industria culturale

Immagine: El Lissitzky
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da RODRIGO DUARTE*

Leggi la Presentazione del nuovo libro di Theodor W. Adorno

Il pubblico di lingua portoghese ha ora a sua disposizione una serie di scritti significativi di Theodor Adorno su uno dei temi che meglio caratterizzano la sua eredità filosofica, vale a dire la riflessione critica sulla cultura di massa – l'“industria culturale”, secondo il nome stabilito da lui, insieme a Max Horkheimer, all'inizio degli anni Quaranta, nel Dialettica dell'Illuminismo. Diciamo che stabilire a corpo di testi per un solo volume su un tema che ha occupato tante pagine dell'immensa opera di Adorno non è facile, e certo alcune assenze erano inevitabili, sebbene l'elenco dei testi qui presentato sia significativo per almeno due aspetti fondamentali.

Il primo – e forse il più importante – è che abbiamo qui un campione degli approcci di Adorno alla cultura di massa dai primi anni '1930 (quindi, anche prima dell'affermazione del termine “industria culturale), fino alla fine degli anni '1940. inizio degli anni Quaranta e Cinquanta, fino agli anni Sessanta — quando Adorno scrive testi, nei quali riprende e aggiorna concetti consolidati, insieme a Horkheimer, in Dialettica dell'Illuminismo. In questo modo, questa raccolta offre una chiara nozione sia degli antecedenti che delle conseguenze della critica dell'industria culturale nell'opera di Adorno.

Il secondo aspetto da evidenziare è la varietà di sfaccettature sotto cui Adorno affronta il tema della cultura di massa: sia dal fenomeno kitsch, dalle caratteristiche che assume la ricezione musicale quando viene eseguita attraverso la radiodiffusione, sia dal carattere specifico del feticismo che aderisce alla merce culturale, l'impatto della televisione sulla scena della cultura di massa, prima dominata dalla radio e dal cinema, la tutela della cultura da parte di settori della pubblica amministrazione e le conseguenze dell'immediatezza diffusa dall'industria culturale in un'azione politica che si propone rivoluzionaria.

Cominciamo col segnalare qualcosa sul piccolo testo “Kitsch”, scritto intorno al 1932, rimasto inedito nell'originale in tedesco fino alla sua pubblicazione nel volume 18 del Scritti raccolti ("Scritti raccolti"), di Adorno. Vale la pena ricordare che il periodo presunto per la stesura di questo testo, in cui Adorno, ancora residente in Germania, assistette al declino della Repubblica di Weimar e al pericolo del nazismo (che non tarderà ad imporsi), è lo stesso in cui scrisse saggi come “L'attualità della filosofia” (1931) e “L'idea della storia naturale” (1932) – testi che presentano un giovane filosofo, impregnato spiritualmente dell'idealismo tedesco, di Marx e di Freud. Aveva allora meno di trent'anni e nutriva già, però, ambizioni intellettuali che prefiguravano il grande pensatore che sarebbe diventato nei decenni successivi.

Questo testo di Adorno, che può essere considerato un precursore negli approcci al fenomeno in questione, con una scrittura ben anteriore al saggio di Clement Greenberg (del 1939), “Vanguard and Kitsch”[I], ha contribuito a stabilire il suo significato adottato fino ad oggi, di qualcosa di astutamente mieloso e privo di legittimità culturale. Adorno parte da un presupposto etimologico allora corrente, secondo il quale il termine tedesco “Kitsch” sarebbe derivato dall'inglese “sketch”, che designa “ciò che rimane irrealizzato o solo indicato”, e potrebbe significare, quindi, una sorta di stampo che rimanda a forme artistiche dal passato remoto, che con il tempo hanno perso ogni contenuto. Da questo punto di vista, Adorno sottolinea la costituzione essenzialmente sociale del kitsch, affermando che, persuadendo le persone “ad accettare come attuali entità formali del passato, il kitsch svolge una funzione sociale: ingannarle sulle loro vere condizioni”.[Ii]

Vale la pena notare che il tipo di illusione che Adorno attribuisce al kitsch prefigura fortemente l'effetto che lui e Horkheimer attribuiranno, circa un decennio dopo, ai prodotti dell'industria culturale, dato che passaggi di questo piccolo testo potrebbero trarre in inganno il lettore. , a cui è stato detto di comparire nel capitolo dedicato al tema della Dialettica dell'Illuminismo. Una di queste è la seguente: «Nonostante ogni dissimulazione, i veri rapporti di classe si sono delineati nel kitsch sempre più chiaramente: come, da un anno fa, nelle hit fatte apposta per i dipendenti – quella di Loura Inge, per esempio -, che, insieme con talkie e riviste, vuole convincere la dattilografa che in fondo è una regina. Non si può credere quanto velocemente il kitsch risponda ai bisogni.[Iii]

Il saggio "Sul carattere feticistico della musica e la regressione dell'udito" fu scritto nell'estate del 1938, pochi mesi dopo l'arrivo di Adorno a New York il 7 febbraio dello stesso anno. La prima pubblicazione del testo fu nel volume 1938 (XNUMX), di Zeitschrift per la ricerca sociale ("Journal for Social Research"), ed è stato successivamente incluso nella raccolta Dissonanza. Musik in der verwalteten Welt (“Dissonances. Music in the Administered World”), curata dallo stesso Adorno e pubblicata, nel 1956, dalla casa editrice Vandenhoeckund Ruprecht, a Gottinga. Questo libro ha avuto successive edizioni, con nuove prefazioni, aggiunte e piccole modifiche, fino all'ultima versione durante la vita di Adorno, avvenuta nel 1969 (anno della sua morte). Successivamente il testo della quarta edizione fu inserito nel volume 14 del Scritti raccolti ("Scritti raccolti") di Adorno.

Vale la pena ricordare che il testo “Sul carattere feticcio della musica e la regressione dell'udito” è stato concepito da Adorno come possibile risposta al saggio di Walter Benjamin “L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica”[Iv]. In realtà, è solo una risposta approssimativa al testo di Benjamin, poiché, mentre quest'ultimo fa riferimento ai media visivi, in particolare al cinema, il testo di Adorno affronta principalmente la situazione della musica nel tardo capitalismo. Il saggio coincide con il momento in cui Adorno ha aderito al “Princenton Radio Research Project” – la motivazione principale del suo viaggio negli Stati Uniti – e si inserisce anche nei suoi sforzi per comprendere criticamente come si verificano i fenomeni musicali nelle trasmissioni radiofoniche. Questo testo rappresenta, infatti, una tappa molto importante nella costruzione dei presupposti teorici della critica dell'industria culturale, dall'inizio degli anni Quaranta.

