José Carlos Mariategui

Arte: Marcelo Guimarães Lima
WhatsApp
Facebook
Twitter
Instagram
Telegram

da YURI MARTINS-FONTES*

Voce dal "Dizionario del marxismo in America"

Vita e prassi politica

Nato nel sud del Perù, José Carlos Mariátegui La Chira (1984-1930) si trasferì da bambino a Huacho, una città vicino alla capitale. Suo padre, un impiegato statale, abbandonò presto la famiglia, lasciando alla madre, María Amalia La Chira Vallejos – una sarta cattolica di origine indigena – il compito di allevare i tre figli. Nel 1902 Mariátegui ebbe un incidente a scuola e si fratturò il ginocchio, episodio che prese una brutta piega, lasciandolo zoppicare. Tuttavia, mentre era ricoverato a Lima, si dedicò alla lettura dei vari libri a cui aveva accesso e allo studio del francese – dando così un primo impulso alla sua vasta formazione, che sarebbe diventata prevalentemente da autodidatta.

Già nel 1909 iniziò a lavorare con la tipografia nel giornale La Prensa. Nel preludio alla prima guerra mondiale esordì nella scrittura, con critica letteraria e versi, per pubblicare poi i suoi primi articoli giornalistici con temi politici. Sotto lo pseudonimo di Juan Croniqueur, fece satira sulla frivolezza di Lima, dimostrando un'ampia conoscenza che lo avvicinò agli ambienti intellettuali e artistici d'avanguardia, nonché al movimento operaio (di linea anarchica) che si stava formando dalla fine del secolo, portato in America dagli immigrati europei.

Distinguendosi come giornalista, Mariátegui divenne presto editorialista del giornale Tempo (1916), in cui cominciò a dedicarsi alla lotta politica, denunciando la falsità della “democrazia meticcia”: un sistema demagogico che serviva alle classi dirigenti come fonte di “divertimento”, distogliendo l’attenzione popolare dal fatto che La borghesia costiera della regione, alleata ai grandi proprietari terrieri rurali dell'interno, ha reso il Perù sempre più un “settore coloniale” dell'imperialismo statunitense. I suoi testi di questo periodo furono sviluppati in un periodo di forte aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e di conseguente malcontento popolare, quando i disordini operai crescevano e il dominio politico dell'oligarchia (finanziario, estrattivo e agro-esportativo) era in crisi. Già sostenitore del socialismo, l'autore appoggia gli scioperi e affronta l'élite dominante di Lima.

Nel 1918 iniziò a Córdoba (Argentina) un movimento per la riforma universitaria, che avrebbe poi abbracciato l'intero continente; Entusiasta, Mariátegui ha affermato che questa è la “nascita della nuova generazione latinoamericana”. Nello stesso anno partecipa alla fondazione della rivista effimera Nuova era, un’altra pietra miliare della politica peruviana di inizio secolo: una pubblicazione che, pur non delineando ancora un “programma socialista”, appariva come uno sforzo ideologico in questa direzione. Inizia così la sua attività di redattore, che costituirà una parte importante della sua attività politica matura: comunista.

La vittoria della Rivoluzione Russa e la fine della Prima Guerra Mondiale segnarono – in Perù e nel mondo – un periodo di agitazione per le classi lavoratrici. Nel 1919 Mariátegui e il suo compagno César Falcón fondarono il giornale La ragione - che presto divenne una voce di spicco a favore delle rivendicazioni dei lavoratori. Nello stesso anno nella capitale venne represso uno sciopero generale con violenze e arresti; iniziò un decennio di populismo di destra – economicamente filo-americano, ma che flirtava anche con il movimento indigenista. Mariátegui, attraverso il suo giornale, si è schierato in difesa dei dirigenti sindacali incarcerati, atteggiamento che lo ha fatto acclamare dalla folla nelle strade. Tuttavia, un mese dopo, l'ufficio del giornale fu chiuso e lui, seppure con discrezione, fu esiliato in Europa, ricevendo una sorta di sussidio governativo - presumibilmente come propagandista per il Perù all'estero (in realtà, un vantaggio conciliante, dal momento che lei era imparentato con la moglie del presidente Augusto Leguía).

Come riporterà (“Apuntes autobiográficas”, 1927), proseguì poi il suo cammino, rompendo con la sua iniziale esperienza di scrittore “contaminato dalla decadenza” (individualismo, scetticismo) e rivolgendosi “risolutamente” al socialismo. Vi visse per tre anni (tra la fine del 1919 e il 1923), dopo aver visitato alcuni paesi: Ungheria, Austria, Cecoslovacchia, Germania, Svizzera, Francia e, in particolare, Italia, dove prese residenza. In mezzo all’influenza della congiuntura lì vissuta – nella quale echeggiò forte la Rivoluzione sovietica – l’Europa lo avvicinò alle opere di Marx, Engels e Lenin, oltre che al movimento comunista italiano e al surrealismo. Nel partito bolscevico vide la convergenza tra teoria e la praticaInter filosofia e scienza; affermò che Lenin era "senza dubbio" il "più energico e fruttuoso rinvigorente del pensiero marxista".

