da ALEXANDRE ARAGÒ DE ALBUQUERQUE*
La schiavitù segna la traiettoria della nostra storia violenta, dai nostri cuori e dalle nostre menti, fino ai giorni nostri.
Il Brasile, fin dalla sua genesi, si è rivelato nello scenario delle nazioni come la società in cui la più grande disuguaglianza – la schiavitù umana – è stata impiantata e naturalizzata dal sistema sociale, politico ed economico: da governanti, vescovi, potenti signori con le loro famiglie. Degno di nota è anche il fatto che molto tardi, solo alla fine del XIX secolo, il Brasile finì un tale orrore, registrato nei versi del poeta bahiano Castro Alves: “Signore Dio dei disonorati! Tu dimmi, Signore Dio! Se è follia... se è vero, che orrore davanti al cielo?! (...) C'è un popolo che presta la bandiera, per coprire tanta infamia e viltà! E si trasformi, a questa festa, in un mantello impuro di gelida baccante!”.
Fin dal suo inizio, la schiavitù degli esseri umani di origine africana, in Brasile, era stata naturalizzata in diverse dimensioni, sia dalla sua perpetuazione illimitata, attraverso un sistema sociopolitico di riproduzione continua, senza scadenza definita per le generazioni future per diventare libere, aggiunto al assenza di imposizione di limiti al potere feudale sugli schiavi, anche ad opera di alcuni religiosi che predicavano la necessità di una “etica cristiana per la schiavitù, per il commercio e per il possesso di questi esseri umani”, “che esiga il divieto di severe pene per gli schiavi, in quanto tale violenza sarebbe contraria alle leggi civili e naturali e, soprattutto, al Vangelo e ai sacri canoni”. (DEMÉTRIO, Denise Vieira et alii. Dodici capitoli sulla schiavitù delle persone e sugli schiavi dominanti. Mauad Editore).
Tra i “padroni di schiavi” c'era una diversità di categorie; lungi dal costituire un gruppo omogeneo e coeso, la sua composizione indica un carattere diverso. Tra i grandi proprietari di schiavi ci sono gli allevatori di bestiame ei potenti proprietari di piantagioni, proprietari di centinaia di umani africani. Ma c'erano anche quei piccoli proprietari terrieri, che si contavano gli schiavi sulle dita delle mani, oltre a quelli che erano funzionari della Corona. Pertanto, sin dalla formazione del Brasile, la libertà non era un diritto universale; era un privilegio goduto e garantito solo a una parte della popolazione.
Questo aspetto caratteristico di tale deformazione della libertà, vissuta in Brasile – la libertà di schiavizzare gli esseri umani – è una questione complessa che segnerà la traiettoria della nostra storia violenta, dei nostri cuori e delle nostre menti, fino al tempo presente: libertà di comando, naturalizzata e senza limiti, dei membri della classe dirigente sulle vite e sui corpi degli esseri umani ridotti in schiavitù.
È in difesa di questa concezione deformata della libertà che affronta, nel presente, l'Innominabile nei suoi insulti aberranti attraverso i social media, con il suo progetto di potere, sostenuto dalle cheerleaders militari brasiliane. Per lui vale solo la cosiddetta libertà discrezionale e violenta, garantita dalla forza delle armi e non dallo stato di diritto universale per tutti i cittadini di un Paese. Proclamandosi subdolamente capo delle Forze Armate, riafferma la narrazione e lo scopo di imporre il regime della forza al Paese, a scapito del regime democratico.
I suoi eroi sono il torturatore Ustras; gli Adriano, capi degli uffici del crimine, decorati dalla loro famiglia; il Queiroz che emette micheques; i pastori ei preti avidi di vile metallo, che sparano, senza il minimo pudore, schegge di proiettili negli aeroporti del paese e attaccano le casse della pubblica istruzione brasiliana.
Negli attuali tempi del bolsofascismo, la libertà desiderata non è solo quella di ridurre in schiavitù, ma la libertà di stuprare e uccidere i bambini yanomami e di concedere l'amnistia ai bolsominion condannati dalla Corte suprema federale. Dopotutto, per l'Indicibile, ci sono diversi modi per chiudere la Corte Suprema, non solo con un soldato e un caporale, ma con la sua verbosità cospiratoria, ordinando ai ministri dell'STF di chiudere la bocca. Il coraggio dell'Inominável è sostenuto dalle caserme degli ex commilitoni, abitanti degli scantinati della dittatura del 1964, ora elevati a generali, nostalgici degli Atti Istituzionali (AI-1, AI-2, AI-3, AI-4 e AI-5), censura dei media, sessioni segrete di tortura e assassinio di brasiliani, chiusura del Congresso nazionale e dell'STF, persecuzione delle libertà civili e politiche, politica economica che concentra il reddito nelle mani della classe dirigente.
Il Brasile deve reagire e porre fine a questo stato di eccezione. L'ONU ha decretato molto chiaramente, lo scorso 28 aprile, attraverso la condanna di Sério Moro, Dalton Dallagnol e Operazione Lava Jato, quanto lo Stato brasiliano agisca al di fuori della legge. Occorre fare marcia indietro, riportare i militari in caserma e i fascisti all'ostracismo, da dove non sarebbero mai dovuti partire, per riprendere subito lo Stato di diritto democratico brasiliano.
*Alexandre Aragão de Albuquerque Master in Politiche Pubbliche e Società presso l'Università Statale del Ceará (UECE).