Il titolo del testo indica che, in esso, vengono affrontati due fenomeni diversi, ma sostanzialmente correlati e complementari, che possono essere considerati, rispettivamente, il lato oggettivo e quello soggettivo di uno stesso processo. Nella prima parte, che tratta della feticizzazione del linguaggio sonoro nelle condizioni date dai monopoli culturali, Adorno fa il punto sulla situazione contemporanea dall'impatto provocato dal predominio della musica “leggera” o di intrattenimento sulla cosiddetta musica seria. Secondo lui, in pratica c'è una certa mancanza di differenziazione tra musica seria ufficialmente approvata e musica di intrattenimento, poiché, nell'ambito della cultura di massa, entrambe si trasformano in merce. Dalla considerazione di questi fenomeni musicali accessibili come merce, emerge un contributo essenziale per la successiva elaborazione della critica dell'industria culturale, ovvero la sostituzione del concetto marxiano di feticismo nel senso di comprenderne la specificità rispetto alle merci culturali.

Proprio a partire da una determinazione sociale dei valori d'uso, nel senso marxista del termine, Adorno pensa a una nuova forma di feticismo: quello che aderisce alla merce culturale. Se nella merce comune il carattere di feticcio riguarda l'occultamento del carattere di valore-lavoro che essa possiede attraverso l'idolatria del suo aspetto di cosa, in cui i rapporti di sfruttamento sono come sepolti, nella merce culturale la presunta assenza di valore d'uso (che, appunto, è valore d'uso mediato) si ipostatizza nel senso di trasformarsi in valore di scambio.

Nella parte del testo che riguarda il lato soggettivo della reificazione nella sfera culturale del tardo capitalismo, cioè la “regressione dell'udito”, Adorno parte dal principio che “la coscienza delle masse in ascolto è adeguata alla musica feticizzata”[V], indicando una perfetta correlazione tra gli aspetti oggettivi e soggettivi del processo: la regressione dell'udito significa la crescente incapacità del grande pubblico di valutare ciò che viene offerto alle loro orecchie dai monopoli culturali.

Vale la pena ricordare che “Il carattere feticcio della musica e la regressione dell'udito” era in concomitanza con una serie di studi condotti da Adorno sulla presenza della musica nel medie radio come suo contributo alla "Progetto di ricerca radiofonica di Princeton”, diretto dal sociologo austriaco Paul Lazarsfeld, che, come già accennato, fu la principale motivazione per il filosofo francofortese a recarsi a New York. Accanto a un memorandum di 161 pagine parzialmente inedito, datato 23 giugno 1938, intitolato “La musica in radio”, il cui contenuto è brevemente descritto e commentato da Iray Carone[Vi], Adorno ha prodotto, oltre al citato testo sul feticismo, scritto in tedesco, una serie di scritti in inglese, che si trovano nel volume Corrente della musica, pubblicato da Suhrkamp nella sezione 1, volume 3, degli scritti postumi di Adorno[Vii], dai manoscritti che Adorno intendeva pubblicare in originale in lingua inglese, con il titolo sopra citato, scelto da lui stesso – libro che il filosofo non vide mai pubblicato in vita.

Da questa raccolta, pubblicata anche dall'editore anglo-americano ordinamento politico in 2009[Viii], ecco il saggio “Per una critica sociale della musica in radio”, pubblicato per la prima volta sul periodico Recensione di Kenyon (Primavera, 1945) e inclusa dallo stesso Adorno nel suo progetto incompiuto Corrente della musica. In questo testo, il suo punto di partenza è il fatto che i sondaggi di opinione con i radioascoltatori potrebbero, da un lato, avere un carattere meramente commerciale nel senso di manipolare il loro comportamento verso il consumo dei prodotti A o B, o, dall'altro, , per esibire la qualità di quella che Paul Lazarsfeld chiamava “ricerca amministrativa benevola”, nella misura in cui vi era un obiettivo altruistico dietro l'uso di metodi quantitativi. Secondo lui, la "benevolenza" sarebbe caratteristica della domanda principale che ora sarebbe: "Come possiamo fornire buona musica al maggior numero possibile di ascoltatori?"[Ix]

Il punto di vista critico di Adorno appare subito nel rifiuto dei termini in cui la questione era posta. A cominciare dalla domanda su cosa si vorrebbe dire con l'espressione “buona musica”. Sarebbe qualcosa che in precedenza veniva semplicemente riprodotto di più alla radio, considerato a priori di buona qualità o sarebbe qualcosa che appartiene a un canone di brani consacrati del repertorio tradizionale dell'Occidente? Posto che qualche autore canonico, ad esempio Beethoven, sia stato un paradigma della “buona musica”, rimarrebbe da chiedersi se questo criterio non possa essere un invariante, oltre al fatto che il modo in cui verrebbe ascoltato potrebbe compromettere la caratteristiche molto caratteristiche delle sue composizioni musicali, che, inizialmente, le avrebbero elevate allo status di paradigma. Considerazioni di questo tipo portano Adorno a porre, in questo testo, una serie di domande: “La massiccia diffusione della musica significa davvero un aumento della cultura musicale? Le masse sono davvero messe in contatto con il tipo di musica che, secondo considerazioni sociali più ampie, potrebbe essere considerata desiderabile? Le masse partecipano davvero alla cultura musicale o sono semplicemente costrette a consumare merce musicale?[X]

Certamente, queste stesse domande riappaiono nella maggior parte dei successivi testi di Adorno che criticano l'industria culturale, con argomenti come il meccanismo di “tamponamento”, utilizzato dalle case discografiche, in accordo con i broadcaster, per fare leva sulle vendite discografiche, analizzato nell'articolo “sulla musica popolare"[Xi], sono anche discussi brevemente nel testo sullo schermo. A proposito di questo meccanismo e, in un richiamo indiretto al citato articolo, anticipando la posizione del capitolo del Dialettica dell'Illuminismo sull'industria culturale, Adorno dichiara: “Ma sappiamo, da un altro segmento dei nostri studi, che il tamponamento di canzoni non segue le reazioni che lui stesso suscita, ma piuttosto gli interessi di investimento delle case discografiche che pubblicano le canzoni”.[Xii]

Il testo che segue, “La sinfonia alla radio. Un esperimento teorico”[Xiii], era uno dei tre testi riguardanti il ​​“Progetto di ricerca radiofonica di Princeton”, insieme al saggio sul feticismo e all'articolo, sopra commentato, sulla critica sociale della musica alla radio, che Adorno pubblicò in inglese tra la fine degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta, unico testo prodotto nell'ambito del suddetto progetto pubblicato dal suo coordinatore, Paul Lazarsfeld, con il quale, per inciso, Adorno non era d'accordo sull'enfasi quantitativa e “amministrativa” della sua ricerca[Xiv].

