struttura, privando la sezione”New wave” (la parte più scarna del volume) di un cineasta che rafforzerà la sua pittura rispetto alle sezioni precedenti (“Hollywood” e “Neorealismo”, più forti e variegate), lasciando così il cinema francese mal rappresentato da testi di poco significato per registi minori come Jules Dassin e Roger Vadim, indegni delle loro discussioni su Godard e Truffaut. Mutilando anche il cast dei suoi elogi giovanili per un filone di cinema moderno che, nel passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta, sembrava portare significative innovazioni formali (sono rimasti i suoi testi su Kubrick e Irving Lerner, non accompagnati dal suo contrappunto francese). In definitiva, creando il rischio di una visione esagerata della sua ammirazione per altri registi, sopprimendo un oggetto che in un dato momento condivideva con loro la sua attenzione e la sua posta in gioco critica.

*

Comunque sia, questa esclusione consuma l'eclissi di Hiroshima nell'itinerario intellettuale di Glauber. Seguendo la curva temporale delle sue considerazioni sul film e sul suo regista, riscopriamo l'amore per la cinefilia della sua infanzia, formulato nella sua clamorosa dichiarazione che “guardando Hiroshima È stata una delle mie più grandi esperienze umane”. Ma ci permette anche di percepire come sia stato, negli anni, eclissato da altri amori della maturità.

*Matteo Araújo Docente di Teoria e Storia del Cinema presso la Scuola di Comunicazione e Arti dell'USP. Organizzato, tra gli altri, il libro Glauber Rocha/Nelson Rodrigues (Magic Cinéma editore).

Originariamente pubblicato sulla rivista Letteratura e società.

Riferimenti


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note:

[I] Muriel (1963) evocherà nella sua fiction la tortura praticata dai soldati francesi nella guerra d'Algeria, e il suo episodio "Claude Ridder" per il film collettivo Loin du Vietnam (1967) parlerà dell'aggressione americana in Vietnam negli anni '1960 e di alcuni dei le sue conseguenze congeneri meno ricordati.

[Ii] Pubblicato da Gallimard nel 1960, un anno dopo l'uscita del film, il testo di Duras ha acquisito autonomia dal film e può essere considerato un pezzo letterario a sé stante. Per informazioni di fondo sulla genesi dell'intero progetto (testo e film), vedi DURAS (1997, in particolare p. 530-1, 534 e 545) e LEUTRAT (1994, p. 31-7).

[Iii] Il rapporto di Glauber con il film va ben oltre quanto esplorato da Alessandra nel suo prezioso studio (cfr. BRUM, 2009, soprattutto p. 126-30), il cui valore non diminuisce affatto di fronte agli approfondimenti e alle possibili rettifiche suggerite qui in questo caso particolare.

[Iv] L'1/8/1960, Glauber ricevette una lettera da Nelson Pereira dos Santos con un lungo paragrafo sul film, che avrebbe causato polemiche a Rio, ma la cui importanza e contributi formali Nelson sottolineò con vivo entusiasmo, in termini che probabilmente informarono il lettura successiva amico di Bahia (cfr. ROCHA, 1997, p. 121-2). Sarebbe interessante esaminare da vicino quali testi guidarono inizialmente la visione di Glauber su Hiroshima (di Paulo Emilio Salles Gomes? José Lino Grünewald? Moniz Vianna?), ma un tale esame richiederebbe un ulteriore studio, per il quale la tesi di Alessandra Brum sarebbe un inevitabile punto di partenza punto.

[V] Inoltre, il Resnais de Hiroshima sarebbe stato, come suggerisce Glauber in un saggio programmatico su Eisenstein, l'unico cineasta moderno a sfruttare il fondamento della sua teoria dialettica del montaggio, secondo la quale un fotogramma (Thesis) guadagnerebbe solo il suo significato (la sua sintesi) nella collisione con un altro frame opposto (antitesi) (cfr. ROCHA, [1960a] 2019, p. 175).

