Maria Betania

Paulo Pasta, Sotto la luce quasi del giorno, 2009, olio su tela, 50 x 60 cm
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da CARLO HORTMANN*

Arte, memoria, storia e speranza!

Qualche anno dopo, ho sentito di nuovo Maria Bethânia dal vivo e a colori, un’esperienza davvero fenomenologica – come direbbero alcuni filosofi; che ha trasceso i confini della musica, perché, artisticamente, ci ha portato ad immergerci in ciò che c'è di più bello nella cultura brasiliana. Cantando canzoni iconiche come “Um Índio”, “Mulheres Brasileiras”, “Cálice” tra molte altre, Maria Bethânia ci ha trasportato in un universo artistico che rappresentava un po’ del Brasile in Portogallo.

L'unicità di Maria Bethânia, con la sua presenza impressionante, diventa visibile quando la vediamo entrare in scena (sembra sempre che sia la prima volta). Il raro talento va oltre la forza penetrante della sua voce, che riempie tutti gli spazi della sala, ma nell'atmosfera intima – “l'aura artistica” di Benjamin – creata tra gli artisti e il pubblico. La figlia di “Dona Canô” e i suoi esperti musicisti hanno cercato di coinvolgere il pubblico in una rete di affetti, ricordi, riflessioni, estasi, desideri, nostalgie e […]. Con impareggiabile autenticità, Maria Bethânia ci insegna come dovremmo godere della poesia e non semplicemente canticchiare parole.

Questo interprete della brasiliana non sceglie la via più facile dell’”evasione” lukacsiana, portando attraverso canzoni questioni urgenti e rilevanti per il nostro tempo, come: l’intensificazione della crisi climatica, la distruzione dell’Amazzonia, il genocidio indigeno , così come la distruzione delle culture amerindiane da parte del colonialismo. Interpretando “Um Índio”, ad esempio, Maria Bethânia ci ha invitato a riflettere sulla necessità di preservare queste culture indigene, nel senso di valorizzare e rispettare queste radici fondamentali nella formazione sociale e storica del Brasile. Ancora, il ruolo d’avanguardia che i popoli nativi brasiliani hanno svolto nella lotta e nella resistenza per la preservazione dell’Amazzonia e dei biomi nazionali – che l’agroindustria brasiliana ha distrutto con grande intensità. Un “grido di avvertimento”!

Immagino che cantando “Cálice”, una canzone di Chico Buarque, sorella di Caetano Veloso, cerchi di esprimere artisticamente la Geist e ricordi dei tempi bui (non così lontani) della dittatura imprenditoriale-militare brasiliana, che il bolsonarismo ha fortemente rilanciato nella società brasiliana. Sottolineo l’importanza che gli artisti di massa hanno nel preservare la memoria storica di coloro che hanno resistito e lottato contro le dittature, le oppressioni, le espropri e ogni forma di ingiustizia, che spesso vengono messe da parte o addirittura cancellate dalla storiografia egemonica. Già Walter Benjamin metteva in guardia sull’importanza di “fare la storia controcorrente”. Potrei continuare a trattare analiticamente altri aspetti, ma sarebbe controproducente, poiché intendo registrare in quello spazio sotto forma di ricordi i momenti di gioia e di profonda riflessione per questa persona che vi scrive.

L'impatto dei diversi messaggi cantati da Maria Bethânia nel suo concerto è stato travolgente, era percettibile e si poteva sentire un legame intimo e intenso tra gli strumentisti, la cantante e il pubblico attivo, un misto di ammirazione, estasi, gioia e inquietudine. La sua voce echeggiò come un grido di resistenza e di speranza!

Questa cronaca sarebbe incompleta se non sottolineasse gli elevati standard musicali degli strumentisti, ma soprattutto del chitarrista (chitarrista) della giovane generazione brasiliana. João Camarero e il famoso percussionista Lanh.

Insomma, un vero spettacolo che riecheggerà a lungo nella memoria di chi ha vissuto questo delizioso momento.

*Carlos Hortman È filosofo, storico e musicista.


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