“Una sinfonia alla radio” contiene una coraggiosa presa di posizione di Adorno, secondo la quale, contro ogni discorso di democratizzazione della cultura attraverso la volgarizzazione della musica “classica”, la diffusione di questo tipo di musica corrisponde, infatti, ad un approfondimento nell'incomprensione, da parte del grande pubblico, di ciò che è più caratteristico della migliore musica prodotta in Occidente: il suo aspetto strutturale, inteso in senso lato, non solo la “forma” in senso stretto, ma coprendo tutti i parametri della composizione, dall'aspetto melodico alla dinamica, dall'elemento armonico al colore tonale.

In questo senso, anche se l'espressione “musica classica” è una denominazione equivoca di quella che oggi si chiama “musica da concerto”, nel caso del saggio di Adorno risulta esserci una certa convergenza, poiché la sua analisi ricade sul classicismo musicale, in quanto come in cui la precedente scrittura della musica non aveva ancora attuato nella composizione il suddetto iter strutturale e quella successiva – tipica del romanticismo – reagiva programmaticamente alla costruzione classica, cercando di sostituirla con elementi marcatamente espressivi. Per Adorno, il classicismo in musica ha prodotto un'intensità che, secondo lui, si basa sulla densità e sulla concisione delle interrelazioni tematiche, che sono particolarmente ben realizzate nel genere sinfonico: “Questa densità e questa concisione sono di natura strettamente tecnica, irriducibili ad un mero sottoprodotto dell'espressione. Implicano, in primo luogo, una completa economia di mezzi; in altre parole, un vero movimento sinfonico non contiene nulla di casuale”.[Xv]

L'analisi critica di Adorno si basa sul fatto che la trasmissione radiofonica della sinfonia compromette la capacità di un'audizione che contempli quel procedimento strutturale da lui designato come “dinamica assoluta”, che soddisfi le condizioni sopra richiamate. Tra i migliori esempi di questo procedimento, Adorno sceglie le sinfonie di Beethoven come paradigmi di quell'intensità musicale che medio La radiofonica non può riprodursi. Per quanto riguarda l'aspetto dinamico, Adorno osserva che “sebbene la radio conservi un po' di tensione, non è sufficiente. La tensione in Beethoven raggiunge il suo vero significato solo nella gradazione dal nulla al tutto. Non appena è ristretto allo strato medio dal piano al forte, il mistero dell'origine viene eliminato dalla sua sinfonia, così come il potere della rivelazione.[Xvi]

Sotto l'aspetto del colore tonale, Adorno afferma anche i limiti della radiodiffusione e la sua incapacità di fornire la base acustica per un ascolto non atomistico della musica: “Esagerando il contrasto brusco, la neutralizzazione imposta dalla radio sul colore oscura proprio quelle minuscole differenziazioni che sono fondamentali nell'orchestra classica.[Xvii]

Da un punto di vista tecnico-musicale, la principale carenza nella diffusione delle sinfonie classiche — soprattutto di Beethoven — si può riassumere nel fatto che esse creano una temporalità, associata all'esecuzione della musica dal vivo, che non coincide con quella dell'empirico, questa temporalità essendo compromessa nell'ascolto del mezzo radiofonico:

Alla radio il tempo consumato dalla sinfonia è tempo empirico. Il limite tecnico che la radio impone alla sinfonia accompagna ironicamente il fatto che l'ascoltatore può semplicemente spegnere la musica a suo piacimento. In altre parole, contrariamente a quanto avviene in sala da concerto, dove l'ascoltatore è in qualche modo costretto a obbedire alle leggi della sinfonia, in radio può arbitrariamente disfarsene.[Xviii]

Questa erosione della temporalità essenziale da parte della trasmissione di musica da concerto può essere considerata centrale per il punto di vista di Adorno, perché, se quella "dinamica assoluta" non può essere conservata in questo mezzo, in esso la sinfonia appare come una raccolta di melodie, in un tipo pot pourri, in cui le cellule musicali sono come prese da altrove e inserite nella composizione, come se fosse un montaggio. Di conseguenza, Adorno dichiara: “Una sinfonia di Beethoven è essenzialmente un processo; se questo processo è sostituito da una presentazione di articoli congelati, il performance sarà condannato. Anche se eseguita sotto il grido di guerra della fedeltà più estrema ai suoi testi”.[Xix]

Per concludere questo breve commento a “La sinfonia alla radio”, vale la pena ricordare che il testo, fin dalla sua prima pubblicazione, nel 1941, fu oggetto di feroci critiche, legate soprattutto al presunto elitarismo della posizione di Adorno, per i quali non varrebbe «vale la pena intraprendere qualsiasi sforzo pedagogico che non tenga conto, con tutte le sue implicazioni, delle tendenze regressive promulgate dalla musica seria alla radio».[Xx] Dal punto di vista della Teoria critica della società, sappiamo quanto sia ideologica e accondiscendente nei confronti dell'industria culturale questo tipo di critica; ma lo sviluppo tecnologico sia dell'ingegneria del suono (con l'avvento dell'alta fedeltà e degli apparati stereofonici o multicanale) sia della stessa radiodiffusione (con la modulazione di frequenza e – più recentemente – con la trasmissione digitale) hanno reso inefficaci le critiche di Adorno, strettamente basate sul livello tecnico sviluppo in quel momento. Lo stesso Adorno lo riconosce in un testo della fine degli anni Sessanta, affermando però che, nonostante l'obsolescenza di questo aspetto meramente tecnologico, i suoi punti di vista critici sull'ascolto atomistico e sull'abbandono dell'elemento specificamente sonoro nella diffusione della musica da concerto rimasto valido:

Certamente una delle idee centrali si è rivelata superata: derivare tecnologicamente la mia tesi che la sinfonia alla radio non sarebbe più stata una sinfonia a causa dei cambiamenti del suono, la “portata udibile” della radio di allora, che è stata nel frattempo eliminata dalla tecnica in alta fedeltà e stereofonia. Ma credo che non sia stata raggiunta né la teoria dell'ascolto atomistico, né quel peculiare "carattere immaginativo" della musica alla radio, che avrebbe dovuto sopravvivere alla gamma udibile.[Xxi]

Il testo successivo di questa raccolta, “Lo schema della cultura di massa”, occupa – non solo dal punto di vista cronologico – un posto centrale nello sviluppo intellettuale di Adorno, sia in termini di critica dell'industria culturale sia in termini di pensiero filosofico come un tutto. La sua composizione risale all'ottobre 1942, essendo il suo manoscritto ritrovato nel patrimonio di Adorno e considerato la “parte rimasta inedita” del capitolo sull'industria culturale di Adorno. Dialettica dell'Illuminismo, “di cui Adorno parlava occasionalmente”.[Xxii] Il curatore dell'edizione tedesca di quest'opera, nel volume 3 del Scritti raccolti (“Scritti riuniti”) di Adorno, richiama anche l'attenzione sul fatto che, nella sua prima edizione, da Caro Verlag, nel 1947, alla fine del capitolo sull'industria culturale c'è un avviso: “continuare”, che fu tolto nell'edizione di Fischer Verlag, 1969. In considerazione di tutte queste vicissitudini del testo, e della sua inequivocabile connessione con il tema dell'industria culturale, esso è stato inserito in appendice alla citata edizione delle opere raccolte di Adorno.

