da CRISTINA DINIZ MENDONÇA*
Una conversazione immaginaria con Bento Prado Jr., in occasione degli 80 anni del libro “O Ser e o Nada”
"… mais vraiment vie et philo, ne font plus qu'un(Jean-Paul Sartre, Lettera a Simone de Beauvoir, gennaio 1940)
1.
“Sono un filosofo? O sono alfabetizzato? Penso che quello che ho fatto dai miei primi lavori sia qualcosa che fonde le due cose: tutto quello che ho scritto è sia filosofia che letteratura, non giustapposto, ma ogni dato elemento è sia letterario che filosofico”. È così che Jean-Paul Sartre diagnostica, alla fine degli anni '1970, il risultato del suo vasto lavoro. Ma il punto di arrivo dell'autore non è altro che un punto di partenza: lungi dal chiudere la discussione sulla natura della sua opera, tale diagnosi la riapre soltanto. Filosofia e letteratura insieme? I romanzi come forma letteraria e filosofica? Le opere considerate di “filosofia pura” come forma filosofico-letteraria? Questo ibrido sartreano è piuttosto un enigma da decifrare.
Uno sguardo all'opera di Sartre nel suo complesso, soffermandosi su alcuni dei suoi momenti più significativi, rivela la peculiare trasformazione dei generi lungo il percorso dell'autore. Di romanticismo la nausea (1938) e i racconti di Il muro (1939) a Essere e Nulla (1943), un “saggio sull'ontologia fenomenologica”, la cui stesura è però simultanea a quella di un dramma (le mosche) e quella di un romanzo (Le Rimanere).
De Essere e Nulla, concepito come “filosofia pura”, ai saggi di “critica e politica” (i dieci volumi di situazioni), reportage giornalistici, spettacoli teatrali e sceneggiature cinematografiche (tra cui spicca il Scenario Freud, audace ricostruzione di un momento cruciale della vita e dell'opera di Freud, scritta nel 1958-1959 per John Huston).
L'evoluzione di tutti questi generi definiva finalmente il profilo dell'ultima figura del pensiero sartriano, la “concreta monografia storica”, che trova una notevole espressione in San Genetto (1952) e culmina nel monumentale studio su Flaubert, L'idiota di famiglia (1971), concepito come “un esempio concreto” di un metodo capace di “combinare psicoanalisi e marxismo”.
Ma perché il saggio (come forma), sia in situazioni sia in “concrete monografie storiche”, invece del lavoro di “pura riflessione” (una Morale) promesso alla fine del Essere e Nulla? Perché Sartre abbandona questo progetto filosofico? La posta in gioco di questo abbandono è niente di più, niente di meno che il problema dello statuto della filosofia nel nostro tempo, o la forma problematica della sua sopravvivenza dopo la “decomposizione dello Spirito Assoluto” (per usare i termini usati da Marx ed Engels per fare riferimento a) fare riferimento alla dissoluzione del sistema hegeliano). E ancora: la traiettoria stessa del pensiero sartriano – da progetto di “filosofia pura” a L'idiota di famiglia – è l'espressione di questo problema della sopravvivenza della filosofia (e anche della letteratura) nelle condizioni sociali del mondo contemporaneo, segnalando la ricerca di una nuova forma in grado di gestire il tempo presente. (Qui, tra l'altro, è il punto di fuga verso il quale convergono le principali linee di forza del "marxismo occidentale", sia detto di sfuggita.)
“Hegel rappresenta l'apogeo della filosofia. Da lì, regressione. Marx fa ciò che Hegel non aveva fatto del tutto (…). Poi la degenerazione marxista. Degenerazione tedesca post-hegeliana. Heidegger e Husserl Piccoli filosofi. Filosofia francese nulla”. Il dispiegarsi di queste parole, scritte da Sartre nella seconda metà degli anni Quaranta, Cahiers pour un morale, sarà questa roboante affermazione dell'autore, quasi due decenni dopo: "al momento attuale non possono esserci filosofi".