Sempre secondo lui, in questo periodo sposò “una donna e delle idee”; l'italiana Anna Chiappe, sua compagna, gli ha dato un “nuovo entusiasmo politico”. La sua famiglia era vicina al filosofo Benedetto Croce, attraverso il quale Mariátegui conobbe l'opera di Georges Sorel, sindacalista rivoluzionario dal quale assorbì idee come il “mito dello sciopero generale” e la difesa dell'uso della violenza rivoluzionaria. contro la violenza istigata. . In Italia frequenta occupazioni di fabbriche, congressi operai e si avvicina al direttore collettivo della rivista L'Ordine Nuovo; partecipò a gruppi di studio socialisti, entrò in contatto con il pensiero di Antonio Gramsci e di Umberto Terracini e sperimentò la creazione del Partito Comunista d'Italia (dalla scissione del Partito Socialista Italiano).

Il suo soggiorno europeo fu anche un osservatorio da cui osservare l'Oriente: la rivoluzione cinese e il risveglio dell'India, gli arabi e i vari movimenti nazionalisti e antimperialisti del dopoguerra. In questi avvenimenti si verificò un processo di declino della società occidentale. Tale concezione sarebbe stata rafforzata quando vide da vicino l’insurrezione fascista italiana – che percepì come una risposta del grande capitale a una profonda crisi sociale e politica. Parallelamente a questa effervescenza sociopolitica, Mariátegui ebbe accesso alle opere di Sigmund Freud e Friedrich Nietzsche, interessandosi al mondo appena creato psicoanalisi, come da filosofia intuitivo (o vitalista).

Ma se all'inizio portava con sé l'umiltà del discepolo si apriva al poi centro del pensiero moderno, cominciò progressivamente ad essere deluso dalle disgrazie di cui era testimone in Europa. Assunse così una prospettiva antropologica pionieristica – rovesciata rispetto a quanto fatto all’epoca –, riuscendo a cogliere dettagli della crisi occidentale finora poco notato dagli europei. È il caso del decadimento della cosiddetta “democrazia borghese”, un processo che di lì a poco si sarebbe concepito come una nuova finta classe dirigente, ridisegnando il suo potere con i tratti autoritari del fascismo.

Quando tornò in Perù, nel 1923, Mariátegui difendeva già apertamente la causa comunista; del resto la tragedia europea lo aveva portato a comprendere più chiaramente il significato storico della tragedia avvenuta nella sua America. A Lima ha partecipato al III congresso do Comitato Centrale Indigeno Pro-Derecho di Tahuantinsuyo (CCPDIT, costituito nel 1919), incontrando il leader indigenista Ezequiel Urviola, con il quale stringe amicizia. Nello stesso anno, l'intellettuale e politico peruviano Haya de la Torre lo invitò a insegnare presso Università Popolari González Prada – il seme di quella che sarebbe diventata l’Alleanza Rivoluzionaria Popolare Americana (APRA), un movimento continentale con una tendenza riformista. Mariátegui vi tenne una ventina di conferenze per diffondere il marxismo, presentando la sua visione della crisi mondiale in uno scenario polarizzato, in cui le tesi socialdemocratiche (fondate sulla presunta evoluzionismo sociale) non aveva più senso; i dibattiti affrontarono anche la “questione indigena”, un tema che ne sarebbe stato centrale.

L'anno successivo, a causa di un tumore comparso alla gamba sana, si fece amputare l'arto, iniziando ad utilizzare la sedia a rotelle. Ristabilitosi dallo choc, nel 1925, insieme al fratello Julio César, fonda l' Stampa ed Editoriale Minerva, un progetto rivolto alle pubblicazioni “scientifiche, letterarie e artistiche” – la casa editrice attraverso la quale pubblicò i suoi primi libri e presentò al pubblico nazionale autori peruviani e stranieri (come l'indigenista Luis Valcárcel, la poetessa aprista Magda Portal e il russo Máximo Gorki).

Nel 1926, l'attività editoriale di Mariátegui si espanse con la fondazione della rivista amato (“saggio” in quechua, nome con cui sarebbe stato conosciuto), la cui proposta, oltre all'aspetto economico, era quella di promuovere il dibattito politico, soprattutto marxista, e culturale socialista. Affrontando questioni che vanno dal marxismo e leninismo alla poesia, alla letteratura, all'arte contemporanea e all'educazione dei lavoratori, la posizione di Mariátegui divenne più acuta e radicale. Con le sue critiche all'aprismismo e all'intellettualità meticcio-oligarchica, il suo approccio ad Haya si indebolì; ha continuato a confutare l'indigenismo "paternalistico" di Apra, difendendo l'idea che in America non si può solo cercare un'immagine riflessa del comunismo europeo, ma che sarebbe necessaria una "creazione eroica", in cui la comunità contadina indigena - essenzialmente "in solidarietà "" nelle sue relazioni sociali – diventerebbe la base dello stato socialista contemporaneo. Rifiutava anche la teoria “razziale” di alcuni indigenisti che, in opposizione alla corrente eurocentrica, sostenevano che i nativi avrebbero avuto qualcosa innato che li porterebbe a liberarsi “naturalmente”; considerando entrambe le posizioni “razziste”, ha affermato che tutti sono soggetti alle stesse “leggi” che governano i popoli, e che ciò che garantirà l’emancipazione indigena è il dinamismo di un’economia e di una cultura che “portano nelle viscere il germe del socialismo” .

