Historia concisa da literatura brasileira

Jackson Pollock, Pasqua e il totem, 1953
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da JOSÉ ANTÔNIO PASTA JUNIOR*

Commento al libro di Alfredo Bosi

Quando l' Historia Concisa da Literatura Brasileira fu pubblicato nel 1970, c'era, tra amici, chi ne prevedeva 25 anni di validità. Era una previsione, oltre che generosa, era sicuramente ottimistica. Generoso, perché seppe riconoscere immediatamente il valore dell'opera, e ottimista in senso peculiare: perché, rilevandone l'eccezionalità, previde, in quel periodo, un'evoluzione letteraria che non l'avrebbe annullata, ma superata, datando tu il valore.

Proprio ora – 32 edizioni dopo –, trascorso questo periodo di prova di un quarto di secolo, appare chiaro che il periodo di validità del libro non è scaduto, né scade in vista. Quello che finì per datare più facilmente fu l'ottimismo di quel giudizio, in effetti abbastanza generalizzato e comprensibile a suo tempo. Si presumeva certamente che la produzione letteraria brasiliana si sarebbe evoluta in modo tale da ricomporre e ri-prospettivare ampiamente il proprio passato, e che l'accumulo di particolari studi critici avrebbe permesso e richiesto la realizzazione di una nuova sintesi storica ad alto livello.

Da allora, nulla si è fermato davvero, ovviamente, e sono stati fatti dei veri progressi, anche nella conoscenza degli autori e delle opere capitali delle nostre lettere. Non è il luogo per elencarli qui, tuttavia, nulla di tutto ciò, se autentico, può essere dimenticato o trascurato. Ma quel movimento letterario, capace di ripensare il passato, e quell'accumularsi di particolari anticipazioni, che continuano a richiedere una nuova sintesi storica, non si è certo verificato.

Nel campo della critica, gli studi particolari che hanno portata e forza per proporre un cambiamento di prospettiva più generale rimangono ancora esempi abbastanza isolati. Per fortuna esistono, ma sono rari, anzi rarissimi. Nel loro relativo isolamento, denunciano tacitamente un panorama duramente segnato dall'associazione tra la timidezza critica e concettuale e il suo partner indefettibile – la pedanteria alla de-repressione degli stronzi. Agendo in tandem, contraffazione pedante e mediocrità burocratica sostituiscono l'opera del concept, con effetti teorici e pratici devastanti.

Pertanto, un lavoro pesante ea lungo termine, come il Storia concisa, aggiornato e ampliato, emerge involontariamente come rivelatore dei tempi. Mostra, fin dall'inizio, che la moltiplicazione dei corsi di specializzazione in lettere – istituiti nel Paese proprio nel periodo successivo alla sua pubblicazione –, se ebbe il merito di normalizzare e sostenere una produzione media, poco contribuì a un vero rinnovamento di prospettive. Tributario, in larga misura, a una situazione culturale precedente a questa, il Storia concisa si trova ora in una posizione peculiare: “per aggiornarsi, ha bisogno di incorporare questa produzione che la rende superata” senza però, nel complesso, superarla. Curiosamente, se questa era una delle difficoltà da affrontare nel suo aggiornamento, era sicuramente anche la prima condizione di possibilità per effettuarlo. Non avrebbe infatti senso aggiornare, nell'aspetto informativo, un'opera irrimediabilmente datata nell'aspetto critico.

due volte il Storia concisa questa prova è stata messa alla prova: alla fine degli anni 1970, quando è stato aggiornato per quanto riguarda gli autori di narrativa e la bibliografia critica, e ora, a metà degli anni 1990. Prima, come oggi, non è diventato un libro vecchio con un pezzo nuovo, ma un'opera che si ripropone serenamente, con la sua età e attualità. Credo che qualche intimo sentimento di quest'ordine abbia guidato la sua attuale espansione, che visibilmente ha scelto di conservare l'equilibrio e le proporzioni originarie dell'opera. Le nuove aggiunte dispiegano naturalmente i pannelli precedenti e le linee critiche, integrandosi armoniosamente nel tutto. Per inciso, in un'opera che, fin dall'inizio, ha focalizzato l'attenzione sui movimenti recenti, modernisti e postmodernisti, il gesto di aggiornamento è ancora più naturale.

Di fronte all'abbondanza di materiale narrativo, poetico e critico, questa espansione ha rinunciato dichiaratamente a ogni pretesa di esaustività. Ampliò notevolmente, ma in modo selettivo, le famose piè di pagina bibliografiche del libro, conservando anche, senza tagli, la sua precedente composizione.

