Festa degli insegnanti 2020

Immagine: Ricardo Kobayaski
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Festa degli insegnanti 2020

da REMY J. FONTANA*

Inquietudine intorno a un'effemeride!

“Gli insegnanti aprono la porta, ma tu devi entrare da solo” (proverbio cinese sull'apprendimento).

Un'effemeride: data per commemorare qualcosa, esaltare qualcuno, la sua nascita o il giorno della sua morte, alcune delle sue notevoli realizzazioni; celebrare qualche evento, evidenziare qualcosa. Festeggia, celebra, onora. Segnava in passato un'inflessione del calendario in cui un fatto rilevante, una grande conquista, un evento notevole meritava di essere inserito negli annali gloriosi di un popolo, nelle cronache storiche di una nazione, nell'araldica di un Stato, di solito a seguito di imprese avventurose o straordinarie dei noti baroni che dalle spiagge di una certa latitudine, per mari mai solcati prima, passavano anche oltre Taprobana.

Bene, questo accadeva ai tempi in cui le cose e i loro significati mantenevano una maggiore compatibilità semantica, una qualche correlazione congruente. Non più. Ora abbiamo giorni per celebrare qualsiasi cosa e poi alcuni, un calendario commemorativo dalla A alla Z, per tutti i gusti e palati. Il menu non solo è ampio e vario, non ha bisogno di niente di straordinario per condirlo e, cosa più importante, è disponibile nelle catene di vendita al dettaglio e anche all'ingrosso, per la distribuzione e il consumo immediato.

Una dimensione in più dell'agire umano-sociale, un'altra espressione della cultura dei popoli appropriata dal merce, catturati dalla logica del far soldi per pochi, mentre i tanti altri possono ben essere confortati dalle fanfare e dallo sventolio di bandiere colorate sotto l'egida delle quali si celebra la festa del papà, della mamma, del figlio piccolo, dello zio o della zia, il cagnolino, l'amico, il dentista, il santo del giorno, la battaglia di Itararé; giornata di polenta o crauti, feijoada, …

In tempi che immaginavamo di buon auspicio prevalenti, potremmo salutare questa celebrazione diffusa per tutto e tutti come un altro progresso democratizzante. Ora, finalmente, potremmo essere tutti onorati di una giornata solo per te; tutti e tutto sarebbero degni di encomi, lodi, applausi, ovazioni. Ebbene, se tale egualitarismo fosse il principio prevalente che concede riconoscimento e dignità intrinseca a tutti, indipendentemente dalle funzioni o dalle condizioni, avremmo certamente un progresso civilizzante, questo degno di essere celebrato. Ma, le strutture che ci inquadrano ei processi che determinano le nostre possibilità di vivere bene, in una società ragionevolmente “equilibrata”, vanno ben oltre tali parametri desiderati.

Fatte queste premesse, come professore, mi rivendico il diritto di celebrare per me stesso, compresi i miei colleghi docenti, il 15 ottobre, “Festa del Maestro”, in cui, per vocazione, professione o maledizione di alcuni ministri, noi sono onorati.

Insegnante, studenti, scuole, curricula, aule, metodi didattici, valutazioni. Contesti locali, politiche pubbliche, situazioni di governo, cultura, ideologie.

Elenco qui alcune dimensioni che circoscrivono la vita e l'opera di un insegnante. Prescindere dall'insieme di questi aspetti in cui si situa l'attività didattica, considerarla isolata, come un attributo di individui singolari con una presunta funzione intrinseca e nobile, è sottoscrivere un'astrazione, che come tale può riguardare insieme una pratica illustrata e dignitosa, così come il suo rovescio, un oscurantismo castrante, alienante, manipolatore che viola le personalità e riproduce strutture di disuguaglianza.

Di fronte a una situazione in cui l'istruzione, la ricerca, la scienza, la conoscenza e la cultura, le loro pratiche, organizzazioni e istituzioni nel nostro Paese sono sotto il forte impatto di una cricca al potere che confronta i termini, i processi, le tradizioni in cui questi si esercitano secondo parametri consacrati, certamente in costante trasformazione creativa e immaginativa, sulla scia della secolare accumulazione per l'illuminismo, l'autonomia, l'illustrazione e l'emancipazione, sta a noi affrontare tali sviluppi con la risorsa della critica e con la disposizione politica di un “basta ".

Contro tale negligenza governativa, contro tali orientamenti oscurantisti, contro protagonisti così squalificati nella gestione ministeriale, contro tale ottusità e violenza che intendono impiantare la via militare e la disciplina nelle scuole, contro un programma ideologico assurdo e dannoso per le intelligenze in formazione che si presenta come una “Scuola senza partito”, contro tutto questo fermento preilluminista e protofascista bisogna mobilitare energie e fissare impegni attorno ad un imperativo, la “resistenza”.