Ma, come la filosofia, anche la letteratura (nel suo senso tradizionale) è diventata impossibile “al momento attuale”: “non c'è più letteratura”, concludeva Sartre in un'intervista rilasciata nel 1971. Poco prima, nel 1970, interrogato sui motivi che lo avrebbe portato ad abbandonare il romanzo per scrivere “biografie” – il romanzo sarebbe diventato “una forma letteraria impossibile”? –, Sartre risponde: “Non c'è più alcun universo naturale del romanzo e può esistere solo un certo tipo di romanzo: il romanzo 'spontaneo','ingenuo'”. E in una successiva intervista, dice che anche se è "affascinato" dallo stile di Madame Bovary, sa benissimo che non si può più scrivere come Flaubert: questo tipo di romanzo appartiene a “un mondo già superato”.
Se è stata l'esperienza della prima guerra mondiale a portare Walter Benjamin a formulare il problema della fine della narrazione, è l'esperienza della seconda guerra mondiale a portare Sartre a ricercare una nuova forma “narrativa”, sostitutiva della tradizionale romanzo e filosofia. Nell'immediato dopoguerra, facendo il punto sulle trasformazioni che la storia ha imposto alla forma letteraria, l'autore scrive: “Non è più tempo di descrivere o narrare” (Cos'è la letteratura?). (Quasi un decennio dopo, e in modi completamente diversi, Adorno formula lo stesso problema: “Non è più possibile narrare, mentre la forma del romanzo esige narrazione” – il che rende ormai impossibile il “romanzo tradizionale”.)
Già nel carteggio (inedito) con Jean Paulhan, dal 1937 al 1940, vediamo Sartre alla ricerca di una nuova forma letteraria, che, pensando a Malraux, chiama “romanzo reportage”. Successivamente, il privilegio concesso a Jean Genet nasce dall'idea che la sua opera sia essenzialmente un documento, un fatto reale – un “documento” che, esponendo crudamente aspetti della realtà sociale, ne è allo stesso tempo critico. Questa è, tra l'altro, la funzione che Sartre attribuisce al saggio, la cui forma si propone di ricercare subito dopo aver scritto Essere e Nulla, come attesta questo brano scritto nel 1943: “Il romanzo contemporaneo, con autori americani, con Kafka, tra noi con Camus, ha trovato il suo stile. Resta da trovare il test. E direi anche quello della critica”.
Ma non siamo più lontani anni luce dall'idea espressa alla fine di Essere e Nulla, che solo nel campo della “pura riflessione” i veri problemi possono trovare una vera soluzione? Una distanza che si accresce ancora di più se si pensa che, al momento di scrivere il suo studio su Flaubert, l'autore annuncia questa monografia “concreta” come controparte delle analisi puramente “teoriche” intraprese nel Critica della ragione dialettica (1960), “che in realtà non ha portato da nessuna parte”.
Dove si situa, in fondo, l'ibrido che Sartre pretende di definire la sua opera nel suo insieme? Né “filosofia pura” né “letteratura pura” (leggi “romanzo tradizionale”), ma piuttosto un passaggio tra le due che ne disfa le forme tradizionali? In tal caso, l'opera di Sartre potrebbe essere pensata come un momento nel processo di trasformazione storica della forma filosofica e letteraria (o la decomposizione delle forme filosofiche e letterarie tradizionali)., Qual è la particolarità delle determinazioni che costituiscono questo momento?
2.
“È stata la guerra a far esplodere le vecchie strutture del nostro pensiero. La guerra, l'occupazione, la resistenza, gli anni che seguirono”, si legge Questione di metodo (1957). Ma questa “esplosione”, cioè la rottura con la tradizione “spiritualista” accademica francese, più precisamente con la “filosofia alimentare”, “digestiva” (teoria della conoscenza), della Terza Repubblica, era stata preparata fin dalla metà del Anni '1930: periodo di turbolenze politiche in cui prende forma il progetto letterario e filosofico di Sartre. È proprio nello scontro con il “vecchio idealismo tradizionale degli universitari francesi” (nelle parole di Simone de Beauvoir) che il pensiero sartriano comincia a prendere forma.