Anche se ugualmente privo di velleità di completezza, il nuovo capitolo “Fiction tra gli anni '70 e '90: alcuni punti di riferimento”, è un panel molto ricco e ricco di sfumature di questa produzione. A rigor di termini, non c'è un solo movimento essenziale per la narrativa letteraria del periodo che non vi sia rappresentato. La parola chiave è sicuramente movimento. Di fronte ad autori e tendenze che, nella maggior parte dei casi, si agitano e prendono forma, davanti a noi, lo storico ha scelto di individuare dinamismi e linee di forza. Questa è la portata del movimento interpretativo -ma solo fino a quel punto-, che suggerisce ipotesi per comprendere i vettori di trasformazione, ma si sospende prudentemente di fronte alla valutazione più definitiva dei singoli autori e opere.

Qualcosa delle frasi pungenti e dei giudizi taglienti che hanno sempre sorpreso, in mezzo alla sobrietà di Storia concisa, scompare in questi nuovi capitoli, riapparendo solo in qualche velata frase o suggestione. A giudicare da altri lavori recenti dell'autore – in particolare il Dialettica della colonizzazione –, non è venuta meno la vena polemica, ma solo, in questo caso, la necessità di sostenere la prospettiva dello storico che ha fermato il giudizio di fronte a ciò che è ancora poco prospetticabile. In ogni caso, il capitolo non rifugge da suggestioni audaci, dalle quali potrebbe nascere molto studio letterario. Forse tra le più interessanti è quella che segna la congiunzione peculiarmente brasiliana, originata dalla fine degli anni Sessanta, che a volte unisce, nella progettazione della stessa opera, tendenze critiche di natura mimetica e documentaristica a slanci anarchici, provenienti dal sconvolgente dopo il 1960 .

In questa linea, in modo un po' velato, il libro segnala anche, in opere recenti, l'associazione sintomatica – che chiede interpretazione – di brutalismo e manierismo, in cui sembra che, in termini già espliciti e progettuali, il nostro ancestrale congiunzione di pretese sofisticate e rozzezza atavica.

Nel nuovo capitolo “La poesia ancora”, il punto di vista dello storico accetta un focus molto più definito. La sintesi del suo giudizio, sorprendente per molti, è la “demarcazione dell'attuale dominio e preminenza della nostra vena esistenzialista nella poesia”, che ha superato la marea sperimentalista – la cui continuità e validità, d'altra parte, sono ugualmente marcate. Accanto a una ricchissima e generosa rassegna di autori e di opere, questa vena esistenzialista è segnata, secondo l'autore, (1) “dal risorgere del discorso poetico e, con esso, del verso, libero o metrico -in contrapposizione al apparentemente tipografia"; (2) “per l'ampliamento del margine concesso al discorso autobiografico, con tutta la sua enfasi sulla libera, se non anarchica, espressione del desiderio e della memoria” e (3) “per l'ardente restaurazione del carattere pubblico e politico della poetica discorso – in opposizione ad ogni teoria di scrittura egocentrica e autorispecchiante”. Come si vede, tutte queste caratteristiche si stabiliscono contro il filo della pura autoreferenzialità linguistica, comune alle avanguardie sperimentali.

In questo ambito, però, la principale sorpresa del libro è nel capitolo sulle “Traduzioni della poesia”, la cui ricognizione e giudizio ha portato lo storico non solo ad aprire questo spazio ma anche ad affermare che “la comparsa di numerose traduzioni di poesie in gli anni '980 saranno forse il fenomeno più degno di attenzione nella nostra storiografia letteraria di fine secolo”.

Mi limito a notare, per concludere, che, per quanto ampliato e aggiornato, il finale del libro non è stato alterato: esso culmina con l'invocazione della figura di Otto Maria Carpeaux – a cui è dedicata anche l'opera – e della sua l'ultima parola è Espírito, con la lettera maiuscola, alla buona vecchia maniera hegeliana. Più che la fedeltà a se stesso di questo Maestro della critica, che è Alfredo Bosi – virtù mirabile ovunque e molto di più nella terra dei marinai –, questo finale mi fa pensare che in qualcosa, finalmente, chi si inchina solo all'opera di lo Spirito e i veri materialisti. Ciascuno a modo suo, entrambi sembrano dire: niente feticismo.

* José Antonio Pasta Junior è un professore in pensione di letteratura brasiliana all'USP. Autore, tra gli altri libri, di L'opera di Brecht (Editore 34).

Originariamente pubblicato su Giornale delle recensioni / Folha de S. Paul no. 04, il 03 luglio 1995.

Riferimento


Alfredo Bossi. Historia Concisa da Literatura Brasileira. Edizione riveduta e ampliata. San Paolo, Cultrix, 528 pagine.

 

 

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