Mallarmé sciamanico

Immagine: Berry Bicke
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da EDUARDO GALENO*

La musa di Mallarmé divora i libri come il buco nero divora la pasta

Scrivi come se fossi il penultimo scrittore. In un silenzio prolungato dalle righe che si susseguono, pendenza totale. L'abisso, il divario. E' l'ora del tuffo. Zarathustra, quel nietzscheano, la pensò bene: consigliando di tuffarsi nella declinazione assoluta, facendo nascere il poema, “partorendo una stella danzante”. Questo spazio indefinito del pozzo profondo, o del mare vuoto, è l'immagine poetica di un mondo senza immagini, dove risuona la pianta naufragata dell'esterno, insieme al calcolo del Maestro (Il capo) dal rimbalzo della scrittura.

È lì, nel luogo dove c'è solo il luogo, l'effetto incondizionato dell'esperienza di abnegazione, nata dall'impossibile della scelta. Niente e nessuno può contrastare il fenomeno, poiché anche da questo fagocimento si rivela l’inutilità dell’autorità. Fatto, essere: questa è la volatile diffusione della forza di resistenza dell'opera a ciò che fa. Nel lavoro ciò che conta non è mai il singolo individuo, ma solo la decisione di cosa significhi per te. Lei, quindi, non smette mai di parlare. Non finisce mai perché il suo esaurimento ultimo dipende dall'origine, che è la sua fine: è sempre ellittica. Tracciando in lettere il tempo finito della conversazione, il dittare si trasforma da tempio a prigione, avviando così la definitiva cancellazione del suo essere. Nel monologo: non c'è niente di più falso in letteratura del monologo interiore.

Il licenziamento dell'opera da parte dell'autore mostra la violenza dell'evento. La scrittura non è semplicemente esposizione grafica dello sguardo: è la radicale certezza, sì, del tratto, con il supporto strumentale dello stilo che possiede. Ecco perché in esso l'attaccamento al nulla significa esattamente l'attaccamento al tutto (almeno nelle esperienze cosiddette borderline, traboccanti). Esteso, non è più scritto. Forse la parola più appropriata, ora, è (ex)critato: tirare al massimo la bobina del linguaggio affinché salti all'esterno, spinto dal senso di smarrimento. In via provvisoria, i movimenti di apparizione e scomparsa sono ciclici, ma collocati, paradossalmente, nello stesso momento, durante l'eternità.

La letteratura dà e toglie nella stessa unità di parola. Perché quel? Se la letteratura è finzione, da dove nasce la tua passione per tutto ciò che non è tuo? Quando Mallarmé parlò px Nel sonetto non emergeva forse l'ironia con cui la letteratura si espone e finisce? Dal suo opposto, negato ma incapace di morire, nasce la realtà della finzione. La costellazione delle due Orse, distanti centinaia di anni luce, dialoga con la costellazione di lettere della pagina bianca, nell'ideogramma.

Un colpo di scena È una poesia futuristica in quanto installa la materia morta delle stelle accanto alla carne umana. Non in modo kantiano (Mallarmé è il primo scrittore, senza prosa, a rompere la tesi soggettività/oggettività): lo fece, in particolare, quando uccise annegando il vecchio Maestro, giudicando la mancanza come costitutiva della poesia, unendo la penna , pieno di pittura e attrito di presenza (anche se sottratta e isolata), all'universo, pieno di assenza e morte. Vince l'ultimo.

Interregno, la letteratura agisce sulla soglia dell'inclinazione alla morte, disposta nell'atto solitario. Mallarmé sapeva in anticipo che nessun essere è più un aiuto quando la spaccatura è sottoposta alla propria cura. Nasce così la superficie di un'incalcolabile apertura, mentre si raggiunge la profondità come esperienza-limite, in cui l'uniformità (del libro tradizionale) è disordinata e riverbera l'arretramento del senso (non c'è telos). A volte non si muore mai completamente; solo con la morte per ferimento.

Lo spettro di Re Amleto è la prova compiuta di questa verità di esistenze poste nella metamorfosi tra materiale e immateriale, che non possono morire perché si sono dimenticate di morire. Simile al caso del cacciatore Gracco, creazione kafkiana: incapace di morire senza essere corpo vivente. In entrambi lo statuto ontologico va al di là e al di sotto dell'uomo. Al Maestro, colui che nel poema brandisce i dadi in mano, le insegne degli afflitti. Esita a varare perché oppresso dal cielo e dal mare: facendosi ponte tra Amleto (predecessore) e Gracco (successore), costituisce diffusione eroica manovrando la barca, mirando alle onde folli della probabilità, sapendo, in anticipo, il suo fallimento (forse le immagini di La battaglia libera, di Rimbaud, furono cruciali in questo caso).

Il maestro è tanto l'uomo di fronte all'assoluto quanto lo scrittore di fronte alla letteratura. Indica un anello decisivo nella creazione di nuove geometrie spaziali e di nuove esistenze a venire, anche quelle mai viste prima, ma già presenti, per aver imparato a sottometterle storicamente. Il carattere tra passato e futuro appare attraverso il rischio tra caso e necessità nella figura dei dati. È in questo modello di fuga che si incontrano il demone successivo e immemorabile e le schiume primordiali, entrambi, attraverso il tempo, muovendosi per raggiungere il momento dell'offerta.

Il silenzio sepolcrale interpella. Questa idea soprannaturale fittizia reagisce al determinismo costituito (il caso non viene assorbito dalla necessità, poiché la necessità si pone radicalmente nella contingenza), ampliando così la possibilità, il probabile, il forse evocato dal testo mallarmiano. Chiusura e apertura, la poesia si consuma, il Libro diventa l'oroboro, divorando eternamente la propria coda: appena il Libro afferma, anche nega. È così che il circolo del divenire viene esportato nella poesia, nella letteratura, in qualunque forma. Operare il caso, rifiutare la fortuna, la frase chiave dell'opera è questa: guardare, dubitare, rotolare, brillare e meditare.