Questo testo riprende elementi di saggi precedenti, legati alla collaborazione di Adorno nella “Progetto di ricerca radiofonica di Princeton” ed è anche legato alle critiche al jazz e al cinema hollywoodiano sviluppate nel capitolo sull'industria culturale di Dialettica dell'Illuminismo. Inoltre, il testo anticipa elementi fondamentali della filosofia della nuova musica, la cui stesura risale allo stesso periodo, e prefigura posizioni filosofiche molto successive, come i testi televisivi degli anni Cinquanta, discussi in seguito, e anche alcuni argomenti del teoria estetica, elaborata a partire dalla metà degli anni Sessanta e lasciata incompiuta dal filosofo.

Per quanto riguarda il collegamento con il teoria estetica, l'idea dell'opera d'arte come contraria alla realtà empirica, che tende ad essere eliminata dall'industria culturale, emerge in “O schema da cultura mass”, in quanto i suoi prodotti sono presentati come una sorta di sostituto realtà per l'empirismo, in cui regna una completa autoreferenzialità, e la vicinanza al reale, rivendicata dalla cultura di massa, funziona come una via della sua deformazione, in cui i conflitti sono deviati nella sfera del consumo.

Al centro della reificazione provocata dall'industria culturale c'è la tendenza ad abolire il tempo nelle coscienze ad essa sottoposte in base all'atemporalità inscritta nei suoi prodotti. Per Adorno, questo processo coincide con l'eliminazione della storicità stessa nella vita delle persone, che è in linea con l'ideologia predominante nel tardo capitalismo, nel senso di imporre l'astoricità in tutte le sfere della vita: "Ogni prodotto della cultura di massa è, per la sua stessa struttura, priva di storia come il mondo gestito del futuro vorrebbe essere in questo momento.[Xxiii] Un esempio pratico di questo svuotamento della storia è, secondo Adorno, la trasmissione radiofonica della musica, analizzata criticamente nei testi sopra commentati. Secondo lui, "Nella musica, l'astorico è stato implementato da trasformazioni tecniche che hanno portato alla radio".[Xxiv]

Un altro tema affrontato in “Lo schema della cultura di massa” che anticipa discussioni fondamentali nell'opera successiva di Adorno è la critica della “pseudomorfosi”. Questo può essere definito come la pervasione dell'elemento fondamentale di a professione artistico al centro di un altro linguaggio dell'arte come sintomo di un tipo di alienazione generalizzata nella cultura in cui si manifesta in modo attuale e acritico.[Xxv] Indirizzi Adorno, in filosofia della nuova musica, ad esempio, l'impatto della spazialità – tipica delle arti visive – sulla musica, intesa come arte essenzialmente temporale, e, in epoca contemporanea, la composizione di Igor Stravinsky potrebbe essere considerato un paradigma.[Xxvi] Ma anche l'impressionismo musicale presenta caratteristiche simili e Adorno non manca di citarlo ne “Lo schema della cultura di massa”: “Come pseudomorfosi della musica con la pittura, la musica impressionista imitava questo procedimento, e non a caso Debussy scelse varietà come uno dei tuoi soggetti musicali.”[Xxvii]

Questo collegamento di un esempio di musica “seria” ad elementi legati all'intrattenimento rimanda alla nota critica del jazz di Adorno, che compare in più momenti del testo sullo schermo, e, in uno di essi, questo tipo di musica popolare americana è equiparato allo sport, poiché sia ​​nell'esecuzione musicale, spesso virtuosistica, sia nella danza frenetica ad essa associata, vi è un notevole dispendio di energie corporee, in cui il ritmo determina i gesti, che, secondo l'acida critica di Adorno, traducono conformismo e rassegnazione: «Se nel jazz il piacere dei danzatori può essere ricercato nella sincope come formula della propria mutilazione – e la loro funzione collettiva non deve trarre in inganno – allora nel jazzista il piacere può essere paragonato a quello dello sportivo che lavora in condizioni volutamente faticose. ”[Xxviii]

Non che lo sport, per Adorno, sia di per sé qualcosa di dannoso per lo sviluppo personale; per lui “Lo sportivo, come persona, può sviluppare certe virtù come la solidarietà, la sollecitudine, o anche l'entusiasmo, che sarebbero preziose nei momenti politici cruciali”.[Xxix] Ma l'appropriazione dello sport da parte dell'industria culturale valorizza non lo sport in sé, ma la passività di chi si limita a guardare le partite, reagendo agli eventi nel modo precedentemente configurato dai loro organizzatori e dalle emittenti radiofoniche e/o televisive: “Cultura di massa non vuole trasformare i suoi consumatori in sportivi, e sì in tifosi ruggenti sugli spalti”.[Xxx]

Un altro tema affrontato ne “Lo schema della cultura di massa” che ebbe ripercussioni decisive sullo sviluppo successivo di Adorno fu il modo in cui si manifesta in questo testo il rapporto tra l'immagine tecnologica dei dispositivi dell'industria culturale e la scrittura, come medio precedentemente predominante, attraverso il quale i concetti venivano trasmessi nell'ambito della cultura. L'idea è che l'ideologia che prima si realizzava con la parola – anche come scrittura – cominciasse a realizzarsi più efficacemente nel cinema come immagini in movimento che, in fondo, svolgevano una funzione ideologica simile a quella della scrittura stessa: “Anche come fenomeno otticamente, le immagini cinematografiche, che tremolano e scompaiono, si avvicinano alla scrittura. Sono percepiti, non osservati. Il nastro cattura lo sguardo come la linea, e lo sfogliare delle pagine scorre al dolce riposo delle scene.[Xxxi]