Nel 1927, al CCPDIT fu vietato il funzionamento; con ciò, alcuni leader indigeni – con i quali Mariátegui intrattenne rapporti (come Urviola, Hipolito Salazar e Eduardo Quispe y Quispe) – aderirono al socialismo marxista che si consolidò attorno al “movimento” che fu la rivista amato. In questo periodo Mariátegui si occupò anche della pubblicazione di Tempesta sulle Ande (1927), opera di L. Valcárcel considerata la “bibbia dell’indigenismo radicale”. Nel prologo scrive una delle sue frasi più emblematiche – “la speranza indigena è rivoluzionaria” –, sviluppando poi la sua idea che la “rivoluzione socialista” fosse il “nuovo mito” degli indigeni, la fede trasformatrice su cui si basava il movimento peruviano. il comunismo avrebbe costruito i suoi pilastri. Definendo la questione indigena come “economica”, ha scartato gli approcci “filantropici” prevalenti: il “problema indigeno” – asserisce – è il “problema della terra”, il “latifondo”. Intensificando le sue critiche apristas, accusava il suo indigenismo di essere stato creato “verticalmente” da meticci alfabetizzati delle élite – una posizione che, sebbene utile per condannare il latifondismo, era inappropriata per la rivoluzione.

A metà di quest’anno, in seguito all’impulso che la lotta antimperialista aveva acquisito – con il Primo Congresso mondiale contro l’imperialismo e l’oppressione coloniale (Bruxelles, 1927) –, la rivista amato aveva un numero dedicato al dibattito sull’imperialismo statunitense. Ciò portò all'arresto di Mariátegui e alla chiusura della rivista per alcuni mesi, accusata – da Leguía, su pressione dell'ambasciata statunitense – di far parte di un “complotto comunista”. Più tardi, come in risposta, scrisse uno dei suoi saggi di maggior impatto, “El problema de la tierra” (1927), in cui si dichiarava un marxista “convinto e dichiarato”.

L'anno successivo, raccogliendo decine di saggi scritti a partire dal 1924, pubblicò il suo classico: Sette saggi sull'interpretazione della realtà peruviana (1928) - culmine della sua “indagine della realtà nazionale secondo il metodo marxista”. Ruppe così con il nazionalismo aprista. In una lettera a Haya, ha espresso il suo disaccordo con la politica delle alleanze di classe. Quest’ultimo ha risposto accusandolo di “europeismo”. Mariátegui ha contestato ciò, affermando di ritenere che “non c’è salvezza per l’Indoamerica” senza la “scienza” e il “pensiero” moderni: “i miei giudizi sono nutriti dai miei ideali, dai miei sentimenti, dalle mie passioni”.

Sempre nel 1928 fondò il suo partito, al quale – per non aggravare le persecuzioni politiche che subivano i comunisti e per ottenere più sostenitori – nominò Partito Socialista Peruviano (PSP); tuttavia, ha dato priorità al collegamento del PSP all'Internazionale Comunista (IC). Mariátegui si era avvicinato all’IC alla fine dell’anno precedente, quando era stato invitato a partecipare al IV Congresso dell’Internazionale dei Sindacati Rossi (Mosca, 1928) – al quale il PSP avrebbe inviato dei rappresentanti –, e non se ne era più allontanato. questa organizzazione, anche se non senza polemiche (difendendo sempre l'indipendenza critica del partito). Fu questo un momento fervido della sua vita, un periodo in cui iniziò diversi scontri politico-filosofici contro il nazionalismo conservatore e il socialismo dogmatico (che prevedevano un'evoluzione sociale lineare, presumibilmente “naturale” – e di stampo europeo).

Nel 1929 Mariátegui partecipò alla creazione della centrale sindacale Confederazione Generale dei Lavoratori del Perù e poi il PSP inviò dei delegati (guidati da Julio Portocarrero e Hugo Pesce) alla I Conferenza Comunista Latinoamericana (Buenos Aires) – che esponerono le “tesi” scritte in gran parte da Mariátegui (“Antecedentes y desarrollo de acción clasista”, “Anti- punto di vista imperialista” e “El problema de las razas en América Latina”). Opponendosi alla proposta dell'IC di creare Stati indigeni sulle Ande, le tesi sostenevano che la “questione indigena” era fondamentalmente un problema “di classe”; che il suo nucleo non era la divisione etnica, ma il possesso della terra – e questo dovrebbe definire la politica del paese. Spettava quindi ai rivoluzionari convincere gli indigeni, i meticci e i neri della nazione alla “insurrezione”, mostrando loro che solo un governo di operai e contadini uniti poteva condurli alla liberazione. In questa occasione, nonostante fosse assente per problemi di salute, Mariátegui fu eletta membro del Consiglio Generale della Lega contro l’Imperialismo e l’Oppressione Coloniale, ente legato alla Terza Internazionale – cominciando a cambiare il nome della PSP in Partido Comunista del Perù (che entrerebbe in vigore solo dopo la sua morte).