Non a caso, nelle prime opere più significative dell'autore, il nemico numero uno è proprio questo “idealismo ufficiale” della Terza Repubblica. Basta ricordare, nel romanzo la nausea, l'ironia del personaggio Roquentin nei confronti del “filosofo umanista”, figura odiata al punto da… Nausea, appunto. Oppure dal primo libro di filosofia di Sartre, La trascendenza dell'ego (1936), i quali, prendendo di mira soprattutto Lachelier e Brunschvicg, denunciano il “neokantismo” come “una tendenza pericolosa della filosofia contemporanea”.
O ricordate, ancora, il celebre saggio su Husserl, scritto nel 1933-1934, che si apre con un vivace attacco alla “filosofia del cibo”: “Tutti noi leggevamo Brunschvicg, Lalande e Meyerson, tutti credevamo che lo Spirito-Ragno attirasse le cose alla sua tela, le ricoprì di una bava bianca e le inghiottì lentamente, riducendole alla loro stessa sostanza. Cos'è un tavolo, una roccia, una casa? Un certo composto di "contenuti di coscienza", un ordine di questi contenuti. Oh filosofia alimentare! (...) I più semplici e rozzi tra noi cercavano qualcosa di solido, qualsiasi cosa, insomma, che non fosse lo spirito. Invano. Ovunque trovarono solo una nebbia opaca e distinta: loro stessi”. Qualche tempo dopo, nel loro Diari di guerra – momento in cui la tempesta di guerra trascina con sé i valori dominanti (“idee, valori, tutto fu scosso”, dice Simone de Beauvoir, riferendosi a quella “guerra che mise tutto in discussione”) –, infine Sartre conclude l'epoca bellica dell'egemonia della tradizione “spiritualista”: “Per noi, Nizan, Aron, me stesso, (…) questi poveri diavoli [Baruzi, Brunschvicg ecc.] erano i più odiosi rappresentanti del pensiero codardo e del verbalismo. (…) Nulla ci è dispiaciuto di più di questo grigio pensiero…”. Riferendosi poi a quel “pensiero grigio” come cosa del passato (l'uso del verbo al passato è suggestivo), il Diari di guerra di Sartre intendono mettere l'ultima palata di calce su questa ideologia che muore insieme al mondo che ha cercato di eternare. Ma allo stesso tempo che questi Quotidiano (Da dove proviene Essere e Nulla) annunciano la fine di uno dei cicli della cultura borghese in Francia, annunciano anche l'inizio di una nuova era, che presto emergerà: i "tempi moderni".
In effetti, l'altro aspetto della rottura con la “cultura defunta”,, che ordinò preghiere per il libretto sul “Primario dello Spirituale” (titolo di Maritain, deriso da Simone de Beauvoir nel libro Quando lo spirituale prevale), è la scoperta (causa ed effetto di questa rottura) della “modernità”, la cui parola d'ordine fu lanciata da Jean Wahl nel 1932: “Verso il concreto”. Se una volta, come ha denunciato Sartre in L'immaginazione (1936), “il successo del kantianesimo” in Francia fu sintomo di una “forte reazione conservatrice”, ora, alle soglie di una nuova era, la rottura con questa tradizione è foriera di un periodo di effervescenza rivoluzionaria che pone, all'ordine del giorno, per un'intera “generazione intellettuale”, il tema della “modernità” – e con esso la necessità di un pensiero critico, negativo: avverso al conservatorismo, radicale, non accademico.
In che termini questa scoperta della “modernità” avviene in quella Francia sconvolta dalla radicalizzazione dei conflitti sociali? Dal punto di vista letterario, è diventato possibile con la scoperta di Kafka e, soprattutto, dei classici del modernismo americano; dal punto di vista filosofico, è dovuto a una triplice scoperta: Husserl, Heidegger, (entrambi rovesciati e convertiti in filosofi d'avanguardia) e Hegel (riletto nella prospettiva della filosofia dell'azione di Kojève)., Con tali scoperte si completano gli anni di apprendimento della “generazione 3 H”, come nel dopoguerra divenne nota la generazione di Sartre e Merleau-Ponty – la “3 H”, in questo caso, interpretata come “realistica” filosofi.”, punto di partenza per una “filosofia concreta”. La strada è aperta per l'arrivo folgorante sulla scena dell'esistenzialismo, senza dubbio il capitolo più ricco e interessante della filosofia francese contemporanea.