L'efficacia dell'ideologia in questi termini raggiunse livelli senza precedenti nei film sonori, divenuti popolari a partire dalla metà degli anni Venti, che, secondo Adorno, posero fine alla dialettica immagine-scrittura caratteristica del cinema muto, approfondendo la suddetta tendenza sfumare tra la merce e l'esperienza empirica delle persone, trasformando i messaggi in geroglifici, nei quali però l'indistinzione tra icone e concetti piuttosto confonde le masse che non le chiarisce. Secondo Adorno: “Nei vecchi film, i segni scritti sui segni si alternavano ancora alle immagini, un'antitesi che dava peso al carattere figurativo delle immagini. Questa dialettica era, come tutte le altre, insopportabile per la cultura di massa. Ha allontanato la scrittura dal film come un corpo estraneo, solo per convertire le immagini in scrittura, che l'ha assorbita.[Xxxii]

La conclusione de “Lo schema della cultura di massa” indica ciò che, nel corpo di Dialettica dell'Illuminismo, appare come un “contesto universale di cecità” (universaler Verblendungs ​​zusammenhang), cioè la situazione caratteristica del tardo capitalismo, in cui lo sfruttamento del lavoro è occultato dalla radicale spersonalizzazione degli agenti di produzione, facendo apparire i fatti sociali e storici come fenomeni naturali, senza esserlo realmente. L'ultima sezione del testo, oltre a richiamare l'attenzione su questo fenomeno in modo molto espressivo, sottolinea la parte di responsabilità che ciascuno ha nel preservare – o sovvertire – questo stato di cose:

Le luci che appaiono sulla città, oscurando con la loro luminosità l'oscurità naturale della notte, portano come comete, nel loro brivido di morte, notizie sulla catastrofe naturale che ha colpito la società. Tuttavia, non cadono dal cielo. Sono controllati qui dalla Terra. Sta agli uomini decidere se vogliono cancellarle, svegliarsi dall'incubo che minaccia di diventare realtà, basta che ci credano.[Xxxiii]

Il testo che segue, “Prologo alla televisione”, fa parte degli studi che Adorno svolse come direttore scientifico della Hacker Foundation negli Stati Uniti, dal 1952 al 1953, essendo stato pubblicato per la prima volta sul periodico Rundfunkund Fernsehen (“Rádio e Televisão” – quaderno 2, 1953) e successivamente nella raccolta Eingriffe. Modelli Neunkritische(“Interventi. Nove modelli critici”). Questa raccolta appare attualmente nel volume 10.2 del Scritti raccolti di Adorno.

Insieme all'articolo “La televisione come ideologia” – presente in questa raccolta e di cui si parlerà più avanti – il “Prologo in televisione” cerca di colmare il deficit del testo della Dialettica dell'Illuminismo per quanto riguarda la televisione, poiché, negli anni '1940, questo veicolo non era ancora sufficientemente consolidato, perché gli autori potessero fare un'analisi critica della sua connessione con il sistema dell'industria culturale. Dei due testi, "Prologo in televisione" è il più teorico e inizia con l'affermazione che, per un approccio critico alla televisione, "gli aspetti sociali, tecnici e artistici della televisione non possono essere trattati isolatamente"[Xxxiv]. Questo perché, già nei primi anni Cinquanta, negli Stati Uniti, si assistette ad un totale inserimento del medie televisione nell'ampio schema dell'industria culturale. Adorno osserva, in questo testo, che la strategia di duplicazione del mondo sensibile, già presente nei film sonori, è stata ampliata in televisione proprio perché ha più risorse per penetrare nella vita privata delle persone, invadendo l'intimità delle loro case.

Adorno rileva però il problema tecnico – particolarmente importante se si considera la tecnologia all'epoca in cui il testo è stato scritto – della dimensione delle immagini, che sono piccole rispetto a quelle proiettate su uno schermo cinematografico. Secondo lui, se non si verificasse uno sviluppo tecnico che rendesse possibile l'uso domestico di schermi più grandi, come è ampiamente possibile oggi, il potenziale di manipolazione ideologica della televisione potrebbe non essere pienamente realizzato. Un altro problema “tecnico” connesso a tale portata è la sproporzione tra il realismo delle voci e il carattere fantasmatico delle immagini, che già si verificava nel cinema, “perché tra le immagini bidimensionali e la corporeità della voce c'è una contraddizione .”[Xxxv] Questo problema sarebbe però accentuato in televisione dalla suddetta ridotta dimensione delle immagini.

In un riferimento non esplicito al suo studio sulla sinfonia radiofonica, Adorno osserva anche che ciò che accadeva al suono all'epoca in cui apparve la radio commerciale, ora accade alle immagini: sinfonia: il funzionario sfinito, mentre mangia la minestra in maniche di camicia, la tollera senza badare troppo”[Xxxvi].

Il collegamento dei messaggi a ciò che è più prosaico funziona come una parodia della fraternità e della solidarietà ed è, secondo Adorno, la caratteristica principale del medio televisione, con il deliberato intento di dissociarla dal contesto di sacralità da cui l'opera d'arte è emersa. Questo perché «l'ambiente in cui si guarda la televisione non dovrebbe essere troppo diverso dalla normalità».[Xxxvii], perché i limiti tra la realtà e il costrutto immaginario-sonoro di cui si appropria l'ideologia devono essere ridotti il ​​più possibile. Questa appropriazione è legata alla costituzione di un linguaggio visivo, in cui i contenuti sono introdotti “preconcettualmente”, poiché le parole e i concetti ad esse corrispondenti sono preceduti da immagini che, agendo negli strati inconsci della psiche dei consumatori, condizionano confermando i comportamenti status quo.

Il testo “Television as ideology”, anch'esso parte della ricerca finanziata dalla Hacker Foundation, è apparso come articolo in inglese, intitolato “Come guardare la televisione“, pubblicato per la prima volta in Il trimestrale di cinema, radio e televisione (Vol. VIII, primavera 1954, pp. 214–235). In esso, Adorno propone di analizzare script di serie televisive (trentaquattro in tutto), come prodotto tipico di questo medie, con marcate differenze rispetto ai lungometraggi – il prodotto più caratteristico dell'industria culturale fino all'epoca in cui Adorno scrisse questo testo (intorno al 1952). Poiché questi teleteatri sono più brevi (i brani analizzati durano al massimo trenta minuti), la loro qualità è, secondo Adorno, ancora più compromessa di quella del cinema, anche se, secondo lui, queste differenze non compromettono l'unità monolitica della cultura l'industria come sistema, anche se la portata e la penetrazione del mezzo televisivo ne giustificano l'approccio distinto, come si propone di fare.

All'interno del progetto di mantenimento ideologico dell'ordine attuale, non c'è molto di nuovo, in particolare per quanto riguarda le analisi del script, salvo il fatto che la scelta operata da Adorno per i suoi commenti ricade su quei programmi che più tipicamente rappresentano i “generi” comunemente coltivati ​​nell'industria culturale. Per quanto riguarda le commedie, viene presentata la storia di una maestra elementare che si trova in gravi difficoltà economiche, in cui viene esplorato l'aspetto apparentemente comico dei suoi tentativi – sempre frustrati – per essere invitata a pranzo a casa di amici. . Secondo Adorno, il messaggio subliminale è che, in qualsiasi circostanza – anche se lavori fino alla morte e non hai risorse nemmeno per il cibo – non devi perdere il tuo buon umore e il tuo entusiasmo. correttezza.

