Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca

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da RICARDO MUSSE*

Considerazioni sul libro di Fredrich Engels

Il nuovo materialismo propugnato da Engels, ancorato principalmente al progresso delle scienze della natura e della storia, come presentato nel 1878 nel libro Anti-Duhring, dispensa con l'aiuto di una conoscenza superiore, "particolarmente dedita allo studio delle concatenazioni universali". Nella misura in cui questo studio era considerato il compito prioritario della filosofia, l'ultimo Engels aggiorna, in chiave nuova, il topos essenzialmente giovane-hegeliana alla quale, insieme a Marx, aderì negli anni Quaranta dell'Ottocento: il superamento (annullare, cioè insieme negazione e realizzazione) della filosofia.[I]

Questo superamento – affrontato di sfuggita nel Anti-Duhring, dedicata soprattutto alla “esposizione positiva” della dialettica attraverso la determinazione dei suoi nuovi supporti – assume maggior rilievo e dimensione in un testo dieci anni dopo, Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca, il cui tema principale, riassunto nel titolo, è una resa dei conti tra materialismo e filosofia. È lì che le posizioni di Engels su scienza, filosofia e le loro reciproche relazioni si articolano come un insieme più coerente e ordinato, che non manca di evidenziare e cristallizzare le ambiguità e le contraddizioni della sua concezione.

 

1.

I quasi vent'anni trascorsi tra la morte di Hegel (1831) e la fallita rivoluzione del 1848 sono segnati, nel pensiero tedesco, dalla convinzione di vivere in un periodo decisivo della storia umana, dove la verità non poteva che trovarsi e messa in discussione pratica nel territorio delimitato dalla “concreta esistenza materiale dell'uomo”. I principi astratti del sapere filosofico, rifiutati nella loro trascendenza, si trasformarono nei fondamenti dell'azione emancipatrice, giacché d'ora in poi spettava agli uomini stessi «determinare il corso razionale della storia».[Ii] La promessa di realizzazione temporale della ragione e della libertà individuale, inscritta nella filosofia hegeliana sotto l'egida della consumazione che annunciava la fine della filosofia, diventa allora un compito per il futuro. Come concrete possibilità storiche, diverse modalità e concezioni di questa “realizzazione” competono su un terreno comune: la negazione della filosofia.

Abbandonato da tempo, questo numero torna improvvisamente, sotto una nuova veste, al corpo teorico del marxismo nel 1888. Engels, nel suo desiderio di produrre una "esposizione concisa e sistematica" dei suoi rapporti con la filosofia di Hegel, oltre a sottolineare l'importanza dell'influenza di Ludwig Feuerbach nella formazione del materialismo storico, presenta il marxismo come uno dei risultati della “scomposizione” della scuola hegeliana. Una volta evidenziati questi legami, per evitare l'interpretazione che inserisce il marxismo come una scuola in più nella serie dei sistemi filosofici, Engels è costretto a mettere in luce la specificità della filosofia dei giovani hegeliani e, di conseguenza, di Hegel stesso.[Iii]

Nella misura in cui privilegia, nella sua comprensione del giovane hegelismo, la filosofia di Ludwig Feuerbach,[Iv] presentato come l'anello conclusivo di una catena che parte da David Strauss e passa per Bruno Bauer e Max Stirner – abbandonando ogni riferimento a quegli autori, come Moses Hess, Arnold Ruge o Cieszkowski, la cui preoccupazione politica è più esplicita[V] –, Engels sposta su un piano secondario la questione della “realizzazione pratica” della filosofia. Il superamento della filosofia si presenta ora come una disgregazione, cioè come un processo che si svolge nel campo stesso di questa conoscenza.

Critica retrospettiva, l'analisi di Fredrich Engels squalifica il pensiero di Ludwig Feuerbach (basato sulle sue premesse filosofiche, in particolare sul suo materialismo) confrontando le sue conquiste con le conquiste del marxismo. Adotta però, allo stesso tempo, un atteggiamento condiscendente, trasformando l'avversario di un tempo, combattuto ferocemente, in l'ideologia tedesca, in un momento necessario in un percorso intellettuale e storico.

