da CARLO DE NICOLA*
Non è stato perfetto, ma speriamo in un nuovo giugno, per farlo al meglio
Quando ho girato le scene del mini-documentario voci di Giugno, la situazione brasiliana era aperta. Alla vigilia delle grandi manifestazioni del 17 giugno 2013, militanti esperti, attivisti alle prime armi e il popolo in generale non potevano immaginare dove sarebbe andato il Brasile.
Non sono tra coloro che teorizzano giugno come una delle principali articolazioni della CIA, il centro di intelligence degli Stati Uniti. Se tutte le rivoluzioni sono impossibili finché non diventano inevitabili, quasi tre decenni dopo l'inizio della Nuova Repubblica, con la Costituzione del 1988, dopo rilevanti mobilitazioni su diversi fronti durante i governi di José Sarney, Fernando Collor, Itamar Franco e Fernando Henrique Cardoso, e poi, durante i governi Lula e Dilma Rousseff, c'è stata una convergenza temporanea, molto effimera, ma abbastanza potente, in quei giorni di fine autunno 2013.
Le scene di apertura del mini-documentario si svolgono il 13 giugno 2013, ultimo atto della sequenza “normale” di quei Viaggi – prima della massificazione avvenuta dall'atto successivo. Compresa, la repressione poliziesca che ha reso traballante il filmato in quei primi secondi di registrazione è stata quella che ha scatenato, poco dopo, le lesioni al giornalista del Folha de S. Paul, e il fotografo Sérgio Silva, che ha perso un occhio in quello stesso punto, all'angolo tra Rua da Consolação e Rua Maria Antônia.
Il clima era di paura perché negli atti precedenti c'era stata la repressione. La polizia è alla mia destra, sul marciapiede di Rua da Consolação, dove oggi ci sono negozietti e un'edicola. Poi ci sparano addosso proiettili di gomma a distanza ravvicinata, provocando il panico. C'è stato un blocco prima dell'atto, perché la regola anticipata dalle autorità era che non si poteva salire a Consolação. Quel 13 giugno fummo messi all'angolo, senza alcuna possibilità di difesa.
Zoom
Due donne che appaiono a colpo d'occhio nelle scene, compagne di militanza, sono diventate, anni dopo, personaggi pubblici e sono state elette alle legislature. In un certo senso anche June è stata istituzionalizzata, a destra ea sinistra.
Uno dei potenziali bersagli di quel grande atto era il quartier generale del Rete globale. Mentre passiamo davanti alla stazione – nel mini-documentario c'è lo spezzone video in cui “Chi non salta vuole fare!” – tutti ci chiedevamo chi avrebbe scagliato la prima pietra, o acceso la prima fiamma. Ma la marcia è andata avanti, impassibile.
È interessante notare che questo odio per il conglomerato della comunicazione e, forse, in una certa misura, per tutti i media corporativisti brasiliani, è stato incanalato, anni dopo, dall'estrema destra e da Jair Bolsonaro. Forse una delle proposte centrali, che potrebbe galvanizzare la mobilitazione, è stata proprio la democratizzazione dei media, con un programma nazionale di media popolari, finanziando e promuovendo collettivi decentralizzati, comunitari, radiofonici, televisivi e social media – collettivi, fino ad allora , ancora nascente, ma il Ninja Media si è già distinto.
Il programma di José Luiz Datena nel pomeriggio del 13 giugno 2013, durante l'ultimo atto prima dei grandi cortei, è emblematico: “Sei favorevole a una protesta antisommossa? Sì". Era in discussione la definizione di protesta e tumulto data dai media mainstream, e forse una certa ironia autoironica da parte degli spettatori, stufi di tutto ciò ma non capaci, come non lo eravamo noi, di proporre i cambiamenti. Lo stesso Datena è considerato, chissà, candidato sindaco alle elezioni di San Paolo del 2024, con potenziale elettorale.