La maggiore espressione teorica di questo movimento di rinnovamento culturale in Francia, che risulta dalla rottura con la tradizione spiritualista e dalla scoperta della “modernità”, è Essere e Nulla – allo stesso tempo culmine del processo di liquidazione di un genere educativo e risposta ai “Tempi Moderni” allora in atto. Al crocevia di due mondi, il “saggio in ontologia fenomenologica” di Sartre è anche al crocevia principale dei percorsi percorsi dai generi lungo l'itinerario dell'autore – il che ci riporta al nostro problema di partenza. La chiave per comprendere il senso di questo itinerario, la sua genesi e il suo esito, è a mio avviso nella struttura di Essere e Nulla. In questo momento particolare del pensiero dell'autore – momento unico e irriducibile –, insieme al movimento generale del tempo, si riproduce l'insieme delle determinazioni dello svolgimento della sua opera.
3.
La struttura ontologica di Essere e Nulla (SN) è costituito da un dialogo critico con Heidegger e con Hegel, fondamentalmente – è il risultato di un deliberato proposito di assimilare, rielaborare, il quadro concettuale di questa “modernità” filosofica. Questa finalità è impressa nella frase di apertura del libro: “Il pensiero moderno ha compiuto notevoli progressi nel ridurre l'esistente alla serie di apparizioni che lo manifestano. Lo scopo era sopprimere un certo numero di dualismi che imbarazzavano la filosofia e sostituirli con il monismo del fenomeno. L'obiettivo è stato raggiunto?" Se il “pensiero moderno” risponde qui al triplice nome “3 H” (di cui Hegel e Heidegger, un po' amalgamati, prevalgono su Husserl), è necessario comprendere l'imperativo di questa apertura di pensiero. Essere e Nulla: “modernità” filosofica significa, in questo caso, una rottura con la filosofia moderna in senso kantiano, cioè con la teoria della conoscenza.
Per dirla da ragazzini: d'ora in avanti la filosofia non potrà più, pena il regresso, essere identificata con la teoria della conoscenza. già dentro Trascendenza dell'Io, Sartre aveva imposto la seguente condizione per lo sviluppo di un progetto filosofico “realistico”: “Basta che il Eu è contemporaneo al Mondo e che la dualità soggetto-oggetto, che è puramente logica, scompare definitivamente dalle preoccupazioni filosofiche”. Il primato della negazione in Essere e Nulla, cioè la negazione come punto di partenza dell'indagine filosofica, presuppone lo smantellamento del “primato della conoscenza”, tipico della teoria epistemologica tradizionale.
Questo disassemblaggio è, come è noto, l'asse della lettura heideggeriana di Kant, in Essere e tempo, secondo il quale la verità non è più un'adeguatezza tra il soggetto e l'oggetto. Tuttavia, se la critica di SN alla teoria epistemologica tradizionale presuppone soprattutto il punto di vista di Essere e tempo, presuppone anche il Fenomenologia dello spirito di Hegel che, va ricordato, inizia proprio con una critica della teoria della conoscenza di Kant. Non a caso, dunque, le prime pagine di SN sono dedicate a disfare “l'illusione del primato della conoscenza”: “Conviene abbandonare il primato della conoscenza se si vuole fondare la conoscenza stessa. (…) La riduzione della coscienza a conoscenza, in effetti, comporta l'introduzione nella coscienza della dualità soggetto-oggetto, tipica della conoscenza”. Che si riassume nei seguenti termini: “Siamo qui sul piano dell'essere, non della conoscenza”. E il “piano dell'essere” coincide con il piano dell'esistenza, come conclude Sartre Verità ed Esistenza (opera postuma, manoscritto del 1948): “La coscienza non è conoscenza, ma esistenza (cfr. Essere e Nulla) ".