In questa versione, la restaurazione feuerbachiana del materialismo ebbe inizialmente un ruolo produttivo. Sottolineando l'indipendenza della natura rispetto alla filosofia, Feuerbach avrebbe sciolto il nodo formato dalla commistione giovane-hegeliana di materialismo francese ed hegelismo, che rese possibile, tra l'altro, la critica svolta da Marx ed Engels in La Sacra Famiglia.

Feuerbach, tuttavia, non avrebbe sviluppato appieno le potenzialità aperte dalla sua filosofia. La sua traiettoria, descritta da Engels come la marcia di un hegeliano non ortodosso verso il materialismo, si fermò davanti al compito di superare (“distruggendo criticamente la sua forma, ma conservando il nuovo contenuto da essa acquisito”) la filosofia di Hegel.

Così, una volta rotto il sistema, il completo rifiuto dell'eredità di Hegel ricondusse Ludwig Feuerbach alle posizioni del materialismo francese del XVIII secolo. Prigioniero di una versione meccanicistica e antistorica, non poté sviluppare il suo materialismo, non applicandolo né alle scienze naturali né alla conoscenza storica, aprendo la strada alla reintroduzione dell'idealismo nel suo pensiero (soprattutto nei campi della filosofia della religione e dell'etica). È questa commistione, la coesistenza di tendenze materialiste e idealiste, che configura la sua filosofia come momento di transizione, come anello intermedio tra la filosofia idealista di Hegel e la concezione materialistica della storia.

L'intero corso di questo percorso si snoda, secondo Engels, attraverso la convergenza – almeno per quanto riguarda il superamento della filosofia – di due stirpi inizialmente antagoniste: quella idealista, caratterizzata dall'affermazione del carattere predominante dello spirito, e quella materialista, che sottolinea il primato della natura. I sistemi idealisti si sono impregnati (per effetto dello sforzo panteistico di conciliare spirito e natura) di un contenuto sempre più materiale, fino a diventare, con il sistema di Hegel, un “materialismo capovolto”. Il materialismo, a sua volta, ha attraversato una serie di fasi, modificando successivamente la sua forma secondo le ultime scoperte nel campo delle scienze naturali e, a partire da Marx, nel campo della storia.

Per comprendere il senso di questa convergenza, o meglio, il modo in cui Engels concilia – per definizione – opposte tendenze, è necessario esaminare alcuni dei presupposti di questa approssimazione, a prima vista sconcertanti e paradossali.

La confluenza tra la svolta verso il materialismo (effettuata attraverso la trasmutazione dell'idealismo e un affinamento concettuale del materialismo, nonché un'intersezione, risultante dall'incorporazione, sia pure modificata, del metodo di Hegel da parte del marxismo) e la negazione della filosofia riposa, in ultima analisi, sulla determinazione del concetto di filosofia da parte dell'idealismo tedesco, ovvero sulla tesi diffusa da Schelling e Hegel che “ogni filosofia è idealismo”.[Vi]

L'adesione di Engels alla definizione idealistica della filosofia, oltre a consentirgli di associare il materialismo alla fine della filosofia, gli consente anche di compiere un'operazione estremamente complicata: la giustificazione dell'incorporazione, da parte della concezione materialistica della storia, della contenuto materiale della filosofia hegeliana. In questo senso, il suo primo passo è quello di minimizzare il ruolo svolto dal concetto di assoluto in Hegel. Così, invece di sottolineare che tale associazione, l'unificazione di filosofia e idealismo, può essere sostenuta solo dal presupposto e dal punto di vista dell'assoluto, Engels sostiene il risultato, l'identità che gli conviene, rifiutando la premessa, il momento concettuale il cui centro è l'assoluto.[Vii]

Pur scartando questa interpretazione convenzionale, Engels mette in luce la contraddizione rivelata dal dibattito intellettuale tedesco degli anni Trenta-Quaranta dell'Ottocento circa il celebre passaggio della Prefazione a Filosofia del diritto – “tutto ciò che è reale è razionale; e tutto ciò che è razionale è reale. Sia i conservatori che i rivoluzionari rivendicarono (secondo Engels, non senza ragione) questa frase a conferma della validità della loro particolare interpretazione del pensiero di Hegel e come una sorta di avallo della loro posizione religiosa e politica.