“Non è solo per venti centesimi”, un'altra delle parole d'ordine, non guidava davvero ciò che veniva mobilitato – in realtà, non c'era accuratezza strategica. Degli atti “di routine” per il trasporto pubblico di qualità – concordato, e, su questo punto, va tutto lodato al Movimento Passe Livre (MPL) -, io stesso ricordo di aver partecipato a uno di essi davanti al Municipio di San Paolo nel 2011 si è passati, nelle marce successive, a una critica (impietosa) di tutto ciò che esiste.
Scelsi due brani per comporre la colonna sonora, uno dei quali di un gruppo brasiliano che avevo visto al Centro Culturale di São Paulo (CCSP) in quel periodo, e l'ho trovato interessante, soprattutto perché utilizzava brani radiofonici che si riferivano all'esercito dittatura. E, l'altro, di Geraldo Vandré – il Vandré degli anni Sessanta – che dialoga con un altro tempo, un presente in quella Rua Maria Antônia.
A causa di questa carenza strategica, meno colpa del MPL e più della sinistra brasiliana e dei suoi errori tattici e storici, la bandiera del Brasile ha guadagnato importanza. In assenza di concretezza programmatica, di basi su cui appoggiarsi, la gente ha cercato ciò che già sapeva, il patriottismo vuoto, da scaffale, tipico della Confederations Cup che si apriva in quelle settimane – sebbene oggetto di critiche da parte dei cortei – e da i Mondiali del Mondo – quello del Brasile sarebbe arrivato nel 2014, un anno dopo quegli eventi.
La bandiera nazionale sventolava ancora, senza la base di estrema destra che reggesse l'asta e la facesse scoppiare sulle teste dei più umili, gay, donne e neri, come avvenne anni dopo nell'ascesa di Jair Bolsonaro. Cercava un proprietario, un'imboccatura, una vocalizzazione, forse un progetto country.
Il giovane, accanto alla compagna, racconta di essere stato «uno di quelli che si lamentavano solo su Facebook». Infatti, questa era una delle “narrazioni” presenti in quei giorni: la gente si svegliava, cioè si mobilitava, invece di rimanere in letargo, e usciva dalle reti – nelle quali rimaneva sempre più vigile, ma ancora a un livello inferiore rispetto a quello che vediamo oggi nel 2023 con le discussioni che coinvolgono il disegno di legge notizie false.
A distanza di anni, proprio le reti hanno avuto un ruolo centrale nell'elezione di un leader di estrema destra che è, per certi versi, agli antipodi del giugno 2013. Anche solo lamentandosi ha saputo replicare e acquisire notorietà, in questo caso , con notizie assurdamente false, ma che trovarono una base sociale propizia nello storico conservatorismo brasiliano, ora high tech.
Il rifiuto dei partiti era presente fin dai primi atti, poiché il MPL portava un'aura anarchica in attesa di autonomismo, essendo spesso diligente nel sottolineare un presunto carattere “orizzontale” delle manifestazioni.
Quello che è successo dal 17 giugno 2013 in poi è stato un'altra cosa, un rancido organizzato contro il progressismo, a destra, rispecchiato nel governo di Dilma Rousseff, e nel suo partito, il PT. Se non erro, l'atto successivo al 17 giugno – forse il 20 giugno 2013 – è stato quello in cui skinheads circondarono il blocco alla sinistra del partito e ordinarono “dolcemente” di ammainare le bandiere.
Ne faceva parte anche il discorso antipolitico, come si può ascoltare nell'intervista all'uomo in giacca e cravatta. "I politici arricchiscono e riformano tutta la loro vita". Avremmo potuto proporre una via d'uscita a sinistra, c'erano discussioni sulla riforma politica, ma erano tutte trincerate nel potere stesso, in schemi dall'alto.