In questa luce, è comprensibile che il fatto che Husserl intenda la Fenomenologia come una teoria fondamentale della conoscenza sia inaccettabile agli occhi di Sartre de Essere e Nulla (imbevuto di Heidegger e dell'Hegel di Kojève, non fa mai male ricordarlo). Anche se qualche anno prima, nel saggio su Husserl, il nostro autore pensava di aver trovato in quest'ultimo gli strumenti necessari per rompere con l'epistemologia dominante nella filosofia francese (“La filosofia francese che ci ha formati non conosce quasi altro che epistemologia. Ma per Husserl e i fenomenologi, la consapevolezza che abbiamo delle cose non si limita affatto a conoscerle”), in Essere e Nulla viene scartato il punto di vista husserliano: “Così, avendo ridotto l'essere a una serie di significati, l'unico legame che Husserl ha potuto stabilire tra il mio essere e l'essere dell'altro è quello della conoscenza; non saprebbe, quindi, più di Kant, come sfuggire al solipsismo”.
Se l'origine del progetto filosofico sartreano è la scoperta di Husserl ("Vedevo tutto dalla prospettiva della filosofia di Husserl, che mi era più accessibile per via della sua parvenza di cartesianesimo", nei termini con cui il Carnet di guerra drole ricordiamo il momento della scoperta della fenomenologia), il suo compimento, nella forma del “saggio dell'ontologia fenomenologica”, lo deve più a Heidegger che alla filosofia husserliana (il cui “idealismo” Sartre, già Carnet di guerra drole, ritiene superato da Heidegger).
Em Essere e Nulla, l '"idealismo" di Husserl è considerato un passo indietro rispetto a Hegel - quindi, mancando di rispetto alla cronologia, Sartre esamina i problemi filosofici in questione dalle soluzioni trovate da Husserl, Hegel e Heidegger (in quest'ordine). Rispetto a Husserl, riguardo al problema dell'Altro, è stato Hegel che "ha saputo porre il dibattito al suo vero livello" ("sebbene la sua visione sia oscurata dal postulato dell'idealismo assoluto"): "La geniale intuizione di Hegel è quello di rendermi dipendente dall'altro nel mio essere. Io sono – dice – un essere per sé che è solo per sé attraverso un altro. È dunque nel mio cuore che l'altro mi penetra».
La grande critica di Essere e Nulla per Husserl è che non avrebbe veramente superato l'idealismo kantiano: “Non ha mai superato la pura descrizione dell'apparenza in quanto tale, è finito nel cogito (…); e il suo fenomenismo rasenta in ogni momento l'idealismo kantiano”. Nel primo capitolo del libro, Sartre afferma che Husserl, tanto quanto Kant, inizia "deliberatamente con l'astratto" - "Ma non riusciremo a ripristinare il concreto mediante la somma o l'organizzazione degli elementi astratti da esso". Il che porterà alla seguente conclusione sul kantianesimo di Husserl: "Husserl ha mantenuto il soggetto trascendentale (...), che è molto simile al soggetto kantiano" e, in tal senso, è inferiore a Hegel - "Passando da Husserl a Hegel , facciamo un immenso progresso”.
Nemmeno Hegel, però, avrebbe risolto il problema: “Cosa ci ha portato questa lunga critica [di Hegel]? Semplicemente questo: il mio rapporto con l'altro è, anzitutto, un rapporto dell'essere con l'essere, e non del sapere con il sapere, se si può confutare il solipsismo. Abbiamo visto, in effetti, il fallimento di Husserl, che misura l'essere con la conoscenza, e il fallimento di Hegel, che identifica la conoscenza e l'essere”. A questo proposito, è Heidegger ad aprire la strada mostrando che “il rapporto originario dell'altro con la mia coscienza non è conoscenza”. In Essere e Nulla, è l'azione che prevale sulla conoscenza – ma qui, in questo primato dell'Azione, siamo già di fronte a un Heidegger di segno opposto, cioè il “quietismo” heideggeriano ha già ceduto il passo all'attivismo alla Kojeve.