Da un lato, quando si differenzia, con Hegel, “reale” da “esistente”, prestando attenzione anche al carattere storico delle forme sociali, la “realtà” diventa soggetta a corrosione in un processo incessante che la converte, nel corso del tempo, in un susseguirsi di residui irrazionali, privi di necessità e, quindi, del diritto di esistere. Intrinseco alla dialettica, predomina l'aspetto rivoluzionario: «La proposizione della razionalità di ogni elemento effettivo reale si dissolve, secondo tutte le regole del modo di pensare di Hegel, in quest'altro: tutto ciò che esiste è degno di perire» (Engels, Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca, p. 23).

Ma è anche possibile, d'altra parte, senza tradire Hegel, privilegiare il nesso interno del suo concetto di realtà con la nozione di necessità, che legittimerebbe, attribuendo ragione all'esistente, certe forme sociali e del sapere, tra cui la Stato prussiano. Questa dualità, inscritta nel cuore della filosofia di Hegel, deriva dalla contraddizione tra il metodo (antidogmatico, avverso alle verità assolute) e le esigenze interne del sistema che hanno reso possibile la reintroduzione del dogmatismo, cioè l'esigenza (per Engels insita in ogni progetto sistematico) di completare l'ordinamento del materiale adottando come chiusura una sorta di verità assoluta.[Viii]

Nell'interpretazione di Engels, il ruolo preminente attribuito da Hegel al sistema deriva soprattutto dal suo idealismo. Non esattamente nel senso che è un modo specifico di articolare la materia (cioè un rapporto specifico tra concetti e dati, teoria e fatti, logica e storia, a priori e a posteriori) e, quindi, un'opzione tra le altre, ma un attributo essenziale di ogni procedimento filosofico. Dice Engels: “Per tutti i filosofi è proprio il “sistema” che perisce, e questo proprio perché nasce da un imperituro bisogno dello spirito umano: il bisogno di superare tutte le contraddizioni. Ma se tutte le contraddizioni vengono eliminate una volta per tutte, si approda alla cosiddetta verità assoluta: la storia universale è finita eppure deve continuare, anche se non ha più niente da fare – da qui una nuova, insolubile contraddizione. "(Engels, Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca, p. 31).[Ix]

Il metodo stesso di Hegel (nella misura in cui concepisce la natura, la storia e il mondo dello spirito come un processo incessante di trasformazioni e mutamenti) mette in discussione la pretesa della sua filosofia di porsi come sintesi e compendio di una verità assoluta, anche se nella forma della totalità di un processo logico e storico.[X] Hegel limita l'applicazione della dialettica all'autosviluppo del concetto, cioè a un movimento che, secondo Engels, esiste e si svolge «dall'eternità, chissà dove, ma, comunque, indipendentemente da ogni pensiero cervello umano".[Xi]

Per eliminare questa “deformazione ideologica”, per liberarsi di questa “crosta idealistica”, riscattando il carattere rivoluzionario del metodo, basta tornare “ad apprendere materialisticamente i concetti nella nostra testa come immagini derivate da cose effettive, invece di apprendere cose effettive come immagini derivate da questo o quello stadio del concetto assoluto» (id., ibid., p. 91). Questa trascrizione della dialettica del concetto alla condizione di “un riflesso cosciente del movimento dialettico del mondo effettivo”, cioè della natura e della storia; la considerazione materialistica della filosofia hegeliana, sembra sufficiente a ripristinare la dialettica “dalla testa su cui era, di nuovo ai piedi” (id., ibid.).

