da LEDA MARIA PAULANI*
La reazione al discorso di Lula all'incontro con i deputati a Brasilia è un esempio lampante del ruolo vergognoso svolto dai grandi media corporativi.
Non riesco a individuare nei miei scritti quando ho parlato per la prima volta di terrorismo economico. Ma ne parlo da molto tempo, almeno un paio di decenni. In questi primi giorni di transizione dal malgoverno di Jair Bolsonaro al futuro governo Lula, il terrorismo economico ha assunto vesti e colori paragonabili a quelli delle bande di zombie allucinati che ancora sostano davanti alle baracche.
Il terrorismo consiste nel brandire minacce di caos e di orrore al minimo segno che qualcosa sarà fatto, dalle mani dello Stato, per alleviare, anche piccoli, i mali prodotti giorno per giorno da un sistema cieco che volta le spalle ai cadaveri che si accumula lungo la strada. Minacciano di orrore, come se l'orrore non fosse far morire di fame il Paese 33 milioni di persone, avere una legione di bambini e adolescenti con malnutrizione - che ha raggiunto il livello più alto in sette anni a settembre, con più di 200mila persone che vagano per le strade senza un tetto per ripararli.
È ovvio che possono esistere vincoli macroeconomici reali, come quelli derivanti da un paese con passività verso l'estero che la sua generazione di cambi non è in grado di sostenere (come nel caso dell'Argentina, per esempio). Ma questo non è di gran lunga il caso del Brasile. Il rischio oggi è zero, a meno che non ci sia un'ecatombe mondiale, in a difetto esterno alla nostra economia. Abbiamo più di 300 miliardi di dollari di riserve e le nostre esportazioni stanno andando bene, grazie. Ah, ma il rapporto debito lordo/PIL non può crescere all'infinito, proclamano i terroristi: quello del Brasile è intorno al 75%, quello del Giappone è oltre il 200% – ed è passato tanto tempo! Solo se un branco di matti arrivasse al ministero dell'Economia e decidesse di giocare a confiscare i risparmi, perché ci sia un problema in quella zona.
Tutto questo lo sa qualsiasi economista minimamente informato e minimamente ragionevole, che non ne soffre Delirium tremens quando si sente il termine “spesa pubblica”. Ci sono alcuni, tuttavia, che soffrono di questo male e vanno fuori di testa! Non tutti, forse nemmeno la maggior parte, ma esistono. Rappresentano interessi chiaramente configurati? Sì, ma non è questo il punto qui. Il punto qui è: come è possibile che pochi economisti di una certa fama e legati a poche istituzioni siano in grado di produrre tanto terrore? La risposta è semplice: hanno una cassa di risonanza incredibilmente ampia e forte: la stampa.
La reazione al discorso di Lula all'incontro con i deputati a Brasilia è uno degli esempi più lampanti di questo vergognoso ruolo svolto soprattutto dai grandi media corporativi. I titoli dei giornali predicevano l'apocalisse. Uno dei più scandalosi è stato il Valore economico: “Il dollaro sale e la borsa si scioglie, dopo che Lula parla di spesa”, in una interpretazione chiaramente esagerata di quanto accaduto con queste due variabili. A proposito, non erano solo i titoli dei giornali. Gli editoriali si sono uniti all'unisono con il cosiddetto “mercato”, in cupi appelli: “è stata una brutta partenza”, ha commentato il Foglio, “Lula deve dimettersi dalla pedana”, ha chiesto il Estadão, per citare solo due delle testate più importanti. E il samba a una nota era, ovviamente, responsabilità fiscale, denunciato, secondo gli editoriali, dal presidente eletto.
Mi fermo qui nell'editoriale di Foglio dell'11 novembre, il giorno dopo il discorso di Lula che ha generato tanta rivolta. La scelta non è dovuta ad alcuna preferenza, ma al fatto che tale rivista è molto più insistente rispetto, ad esempio, alla Estadão o Il globo, nel suo atteggiamento di stampa “responsabile”, “moderna”, che non solo dà voce a tutte le parti in qualunque scontro, ma si allinea anche ai migliori principi democratici.
Diamo un'occhiata alla prima frase del testo: "In sole due settimane dalla fine delle elezioni, Luiz Inácio Lula da Silva (PT) è riuscito a rovesciare gran parte delle speranze che il suo governo adottasse una politica economica razionale e socialmente responsabile. " Traduzione: criticare il limite di spesa è irrazionale! Questo tipo di argomentazione getta ogni contestazione di questa regola fiscale nel limbo del negazionismo e dell'antiscientificismo, che, va detto, non esiste in questa forma in nessun'altra parte del mondo. Peggio ancora, attribuisce la stessa sorte a tutte le posizioni teoriche che mettono in discussione l'esatto significato del termine “responsabilità fiscale”, posizioni che, tra l'altro, sono in aumento a livello internazionale, come la Teoria del denaro moderno.