[Vi] “Il cinema è entrato in una crisi di forma e, a parte le anticipazioni geniali e riformiste come Hiroshima mon amour, di Alain Resnais, non abbiamo altra via che cercare l'umanità come fondamento del film”. (ROCHA, [1960d] 2006a, p. 133)

[Vii] “Non ho ancora visto Hiroshima, ma so già, ad esempio, che ci sono dialoghi di Marguerite Duras – la peggiore letteratura, secondo i commenti. Anche se Hiroshima è una rivoluzione, penso che il cinema debba essere ripensato” (ROCHA, [1960c] 2019, p. 194).

[Viii] “La new wave è un movimento giovanile che io, da giovane, odio. Imita male il vecchio, non ha il coraggio morale di rompere con la vecchia forma di cinema e fa cattiva letteratura. Anche a Hiroshima, meu amor, dove i dialoghi di Marguerite Duras strangolano lo spettatore a causa della cattiva letteratura che possiedono” (ROCHA, [1960b] 2019, p. 154).

[Ix] Nel proficuo (ma non sempre attento) libro di BORGES, CAMPOS E AISENGART, oltre a comparire con la data cambiata con quella di un altro testo inequivocabilmente firmato da Glauber, questa nota da lui mai firmata gli viene attribuita senza alcuna clausola di riserva ( 2008, p.33). Correggendo l'errore di datazione, BRUM continua, tuttavia, avallando tale dubbia attribuzione senza ulteriori indugi (2009, p. 126-7).

[X] È interessante notare che questo secondo articolo di Glauber dedicato a Hiroshima è passato inosservato sia a BORGES, CAMPOS E AISENGART (2008) che a BRUM (2009), che hanno limitato i rispettivi dossier.

[Xi] “Due registi francesi che seguo da vicino: Resnais e Jacques Rivette” (ROCHA, [1969b] 2004, p. 153).

[Xii] Spesso accanto a Godard e Truffaut (cfr. ROCHA, [1963b] 2006a, p. 173; [1966a] 2006a, p. 186; [1969a] 2004, p. 174; 1997, p. 194).

[Xiii] In dichiarazioni che lo citano insieme ad Antonioni (“Penso che la grande importanza di Antonioni e Resnais siano le ultime immagini del vecchio mondo – immagini astratte, uomini senz'anima, gesti liquidati, spazi che si muovono e si perdono nel tempo eternamente in circuito ", ROCHA, [1962b] 2006a, p. 253; "tra due anni, quando i boçais saranno di professione, gireremo già film importanti come quelli che si fanno oggi in France Resnais e Antonioni", (ROCHA, [1963a] 1997 , p. 194), o in enumerazioni più ampie che includono anche Bergman, Buñuel, Fellini, i francesi, ecc. [1963b] 35, p.40; [1964] 2004a, p.61).

[Xiv] Così, il trattamento del tempo nel cinema argentino è criticato come “pre-resnaisiano” (cfr. ROCHA, [1967b] 2004, p. 105), e le sue fantasticherie estetizzanti si nasconderebbero, “nelle imitazioni di Bergman, Antonioni e Resnais, il dramma del popolo, il dramma della pampa, il dramma dei Martins Hierros de la vyda il cui rappresentante era il Che…” (ROCHA, [1978] 2004, p. 368); L'uso di Lang in M ​​del suono di un'immagine sopra un'altra immagine senza suono anticiperebbe Resnais (cfr. ROCHA, [1968b] 2006a, p. 47); il montaggio di un film intitolato Consciences Bought di un certo Timothy Anger ricorderebbe indirettamente Last Year in Marienbad (cfr. ROCHA, [1970] 2006a, p. 147).

[Xv] Lo stile di Il prete e la ragazza (Joaquim Pedro, 1965) lo iscriverebbe in una stirpe di grandi cineasti intimi, tra cui Dreyer, Bresson, Resnais e Bergman (ROCHA, [1966] 2004,

  1. 82), che secondo un testo successivo aiuterebbe Joaquim a filtrare la sua identificazione con Nelson Pereira dos Santos (ROCHA, [1980b] 2004, p. 445). Echi di Resnais e della sua Hiroshima saranno presenti anche in Memórias de Helena (1969), opera prima di David Neves (ROCHA, [1980a] 2004, p. 407). Quanto a Mauro, il montaggio di Ganga Bruta prefigurava, o faceva pensare allo spettatore moderno, il “ritmo speculativo di un Resnais” (ROCHA, 1963c, p. 53).