Adorno analizza anche un'altra trama comica, secondo la quale un'eccentrica anziana fa testamento per il suo gatto domestico, nominando come eredi comuni ignoti, i quali sono obbligati a fingere di essere vecchie conoscenze della signora, finché non si scopre che il “ eredità” erano solo giocattoli per gatti. Dopo aver scartato i giocattoli, si scopre che, in ognuno di essi, era nascosta una banconota da cento dollari, che obbliga i cittadini onesti della classe media a frugare nel bidone della spazzatura alla ricerca del denaro. Sia in relazione a questo copione Per quanto riguarda il primo, l'analisi di Adorno indica l'incoraggiamento del conformismo.

Pur citando altri esempi tra i generi che meglio caratterizzano i prodotti televisivi, Adorno si sofferma sull'analisi di un'opera teatrale che presumibilmente presenta tratti più “psicologici” nei suoi personaggi. Si tratta di copione della pièce, in cui un'attrice di grande successo, ma difficile da trattare, attraversa un processo di “presa di coscienza” della propria situazione e diventa, alla fine, dolce e gentile. L'agente in questo processo è un drammaturgo, che si innamora di lei e scrive una sceneggiatura così vicina alla biografia dell'attrice stessa, che gradualmente si trasforma fino a dichiararsi non solo innamorata della protagonista, ma anche apre a un sentimento religioso che fino ad allora aveva represso. Ciò avviene dopo un episodio catartico in cui la figlia dell'attrice, precedentemente respinta dalla madre, cerca di annegarsi in mare e viene salvata, con la partecipazione attiva del drammaturgo.

Per quanto riguarda le osservazioni conclusive dell'analisi delle sceneggiature, Adorno mette in luce due aspetti: il primo riguarda il modo volutamente e apertamente “kitsch” con cui vengono presentati tali prodotti di routine dell'industria culturale, nella speranza di conquistare anche l'adesione di spettatori meno ingenui, attenti a quella che può sembrare una “autocritica” insita nei beni culturali. L'altra osservazione è proprio relativa alle possibilità di sensibilizzare i telespettatori sugli aspetti più fortemente ideologici della televisione, il che presupporrebbe una presa di coscienza da parte dei produttori di questo mezzo di comunicazione, fatto che presupporrebbe, a sua volta, struttura organizzativa diversa dalla stazione di scambio:

Innanzitutto, la cosa più importante è sensibilizzare fenomeni come il carattere ideologico della televisione, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra i telespettatori. Soprattutto in Germania, dove interessi non economici controllano direttamente la programmazione, ci si può aspettare qualcosa dai tentativi di illuminazione. Se l'ideologia, che utilizza un numero alquanto limitato di trucchi e idee sempre ripetibili, fosse messa al suo giusto posto, allora forse potrebbe sorgere una certa avversione pubblica a essere trattati come bestiame, nonostante la disponibilità di molti spettatori a lasciare che la tendenza sociale del prevale l'ideologia. Forse è possibile considerare una sorta di immunizzazione del pubblico contro l'ideologia diffusa dalla televisione e mezzi simili.[Xxxviii]

Il seguente testo “Cultura e amministrazione”, datato 1960, era in origine una conferenza di Adorno, pubblicata per la prima volta nel periodico tedesco Mercurio (vol. XIV, 1960, taccuino 2, p. 101) e nel volume degli annali Vorträge, gehaltenanläßlich der Hessischen Hochschulwochen für staats wissenschaftliche Fortbildung (“Conferenze tenute in occasione della settimana delle scuole superiori in Assia” — vol. 28. Bad Homburg, VDH, 1960, pp. 214–231), successivamente inclusa nella raccolta congiunta con Horkheimer, Sociologia II. Redenund Vortrage (“Sociologico II. Discorsi e conferenze” – Frankfurt AM Main: EuropäischeVerlagsanstalt, 1962) e infine inclusa nel volume 8 del Scritti raccolti(“Scritture Unite”) di Adorno, dedicata ai suoi scritti sociologici (parte I).

È un saggio che fa riflettere, in cui Adorno indaga, come indica il titolo stesso, il rapporto tra produzione culturale e processi amministrativi. Per il buon senso odierno, totalmente intriso dello spirito dell'industria culturale, questi due ambiti sono così intrecciati tra loro che Adorno si trova autorizzato ad aprire il suo testo affermando, provocatoriamente, che “Chi dice cultura dice anche amministrazione; che ti piaccia o no."[Xxxix] Ma, al di là di ciò che oggi sembra una verità ovvia, il filosofo fa riferimento al concetto tedesco di cultura, che sarebbe l'estremo opposto dell'amministrazione, in quanto mirerebbe ad essere esattamente ciò che è più elevato e puro, in un tipo di idealizzazione che escludere addirittura anche la modellazione dei suoi prodotti attraverso criteri tecnici o pratici. In questo senso la cultura avrebbe come polo opposto la civiltà, luogo il tipo di organizzazione a cui la direzione è affiliata in senso lato.

Ma, secondo Adorno, il rapporto tra cultura e management è così complesso che si potrebbe equiparare un paradosso così formulato: “la cultura quando è pianificata e gestita è danneggiata; se relegato al suo destino, però, rischia di perdere non solo la sua efficacia ma anche la sua stessa esistenza”.[Xl] In questo senso la sopravvivenza della cultura dipende da un tipo di organizzazione, per la cui caratterizzazione Adorno ricorre al concetto weberiano di razionalità, nel senso di incorporare una buona dose di universalità nell'ambito delle istituzioni che compongono la società borghese, mentre superamento delle particolarità che si esprimono nei legami familiari nella conduzione della cosa pubblica, ad esempio, a vantaggio della competenza tecnica per realizzare le finalità cui sono destinate le istituzioni richiamate.

