da FABIO AKCELRUD DURÌO*
Commento al libro di Marco Vinicio Mazzari
Questo è uno di quei libri dall'atmosfera mista che mantengono grandi promesse e causano una certa delusione. Risultato di una tesi di libera didattica, labirinti didattici condivide la natura frammentata di quasi tutti gli studi di critica letteraria odierna. Pochissimi di noi pubblicano ancora libri concepiti come unità organiche, in cui le parti non hanno senso senza il tutto. L'odierna modalità di produzione accademica – che si è imposta quasi senza che ce ne rendessimo conto – porta alla raccolta di saggi (spesso già pubblicati come articoli), cui l'autore, a posteriori, si sforza di dare coerenza a un libro.
Em labirinti didattici, tuttavia, la raccolta di testi separati non pregiudica la leggibilità; attesta piuttosto il senso delle preoccupazioni dell'autore, e anche se ci sono spigoli non del tutto smussati, gli otto capitoli delineano un tema comune e ricorrente.
Il primo discute una questione fondamentale, vale a dire, se Grande entroterra: sentieri è più vicino al genere faustiano o al romanticismo della formazione. Dopo aver analizzato il tipo di male coinvolto, nonché le condizioni e l'esito del patto demoniaco, la conclusione è favorevole al romanzo di formazione. Il secondo capitolo si propone di definire questo genere, collocando in esso il Enrico Verde, di Gottfried Keller, e indicando un “cambio di paradigma”, con “il fallimento del suo eroe”. Poi c'è il confronto tra il Ateneo, di Raul Pompea, e Le tribolazioni dell'allievo Törless, di Robert Musil, in cui si mostra la congruenza delle diagnosi del sistema collegiale, nonché le differenze nel superamento dei segni lasciati sui protagonisti.
Si postula inoltre che, delineando «mondi in cui si proietta la precarietà dell'autonomia individuale di fronte a strutture sociali sempre più coercitive», i romanzi sarebbero, ciascuno a modo suo, annuncianti i crimini e i genocidi del Novecento. La seconda sezione del libro, con testi più brevi, si apre con un'analisi di “Na Rua do Sabão”, di Manuel Bandeira; il capitolo successivo, il quinto, si rivolge alle liriche di Brecht lette secondo l'influsso taoista che valorizza la mutevolezza e la dolcezza; il sesto commento Il Castello, di Kafka; il settimo, opera di Günter Grass; e l'ottavo, I dolori del giovane Werther, di Goethe, secondo l'ipotesi di un parallelismo tra la biografia dell'autore e il romanzo.
C'è molto da lodare labirinti didattici. L'attenzione incessante al fenomeno letterario, l'approccio rigorosamente comparativo (oggi in gran parte in crisi), la scrittura elegante e la notevole erudizione fanno del volume qualcosa di raro nella produzione accademica brasiliana del presente. A questo si aggiunga il piacere che sicuramente molti lettori avranno nel vedere i grandi autori brasiliani confrontati su un piano di parità con i più grandi scrittori tedeschi. Ma la più grande promessa del libro è quella di valorizzare la letteratura come un oggetto autonomo – per quanto strano possa sembrare.
Perché il volume è particolarmente interessante se si considera che la sua preoccupazione per la letteratura stessa, per la convivenza con la tradizione e con le grandi opere, è l'opposto della pratica di applicare teorie e mode che caratterizzano tanta parte della produzione critica di questo inizio secolo. . L'interpretazione di testi canonici basati su se stessi, ma tenendo conto della loro vasta fortuna critica, è più lenta e laboriosa della rilettura di oggetti instabili con concetti preformati, che facilitano la carta istantanea.
Ciò non significa, tuttavia, che labirinti didattici non hanno problemi, come una certa positività nell'affrontare la letteratura, che ne presuppone la grandezza prima di provarla. Ad esempio, il romanzo formativo emerge senza dubbio dal libro con un contenuto più ricco, incorporando l'eroe debole; questo però non basta perché questo genere venga debitamente problematizzato, in un'epoca che si fa beffe della formazione.
Forse è questa solidità attribuita alla letteratura che rende possibile menzionare più volte nel testo la “condizione umana” come una costante universale e senza tempo – qualcosa che il libro stesso smentisce nella sua lettura della radicale mutevolezza in Brecht. E forse è anche ciò che sta dietro una rappresentazione idealizzata dell'infanzia come purezza: “E non si potrebbe riconoscere in queste immagini di 'trasparenza adamantina' la fonte archetipica e inesauribile da cui attinge ogni creazione letteraria impegnata a ricordare una pienezza perduta [ …] Nasce così in noi l'“idea” di una vita semplice e attiva, di un'esistenza autonoma, guidata dalle proprie leggi, nel senso dell'unità eterna dell'essere con la natura e con se stesso – la stessa idea, insomma , quella intravista nel mondo dei bambini”.
Questa positività del concetto di letteratura potrebbe anche spiegare l'esagerata attenzione, nelle analisi, alla trama dei romanzi dei loro temi, a discapito delle questioni formali. In assenza di un tuffo nell'interiorità delle opere, in ciò che in esse è contraddittorio e in ciò che le rende più di quello che sono, espressioni come “alta elaborazione artistica” suonano più come invocazioni che come dimostrazioni. È curioso che il testo contenga una citazione di Adorno, in nota a piè di pagina, che smentisce l'intento del libro: “L'elemento ideologico, affermativo nel concetto di opera d'arte realizzata trova il suo correttivo nel fatto che non ci sono opere d'arte perfetta. Se esistesse, allora la conciliazione sarebbe effettivamente possibile in mezzo ai non riconciliati, al cui status appartiene l'arte. Incorporando il negativo in letture ravvicinate e mostrando che le grandi opere sono grandi a causa della configurazione del fallimento che portano, labirinti didattici potrebbe mantenere la sua promessa.
* Fabio Akcelrud Durao è professore nel dipartimento di teoria letteraria dell'Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Modernismo e coerenza; Quattro capitoli di un'estetica negativa (Pietro Lang).
Riferimento
Marco Vinicio Mazzari. labirinti didattici. San Paolo, Editora 34, 2010, 320 pagine.