Poco dopo, nell'aprile 1930, la salute fragile di Mariátegui peggiorò nuovamente. Alla vigilia della sua morte, l’ancora giovane marxista esortò i rivoluzionari a studiare il “leninismo”. Morì prima di compiere 36 anni e al suo funerale partecipò un enorme corteo di ammiratori.

Contributi al marxismo

La formazione di José Carlos Mariátegui è avvenuta in un momento storico travagliato, in cui, da un lato, con la Prima Guerra, le potenze capitaliste hanno portato l’umanità a conoscere uno dei suoi più grandi orrori; d’altro canto, l’esperienza sovietica di costruzione socialista proponeva nei fatti un’alternativa a quel sistema, che già mostrava segni di decadenza. Autodidatta devoto, ebbe diverse influenze teoriche, ma con l'evoluzione della sua militanza politica e del suo pensiero pionieristico, si consolidò come uno dei marxisti più importanti, non solo nel suo paese o continente, ma del suo tempo.

Evidenziando nella sua breve esistenza di scrittore, giornalista, editore, sociologo, filosofo e leader comunista, si osserva che la sua attrazione per il marxismo nasceva soprattutto dalla ricerca di una spiegazione del di lunga durata per i processi storici del suo paese, nonché una concomitante proposta rivoluzionaria, che collegherebbe dialetticamente il passatoo presenti e futuro. In questo modo si dedicò ad acquisire una profonda comprensione della civiltà nativa andina – atrofizzata dalla colonizzazione – e a pensare alle possibilità di rompere con questa struttura.

Lima, all’inizio del XX secolo, era già una capitale cosmopolita, anche se aveva più a che fare con l’Europa che con l’interno del suo stesso paese, indigeno e povero. Il Perù era un paese fratturato, diviso in regioni ben separate tra loro e con ritmi storici peculiari: la costa (Pacifico), le montagne (Ande) e la giungla (Amazzonia). Da questo fatto Mariátegui deduce una delle sue tesi principali: il Perù era ancora un schema – una nazione incompleta. Capisce che la formazione nazionale peruviana era stata interrotta; che il suo processo rivoluzionario ha avuto luogo dall'alto, attraverso una sorta di percorso non classico – una concezione originale che si avvicina a quelle di A. Gramsci (per l'Italia) e Caio Prado Júnior (per il Brasile). Era necessario, quindi, trucco Il tacchino.

Nel suo Paese, come in tanti in America, le élite erano ancora guidate da modelli stranieri, e solo l’indigenismo, intorno agli anni Venti, aveva parzialmente interrotto questa tendenza. Fino ad allora prevaleva – anche in ambito socialista – l’idea che l’emancipazione dei popoli indigeni sarebbe consistita nel renderli “civili” (secondo il modello dell’Europa occidentale). La situazione cominciò a cambiare solo con l’azione degli stessi nativi, che negli anni ’1920 inaugurarono un nuovo ciclo nella loro lunga storia di resistenza contro il dominio dello stato coloniale e dei proprietari terrieri. Una delle pietre miliari di questa trasformazione fu la sua partecipazione alla Guerra del Pacifico (1910-1879), contro il Cile, che servì all’ambiente socialista per produrre un’autocritica: le popolazioni indigene non avevano bisogno di essere “risvegliate” – ma era necessario che gli stessi rivoluzionari relativizzassero i loro riferimenti eurocentrico, prestando attenzione all'esperienza pratica delle mobilitazioni indigene. Entrando nel dibattito sulla cosiddetta “questione indigena”, Mariátegui sottopone le tendenze del suo tempo a una critica socialista radicale. È il caso del “nazionalismo creolo”, posizione difesa dall’élite meticcia peruviana; secondo Mariategu, le classi dirigenti del paese erano solidali con il colonizzatore – una constatazione che lo portò a proporre la costruzione di un nazionalismo d'avanguardia, che rivendicava il “passato Inca”.

