da JOYCE CIPRIANO VICTURINO*
Considerazioni sul libro di Ghassan Kanafani
Nel mese in cui la Nakba compie 76 anni, celebriamo l'opera di Ghassan Kanafani, dove le voci di coloro che sono stati messi a tacere trovano espressione, mantenendo viva la loro memoria e la lotta per i diritti e la dignità. Celebrare la sua eredità in questo contesto significa riconoscere l'importanza della letteratura come strumento di resistenza e della parola scritta come spazio per la preservazione della memoria collettiva e ispirazione per la continua ricerca di giustizia, libertà e pace.
La telenovela Uomini al sole (1963) è una tragedia poetica intrecciata con le catene della storia del popolo palestinese e diventata, insieme al suo autore, Ghassan Kanafani (1936-1972), uno dei pilastri luminosi della letteratura araba, costituendo un'abbondante fonte di ispirazione per i suoi generazione e oltre attraverso le sue parole che risuonano nel tempo intrise di potere e significato.
Lo scrittore, giornalista e attivista palestinese Ghassan Kanafani, nato nel 1936 nella città di Akka, oggi considerata territorio israeliano, nel nord della Palestina, è cresciuto immerso nelle turbolenze politiche e culturali della regione, quando all'età di 12 anni, come A seguito della catastrofe conseguente alla creazione dello Stato d'Israele, nel maggio 1848, fu costretto ad abbandonare Yafa, la città dove viveva con la sua famiglia, oggi annessa alla città israeliana di Tel-Aviv, e a rifugiarsi in Libano e successivamente in Siria, assistendo in prima persona alle vicissitudini del conflitto israelo-palestinese fino alla sua morte prematura nel 1972, causata da una bomba piazzata nella sua auto dai servizi segreti israeliani.
Trasmutando tutto il suo attivismo in opere letterarie che sono, soprattutto, un inno alla resistenza del popolo palestinese, il romanzo Uomini al sole, rivela i destini di tre anime assetate di una vita dignitosa che si intrecciano nell'ardente ricerca della speranza sotto lo spietato sole del deserto. Durante la lettura veniamo trasportati in un luogo dove possiamo sentire come il sole e il caldo siano implacabili e come, nonostante ciò, le persone siano ancora disposte ad affrontarli, poiché la sofferenza di restare nelle loro terre sembra loro più aggressiva che provarci attraversare illegalmente le frontiere.
È per questo slancio di sopravvivenza e per questo filo di speranza che, rassegnati, si lanciano al sole anche di fronte alla morte imminente. Questa osservazione ci svela il significato del titolo dell’opera, Uomini al sole e durante tutta la lettura solleva una domanda drammatica: sarebbe meglio per loro rimanere nel luogo d'origine, vivere, magari in condizioni migliori, ma in esilio, o, chissà, potrebbero trovare un'opzione nella morte?
Attraverso riferimenti alla terra e al paesaggio che permeano l'intero libro, Ghassan Kanafani evoca un profondo legame tra i personaggi e la loro terra d'origine, utilizzando le immagini non solo come descrizioni di elementi naturali, ma come simboli della resilienza del popolo palestinese. La terra diventa più di un ambiente. È un personaggio vivo, pulsante, che sussurra ricordi e promesse di un passato perduto, e può rappresentare anche la perdita e l'esilio.
La partenza dei personaggi dalle loro terre d'origine rappresenta non solo la perdita di alloggi materiali, ma anche la rottura dei legami affettivi e culturali con la terra che li ha visti nascere. L’esilio forzato li separa dalle loro radici e va contro la narrativa sionista che tratta il mondo arabo come un tutto omogeneo, ritenendo che ovunque al suo interno il popolo palestinese sarebbe il benvenuto.