Resistenza contro una proposta che non ha lo scopo di far avanzare i giovani, ma che vuole fermare il loro progresso; non è formarne lo spirito, ma piuttosto adattarlo a un ordine regressivo, conformarlo a valori anacronistici; non è sprigionare energie creative stimolando innovazioni ed esperimenti, ma disciplinarle, livellarle a conformismo alienante, ottuso.

Resistere alle baracche nelle scuole, resistere alla mancanza di amore per la scienza e la cultura, resistere alla prigionia delle intelligenze, resistere alla clausura del pensiero, resistere all'imbecillità, alla mediocrità, alla cruda strumentalizzazione del sapere, resistere all'ipocrita igiene moralistica, resistere al patriottismo canaglia, resistere al accorciare gli orizzonti, inquadrare il futuro, resistere alla disperazione, resistere, resistere, resistere per affermare la vita, la libertà, la dignità, un mondo da scoprire, un'esistenza da fiorire.

È auspicabile che non solo i giovani, ma le contingenze più ampie e crescenti rispondano a queste pressioni con impegni solidi e rinnovati impulsi di libertà e autonomia.

Il mondo che vogliamo, la società che vogliamo e l'esistenza felice che vogliamo devono basarsi su parametri diversi dallo sfruttamento del lavoro, dalla cultura della paura indotta, dal feticcio della sicurezza con cui si intendono inquadrare e limitare le prospettive di vita , soprattutto quella dei giovani. Questi primi hanno bisogno di incoraggiamento per affrontare le sfide della loro educazione, attenzione ai loro talenti, rispetto per i loro limiti e difficoltà, per essere trattati come individui non come automi, destinatari acritici di contenuti sterili che nulla hanno a che fare con i loro desideri, i loro progetti, le tue capacità e inclinazioni.

Gli insegnanti qualificati e responsabili, critici e interessati, che possono costituirsi come tali solo in un ambiente sociale e istituzionale democratico, rispettoso dei diritti e delle libertà, sono gli agenti necessari per l'educazione dei giovani secondo questi presupposti. Sono proprio questi presupposti che oggi sono sotto il tallone minaccioso di goffi autoritarismi e personaggi caricaturali, ma non per questo meno pericolosi.

In uno scenario come questo, di minacce all'istruzione, di affronto ai diritti degli insegnanti che, più che mai, vengono trattati come dei poveri diavoli, non c'è posto per una banale celebrazione, una vuota esaltazione retorica della loro nobile funzione; spetta piuttosto alla denuncia e alla lotta, alla resistenza e alla mobilitazione non solo limitate alla propria condizione e alle circostanze della loro attività, ma anche quelle che si riferiscono alla società nel suo insieme, chiedendo la solidarietà attiva di tutti, dato che tutti sono ostaggi di questo sinistro momento, dal cui superamento tutti dipendiamo per ristabilire prospettive di vita e di società in cui valga la pena vivere.

Vale la pena notare che, se si considerano gli aspetti più generali che riguardano le virtualità dell'educazione, questa, contrariamente a un certo senso comune, non assicura, di per sé, destini virtuosi ai singoli, o alla società. Ci sono educazioni libertarie e conformiste, universaliste e umanistiche, specializzate o strumentali, educazione per la vita ed educazione per il mercato. Come abbiamo tristemente visto nel nostro Paese negli ultimi anni, alcune delle scelte politiche più disastrose, irresponsabili, più dannose, più offensive per i diritti e le libertà sono state fatte da strati sociali con un'istruzione superiore, con un'istruzione formale più avanzata. A questa condizione privilegiata, in termini di conoscenza, non corrisponde necessariamente un'adeguata coscienza in termini di processi storici attuali, essendo forse più in sintonia con le linee di Bob Marley,

Costruire chiesa e università, wooh, sì!
Ingannare le persone continuamente, sì!
Io dico quei laureati ladri e assassini
Attento ora che succhiano il sangue dei sofferenti 

L'educazione ei suoi agenti, pratiche e istituzioni non sono quindi nel vuoto, non hanno una natura intrinseca, essenzialista. Sono incorporati e fanno parte di un modello di società che ne definisce i parametri. Sono questi che ora, un occasionale dominio politico regressivo intende modificare, attraverso un'inflessione oscurantista.

Se avranno successo, le scuole cesseranno di essere un sistema educativo promettente, che, se è già in cattive condizioni, sarà definitivamente rotto; diventerà un'istituzione detestata dagli studenti, compromettendo la loro istruzione, imprigionandoli nella morsa della mediocrità, rendendo il loro futuro desolante. Se lo smantellamento e l'attacco alle università continua, sarà probabilmente rivendicato per il nostro consumo l'affermazione che Bernard Shaw ha fatto per il caso del Regno Unito, Il cervello di uno sciocco trasforma la filosofia in follia, la scienza in superstizione e l'arte in pedanteria. Il danno non sarà solo personale, ma della società nel suo insieme.