Con tutto il carattere repubblicano, però, impresso nella posizione weberiana, Adorno afferma che sotto questo aspetto di una razionalità che potremmo definire “strumentale”, anche le organizzazioni favorevoli al terrore politico, come ad esempio le SS naziste, si adatterebbero bene per quanto riguarda la correlazione tra mezzi e fini, a scapito della valutazione della razionalità dei fini: “nella stessa teoria della razionalità di Weber, si può sospettare la presenza latente della razionalità amministrativa”.[Xli]

Questa razionalità amministrativa è volta a scontrarsi con istanze provenienti da settori come la creazione artistica e culturale, che si manifestano sotto il segno della particolarità, sebbene, paradossalmente, siano quelli che hanno in sé la considerazione dei fini e la proiezione di un altro tipo di universalità – di norma –, disattese dalla ragion di amministrazione, che si suppone universalista. Questo spiega, secondo Adorno, i conflitti di interesse tra cultura e amministrazione in una società di classe come il capitalismo: “In una società antagonista, le organizzazioni finalizzate devono perseguire fini particolari, cioè hanno bisogno di strutturarsi a scapito di gli interessi di altri gruppi”.[Xlii]

Ecco perché la sussunzione della creazione e della produzione artistica all'amministrazione genera, nell'ambito della cultura, un'ineludibile eteronomia, in quanto deve adattare ogni materia culturale a norme che le sono essenzialmente estrinseche, del tutto estranee alle caratteristiche dei suoi oggetti. Ecco allora che, in qualche modo, la società è, seppur moderatamente, convinta che valga la pena investire nell'area culturale, poiché quest'area è sempre accusata di essere inutile, di non portare alcun beneficio concreto alla collettività.

A questo proposito la risposta di Adorno è chiara: non c'è certezza metafisica sul fatto che alcune cose siano considerate utili e altre no, ma ci sono costruzioni sociali che cercano di giustificare il vantaggio di certi settori della società a scapito di altri. : “L'utilità dell'utile non è fuor di dubbio, e l'inutile prende il posto di ciò che non potrebbe più essere sfigurato a scopo di lucro. (…) La cultura deve essere del tutto inutile, e quindi essere al di là dei metodi di pianificazione e gestione della produzione materiale, affinché le presunte giustificazioni dell'utile, così come quelle dell'inutile, acquistino maggior risalto”.[Xliii]

L'idea che sta alla base di questa dialettica dell'utilità, proposta da Adorno, è che la nozione di lavoro socialmente utile non può essere astratta da quella che egli chiama “socializzazione integrale”, cioè la considerazione dell'utilità non solo dal punto di vista degli interessi immediati di i settori dominanti in una società, ma quelli che dimostrano la loro utilità proprio problematizzando quella nozione predominante di utilità. A ciò si associa l'idea che l'utilità mediata della cultura sarebbe l'umanizzazione dell'umanità, di fronte al cui fallimento Adorno afferma: : non è perché è sempre incline a scoppi di barbarie, con risentimenti repressi per la sorte che le è toccata, la mancanza di libertà profondamente vissuta.[Xliv]

Nonostante ciò, la conclusione di Adorno non è necessariamente pessimista, nel senso che il paradosso formulato all'inizio del saggio può non essere insolubile e la cultura può essere oggetto di sostegno istituzionale, senza che ciò ne implichi fatalmente la completa immersione nell'eteronomia: “Chi opera mezzi amministrativi e istituzioni con un senso critico indisturbato possono ancora ottenere qualcosa di più della pura cultura amministrata.[Xlv]

L'ultimo testo della raccolta “Resignação” era in origine una conferenza radiofonica al Mittente Freies Berlino (“Emissora Berlin Livre”), trasmesso il 09/02/1969, e pubblicato come capitolo del libro Politik, Wissenschaft, Erziehung. Festschriftfür Ernst Schutte (“Politica, scienza, educazione. Scritti commemorativi per Ernst Schütte” – Francoforte sul Meno 1969, pp. 62–65). Successivamente è stato incluso nel volume 10.2 del Scritti raccolti (“Collected Writings”), insieme al saggio “Kritik” in quello che sarebbe un libro chiamato Modelli critici III, che non è stato completato a causa della morte di Adorno il 06/08/1969.

Comprendere il significato di questo testo dipende dalla conoscenza del contesto molto particolare in cui è stato creato, ovvero il dissenso tra Adorno e gli studenti dell'Università di Francoforte, mobilitati dal 1968 in poi, in un movimento correlato a quello del maggio di quello stesso anno in Francia. Gli studenti tedeschi, da un lato, protestavano contro la violenza della polizia nei loro confronti e contro le misure autoritarie che stavano per essere prese dal governo conservatore della Germania Federale; dall'altro, rivendicavano più democrazia interna negli istituti di istruzione superiore tedeschi, e le loro fazioni più radicali credevano – erroneamente, sembra – di trovarsi in un periodo pre-rivoluzionario.[Xlvi] In relazione ad Adorno e ad altri professori del Università di Goethe, la denuncia dei manifestanti era più specifica: i rappresentanti della Teoria critica della società erano stati gli ispiratori teorici del loro movimento e avrebbero tradito i loro studenti non sostenendoli nelle loro azioni pratiche e non assumendo la loro difesa con la veemenza con cui considerato necessario. In considerazione di questo contesto, e tenendo conto della crescente radicalizzazione delle azioni degli studenti di fronte alla repressione poliziesca, Adorno afferma che: "La sfida che ci viene rivolta a bassa voce dice qualcosa del tipo: colui che, a come questi, dubita dell'ipotesi di profonda trasformazione della società, e per questo non partecipa ad azioni violente e spettacolari né le raccomanda, avrebbe capitolato.[Xlvii]

Adorno respinge con forza l'accusa mossagli, richiamando l'attenzione sul fatto che l'antintellettualismo manifestato da vari protagonisti della rivolta studentesca sembrava riprodurre la consueta ostilità nei confronti degli intellettuali da parte dei media, che colpisce ironicamente proprio i gruppi di opposizione che sono essi stessi calunniati come intellettuali. Il fondamento, invocato dagli studenti, per l'accusa rivolta ad Adorno e colleghi sarebbe l'indissolubilità tra teoria e prassi, sulla quale, in linea di principio, si potrebbe essere pienamente d'accordo. Ma Adorno ritiene che, in una specifica situazione sociale in cui l'elemento di “pratica” significherebbe solo un aumento della produzione materiale, ciò che sarebbe in questione sarebbe una completa sottomissione della teoria alla prassi: “La cosiddetta unità tra la teoria e la prassi ha la tendenza a convertirsi abusivamente nel predominio della prassi.[Xlviii]

Adorno individua come fulcro del conflitto tra lui e gli studenti il ​​fatto che essi nutrissero aspettative esorbitanti sulla portata del loro movimento, non condivise dal filosofo, il quale riteneva di essere oggetto dell'ira dei ribelli perché incarnava la figura di colui che cercava di avvertirli che non dovevano aspettarsi una rivoluzione socialista il giorno successivo. Secondo Adorno: «Per ora non c'è all'orizzonte alcuna forma di società superiore: chi gesticola come se fosse a portata di mano ha qualcosa di regressivo».[Xlix] Per il filosofo, l'atteggiamento più sovversivo che si potrebbe assumere in quel momento sarebbe una radicalizzazione del pensiero – fattore decisivo per la configurazione di una prassi trasformante, non assumendo come definitiva la situazione presente e prefigurandone le possibili soluzioni. La spiegazione tentata da Adorno per comprendere l'atteggiamento degli studenti è che il mondo amministrato tende a inibire ogni spontaneità, incanalandola in quella che chiama “pseudoattività”, termine con cui designa l'azione degli studenti.