Osserviamo subito questo attaccamento alla terra, nella scena iniziale del libro, quando ci viene presentato il primo personaggio, Abu-Qays, e lo vediamo sdraiato con il petto incollato al suolo, sentendo il battito del cuore di la terra stessa nel petto, come a ricordare il legame ancestrale tra il popolo palestinese e la sua terra, che sommata alla rugiada e ai granelli di sabbia crea ancora altre dimensioni, e l'odore della terra bagnata ricorda sinesteticamente il carattere del odore dei capelli bagnati di sua moglie quando esce dal bagno. Questa connessione trascendentale è il filo conduttore di tutta la narrazione, ricordandoci che la terra, più che semplicemente un luogo geografico, è il fondamento di un'identità e di una storia condivise.
Diviso in sette brevi capitoli, ma immerso in una narrazione intrisa di lamento e nostalgia, il libro racconta la storia di tre uomini in cerca di rifugio e migliori condizioni di vita in un altro Paese, che sopravvivono tra i ricordi del passato, la resistenza dei presente e la speranza di avere, forse, un futuro. E in questo scenario di debolezza, i protagonisti Abu-Qays, Assaad e Marwan emergono come figure tragiche poiché vedono i loro destini intrecciati da un obiettivo comune: lasciare Bassora, in Iraq, che si presenta come scenario di oppressione e miseria, per attraversare oltrepassano il confine, senza autorizzazione legale, e arrivano in Kuwait, un Paese che brilla nel loro immaginario come un'oasi di speranza.
Quando guardiamo al vibrante contesto storico del Kuwait negli anni ’1950, diventa chiaro il motivo per cui è stato scelto come paese di destinazione e come la strada giusta verso un futuro di prosperità. La storia, ambientata nel 1958, rivela il Kuwait come un paradiso fugace per chi cerca rifugio e si aggrappa alla speranza che il boom economico, spinto dal petrolio, raggiunga anche loro, rendendo il loro arrivo nel Paese, al di là di una destinazione vivibile. , simboleggia il raggiungimento della libertà e della dignità. Mentre il Kuwait prosperava con una crescita economica esponenziale, la Palestina era segnata dalla tragedia.
A Bassora, presto l’oasi della speranza inizia a trasformarsi in un miraggio, un’illusione scintillante nel torrido deserto, mentre si trovano ad affrontare ostacoli insormontabili e scelte strazianti. Senza soldi per pagare la somma richiesta dal trafficante che promette un passaggio sicuro, gli uomini sono sopraffatti dall'esasperazione.
Quando appare l'enigmatica figura di Beanpole, conducente di un'autocisterna che, autorizzato ad attraversare il confine, come guida oscura o come miracolosa soluzione per l'attraversamento, appare, offrendo un fragile ponte tra la disperazione e la promessa di una vita migliore, proponendo attraversandoli clandestinamente attraverso i punti di sorveglianza nella calura del mattino, approfittando della negligenza delle guardie sotto il sole cocente del deserto. L'offerta, anche se apparentemente liberatoria, è soprattutto pericolosa, poiché li confina in una vasca metallica, dove il caldo torrido diventerebbe un peso insopportabile e trasformerebbe la struttura in una serra in fiamme con il passare delle ore.
Con l'unica, e inaccettabile, opzione di rimanere in Iraq, gli uomini accettano l'offerta.
Nel sottile filo che separa la verità dall'illusione e la scelta dall'obbligo, siamo portati a chiederci se il possesso del potere di scelta sia reale per questi uomini e se la decisione che prendono sia espressione irreprensibile della loro libera volontà. Quale accordo è possibile visto il destino loro imposto dal tempo e dalla storia? La libertà di scelta è autentica e indiscutibile? Domande che risuonano incessantemente nella nostra mente e acquistano ancora più sostanza quando ci imbattiamo nel discorso insistente del trafficante che chiede più di quanto potrebbe pagare – “Non costringo nessuno a fare nulla” – come se si trattasse solo di violenza fisica ed esplicita. fossero uno strumento capace di imporsi sulla volontà legittima, riportandoci alla metafora costruita dallo stesso autore in una delle sue interviste: “Esiste un dialogo tra il collo e la spada?”.