Il testo dice che Lula non ha ancora presentato alcun piano d'azione, se non una PEC in grado di liberare “spese senza precedenti”. riproduzione in toto l'argomentazione apparentemente scientifica dei leader di mercato, l'editoriale dice anche che, “se metteranno in pratica i loro discorsi, lo svuotamento delle casse del Tesoro non impiegherà molto ad alimentare l'inflazione (...) l'interesse (...) e l'opinione pubblica debito". Insomma: puro terrore.
E l'illustre pubblico non viene informato che, da quando è stato introdotto il tetto, nel governo di Michel Temer, il rapporto debito netto/PIL è salito dal 38 al 58%, cioè l'esistenza di una regola fiscale, anche se radicale e stupido come per il nostro, non è garanzia di un calo del debito in proporzione al PIL. Se il prodotto non cresce, anche se il debito scende a causa del sacrificio di milioni di persone, il rapporto può continuare a salire. Allo stesso modo, l'inflazione è aumentata proprio durante il periodo in cui era in vigore il massimale, a causa di vincoli esterni e shock di offerta causati dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina. Ancora una volta, l'esistenza di una norma fiscale che danneggia gran parte della popolazione per le restrizioni che essa comporta al pieno funzionamento delle politiche pubbliche non costituisce una garanzia di assenza di problemi inflazionistici.
Ed è a questo genere di argomentazioni capziose che si deve il motto, più volte ripetuto nel testo, secondo cui “la responsabilità fiscale è responsabilità sociale”. Con ciò vogliono fornire di vesti appetibili la difesa di una politica che colpisce direttamente gli strati più bassi, pur cercando di preservare la ricchezza finanziaria di pochi. E ti terrorizza! Sulla scia dei lugubri risultati già citati, l'editoriale aggiunge anche il crollo della crescita, l'aumento della disoccupazione e l'aumento della miseria e della fame, nel caso in cui il “discorso” di Lula si concretizzi.
Con un atteggiamento addirittura offensivo nei confronti di un cittadino che aveva più di 60 milioni di voti, l'editoriale del quotidiano “democratico” afferma che Lula è ignorante, che dice sciocchezze e che brontola contro il mercato. Che tipo di educazione dà un giornale Foglio chi non ammette di essere chiamato Jair Bolsonaro di estrema destra? Come hanno trattato il genocidio la stampa e il mercato? Tanto per ricordarlo, ha infranto più volte il tetto della spesa – l'ultima volta, in barba alla Costituzione, per creare vergognosamente benefici in un anno elettorale, e ha smesso di pagare i precatorios (quasi un peccato capitale per i canoni neoliberisti), e quello per per non parlare dell'ignominia del bilancio segreto, il più grande scandalo di corruzione che questo paese abbia mai avuto e realizzato dai cosiddetti incorruttibili.
All'epoca non si sentiva né il mercato né la stampa, non dico gridare, non si sentiva nessuno alzare la voce. I due soci hanno stirato tutto il tempo. Dopotutto, era necessario preservare l'ultraliberista Paulo Guedes, che stava facendo bene il lavoro e difendeva i “corretti principi macroeconomici”.
In un recente programma su Globalnews, il commentatore Octávio Guedes ha detto, in uno slancio di sincerità, e con un certo stupore degli altri commentatori presenti, che il mercato è bolsonarista. Chiunque abbia letto l'articolo fino a questo punto concorderà che ha assolutamente ragione. Ma il mercato non si è limitato a passare la stoffa a Jair Bolsonaro. Ha sempre fatto affidamento sul prezioso aiuto dei media mainstream, dei programmi specializzati in TV, dei grandi quotidiani. Sappiamo tutti che comportamenti come quello di Octávio Guedes sono l'eccezione piuttosto che la regola. Certamente sfuggiva alle linee guida generali del canale per i programmi in diretta e non deve essere affatto piaciuto a Marinhos.
È vero che i media alternativi, che si sono moltiplicati con l'avvento di internet, hanno salvato un po' il raccolto, ma non è meno vero che quel poco di grande giornalismo che c'era è stato una volta per tutte compromesso con l'ascesa del neoliberismo e neofascismo, in una comunione strana solo in apparenza. Se dobbiamo liberarci gradualmente del terrorismo bolsonarista, con il terrorismo economico deve accadere il contrario. Crescerà ancora e non avrebbe tanto successo senza l'aiuto del suo partner abituale… un media al servizio del Brasile, per pochi.
*Leda Maria Paulani è un professore senior presso FEA-USP. Autore, tra gli altri libri, di Modernità e discorso economico (Boitempo). [https://amzn.to/3x7mw3t]
Originariamente pubblicato su Giornale GGN.
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