Di Remy J.Fontana*
Commento ai romanzi di Antonio Callado e Ana Maria Gonçalves
Molti sono stati i libri che mi hanno colpito, formato, ispirato, mobilitato. Tra questi, credo di poterne evidenziare due come propiziatori di una percezione alta, di una rottura nella comprensione, di un acuirsi della comprensione, di una presa di coscienza, come momenti di un'epifania.
Uno ha come sfondo gli indios, la questione indigena brasiliana, la continua decimazione delle etnie aborigene, il loro genocidio, prima in nome della fede, in tempi più recenti in nome del profitto; si occupa anche delle sue lotte per l'affermazione della sua umanità, in tempi passati negata dalla (per niente) santa chiesa, in tempi attuali dalla stupidità ignorante del capitano di riserva che ci malgoverna.
L'altro libro è una saga di un personaggio nero nel Brasile schiavista, in cui l'infamia della formazione sociale schiavista appare nella vita quotidiana in tutti i suoi orrori, in tutta la sua ignominia, negando anche l'umanità degli schiavi.
Sono due libri di narrativa basati su dati e riferimenti storici, economici, politici, ma che possono incorporare una dimensione metafisica sotto il segno del male, tali sono le strutture di negazione, privazione, assenza, difetto, violenza, affronti che si abbattono sugli indiani e neri, privandoli di riconoscimento, diritti, umanità.
Quarup
Il romanzo di Antonio Callado costituisce, nell'acuta osservazione di Ferreira Gullar, un saggio sulla diseducazione dei brasiliani a diventare persone, cioè che dovrebbe leggere ogni brasiliano che si crede persona o intende esserlo.
Dalla radicata corruzione ufficiale del potere centrale, ai dettami del culturalismo francese; dalle ricerche etnologiche e storiche dei Sete Povos das Missões ai cronici disagi socioeconomici del Nordest; dalle leghe contadine al moralismo golpista udenista degli anni Cinquanta; dall'Indian Protection Service ai detentori della verità con il loro inevitabile falso allarmismo intorno allo spauracchio comunista; dal militarismo ricorrente alle vicissitudini pusillanimi dell'STF; da Quarup, la festa annuale degli indios nello Xingu, al processo di disalienazione di individui singolari che si trasformano in persone mobilitate, così come il percorso di padre Nando, il protagonista, che si allontana da Dio e si avvicina alla storia; dalle crisi e dai colpi di stato politici all'esilio fuori e dentro il paese stesso; da un tuffo nella storia a una spedizione, reale e metaforica, al centro geografico del Brasile; tali sono i temi ivi presentati, tali sono i problemi ivi discussi sotto l'affascinante narrativa e lo stile vigoroso e combattivo di Callado.
Non sarebbe troppo difficile fare un aggiornamento di questi temi, aggiornali con le impasse del presente, con le attuali regressioni sociopolitiche, con l'oscurantismo culturale e la predazione civilizzatrice che ci colpisce, ci massacra, ma che ci chiama alla resistenza.
un difetto di colore
“Esméria mi ha raccomandato di comportarmi bene, di non dire mai nulla che non sia stato chiesto, di non fare mai ciò che non è stato chiesto e di non disobbedire o fare domande, anche quando ritenevo che un ordine fosse sbagliato o ingiusto. Così andavano le cose tra neri e bianchi, ed è così che dovrebbero rimanere, perché non potrei mai cambiarle..."
In un'edizione del 2019 che commemora il decimo anniversario della sua pubblicazione, mi imbatto in questo libro di Ana Maria Gonçalves, un'opera e un'autrice a me sconosciute fino ad allora. Spinto da una citazione accreditata e dalla scritta sul retro del libro, nientemeno che da Millôr Fernandes, ho deciso di affrontare la sfida di leggerne le 10 pagine.
La prima osservazione è che ogni pagina vale la pena di essere letta, che questo enorme flusso di parole compone una delle narrazioni più affascinanti, struggenti e sorprendenti. Come diceva Millôr, e sono d'accordo, significa entrare nella lettura e non conoscere il tempo per fermarsi, fermarsi a respirare.