Le condizioni di questa inversione sarebbero dunque, nello stesso movimento, sia l'abbandono dell'involucro, “il sistema universale e compatto, definitivamente plasmato”, in cui Hegel intenderebbe inquadrare le scienze della natura e della storia, sia la soppressione di filosofia stessa.: “… finirà anche tutta la filosofia nel senso in cui la parola è conosciuta fino ad oggi. La "verità assoluta" irraggiungibile per questa via e per ogni individuo viene abbandonata, e si perseguono invece le verità relative raggiungibili per via delle scienze positive e la connessione dei loro risultati attraverso il pensiero dialettico. Con Hegel finisce la filosofia in generale. Da una parte perché ha raccolto nel suo sistema, nel modo più grandioso, l'intero sviluppo della filosofia; dall'altro perché, seppure inconsapevolmente, ci indica la via d'uscita da questo labirinto di sistemi verso una conoscenza positiva ed effettiva del mondo (id., ibid., p. 33).[Xii]

Il compito proposto da Engels comprende solo la “distruzione critica della forma”. Liberarsi della crosta filosofica, fare a meno di questa “scienza delle scienze che sembra galleggiare sulle altre scienze particolari, riassumendole e sintetizzandole”, non significa buttare via il contenuto, la ricchezza enciclopedica dell'opera di Hegel. Nonostante le costruzioni a volte arbitrarie, l'imposizione del sistema, il "tesoro dell'erudizione" che riempie i suoi libri deve essere incorporato nella conoscenza organizzata del mondo, ora organizzata, con l'autonomia di discipline specifiche, su un nuovo livello.

 

2.

Nella linea evolutiva dell'altra tendenza, quella materialista (anticipata garanzia della convergenza presupposta), gioca un ruolo centrale un altro patrimonio della filosofia, il metodo dialettico. Intesa come “scienza delle leggi generali del movimento, sia del mondo esterno sia del pensiero umano”, elevata a condizione di leggi a sé stanti, la dialettica, trasposta da metodo filosofico a metodo scientifico, diventa la metodologia propriamente detta alla “conoscenza positiva” ed efficace nel mondo”. Nel campo delle scienze naturali, per tutto il XIX secolo, l'emergere di nuove specialità, fisiologia, embriologia, geologia; le decisive scoperte della cellula, della trasformazione dell'energia e dell'evoluzione della specie aprirebbero, secondo Engels, la strada a una nuova concezione della natura che la avvicini ai processi dello sviluppo storico. Ciò ha comportato una profonda modifica di questo sapere, che ha superato lo stadio delle mere “scienze collezionistiche” – incentrate sullo studio degli oggetti (vivi o morti) come ready-made –, diventando “scienze dell'ordine” – dedite allo studio di “processi, dell'origine e dello sviluppo di queste cose e della connessione che unisce questi processi naturali in un grande insieme” (id., ibid., p. 95).

La preoccupazione per la connessione dei fenomeni naturali all'interno di un dato dominio, ma anche tra diverse specialità, la visione d'insieme che ne deriva impone spontaneamente, anche agli scienziati formati nella tradizione "metafisica", l'interpretazione dialettica della natura. Il concatenamento dei risultati di questi diversi tipi di conoscenza formerebbe già, secondo Engels, un sistema della natura abbastanza solido da liquidare la venerabile filosofia della natura.

Lo studio storico della società, o meglio l'indagine delle attività umane, sotto l'influsso delle scoperte di Karl Marx, che misero fine alla filosofia della storia, subì anch'esso un processo simile in cui, nonostante le differenze tra agenti (qui uomini dotati di coscienza che agiscono per perseguire determinati fini sotto l'impulso della riflessione o della passione, ivi fattori ciechi e inconsci che agiscono gli uni sugli altri in connessione reciproca), è stata sottolineata l'applicabilità delle stesse leggi immanenti generali (dialettiche).[Xiii]

Il superamento di tanti antagonismi logici, il gradualismo, senza discontinuità, del passaggio dall'idealismo al materialismo, dal metodo filosofico al metodo scientifico, dal sistema filosofico alla conoscenza positiva ed effettiva del mondo, che tanto l'idealista quanto il serie materialistiche arrivano indipendentemente, sono ancorate, in larga misura, a un aspetto peculiare dello sviluppo storico: “I filosofi, tuttavia, in quel lungo periodo da Descartes a Hegel e da Hobbes a Feuerbach, non furono affatto spinti ad avanzare, credevano, con la sola forza, del puro pensiero. Anzi. Ciò che, infatti, li spingeva ad avanzare era, cioè, il progresso potente e sempre più impetuoso delle scienze naturali e dell'industria (id., ibid., p. 49).