Lungo il percorso, le concezioni e la prassi politica di Amauta si distingueranno soprattutto per la sua attenzione al sapere indigeno (alla sua pertinenza e valore rivoluzionario), nonché allo spirito vitale risvegliato in tutto il mondo dalla Rivoluzione russa. Ritiene che, nel pieno del processo di alienazione politica ed esistenziale – inerente al capitalismo –, questa Rivoluzione sia riuscita a risvegliare “l’uomo del mattino”, questo essere stanco della notte “artificiosamente illuminato” (decadenza borghese del dopoguerra). Per la costruzione sociale di questo nuovo umano bisogna assorbire i beni di tutte le fonti di conoscenza a cui il mondo contemporaneo ha avuto accesso: non solo la conoscenza moderna, ma anche la conoscenza tradizionale – di popoli come gli andini (“El alma matinal”, 1928). Mettendo in relazione aspetti economici e culturali, indaga qualità di diversi periodi storici, riflettendo sulla forza del “mito rivoluzionario”: questo utopia calcestruzzo. Capisce che è necessario lavorare sulla dialettica tra obiettività e soggettività, tra gli altri contrasti creativi, come la sintesi che propone tra i saperi del passato e presenti. Nella sua concezione, la conoscenza dei nuovi tempi dovrebbe comprendere elementi di conoscenza che lui, imprecisamente, chiama “occidentali” (nel senso delle filosofie, scienze e tecniche attuali – frutti, appunto, del millenario scambio universale) e “orientali”. (questo è il non occidentale, tradizionale, autoctono, contadino – legato a persone legate alla terra).

L'intento di Mariátegui era quello di rivitalizzare la prassi marxista, che ai suoi tempi era soffocata dal riformismo dell'Internazionale socialista (IS), un'organizzazione contaminata dal “positivismo mediocre”. Dichiara che la Prima Guerra Mondiale aveva mostrato all’umanità che esistono “fatti superiori alla previsione della scienza” e “contrari all’interesse della civiltà”; al di là della ragione, l’essere umano ha bisogno di “fede”, di “passione”, di “speranza” combattiva.

A questo proposito, osserverà più tardi il marxista Florestan Fernandes: Mariátegui si rese conto che il progresso sconsiderato, promosso dal capitalismo, aveva provocato un aumento della barbarie (una realtà sottovalutata dalla “prospettiva eurocentrica”); che non è possibile ottenere il mero progresso tecnico spontaneamente un'evoluzione umano, Sociale; al contrario, osservando la società nel suo insieme (guerre, genocidi, fame, disuguaglianze), si vede l’aggravarsi del disorientamento, delle contraddizioni “implosive” di questo processo di civiltà autodistruttivo.

Con l’obiettivo di mettere in discussione la ristrettezza dello scientismo moderno, Amauta si interessò ad alcuni concetti di Freud e Nietzsche, essendo uno dei primi marxisti a portare concezioni di questi pensatori – critici dello deificazione dalla ragione operante nella modernità – al dibattito comunista. Lì cercò elementi che gli permettessero di comprendere l’irrazionalità umana nell’interpretazione marxista tutto reale (ampliando così la prospettiva cognitiva della realtà sociale concreta). Parte di queste idee individuavano solide armi interpretative per denunciare l’alienazione, l’impotenza, l’artificialità dell’essere umano inserito nella struttura socioculturale repressiva borghese e cristiana.

Tuttavia è importante sottolineare che Mariátegui è lontana da qualsiasi proposta di sintesi eclettico, che mirava a fondere principi del materialismo storico con altri contrastanti o estranei a questo pensiero rivoluzionario. Appropriandosi di parte della conoscenza psicologico e specialmente vitalisti (e questo nonostante disprezzi lo “scetticismo” e il “relativismo”, considerando il “nietzscheanismo” come una “malattia” dello spirito), lo scopo di Mariategu è quello di rafforzare la lotta per una concezione effettivamente marxista. dialettica, in contrapposizione al riformismo (determinista, meccanicistico) che ha influenzato – e colpisce tuttora – influenti correnti socialiste, posizioni lineari che egli definisce una “fossilizzazione accademica” del marxismo. In breve, la sua preoccupazione è valorizzare la dimensione etica che compone la nozione marxista di prassi – il desiderio di libertà, la speranza di essere ricostruito, il sentimento di emancipazione che spinge l’essere umano desideroso di autonomia, giustizia, felicità all’azione. A tal fine, in opposizione all’apatia riformista (parlamentare, evoluzionista), è aperto a teorie che indagano l’inconscio, le passioni umane, la questione soggettiva della “fede” rivoluzionaria, del “mito” che anima lo spirito combattivo degli oppressi . Per lui la sfera sentimentale del marxismo è un fattore potente, necessario per la rivoluzione.

In questo senso, la sua concezione marxista mette in risalto il valore delle tradizioni comunitarie, evidenziando alcuni aspetti che permettevano agli indigeni di godere di una migliore qualità di vita prima dell'invasione europea - come la "solidarietà", caratteristica del "comunismo agrario" della società Inca, in netto contrasto con il competitività elogiato dal capitalismo. Afferma però che se nel passato gli indigeni lavoravano con piacere e con maggiore pienezza, nel presente non sarebbe più possibile rinunciare alle diverse conoscenze che il mondo contemporaneo ha raggiunto. È quindi necessario mettere in relazione i migliori frutti delle conoscenze attuali (tecniche avanzate, scienze moderne e, in particolare, pensiero marxista) con le conoscenze tradizionali (si riferisce in particolare al popolo Inca, il cui vigore rivoluzionario si materializza nell'abitudine alla cooperazione reciproca e la loro fede nella rivoluzione).