È in questo scenario tra il possibile e l'improbabile che i quattro partono per il Kuwait, lasciando i protagonisti in balia di un destino crudelmente incerto mentre apprendiamo qualcosa in più sulla storia di Beanpole, un uomo che cerca di apparire indurito e indifferente alle condizioni degli uomini che trasporta nel suo camion, e che lotta tra la durezza del suo destino e la compassione che lo unisce a una comune fraternità, trafitto dalla tragedia dell'esilio.
Da quel momento in poi ci ritroviamo inseriti in una narrazione straziante, nel mezzo di una corsa contro il tempo che ci porta al tragico esito dei personaggi. Dove condividiamo il caldo, la disperazione, l'atmosfera soffocante e il sentimento di completa impotenza di fronte agli eventi. Dove il silenzio del deserto inghiotte sogni e speranze che trascendono confini e tempi, lasciando solo l’eco delle sfide affrontate da chi osa sognare una vita migliore, lasciandoci con una sola domanda senza risposta: “Perché non sono scesi in terra? lati del serbatoio? Perché? Perché?".
Nelle parole dell'autore, l'intero deserto riecheggiava questa domanda insieme a Beanpole.
Seguendo il romanzo di Ghassan Kanafani, sentiamo i venti del cambiamento storico e vediamo come Abu-Qays, Assaad e Marwan rappresentano non solo individui, ma simboleggiano una nazione che vede il proprio destino tracciato nella sua totale indifferenza. Questa impressione diventa ancora più evidente quando notiamo la differenza generazionale tra i personaggi. Abu-Qays; un uomo più anziano, legato alla terra e ad un passato nostalgico. Assaad; un giovane che mira a trascendere i vincoli della tradizione e raggiungere la piena libertà e Marwan che, a soli 16 anni, vede i suoi sogni infrangersi e si sente costretto ad affrontare un futuro incerto.
La sovrapposizione delle temporalità fa confondere passato, presente e futuro nello stesso filo di disperazione e porta a vedere l'esilio del popolo palestinese come una condizione che si perpetua, sospendendo lo spazio-tempo e congelando la storia di un popolo in un momento di angoscia, dove la storia di uno diventa la storia di tutti.
Ghassan Kanafani costruisce la sua prosa non solo sequenziando i fatti, ma catturando e aiutando a costruire l'identità di un popolo che da decenni resiste a un processo di disidentificazione direttamente aggravato dalla ripetuta necessità di abbandonare le proprie terre, e che rivendica il proprio territorio affinché possono tornare nella tua nazione. La sua scrittura politicamente carica fa luce anche sulle complessità del colonialismo, dell'imperialismo e dello sfruttamento economico nella regione e, in mezzo all'eco penetrante del vuoto nella scena finale, siamo invitati a riflettere e confrontare la complessità della condizione umana al di là delle visioni dell'autore. parole.
La telenovela Uomini al sole è solo una delle diverse opere dell'autore, divise tra raccolte di racconti, romanzi, libri e articoli che ci mostrano le sue radici profonde nel cuore della cultura araba e palestinese. Ne sentiamo il polso attraverso le sue narrazioni penetranti e le sue posizioni incisive che si allontanano dal riduzionismo campanilistico ed estendono la causa palestinese a tutte le masse sfruttate e oppresse della nostra epoca, presentandola come causa per tutti i rivoluzionari, ovunque si trovino.
*Joyce Cipriano Victurino è gstudente di Scienze, Lettere e Relazioni Internazionali presso l'Università Federale di ABC (UFABC).
Riferimento
Ghassan Kanafani. Uomini al sole. Traduzione: Safa Jubran. San Paolo, Editora Tabla, 2023, 104 pagine. [https://amzn.to/4c63hX0]

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