Ma se la questione della verità non può più essere pensata in termini di antagonismo epistemologico kantiano (di qui il “fallimento” di Husserl), lo scopo della filosofia non è nemmeno un “assoluto della conoscenza”, come nella filosofia dogmatica del XVII secolo: “ Rinunciando al primato della conoscenza, (…) troviamo l'assoluto, lo stesso assoluto che i razionalisti del XVII secolo avevano definito e logicamente costituito come oggetto di conoscenza. Ma ora è un assoluto dell'esistenza, e non della conoscenza (…). Infatti, l'assoluto qui non è il risultato di una costruzione logica nel campo della conoscenza, ma il soggetto della più concreta delle esperienze” (Essere e Nulla, p. 23).
All'“assoluto della conoscenza”, logicamente costruito dal “grande razionalismo” del Seicento (per usare l'espressione di Merleau-Ponty), Essere e Nulla si oppone quindi a un “assoluto dell'esistenza”, definito come “il soggetto della più concreta delle esperienze” – egli é il proprio Esperienza., Non più inquadrabile negli stampi della precedente tradizione epistemologica, la questione della verità si colloca ora in un altro registro: quello del vissuto. (Di cui, tra l'altro, Malraux – un'importante fonte di Essere e Nulla– enunciato in termini letterari, nel Condizione umana: "Non era né vero né falso, ma vissuto".) Ciò significa che, proprio come prima, al momento del consolidamento del mondo moderno, la filosofia, dopo una lunga traversata di "mari turbolenti", ha messo piede su un terreno solido ( proprio come Hegel salutò l'avvento del pensiero moderno), separandosi dalla teologia, ora (con Essere e tempo soprattutto) la filosofia si distacca dalla teoria della conoscenza (e dal soggetto trascendentale), cercando di raggiungere il terreno dell'“esperienza concreta”.
Al posto di una teoria della conoscenza, e del soggetto trascendentale kantiano, un “pensiero della storicità” (Heidegger, certo, ma già molto radicalizzato); invece dell'“assoluto della conoscenza”, tipico della filosofia dogmatica del XVII secolo, un “assoluto dell'esistenza” (che Merleau-Ponty chiamerà “il metafisico nell'uomo”). In una parola: una “filosofia concreta”, cioè capace di mostrare “la necessità di un'esistenza concreta e contingente in mezzo al mondo” (Essere e Nulla, p. 409).
In questa connessione viva con il mondo, in questa ricerca esasperata del concreto, in questa “metafisica” desacralizzata e ridotta al livello dei problemi della storia immediata, in questa filosofia, insomma essenzialmente delle situazioni, ciò che si vede è già il sagoma di un altro personaggio della storia galleria di generi che caratterizzano l'evoluzione del pensiero sartriano. Ma se quest'altra figura, plasmata dal binomio “critica e politica”, ha saputo insinuarsi nel cuore di un “saggio di ontologia fenomenologica”, nonostante l'intenzione dell'autore di dispiegarlo in un'opera di “pura riflessione”, è perché eravamo più davanti a una filosofia in senso stretto.
Contaminato dalle impurità del mondo, dissolto nel quotidiano, la “filosofia” esposta in Essere e Nulla aveva già cambiato genere, cioè le analisi del libro erano responsabili di disfare radicalmente la sua forma tradizionale (a differenza dell'autore, ovviamente, che immaginava di costruire un'opera di “pura filosofia”). Questa è la posta in gioco nella reinvenzione avanguardistica di Heidegger e in cui opera Hegel Essere e Nulla. Non sorprende, quindi, che il passo successivo, reso possibile dalla scoperta che la vera concretezza non si raggiungerà attraverso la storia ontologica di Heidegger (che, per inciso, era già segnalata in SN), sia stato il riallineamento degli schemi concettuali di Sartre nella direzione del marxismo, quell'orizzonte “invalicabile” del nostro tempo, come si legge Questione di metodo.
A questo proposito, gli itinerari di Sartre e Merleau-Ponty sono opposti, ma questa è un'altra storia, inscritta nel capitolo della svolta ideologica della filosofia francese alle soglie degli anni Sessanta, quando l'avanguardia esistenzialista comincia finalmente a declinare.
*Cristina Diniz Mendonca Ha conseguito un dottorato di ricerca in Filosofia presso l'USP.