È in questo itinerario che Mariátegui sviluppa la sua concezione di un “nuovo romanticismo” – che egli intende come “spontaneamente e logicamente socialista”. Il suo scopo è mettere in relazione l'impulso rinvigorente e idealistico di soggettività romantico alla contrastante concretezza di oggettività realistica. Così, rielabora il concetto di “mito” (di G. Sorel), trasformandolo, approfondendolo: il “mito rivoluzionario” è una “speranza sovrumana” che dona alle persone un nuovo incanto verso la vita. In questo modo, aggiorna il vecchio e l'astratto spirito romantico, incorporando in esso l’oggettività epistemica del “realismo proletario” (antipositivista, consapevole dell’imperfezione umana) – per coltivare, in modo più realistico, l’energia soggettivo presente nella speranza di una nuova società. In sintesi: romanticismo e realismo sono per lui due posture intrinseche al marxismo, che contribuiscono alla trasformazione rivoluzionaria, secondo una dialettica che può essere definita romantico-realistico.

Per quanto riguarda la storiografia, uno dei principali contributi mariateguiani è l'analisi della questione nazionale Peruviano, elaborato nella prospettiva storica materialista – riflessione che, in parte, estenderà alle nazioni latinoamericane in generale. In questo contesto, tra i suoi contributi di maggiore impatto politico c’è la conclusione che in America non si è formata una “borghesia nazionale” (presumibilmente interessata a diventare alleato ai socialisti nel confronto con l’imperialismo). In un simile dibattito, la cosiddetta posizione “alliancista” difendeva la proposta di una coalizione di classi che avrebbe dovuto essere comandata da settori borghesi apparentemente progressisti, mentre i socialisti avevano solo una posizione sottomessa. Tuttavia, secondo Mariátegui, le élite latinoamericane non avrebbero alcun interesse ad affrontare l’imperialismo, poiché, a differenza di altri popoli (come gli asiatici), non avevano legami con il popolo – né storia né cultura comune. Al contrario: il borghese peruviano, “bianco”, disprezzava ciò che era “popolare”, “nazionale”, sentendosi soprattutto bianco; il “piccolo borghese”, la “razza mista”, lo imitavano. Solo la rivoluzione socialista – afferma – potrebbe fermare l’imperialismo in modo radicale. Ed è nella Rivoluzione Russa che vede il meglio esempio da seguire – non nel senso di un “modello” da copiare, ma di una “guida” per le decisioni che ogni popolo deve prendere per se stesso.

In possesso di questo bussola - Un esperienza Bolscevico –, il marxista andino polemizzò con i revisionisti, i nazionalisti, con il riformismo socialdemocratico della Seconda Internazionale (SI) e, più tardi, con alcune tesi della Terza Internazionale (CI) che considerava eurocentrica. Mariátegui, pur avendo sostenuto fin dalla tenera età l’IC e in seguito aderito ad esso (collegandosi al suo partito), Mariátegui ha criticato la proposta di questa organizzazione secondo cui i comunisti peruviani dovrebbero promuovere la creazione di “repubbliche native indipendenti”, considerandola un’errata lettura della le tesi di Lenin sull’autodeterminazione dei popoli. A suo avviso, il problema del suo paese era l'irrisolta “questione agraria” – e dato che tre quarti della popolazione era indigena, questo popolo, per lo più contadini, sarebbe stato il protagonista del processo rivoluzionario.

Pioniere di un pensiero marxista correttamente Come americano, Mariátegui influenzerà diversi movimenti sociali nella storia del XX secolo, dai gruppi di resistenza contadini e indigeni ai gruppi di guerriglia e politici di varie tendenze rivoluzionarie – e, oggi, con l’intensificarsi della critica all’eurocentrismo, le sue idee hanno acquisito proiezione ancora maggiore.

Commenta l'opera

Gli scritti di José Carlos Mariátegui affrontano una vasta gamma di temi, che vanno dalla filosofia, storiografia, sociologia ed economia, alla letteratura, psicologia, critica d'arte ed educazione, tra gli altri campi della conoscenza. Data la sua morte prematura (1930), durante la sua vita furono pubblicati solo due libri (dal suo editore Minerva), lasciandone altri tre organizzati. Gli altri suoi scritti furono selezionati e cominciarono a essere pubblicati (sotto il sigillo dell'Empresa Editora Amauta) tre decenni dopo la sua morte, sulla base di un'iniziativa editoriale diretta dalla moglie Anna e dai loro figli, in collaborazione con compagni come H. Pesce e Albert Toro.

Il tuo primo libro, la scena contemporanea (Lima: Minerva, 1925) è una selezione di articoli che si concentrano su figure e aspetti della realtà internazionale, affrontando temi quali: il fascismo, la “crisi” della democrazia liberale e del socialismo riformista, la letteratura rivoluzionaria, “fatti e idee” della Russia Rivoluzione e saggi sui popoli d'Oriente.