Nonostante l'atmosfera un po' cupa del testo, che rimanda alla profonda sofferenza vissuta da Adorno in questa situazione (che forse portò alla malattia e alla morte), finisce per evocare la gioia del pensatore come simbolo dell'umanità stessa e fattore di resistenza contro le vessazioni del mondo amministrato:

E perché chi pensa non vuole fare del male a se stesso, né vuole fare del male agli altri. La gioia che emana dagli occhi di chi pensa è la gioia dell'umanità stessa. Pertanto, la tendenza universale all'oppressione attacca il pensiero come tale: è felicità anche dove definisce l'infelicità; perché afferma. Solo attraverso di lui la felicità penetra nel dominio dell'infelicità universale.[L]

Questa felicità di pensiero ha la sua universalità implicita anche nel fatto che può realizzarsi in qualsiasi contesto storico o geografico, che è un motto per concludere questa prefazione, richiamando l'attenzione del lettore sull'enorme qualità dei testi e di questa edizione. , che certamente prefigura momenti felici nel pensiero.

* Rodrigo Duarte È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'UFMG. Autore, tra gli altri libri, di Varia estetique: Saggi su arte e società (Reliquiario)

Riferimento


Theodor W. Adorno. industria culturale. Traduzione: Vinicius Marques Pastorelli. San Paolo, Unesp, 2020, 286 pagine.

note:


[I] Clement Greenbert, “Avanguardia e Kitsch”, In: La raccolta di saggi e critica. Vol.1. Chicago/Londra, The University of Chicago Press, 1988, pp. 5-22.

[Ii] Theodor Adorno, “Il kitsch”.

[Iii] Ibid.

[Iv] Questo punto di vista di Adorno in relazione al suo testo appare sia nella prefazione a dissonanze (Gö Xngen, Vandenhoeckund Ruprecht, 1982 p. 6) e nel racconto autobiografico di “Scientific Experiences in America” (Gesammelte Schriøen 10.2, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, ​​​​1996, pag. 706).

[V] Theodor Adorno, “Sul carattere feticcio della musica e la regressione dell'ascolto”.

[Vi]Iray Carone, Ornamento a New York. Gli studi di Princeton sulla musica radiofonica (1938-1941). San Paolo, Alameda, 2018, p. 24 e segg.

[Vii]Nachgelassene Schriien. Abteilung I: Fragment gebliebene Schriien – Band 3: Current of Music. Elementi di una radioteoria. Francoforte sul Meno, Surhkamp, ​​​​2006.

[Viii] Teodoro Adorno, Corrente della musica. Elementi di una radioteoria. Cambridge/Malden, Polity Press, 2009.

[Ix] Paul Lazarsfeld, "RemarksonAdministration and Crigcal Communications Research". In: Studi in filosofia e scienze sociali 9, 1941. pp.2-16. Apud Theodor Adorno, “Verso una critica sociale della musica alla radio”.

[X] Theodor Adorno, “Verso una critica sociale della musica alla radio”.

[Xi] Pubblicato per la prima volta il Studi in filosofia e scienze sociali, vol. IX, 1941, p. 17-48. Ripubblicato il Corrente della musica, operazione. cit., pag. 271 e segg.

[Xii] Theodor Adorno, “Verso una critica sociale della musica alla radio”.

[Xiii] La Radio Sinfonia. Un esperimento in teoria, in: Ricerca radiofonica 1941. ed. di Paul F. Lazarsfeld e Frank N. Stanton. New York 1941. S. 110ss. Ripubblicato il Corrente della musica (op. cit., p. 144 e segg.). In questa edizione sono stati aggiunti alcuni brani raccolti nel manoscritto e disponibili nel volume: Theodor Adorno: Saggi sulla musica, a cura di Richard Leppert (University of California Press, 2002, p. 251 e segg.).

[Xiv] Su questo disaccordo si veda Iray Carone, op. cit., passim.

[Xv] Theodor Adorno, "La sinfonia alla radio".

[Xvi] Ibid.

[Xvii] Ibid.

[Xviii] Ibid.

[Xix] Ibid.

[Xx] Ibid.

[Xxi] Theodor Adorno, Wissenschailiche Erfahrungen in Amerika, In: Stichworte. Krigthsche Modello II, Gesammelte Schri6en 10.2. Francoforte sul Meno, Suhrkamp, ​​1996, p. 717.

[Xxii]Editorische Nachbemerkung (Nota redazionale), In: Gesammelte Schriøen 6, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, ​​​​p. 336.

[Xxiii] Theodor Adorno, “Lo schema della cultura di massa”.

[Xxiv] Ibid.

[Xxv] V. Rodrigo Duarte, “Sul concetto di 'pseudomorfosi' in Theodor Adorno”. filosofia dell'arte 7, 2009, pag. 31-40.

[Xxvi] Cfr. Teodoro Adorno, Filosofia della nuova musica. in: Gesammelte Schriøen 6. Frankfurt AM Main, SuhrkampVerlag, 1978, pag. 127 e segg.

[Xxvii] Theodor Adorno, “Lo schema della cultura di massa”.

[Xxviii] Ibid.

[Xxix] Ibid.

[Xxx] Ibid.

[Xxxi] Ibid.

[Xxxii] Ibid.

[Xxxiii] Ibid.

[Xxxiv] Theodor Adorno, “Prologo alla televisione”.

[Xxxv] Ibid.

[Xxxvi] Ibid.

[Xxxvii] Ibid.

[Xxxviii] Theodor Adorno, “La televisione come ideologia”.

[Xxxix] Theodor Adorno, “Cultura e amministrazione”.

[Xl]Idem.

[Xli] Ibid.

[Xlii] Ibid.

[Xliii] Ibid.

[Xliv] Ibid.

[Xlv] Ibid.

[Xlvi] Sul contesto che ha generato la produzione di questo testo di Adorno, si veda Rodrigo Duarte, “Il movimento studentesco tedesco negli anni Sessanta e la teoria critica della società: alcune note”. Rivista Kritérion, Numero speciale, luglio 2020.

[Xlvii] Theodor Adorno, “Dimissioni”.

[Xlviii] Ibid.

[Xlix] Ibid.

[L] Ibid.

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