Lì è narrata la storia di Kehinde, anzi, il personaggio racconta la sua storia, dall'età di 8 anni quando viene catturata in Africa e portata come schiava in Brasile. In una saga lunga otto decadi, attraversa le terre schiaviste del Paese, sperimenta e subisce violenze fisiche, morali e simboliche di ogni tipo, partecipa a ribellioni, supera privazioni e carenze, impara a leggere e scrivere, anche in inglese, conosce e dà solidarietà ai propri, frequenta gruppi politici, discute, dibatte e lotta per la libertà, prende iniziative che lo rendono vincente in una varietà di piccole e poi grandi imprese; è privata dei bambini, o dalle tragedie del destino o dalla malizia di alcuni, per cui trascorre la sua vita nella disperazione e nell'angoscia alla ricerca di un figlio venduto.
Uno degli aspetti notevoli di ciò che leggi è la capacità del personaggio di cambiare, muoversi, resilienza e reinventarsi. In questi continui cambiamenti della situazione e delle circostanze, seguiamo i cambiamenti che stanno avvenendo nel paese, dalla colonia all'indipendenza e alla repubblica. Le strutture sociali, i processi politici, il modello di comportamento, la moralità dei vari strati sociali sia inferiori che superiori, sono descritti nel loro accadimento quotidiano, dettagliati nelle esperienze di personaggi che ci appaiono con forza ed espressività che sembrano reali, in compagnia del quale sembriamo camminare.
Qui sta il suo grande pregio, una scrittura scorrevole che affascina, istruisce e dà corpo, forme e colori alla vita vissuta da questi grandi contingenti di schiavi neri, mulatti, creoli, meticci, sfruttati, violentati, massacrati dai loro padroni, dai loro proprietari, dai loro processi economici, sociali e culturali, che li scuoiano, li macinano, li decimano, li scartano.
In mezzo a queste vite disonorate, frantumate, vediamo tanta grandezza umana, vediamo lavoro, amicizie, solidarietà, decenza, creatività per estrarre dal quasi nulla i mezzi di sopravvivenza fisica ed emotiva, una religiosità complessa che li lega organicamente a le entità e i rituali che aiutano a sopportare fatiche indescrivibili e a dare senso alla propria esistenza (Oxum, Xangô, Ogun, Nanã, Olorum, Iemanjá, Exu, Odum, Voduns, Orixás, Oxalás).
Conosciamo anche la diversità dell'origine degli schiavi (Angola, Dahomey, Capo Verde, São Tomé, Mozambico), le loro diverse etnie (Eves, Fons, Preto-Minas, Angolas, Maís, Jefes, Hausas, Igbos, ecc.) , le contraddizioni tra loro, tra gli africani e i nati in Brasile, il significato di ogni gioco, ogni festa, ogni combattimento, ogni devozione, ogni danza, ogni canzone (capueira [copoeira], candomblé, allegria, reisados, congadas, batuques, mandinga) le loro lingue (yoruba, eve-fon,…).
La saga degli schiavi, la tragedia della schiavitù, costituenti del Paese, costruttori fondatori della nazionalità che fino ad oggi si presentavano come un intralcio, come una vergogna, come una questione irrisolta che lasciava una scia di macerie, errori, pregiudizi è ancora da gridare riconoscimento; riconoscimento che le ricchezze e le libertà di pochi erano garantite dalla miseria e dalla schiavitù di molti.
Il libro di Ana Maria fa parte della stirpe di quelle tante storie taciute che hanno bisogno di essere raccontate, ripescate dal fondo della memoria degli umiliati, degli offesi, dei dimenticati; storie di vite che devono essere rispettate, valorizzate, onorate per tutto ciò che hanno fatto, per le condizioni crudeli che hanno vissuto, per la ricca e complessa eredità che hanno lasciato.
*Remy J.Fontana è un professore in pensione presso il Dipartimento di Sociologia e Scienze Politiche dell'UFSC.
Riferimenti
Antonio Callado. Quarup. Rio de Janeiro, Editora José Olympio (https://amzn.to/3KLup2e).
Ana Maria Gonçalves. un difetto di colore. Rio de Janeiro, Editora Record (https://amzn.to/3E0gHF9).