I cinque punti rivendicati vanno dalla certezza poetica al movimento indeterminato (equilibrio instabile di Claudel), materia sia di chiusura che di apertura, dando origine al Sole del caso. In fondo, questa struttura suicida in Mallarmé è legata alla scrittura automatica di cui parlavano e ricercavano i surrealisti negli anni Venti, anche se in modi relativamente opposti, nella relegazione umana alle cose. Il modo del diavolo inquietante di Mallarmé sta davanti allo scrittore, con il suo spirito beffardo, perché lo scrittore non conosce quasi mai il patto che precede ogni fonema (o bianchezza). In ogni caso, per il carattere ornamentale della struttura dispersiva delle parole, crea la vera e propria dissoluzione o, come diceva il poeta francese, il territorio in cui ogni realtà si dissolve.

Mallarmé è distante, contrariamente a quanto pensava Oswald de Andrade, dall'apparato umanista. Mentre toglieva a sé la forza dell’interiorità, rimaneva l’indifferenza esteriore. Io, senza me stesso, è l'apertura all'essereha agito. Uomini in conversazione con gli alieni – in particolare, la porta alla modulazione nell'alterità, posta nel vagare dei sogni (Io non cambio. Qualcosa cambia in me). Sono lotte corporee e immaginifiche contro Dio, che il poeta combatte fino quasi a impazzire, scoprendo il Nulla. Scoprire l'abisso ha il suo prezzo e, per lui, il naufragio scaturisce, in particolare, forse dalle letture che aveva di Hegel, la sua coscienza infelice, il suo disagio.

In questo incanto sfrenato, in cui Mallarmé vuole incarnarsi, emerge il confine tra l'inizio e la fine della letteratura: la percezione irrompe e collega diverse eterogeneità, umane o disumane, attuali (al suo tempo o per noi) e ancestrali. La fine della letteratura è un inizio, dato che questa fine non esisterà come la conosciamo, perché liquiderebbe il divenire del centro sempre in movimento e spostato. La percezione, dunque, arriva alla soglia tra l'inizio e la fine dell'autore, nello scambio di questa figura con quella dello sciamano, il salvataggio etnografico di Barthes nel 1968, una vera e propria esperienza onirica da cui la letteratura non si è mai districata. Oppure non è una percezione, ma un incrocio possessivo, eventualmente, da esporre in una linea non fenomenologica della cosa.

E come valutare questa concezione del Numero? Quell'unico Numero che non può essere un altro? Quali sono i trattamenti nella scrittura mallarmaica che guidano il settembre all'Assoluto, spiegato nel quadro geometrico (contesto)? Il numero 7 ratifica i numeri alternativi (1, 2, 3, 4, 5, 6) e li unisce nella proporzione della deriva, essendo quello che non può cambiare. Mallarmé, quindi, evoca una radicalità assoluta nell'esperienza letteraria: in letteratura, poiché il soprannaturale non viene mai esorcizzato, ciò che può passare si muove verso una spirale di distruzione. La musa di Mallarmé divora i libri come il buco nero divora la massa.

Questo è dire: questo è giusto, questo non si può cambiare in nessun modo, questo ne fa parte. Il non-tutto che resta fa parte dell'immutabilità, per cui, quando la scrittura letteraria è completa, riesce a deterritorializzarsi. Possiamo certamente pensare all’indecidibilità scettica di fronte a tutto. In questo caso saremo un po’ lontani dalla certezza radicale generata dalla poesia, nella quale essa chiarisce e qualifica il substrato del lancio dei dadi: 1+6 = 7, 2+5 = 7, 3+4 = 7. Mallarmé non , tuttavia, seguono il tentativo di approccio hegeliano di condizionare il caso sulla necessità. E' il contrario. Ciò che è assoluto è il gioco. Il titolo della poesia afferma ciò che nega: “un lancio di dadi non abolirà mai il caso” significa anche che ogni lancio di dadi è una necessità dell'arbitrario, basando il gioco sull'indeterminatezza dell'imposizione.

Questo straripamento di Mallarmé è evidente, ma non spiega in alcun modo il momento in cui diviene implicazione del pregiudizio modernista, rivisto solo quando emerge la pratica che, pur anticipando l’innovazione della poetica contemporanea, Mallarmé ha finito per connettersi alla condizione di tutti. pratica della parola a partire da Omero. Concepirlo come una sorta di trasformazione radicale della letteratura vale il viaggio se, e solo se, lo vediamo anche come un erede.

Ma, d'altro canto, estemporaneo (dalla musica di Cage alla pittura di Rothko), spetterà ai secoli che verranno a garantire la Un colpo di scena come traccia fondamentale nella storia della letteratura. Essendo il primo evocatore, infatti, di questo demone residente in ogni spazio letterario, ne trasmise le tracce trionfali alla dichiarazione dell'enigmatico emergere. Un enigma che non è un'allegoria e tanto meno un simbolo, ma un sussurro allucinante (mormorio di cordoglio), sostenuto, sia chiaro, da tutto quello che è successo e, soprattutto, da tutto quello che potrebbe accadere. Un rapporto, però, non totalitario, ma significativamente scaturito dall'Idea (universale), attualizzato, assicurato dal dominio spersonalizzato della lettera muta, poeticamente reso obliquo sul pianeta e oltre.

Il demone di Mallarmé si comporta così: per lui ogni divenire è dovere, ogni esigenza letteraria è non letteraria. Questo è un insensé d'écrire...

*Eduardo Galeno È laureato in Lettere presso l'UESPI.


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