Sette saggi sull'interpretazione della realtà peruviana (Lima: Minerva, 1928) è la sua opera più diffusa e importante. Con decine di edizioni e numerose traduzioni, riunisce saggi in cui applica il materialismo storico per comprendere la realtà del suo Paese, affrontando temi quali: l'evoluzione dell'economia nazionale, la “questione indigena” e la “questione fondiaria”, l’istruzione pubblica, il “fattore religioso” nella formazione del Perù, il problema del “regionalismo” e del “centralismo” peruviano e la letteratura nazionale.

Tra i libri postumi che ha lasciato inoltrato c'è Difesa del marxismo: polemica rivoluzionaria (Santiago-Cile: Ediciones Nacionales y Extranjeras, 1934), scritto tra il 1927 e il 1929 e incentrato su questioni filosofiche, in cui presenta punti di vista fondamentali della sua filosofia marxista. Partendo da un'analisi del revisionismo “disincantato” di Henri de Man, egli critica l'economia liberale, il riformismo socialdemocratico, l'evoluzionismo e il pragmatismo operaio britannico, la “letteratura conformista”; analizza i limiti della filosofia moderna, mostrando come il marxismo (solo “in parte” una filosofia) l’abbia superata e rimarrà valido finché persisterà la società di classe; e, ancora, in un saggio pioneristico sul tema (quando pochi si erano dedicati alla questione) elenca il pensiero di Marx e Freud, sottolineandone le affinità.

Già L'anima mattutina e altre stazioni dell'uomo di oggi (Lima: Amauta, 1950) è una selezione di testi dal 1923 al 1929 in cui tratta vari argomenti legati alla filosofia e alla cultura, come: la letteratura contemporanea, la storia dell'arte, la cultura italiana moderna e l'“emozione del nostro tempo” – contrapponendosi dall’impotente prospettiva “scettica” della società borghese in crisi al rinnovato spirito “romantico” (che anima il nuovo “mito”, il “socialismo”).

La terza opera, La telenovela e la vita (Lima: Amauta, 1955), dimostra che Mariátegui conserva nella maturità la sua verve letteraria giovanile. Come la descrive l'autore – che apprezzava molto la letteratura nel processo di costruzione socialista –, si tratta di una “storia”: “un misto di racconto e cronaca, di finzione e realtà”. Basata su un curioso caso giudiziario avvenuto in Italia, la trama coinvolge un'insegnante apparentemente senza memoria che una donna sostiene essere il marito scomparso – iniziando così a vivere un'altra realtà (quella di un operaio).

Fu solo tre decenni dopo la sua morte che iniziarono a venire alla luce edizioni (comprese quelle popolari) che raccoglievano gli altri suoi scritti. Iniziata nel 1959, la raccolta intitolata Opere complete (Lima: Editora Amauta), pur lungi dal contenere l'opera prolifica del marxista, riporta in 16 volumi (dei suoi testi), oltre ai libri già citati, i seguenti titoli: ideologia e politica (1959), che tratta dell'indigenismo di Mariátegui e della filosofia politica marxista; Temi da Nuestra America (1959); L'artista e il tempo (1959); insegne e opere (1959); Storia della crisi mondiale: conferenze (1959); lettere dall'italia (1969); Peruanicemos in Perù (1970); temi educativi (1970); È Figure e aspetti della vita mondiale (1970), pubblicato in tre volumi divisi per periodi (I: 1923-1925; II: 1926-1928; III: 1929-1930). La collezione porta anche alcuni volumi extra con scritti su il lavoro dell'autore, come il libro Poesie a Mariategui (con un prologo del poeta Pablo Neruda).

Più recentemente, i lavori sono stati avviati Mariategui totale (Lima: Amauta, 1994), edizione commemorativa del centenario del marxista, che in due volumi (di quattromila pagine) comprende, oltre ai testi già pubblicati nei libri precedenti, anche i suoi scritti giovanili, la corrispondenza e l'album fotografico.

Tra i principali saggi mariateguiani (contenuti nelle suddette edizioni), meritano particolare attenzione questi, in cui l'autore affronta temi per lui centrali, come la filosofia marxista e la prassi politica rivoluzionaria: “El crepúsculo de la civilización” (1922 ), che analizza il decadimento della “civiltà capitalista” (“essenzialmente europea”); “El hombre y el mito” (1925), che parla del nuovo “mito”, della “rivoluzione sociale”; “Dos concepciones de la vida” (1925), che accusa il “rispetto superstizioso” dell’idea di “progresso” e difende la “necessità della fede” per procedere, come “i bolscevichi, verso l’utopia”; “Crisi della democrazia” (1925), che mostra il fascismo come una reazione alla crisi del regime borghese “invecchiato”, un adattamento delle élite ai nuovi tempi dell’“imperialismo monopolistico” in cui la “democrazia liberale” non le serviva più; “Esiste un pensiero ispano-americano?” (1925); “Eterodossia della tradizione” (1927); “Mensaje al Congresso Obrero” (1927); e alcune lettere da Periodo italiano. Inoltre, per comprendere il suo pensiero politico, vale la pena fare riferimento ai “Principi programmatici del Partito socialista” (1928), in cui sostiene che è necessario adattare l’azione del partito alle condizioni sociali del Paese, ma senza non rispettando i criteri universali, poiché le circostanze nazionali si sottomettono alla storia mondiale, dichiarando che il metodo di lotta del PSP era il "marxismo-leninismo" e la forma la "rivoluzione".