“Hey Haddad, non mi sbaglio, questo aumento è una cosa da tucano” si sente a un certo punto, e fa eco al discorso antipolitico, nella misura in cui se quello che viene spacciato per progressismo è uguale a conservatorismo, qual è il ruolo della partecipazione alla politica? Oggi, Fernando Haddad è definito il più tucano del PT, quando articola il ministero delle finanze del governo Lula. Ricordo l'annuncio congiunto di Fernando Haddad e Geraldo Alckmin, sindaco e governatore di San Paolo, sul ritorno alla tassa di trasporto di R $ 3,00 dopo quel grande evento del 17 giugno 2013.
Climax
Nella militanza ci sono giornate che durano anni, e posso dire che quanto ho vissuto e imparato in quelle Giornate di giugno 2013 si ripercuote ancora oggi. Ricordo che all'inizio, e talvolta a metà degli atti, il MPL indisse assemblee “istantanee”, sempre dalla parte più avanzata del corteo, per decidere, ad esempio, la prosecuzione del cammino, o il da farsi di fronte a una barriera della polizia. Era a dir poco bizzarro, davanti agli scudi delle Truppe d'assalto, che le persone si chinassero e iniziassero un'elaborata discussione sulle direzioni da seguire.
Dopo la strage del 13 giugno 2013, che ha avuto ripercussioni soprattutto per aver ferito i giornalisti dei media mainstream, l'evento Facebook dell'atto successivo – erano sempre il martedì e il giovedì – ha cominciato a guadagnare dimensioni esponenziali. Per quelli di noi che erano in quei viaggi di lotta, non sapevamo cosa aspettarci. Ricordo un incontro in cui un leader lo ha chiarito: "il business sarebbe stato molto grande, come non ne avevamo mai visti prima". E la politica era giusta: il nostro banner mostrava il sito web del collettivo.
Ricordo di essere stato ospitato insieme ad altre persone quel 13 giugno in un garage di un vecchio edificio in una traversa di Rua Augusta, penso di Rua Antonio Carlos. Le truppe d'assalto hanno preso a calci in culo fuori e abbiamo aspettato. Finché non è arrivato il custode del palazzo con la brutta notizia: eravamo stati denunciati dai vicini, e saremmo dovuti andarcene. Siamo stati letteralmente consegnati ai leoni – per fortuna il branco era già andato avanti.
La scena di apertura del 17 giugno, dell'arrivo del gruppo a Largo da Batata, e della folla che si ingrossa, è piuttosto impressionante, perché ne rivela le dimensioni quasi incalcolabili. Quel pomeriggio poteva succedere di tutto.
Anticlimax
Ricordo ancora oggi l'impatto che fu un titolo del Estadão, dopo le elezioni del 2014: il “Congresso nazionale eletto è il più conservatore dal 1964”. Come è stato possibile? A che punto, tra la concentrazione degli atti del 17 giugno 2013, in Largo da Batata e le elezioni, il Paese ha marciato ancora più a destra?
La scena della gente che medita nel caos di Largo da Batata ricorda le dispute di quei Viaggi, riflesso della depoliticizzazione nazionale che ha preceduto il giugno 2013. C'erano i pacifisti, possiamo chiamarli così, che rifiutavano le forme tradizionali di mobilitazione, i parole d'ordine, un certo carattere offensivo di un atto di massa, che richiede linee guida, che chiama, convoca, arresta, appella. Era un gruppo, o un settore, che esiste ancora – forse si è rafforzato – che crede solo nei cambiamenti del modo di vivere, individualmente, passo dopo passo, e non nelle mobilitazioni collettive. Rifiutano con veemenza la nomenclatura delle “masse”, come se ci fosse una sacrosanta individualità nel capitalismo. In ogni caso la scena è pittoresca, assurda. Chissà dove sono andati quando l'asfalto ha cominciato a scaldarsi sotto migliaia di piedi? “Qui comincia la pace”, uno dei manifesti.