Ancora una volta siamo chiamati - coloro che non si lasciano attrarre da miti fuorvianti e proposte farsesche, corrotti da appelli demagogici, né si lasciano intimorire dai denti rabbiosi mostrati dalla reazione -, a impegnarsi in una lotta politica senza tregue e concessioni per salvaguardare le libertà e promuovere i diritti in a polis alle sue fondamenta, in a bullone degno dei suoi membri, in a repubblica allineato con i suoi cittadini.

Da Paideia a Montaigne, da Rousseau a Raul Pompeia, da Bernard Shaw a Maurício Tragtenberg, da Stefan Zweig a Pierre Bourdieu, da Maria Montessori a Emilia Ferreiro, da Ingmar Bergman a Rubem Alves, da Robert Musil a Paulo Freire, da Bertrand Russell a A Florestan Fernandes, per citare a caso alcuni insigni pensatori, non sono mancate critiche, interrogazioni, ironie o denunce di approcci pedagogici, metodi di insegnamento, istituzioni educative antiquate, decrepite, anacronistiche.

L'educazione non è compito solo degli educatori, tanto meno delle famiglie o delle istituzioni; passa certamente attraverso quello, ma non si riduce ad agenti privilegiati o ad apparati burocratizzati. L'apprendimento avviene attraverso vari canali, attraverso molteplici interazioni, attraverso l'interlocuzione di vari protagonisti. Se a un certo punto del processo educativo c'è un punto terminale, sancito da un certificato o da un diploma, il fatto è che non si finisce mai di imparare, c'è sempre qualcosa di sconosciuto che si è sfidati a svelare, una realtà modificata che chiede di essere compresa , un'ignoranza che deve essere superata, se vogliamo o siamo costretti dalle circostanze della vita o del lavoro a rimanere sulla superficie del mare turbolento dell'esistenza.

È certamente necessario correlare istruzione, apprendimento e formazione con le esigenze socio-strutturali per far funzionare la società, ma ciò non deve avvenire in una camicia di forza cognitiva che sancisca la separazione dei saperi, né che distribuisca in modo diseguale l'accesso alla conoscenza. o concedere privilegi ad alcuni svalutando altri solo a causa delle diverse aree di studio in cui hanno approfondito e che danno loro diverse prospettive professionali.

L'educazione, la sua esigenza, le sue promesse e potenzialità sia per conferire competenze specifiche, formare personalità, dare senso all'esistenza rendendola più piena, sia per delineare configurazioni sociali estese è, dunque, compito della società. Di conseguenza, avremo un'educazione che rende giustizia a ciò che propone solo se avremo una società le cui strutture, pratiche e processi puntano alla crescente realizzazione di sfere partecipative, libertarie ed emancipatrici.

È vero che l'educazione stessa, come pratica specifica, è stata additata come uno dei presupposti di tali possibilità, ma è anche vero che non le si può attribuire un ruolo idealizzato, che spesso serve a spiazzare la comprensione di altre strutture, sia quelli che ostacolano tali sviluppi, sia quelli che li favoriscono.

L'ironia, con conseguenze disastrose, è che dalla tanto pubblicizzata essenzialità dell'educazione personale e dalla sua estensione universale attraverso il sistema educativo nella modernità, l'educazione è stata in pratica la sua formulazione, attuazione e finanziamento come politiche pubbliche e come valutazione socio-professionale del suo agente principale, l'insegnante, un'area relegata, un'istanza di seconda classe che si mantiene solo, o mantiene parametri minimi, a causa dell'altruismo dei suoi protagonisti immediati.

Non c'è dubbio che ci troviamo, sotto il governo dell'ex capitano con tendenze fasciste e dei suoi militanti e incredibilmente ottusi ministri dell'Istruzione, in un terribile momento di deprezzamento della scienza, di dequalificazione del sapere, di attentati all'università, di infami calunnia di professori, di luride proposizioni didattiche.

Che questo scavare nel pozzo dell'oscurantismo ne abbia spezzato gli strumenti perforanti con la resistenza degli illuministi, degli anticonformisti, di coloro che, negando, con l'impeto delle loro lotte, la validità e la progressione della barbarie, affermano la possibilità di una nuova alba, cioè c'è una buona agenda celebrativa per il giorno dell'insegnante di questo anno di pandemia e, per inciso, per tutti gli altri giorni di questo e dei prossimi anni.

* Remy J.Fontana, sociologo, è professore in pensione presso il Dipartimento di Sociologia e Scienze Politiche dell'UFSC

 

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