L'enfasi ottimistica (anche nel campo delle implicazioni sociali) sullo sviluppo delle forze produttive deriva da una concezione della pratica che privilegia “sperimentazione e industria” come fattori decisivi in ​​questo processo. Sul piano teorico, il richiamo a tale coppia basterebbe non solo a confutare l'agnosticismo epistemologico di Kant (incentrato sull'infame cosa in sé), ma anche a sfidare “ogni altra manie filosofica”.[Xiv]

Ciò detto, non è affatto irragionevole affermare che l'ultimo Engels, pur sottolineando solo la negazione della filosofia, rimane fedele al motto del giovane hegeliano della realizzazione della filosofia. In effetti, ciò che è cambiato sostanzialmente tra La Sacra Famiglia (1844) e Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca (1888) era la concezione della pratica, che assumeva sempre meno contorni politico-sociali (o, se si preferisce, soggettivi), non il progetto di realizzare la filosofia attraverso la pratica.

*Ricardo Musse È docente presso il Dipartimento di Sociologia dell'USP. Organizzatore, tra gli altri libri, di Cina contemporanea: sei interpretazioni (autentico).

 

Riferimento


Federico Engels. Ludwig Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca. Traduzione: Vinicius Matteucci de Andrade Lopes. Edizione bilingue. San Paolo, Hedra, 2020, 170 pagine.

 

note:


[I] Il giovane Engels, in testi anteriori alla stesura di La situazione della classe operaia in Inghilterra (1844), definì il comunismo, al quale aderì prima di Marx, come una "derivazione, una conclusione inevitabile" della filosofia tedesca (vedi Stedman Jones, "Ritratto di Engels" p. 396-402). Anche in questo libro, del 1845, secondo lo stesso Engels, si possono ancora trovare, ben visibili, “i segni della filosofia classica tedesca” (Engels, Prefazione dal 1892 al La situazione della classe operaia in Inghilterra”, p.125).

[Ii] Dai un'occhiata a Marcuse, ragione e rivoluzione, P. 242-3 e Arantes, risentimento della dialettica, P. 372.

[Iii] È possibile, alla luce di questo insieme di interrogativi, ridimensionare l'impatto sulla tradizione marxista della pubblicazione del 1932, in Marx-Engels GesamtausgabeDue Manoscritti economico-filosofici (1844) di Carlo Marx. Più che la scoperta di un nuovo continente come talvolta sono state presentate, è piuttosto il recupero di materiale decisivo per la discussione di temi essenziali – “l'origine”, “il senso della teoria del socialismo scientifico”, il “rapporto tra Marx e Hegel” (cfr. Marcuse, “New Sources for the Basis of Historical Materialism”, p. 09) – posto all'ordine del giorno dal Ludwig feuerbach di Engels e ripreso, in chiave più ampia, da Storia e coscienza di classe, di György Lukács.

[Iv] La presenza di Feuerbach già nel titolo del libro ovviamente non deriva solo dal fatto che il testo è stato originariamente composto come commento, commissionato dalla rivista Nuova Zeit, dal libro Ludwig feuerbach di CN Starcke.

[V] Ciò che colpisce di più è l'assenza di qualsiasi menzione di Moses Hess, il cui comunismo Engels era un sostenitore della sua giovinezza. Sul rapporto di Marx ed Engels con Hess, Ruge e Cieszkowski vedi Cornu, Karl Marx e Friedrich Engels, T. 1, pag. 132-287, t. 2, pag. 01-105 oppure Gancio, La genesi del pensiero filosofico di Marx, P. 161-206 e 233-72.

