Machado de Assis e la proprietà delle persone

Soledad Siviglia, senza titolo, 1977
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da GUILHERME RODRIGUES*

La questione della schiavitù nel romanzo di Machado

Per un lettore medio, deve già essere un luogo comune sapere che l'opera di Machado de Assis dialoga con le questioni più urgenti del suo tempo – soprattutto in Brasile, ma anche in Europa e America. L’autore non solo non ha evitato le discussioni pubbliche, ma ha scritto spesso anche di schiavitù, questioni diplomatiche, controversie politiche interne e, naturalmente, di arte – l’oggetto più costoso del suo lavoro.

Tali dibattiti (che si svolgevano sulle pagine dei giornali di Rio de Janeiro) entravano sistematicamente nella sua produzione letteraria: lo dimostra lo studio sincronico della sua prosa, della sua poesia e del suo teatro insieme alle cronache (come nel caso delle ricerche di Lúcia Granja[I] e Marcelo Lotufo[Ii]). Cioè, qualsiasi accusa di silenzio o disattenzione da parte dello scrittore su temi come la schiavitù sembra fuori luogo, e potremmo consigliare i famosi racconti “Il caso della verga” o “Padre contro madre”.

Nel romanzo la questione è forte anche, sia nell'aspetto più superficialmente tematico (come, ad esempio, nel caso dello schiavo Prudêncio das Le memorie postume di Bras Cubas) o addirittura strutturale (come dimostra l’ormai classico saggio di Roberto Schwarz[Iii]). Diamo un'occhiata, allora, all'ultimo libro pubblicato dall'autore in vita, il Memoriale dell'Ares (1908).

In esso seguiamo un caso tipico del romanzo machadiano: una trama rarefatta e furtiva, uno stile molto digressivo con un alto livello di autoreferenzialità e una forma molto audace: quella di un diario di un diplomatico in pensione tra gli anni 1888 e 1889. Non sorprende che il romanzo abbia come sfondo storico l'abolizione della schiavitù e la fine dell'Impero (nonostante il diario non arrivi al 15 novembre), e, inoltre, che scelga come protagonisti personaggi provenienti da la classe dei possidenti è schiava con i suoi meschini interessi. La sequenza del diario che passa attraverso l’abolizione è, poi, interessante notare in quali termini si svolse il dibattito sull’emancipazione tra questa classe e gli intellettuali che ad essa appartenevano – come nel caso di José Marcondes Aires, lo scrittore del diario.

In questo momento, tra la fine di marzo e l’inizio di maggio, abbiamo un grande proprietario terriero, il barone di Santa-Pia, che, infuriato per l’avvicinarsi della liberazione, decide di liberare con le proprie forze i suoi prigionieri, come “ ha condannato l’idea attribuita al governo di decretare l’abolizione”[Iv], che egli giustifica nei seguenti termini: “Voglio dimostrare che considero l'atto del governo un saccheggio, per intervenire nell'esercizio di un diritto che appartiene solo al proprietario, e di cui mi avvalgo a mio discapito, perché io voglio e posso”[V].

Il progetto del barone è, in questo senso, quello di liberare i suoi schiavi prima che lo faccia il governo, accusando l'atto di spoliazione: lui, qualcuno che sottopone le persone alla condizione di cosa, senza nome e senza storia; e, così, esige - come la maggior parte dei proprietari dell'epoca - un risarcimento non per i prigionieri rapiti e distrutti da generazioni, ma per sé stesso, per essere stato usurpato delle sue cose, che, in realtà, sono persone - un problema che Machado aveva già trattato ironicamente in una cronaca della serie del 1888 Bei giorni![Vi] pubblicato in Gazzetta delle notizie, giornale abolizionista e repubblicano della fine del XIX secolo.

Il piano di Santa-Pia, però, non viene attuato, a causa dell'intervento del fratello, il quale gli assicura che “con la manomissione immediata, farà del male a sua figlia, sua erede”, e il barone non avrebbe intenzione di “negare la figlia eventuale diritto agli schiavi”[Vii]. L'eredità di persone che vedono la loro vita saccheggiata a morte in un'azienda agricola che sta attraversando una serie di problemi produttivi, questo è ciò che si intende qui; e il barone ritiene anche che, anche liberati, i prigionieri non lascerebbero la fattoria, ma rimarrebbero “guadagnandosi il salario che vado a dare loro, e alcuni anche senza niente”[Viii].

Vale la pena notare, quindi, che il barone di Santa-Pia resterà di fatto con i suoi schiavi, come anche nel caso di Aires, il cui prigioniero José rimane con sé dopo la sua affrancamento – con l'arrivo della Legge d'Oro, Aires stesso Non manca di notare che, anche con essa, «non potremo eliminare gli atti privati, gli scritti e gli inventari, né cancellare l’istituzione della storia, e nemmeno la poesia».[Ix], cosa che senza dubbio ha cercato di fare una parte considerevole degli intellettuali brasiliani nel XX secolo, epoca in cui Machado de Assis scrisse il suo romanzo.