Versione estesa del Preambolo della tesi di dottorato Il mito della resistenza: esperienza storica e forma filosofica in Sartre (Un'interpretazione di L'Être et le Néant).
note:
([1]) Il termine “tradizionale” è qui usato nel senso di Horkheimer e Adorno. Se Marx ed Engels parlavano di “scomposizione dello Spirito Assoluto” (processo storico il cui sviluppo porterà Horkheimer a contrapporre “Teoria tradizionale” e “Teoria critica”), Adorno, considerando le condizioni sociali del mondo contemporaneo, parla di “ la scomposizione della forma romanzesca”, cioè del “romanzo tradizionale”, la cui espressione “più autentica” sarebbe il romanzo di Flaubert.
(2) Espressione coniata da Paulo Arantes riferendosi a quella cultura “di cui si nutriva la cachettica borghesia francese tra le due guerre” (“Un Hegel errato, ma vivo”, IDE, nº 21, 1991).
([3]) Se poi, più di un decennio dopo questa scoperta della fenomenologia tedesca, Sartre afferma che Heidegger e Husserl sono “piccoli filosofi” è nel senso (spiegato solo nel Questione di metodo) che quanto hanno fatto non è stato abbastanza radicale da caratterizzare una nuova era di “creazione filosofica” (anche perché ciò non sarebbe più possibile, per ragioni storiche). Tuttavia, in una Francia dominata dallo “spiritualismo” dell'Università della Terza Repubblica (un misto di positivismo e neokantismo), Husserl e Heidegger significavano per la generazione di Sartre la stessa modernità filosofica. Fu soprattutto lo smantellamento dell'oggettivismo kantiano, la detrascendentalizzazione della filosofia e la conseguente cancellazione del programma trascendentale delle filosofie postkantiane, operata da Heidegger in Essere e tempo, che ha permesso a Sartre di rompere con la nauseante "filosofia del cibo" (che alla fine l'ha resa possibile Essere e Nulla).
([4]) Erano i famosi corsi tenuti da Alexandre Kojève a École Pratique des Hautes Études, dal 1933 al 1939, che introdusse Hegel, “sempre emarginato dall'università”, come ricorda E. Roudinesco, alla generazione di Sartre: “Per sei anni, il discorso di quest'uomo diventa il linguaggio stesso della modernità, la quintessenza della modernità. "(Storia della psicoanalisi in Francia). Cfr. anche V. Descombes, Le Même et l'Autre, per il quale «se c'è un segno di cambiamento negli animi – rivolta contro il neokantismo, eclisse del bergsonismo –, è il forte ritorno a Hegel», fino ad allora «bandito dai neokantiani».
(5) Qualsiasi tentativo di raggruppare i problemi di SN all'interno del prisma della filosofia del diciassettesimo secolo è, quindi, un compito tanto innocuo quanto al di fuori del focus centrale del libro. Le sue dimostrazioni ontologiche, sebbene “tradizionali” (nel senso di Horkheimer), non sono nel senso della metafisica classica – qualcosa è cambiato in filosofia con Essere e tempo e quel cambiamento ha aperto la porta a Sartre. In SN il ritorno al cogito è a condizione di “estenderlo” (il che significa archiviarlo come tale) per poter incorporare l'esistenza dell'Altro, cioè l'intersoggettività. In questo contesto, è a dir poco strano (sebbene non sorprendente, trattandosi di un tipo di lettura tradizionale che colloca la SN nell'ambito della metafisica classica) che Gerd Bornheim possa giungere alla seguente conclusione sul “saggio sull'ontologia fenomenologica” di Sartre. : “Il presupposto metafisico di questa dottrina si trova nella dicotomia soggetto-oggetto ben presente nella Metafisica occidentale da Cartesio in poi”. Ponendo il problema solo in questi termini, si corre il rischio di dimenticare che già nella principale fonte filosofica di EN, Essere e tempo (per non parlare di Hegel), la dicotomia soggetto-oggetto, ovvero il rapporto univoco tipico del Cogito cartesiano, era diventata insostenibile. Non a caso Heidegger parla della necessità di “invertire” il cogito cartesiano, in quanto incapace di cogliere “il fenomeno del mondo”.
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