[Vi] Dice Schelling: “Se determiniamo la filosofia nel suo insieme secondo ciò che essa intuisce ed espone tutto, secondo l'atto-di-conoscenza assoluto, di cui anche la natura è, a sua volta, solo un lato, secondo l'idea di tutte le idee , allora è idealismo” (Schelling, Esposizione dell'idea universale della filosofia in generale e della filosofia-della-natura come parte integrante della prima, P. 52). Per Hegel, la “proposizione che il finito è l'ideale costituisce l'idealismo. L'idealismo della filosofia consiste proprio in questo: non riconoscere il finito come il vero esistente. Ogni filosofia è essenzialmente un idealismo, o almeno lo ha come principio, e l'unico problema è [riconoscere] la misura in cui questo principio è effettivamente realizzato. […] L'opposizione tra filosofia idealista e realista non ha senso. Una filosofia che attribuisce all'esistenza finita un essere vero, ultimo e assoluto non merita il nome di filosofia» (Hegel, Scienza della logica, p. 136).

[Vii] La semplicità di questa operazione non ha evitato rischi di fraintendimenti, anzi. Colletti accusò Engels (e con lui tutta una tradizione del marxismo occidentale) di affidarsi a una filosofia (idealista) dell'assoluto (vedi Colletti, Marxismo e Hegel, pp. 99-111). Altri, come David McLellan, accusano Engels di aver sostituito il concetto di “spirito” a quello di “materia” come assoluto (cfr McLellan, Le idee di Engels, p. 59).

[Viii] Va da sé che la questione dell'“assoluto”, liquidata altre volte con tanta facilità, qui ritorna, anche se per vie sotterranee (Engels si occupa più ampiamente del carattere dogmatico delle verità assolute in Anti-Duhring, pag. 71-80).

Nell'accusare Hegel di dogmatismo, Engels è ancora una volta un tributario del vocabolario, e in parte anche delle procedure, dell'idealismo tedesco. Quest'ultimo, a partire da Kant, ha sempre utilizzato il termine “dogmatismo” per identificare “consensi” prestabiliti, che assume come bersagli prediletti del compito critico.

[Ix] Per chiarire alcuni dei fattori coinvolti in questa identificazione, eminentemente idealistica, tra sistema e filosofia cfr. Ornamento, Dialettico negativo, P. 31-39.

[X] Cfr. Engels, Anti-Duhring, P. 23.

[Xi] Cfr. Engels, Anti-Duhring, P. 89.

[Xii] Engels non differenzia mai la sua dialettica, come esposto nel Anti-Duhring, della dialettica hegeliana come presentata in Ludovico Feuerbach…, salvo per quanto riguarda la busta (materialista o idealista). Inoltre, è praticamente impossibile distinguere ciò che egli dice della dialettica hegeliana dalle definizioni che offre della versione materialista.

[Xiii] Andrew Arato, in “The Antinomy of Classical Marxism: Marxism and Philosophy” (pp. 90-2), sottolinea che la versione engelsiana della dialettica, non concependo “la sostanza come soggetto”, è impreparata a spiegare la storia. Questa limitazione della dialettica engelsiana, tuttavia, non sembra sufficiente a sostenere un'altra delle sue affermazioni – che questo marxismo ripristinerebbe “il trionfo della natura sulla storia”. Più cauto, Fetscher accusa Engels di avvicinare il processo storico e il processo naturale generalizzando per entrambi la stessa dialettica. Secondo lui, il “parallelismo tra natura e società porta a trascurare il 'momento cosciente' nel processo storico” (id., Karl Marx e i marxismi, p. 164).

[Xiv] Fetcher (Karl Marx e i marxismi, pp. 161-2) vi trova, nell'ancoraggio nelle scienze naturali di questo tentativo di soppiantare la filosofia, i germi del marxismo industrializzante. Il progetto dell'ultimo Engels, totalmente diverso dalla trasformazione collettiva che Marx prefigurava nell'espressione “realizzazione della filosofia”, porterebbe a un “processo infinito di conoscenza nelle scienze naturali e nella produzione materiale” le cui conseguenze politiche più visibili sarebbero la deviazione dal compito di “liberazione dell'umanità realizzata nel proletariato per la liberazione delle tendenze di espansione delle forze produttive”.

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