Il caso si svolge in modo ancora più cinico alla fine del romanzo diario: dopo la morte del padre, la figlia decide di sbarazzarsi della fattoria – va notato che la regione di Paraíba do Sul, dove si trova la proprietà terriera, si trovava in una crisi produttiva molto significativa in quel momento. In questo senso la sua decisione, in un primo momento, sarebbe quella di venderlo, ma lo sposo lo convince a donarlo agli schiavi dopo che uno dei due potenziali acquirenti ha rifiutato il prezzo di vendita (a causa della crisi?); come avrebbe detto Tristano, lo sposo: “Dal momento che i liberti tengono la zappa per amore della giovane, cosa le ha impedito di prendere il podere e di darlo ai suoi ex prigionieri? Lasciamoli lavorare per se stessi”[X]. Qualsiasi somiglianza con discorsi più contemporanei che attribuiscono la libertà ai poveri attraverso l’imprenditorialità periferica o affermazioni simili non dovrebbe essere una coincidenza; si sono solo trasmutati in termini ideologicamente più vicini a noi.

È noto come il processo di manomissione in Brasile abbia finito per risarcire i proprietari e non le persone schiavizzate da generazioni, che, a maggior ragione, sono state lasciate a se stesse con discorsi come questo di Tristão. Questi giovani legatari della classe dirigente lasciano poi il Brasile per il Portogallo, dopo il loro matrimonio, lasciandosi alle spalle una Rio de Janeiro in trasformazione, che vedrà al tempo di Machado de Assis la sanificazione di Rodrigues Alves, e, nella vecchia metropoli, il regicidio dell'ultimo monarca portoghese; Intanto loro stessi, giovani innamorati, ricchi e già promessi una vita di successo politico, insinuano a coloro che sono stati brutalizzati che il lavoro nei campi li libererà.

Fidelia e Tristano sono alla ricerca di un idillio, di un amore campestre come in un dipinto di Teocrito, come ricorda il consigliere nel suo diario; tuttavia, dobbiamo ricordare che il campo e la terra tra di noi non sono mai stati uno spazio di realizzazione amorosa: è stato, in verità, il luogo dell’abbrutimento più profondo – delle persone e degli altri esseri viventi che erano lì.

Machado de Assis scrive questo romanzo nel primo decennio del XX secolo belle époque fluminense, che nel dopoguerra, suscitò ricordi idilliaci di un bellissimo passato in cui si godeva la vita senza preoccupazioni. Va notato, tuttavia, con l'occhio attento dello scrittore brasiliano, che questo passato è costituito da un fantasma e fondato, soprattutto, sullo sfruttamento e sulla distruzione brutali – e i governanti hanno sempre cercato di invertire questa storia. Sarebbe opportuno, allora, ritornare alla formulazione di uno dei pensatori moderni più poetici, contemporaneo del vecchio Machado:

Coloro che, fino ad oggi, sono sempre usciti vittoriosi fanno parte del corteo trionfale che porta i signori di oggi a scavalcare coloro che oggi mordono la polvere. In corteo vengono portate, come è consuetudine, anche le spoglie. Sono generalmente chiamati beni culturali. Potranno contare, nel materialista storico, su un osservatore distaccato, poiché ciò che può comprendere di questo patrimonio culturale proviene, nella sua interezza, da una tradizione alla quale non può pensare senza inorridire.

Perché deve la sua esistenza non solo agli sforzi dei grandi geni che l'hanno creata, ma anche alla schiavitù anonima dei suoi contemporanei. Non c'è documento di cultura che non sia anche documento di barbarie.[Xi]

*Guilherme Rodrigues Ha conseguito un dottorato di ricerca in Teoria letteraria presso l'IEL di Unicamp.

note:


[I] Per concentrarci solo su due casi della sua vasta produzione: GRANJA, Lúcia. Machado de Assis: prima del libro, il giornale. San Paolo: Ed. Unesp, 2018; e “Dalle riviste ai libri: Machado de Assis, Jules Verne e i loro editori”. In: Incantesimi, v. 40, 2021, pp. 131-43.

[Ii] LOTUFO, Marcelo. “'Instinto de Nacionalidade' e le novelle 'Aurora sem dia' e 'A parasite azul': una proposta di lettura sincronica per Machado de Assis”. In: Machado de Assis in linea, v. 13, 2020, pp. 25-43.

[Iii] SCHWARZ, Robert. Un maestro alla periferia del capitalismo: Machado de Assis. San Paolo: Editora 34, Duas Cidades, 2012.

[Iv] Nella annotazione datata 10 aprile 1888 (nel resto di questo articolo si fa riferimento solo alle date delle annotazioni del diario).

[V] ibid.

[Vi] Cronaca del 19 maggio 1888, in cui la voce del cronista include un proprietario che liberò il suo schiavo Pancrácio prima della sua manomissione il 13 maggio.

[Vii] Memoriale dell'Ares, 10 aprile 1888.

[Viii] ibid.

[Ix] Memoriale dell'Ares, 13 maggio 1888.

[X] Memoriale dell'Ares, 15 aprile 1889.

[Xi] BENIAMINO, Walter. "Sul concetto di storia". In: L'angelo della storia. Org. e trad. João Barrento. Belo Horizonte: Autentica, 2020, pp. 12-3.


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