[Xvi] Come nel testo in cui Glauber inserisce Hiroshima nella lista dei “grandi pezzi letterari illustrati nell'immagine” che non meritano, però, la sua adesione: “Spero che non consideriamo i buoni film delle buone fatture commerciali cinematografiche: il miglior Hitchcock o grandi opere letterarie illustrate nell'immagine, come nel caso di Fellini e Bergman (la cui stessa letteratura, per il suo carattere ibrido, è dubbia) e, in una certa misura, Hiroshima mon amour. Quando dico bene, non sto negando questi film, ma solo chiedendo se sono davvero film” (ROCHA, [1961b] 2004, p. 47-8).

[Xvii] Ismail Xavier (cfr. 2006, p. 19-20) commenta, con la consueta lucidità, le ragioni del privilegio concesso da Glauber al film di Visconti rispetto a quello di Resnais.

[Xviii] In un articolo del 1980, una provocazione di Glauber delinea un canone ancora più rinnovato: “con l'eccezione di Godard, gli argentini Fernando Solanas e Fernando Birri, lo yankee Robert Kramer, i tedeschi Werner Schroeter e Hans Jürgen Syberberg, il cinema novo Brazyleyro, il sovietico Andrey Tarkovsky, il cubano Tomaz Gutiérrez Alea, lo spagnolo Carlos Saura, l'italiano Carmelo Bene e pochissimi altri cineasti, tutto ciò che si produce oggi nel cinema è spazzatura teatrale romantica” (ROCHA, 1980a, p. 51).

[Xix] Non sono riuscito a fare una ricerca esaustiva sui testi pubblicati da Glauber nel periodo, e gli inediti aumenterebbero notevolmente il compito. In ogni caso, più che esaminare la totalità dei suoi scritti, è importante qui sottolineare la chiara tendenza di Glauber a prendere le distanze da Resnais.

[Xx] È interessante notare che, a differenza degli altri suoi esegeti, Walter da Silveira (1965, p. 180) suggerisce che il lavoro con l'oralità in Deus e o diabo sia ispirato dagli esperimenti sonori di Resnais in Nuit et brouillard e Hiroshima mon amour, il che non mi sembra convincente, così come suona strana una nota dello stesso Glauber, secondo la quale avrebbe utilizzato, in uno dei blocchi del film proiettato a Monte Santo, “i processi di montaggio a sua disposizione – da Eisenstein a Resnais” (1965, p. 53 , n.10). Rivedendo oggi le sequenze in questione, alla luce di quanto sappiamo dei film di Resnais, è difficile individuare in esse qualche traccia del montaggio del francese.

[Xxi] Ha ragione Ismail Xavier (2006, p. 19) a sottolineare la convergenza di Terra em transe con Hiroshima nel complesso rapporto tra immagine e suono o spazio e tempo, e si può aggiungere l'importanza nel flusso di entrambi i protagonisti coscienza, ma a mio avviso, la vicinanza finisce qui. La drammaturgia, il tono e lo stile di Terra em transe sembrano lontani da Resnais, anche quello di La guerre est finie, che ha una problematica più strettamente politica e un protagonista intellettuale diviso tra politica e amore.

[Xxii] Non è facile interpretare una simile decisione. Sarebbe insufficiente attribuirlo solo ad una possibile mancanza di ritagli dei due testi nella collezione personale di Glauber al momento della sua sistemazione degli originali. Non li troviamo infatti nell'elenco dei suoi numerosi articoli pubblicati che Tempo Glauber ha venduto al MinC e trasferito alla Cinemateca Brasileira già nel nostro secolo, il che fa pensare che il cineasta non li avesse a portata di mano in quel momento. Ma se poi volesse usarli, non sarebbe difficile individuarli e copiarli, con l'aiuto di amici, nelle collezioni di Rio o Salvador...

[Xxiii] Stabilendo un'edizione francese di questo libro con Cyril Béghin nel 2006, ho avuto l'opportunità non solo di segnalare altre stranezze, ma anche di correggerne alcune (cfr. il nostro "Avant-propos" in ROCHA, 2006b, p. 10 -1, e il riassunto di quella edizione a p.331-3).

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