Nonostante gli sforzi editoriali degli ultimi decenni, la maggior parte dei circa tremila testi scritti da Mariátegui (molti dei quali articoli per riviste) rimangono dispersi in riviste in Perù e all'estero (come Mundial e Varietà).

Per quanto riguarda la piccola parte della sua opera già tradotta in portoghese, si segnalano: due edizioni di Sette saggi sull'interpretazione della realtà peruviana, Alfa Omega (1975), con la prefazione di F. Fernandes, e Expressão Popular/Clacso (2008); le collezioni Politica (Attica, 1982), ed Per un socialismo indoamericano (a cura di UFRJ, 2006); e l'edizione ampliata Difesa del marxismo: polemiche rivoluzionarie e altri scritti (Boitempo, 2011), che, oltre al suo libro sulla filosofia marxista, presenta saggi inediti in portoghese su argomenti come la rivoluzione russa e il femminismo.

I volumi della collezione Opere complete sono disponibili in rete, in portali come paese rosso (https://patriaroja.org.pe), Archivo Cile (www.archivochile.com) o marxisti (www.marxists.org). Oltre a questi libri, il File JC Mariategui – in collaborazione con il Università Nazionale di San Marcos (che, grazie ad una donazione della famiglia, conserva la propria biblioteca privata) - ha promosso l'organizzazione e la digitalizzazione di un'ampia documentazione sul marxista, con numerose copie dei suoi manoscritti originali, corrispondenza e documenti, nonché fotografie (come quelle utilizzate nelle sue pubblicazioni) disponibili sul suo portale (https://archivo .mariategui.org). ) e la collezione completa della rivista amato. Per quanto riguarda gli studi sul pensiero di Mariategu, sono accessibili sul web anche diverse raccolte e saggi di ricercatori sull'argomento.

*Yuri Martins-Fontes è scrittore, insegnante e giornalista; Dottorato di ricerca in Storia economica (USP/CNRS). Autore, tra gli altri libri, di marx in america (Viale).

Originariamente pubblicato sul Nucleo Praxis-USP.

Riferimenti


ESCORSIM, Leila. Mariátegui: vita e lavoro. San Paolo: Espressione Popolare, 2006 (https://amzn.to/3PffVKP).

DEVEZA, Felipe S. “Mariátegui, González Prada e l'indigenismo radicale in Perù negli anni '1920”. Volta, UFF (Niteroi), v. 28, n. 2 maggio-agosto 2022. Vedi questo collegamento.

FERNANDES, Florestano. “Significato attuale di José Carlos Mariátegui”. Raccolta dei principi, NO. 35, 1994-1995. Vedi questo collegamento.

FLORES GALINDO, Alberto. L'agonia di Mariategui. Lima: Desco, 1980. Disp: www.catedramariategui.com [Sedia JC Mariátegui] (https://amzn.to/3YPWGKY).

LUNA VEGA, Richard. Sulle idee politiche di Mariátegui. Lima: Ediciones Unidad, 1984.

MARTINS-FONTES L., Yuri. marx in america. San Paolo: Alameda/Fapesp, 2018 (https://amzn.to/47NZyfq).

______. Il marxismo di Caio Prado e Mariátegui. Tesi (Dottorato in Storia Economica) – USP/CNRS, 2015. Vedi questo collegamento.

______. “Mariátegui e la filosofia del nostro tempo” [Introduzione]. In: MARIÁTEGUI, JC Difesa del marxismo: polemiche rivoluzionarie e altri scritti [org. e traduzione: Yuri Martins-Fontes L.]. San Paolo: Editoriale Boitempo, 2011 (https://amzn.to/3sCfuRC).

MELIS, Antonio. José Carlos Mariátegui raggiunse il XXI secolo (Quaderni di ricevuta) [1994]. San Paolo: Dipartimento Lettere moderne/FFLCH-USP, 1996. Vedi questo collegamento.

OBANDO M., Ottavio. Ordine cronologico delle opere complete popolari di JC Mariátegui. Lima: Espigón, 1999. Disponibile: www.archivochile.com. Vedi questo collegamento.

QUIJANO, Annibale. “José Carlos Mariátegui: incontro e dibattito”. In: MARIÁTEGUI, JC Sette saggi... Caracas: Biblioteca Ayacucho, 2007. Vedi questo collegamento.

ROUILLON D., Guillermo. La creazione eroica di José Carlos Mariátegui [2 volumi]. Lima: Editoriale Arica, 1975.

SANCHEZ VAZQUEZ, Adolfo. Da Marx al marxismo in America Latina. Città del Messico: Itaca, 2012. Vedi questo collegamento.


la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE

Vedi tutti gli articoli di

I 10 PIÙ LETTI NEGLI ULTIMI 7 GIORNI

Vedi tutti gli articoli di

CERCARE

Ricerca

TEMI

NUOVE PUBBLICAZIONI