Os blocchi neri furono forse i personaggi più famosi di quei Viaggi. Ricordo di aver marciato nel centro di San Paolo e, prima della grande esibizione del 17 giugno, mi veniva la pelle d'oca ogni volta che qualcuno all'improvviso tirava qualche pugno contro un'edicola, o faceva saltare in aria della spazzatura lungo la strada, concentrato com'ero a sapere dove si trovasse il la polizia avrebbe colpito per prima.
Credits
Ancora oggi mi ritrovo a chiedermi dove siano andati gli intervistati. Non sono riuscito a raccogliere i contatti delle persone, ma almeno sappiamo chi è Laerte, e possiamo dire che è rimasto nel campo dov'era, accanto ai progressisti che forse, almeno in quel corteo del 17 giugno, erano la maggioranza.
Ma, e gli altri? Quei due amici camminano lungo Avenida Faria Lima, ripetendo gli slogan più diffusi: “Non c'è polizia, non c'è violenza!”. Dove sono finiti 10 anni dopo? E quella giovane coppia che chiedeva più democrazia, quali scelte ha fatto? Faccio l'autocritica che c'era una mancanza di persone di colore, più uomini e donne trans e altre persone. Il profilo social era simile a quelli a cui ho posto le domande, ma i pezzi grossi non mentono: June è stata piuttosto varia, almeno a San Paolo, dove si dice che quel pomeriggio sia stato l'atto più importante.
Un signore infuriato ha gridato contro gli stadi della futura Coppa del Mondo 2014 – un'altra delle parole d'ordine – “Health and Education FIFA standards!” ha concretizzato, seppure astrattamente, il desiderio di servizi pubblici di migliore qualità e, ancor più soggettivamente, il controllo su questi servizi, e il diritto di dettare il corso della propria vita, senza oppressione economica, di genere, di razza, e altre del regime del capitale. Perché non siamo riusciti a stabilire un programma tangibile? “Tutti si stringono l'un l'altro”, fu quanto riuscimmo a formulare di fronte alla paura quel 13 giugno. L'aria era molto pesante, la polizia aveva promesso di non accettare la passeggiata.
Giugno è stato uno spreco per la sinistra? NO. Le stesse marce di piazza, sebbene non arrivassero nemmeno lontanamente a raccogliere quanto si raccoglieva in quei pomeriggi, erano meglio organizzate. C'erano molti atti, da tutti i tipi di settori, a volte allo stesso tempo. La sinistra istituzionale è riuscita in parte a riciclarsi, visto lo spazio che da allora il PSOL ha ottenuto.
Discussioni come il diritto alla città, tra le altre, hanno guadagnato spazio nella società, nonostante i pochi progressi relativi per quanto riguarda la mobilità urbana, ad esempio – le conversazioni dell'attuale governo Lula sull'esenzione fiscale per le automobili dimostrano questa difficoltà.
Giusto giugno è stato capitalizzato? NO. Ricordo come la Polizia Militare di San Paolo avanzò nelle tecniche repressive. Uno o due anni dopo sono comparse quelle divise da guerra, armature avveniristiche per rendere il corpo del poliziotto un pezzo di ferro. Le tecniche di dispersione – anzi, l'implosione delle manifestazioni, soprattutto quelle organizzate intorno agli aumenti tariffari, come nel 2015 – facevano paura.
I massicci atti per il golpe contro Dilma Rousseff, sempre nel 2015, hanno fatto eco a quanto abbiamo fatto in quei pomeriggi di giugno 2013, ma con un contenuto diverso. Lo “spirito di giugno” se si può dire è ribelle, “aperto” anche se senza definizioni tangibili. Quello che è successo l'8 gennaio 2023, a Brasilia, è stata una parodia provata e facilitata intorno alle opere d'arte.
Non era perfetto, ma aspettiamo un nuovo giugno, per farlo al meglio, e perché no, per registrarlo.
Carlo De Nicola è un membro del movimento socio-ambientale.
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