Marxismo e politica: modi d'uso

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da LUIS FELIPE MIGUEL*

Introduzione dell'autore al libro appena pubblicato

L'opera di Karl Marx ha lasciato il segno in un gran numero di campi del sapere. Era un filosofo, ma divenne un economista. È uno dei padri fondatori della sociologia. Lungo la strada, ha rivoluzionato la scienza della storia. Il marxismo – etichetta che non gli piaceva – si è evoluto in una moltitudine di correnti e letture divergenti, contribuendo in modi diversi a queste e ad altre discipline scientifiche (diritto, antropologia, geografia, linguistica, ecc.). E non sono solo i marxisti a nutrirsi delle idee di Marx. Hanno gettato molte delle basi della pratica scientifica nelle discipline umanistiche.

Thomas Kuhn ha affermato che le cosiddette “scienze sociali” rimangono allo stadio prescientifico, poiché non hanno alcun paradigma condiviso da tutti i professionisti; ogni volta dobbiamo giustificare le nostre scelte teoriche fondamentali. Senza discutere qui le potenzialità o i limiti della comprensione del lavoro scientifico da parte di Kuhn, vale la pena notare che tale caos è legato alle implicazioni politiche più immediate della scienza sociale, che quindi subisce una maggiore pressione per svolgere un ruolo di legittimazione ideologica. Ma si può dire, senza timore di sbagliare e contro lo stesso Kuhn,[I] che tutta la scienza sociale degna di questo nome si basa su una concezione materialistica della storia ed è, in una certa misura, tributaria del pensiero di Marx.

Delineato questo quadro, qual è la posizione della scienza politica? È certamente la disciplina umanistica in cui la penetrazione delle idee marxiste è stata (ed è tuttora) più difficile, per ragioni legate alla sua stessa formazione come campo del sapere. La scienza politica è una disciplina americana che si è estesa in tutto il mondo, riproducendo questa matrice.

La necessità di distinguersi dalla sociologia (che si spiega, almeno in parte, con le lotte territoriali nel mondo accademico) ha incoraggiato una rigorosa attenzione alle istituzioni formali, separandole dai processi sociali più ampi. Ha inoltre incoraggiato un apprezzamento eccessivo per i modelli stilizzati, in gran parte tratti dall’economia neoclassica, che, in un colpo solo, spogliano gli agenti del loro carattere di prodotti storici e sponsorizzano il feticismo dell’empiria. Il risultato di ciò è che il tradizionale della scienza politica adotta un’epistemologia ingenua, che porta alla sopravvivenza del positivismo e consente la popolarità di percezioni bizzarre, come la “teoria della scelta razionale”, che costruisce attori politici in un vuoto storico e sociale.

Tutto ciò porta all’errore comune di etichettare come “parziali” gli approcci impegnati a trasformare il mondo, ma come “neutri” quelli che lo accettano così com’è e ne progettano la permanenza. ad æternum. Niente potrebbe essere più lontano dalla tradizione inaugurata da Marx.

Un'altra caratteristica originaria della scienza politica è la sua posizione di disciplina ausiliaria dello Stato. Una scienza che, fin dall’inizio, si è posta ex parte principis, cioè vedere il suo oggetto di studio dal punto di vista dei governanti, non del popolo. La sua ambizione sarebbe quella di aumentare l’efficienza degli attuali meccanismi di dominio. Degli economisti politici del suo tempo, Marx disse che erano “i rappresentanti scientifici della ricchezza”[Ii]; Gli scienziati politici, quindi, potrebbero essere definiti come rappresentanti scientifici del potere. Anche oggi la scienza politica dimostra questa inclinazione privilegiando temi come la “governabilità” o le condizioni di efficacia delle politiche di governo – anche se, è necessario riconoscerlo, in modo meno univoco che in passato.

Grazie al carattere astorico della maggior parte dei suoi modelli, può assumere le strutture attuali come semplici “dati” e coprire il proprio carattere conservatore e legittimante con i colori della neutralità assiologica. La scienza politica è quindi lontana dal carattere emancipativo che Marx voleva dare alla propria impresa teorica. Quando Antonio Gramsci, quaderni carcerari, condannava la sociologia come scienza positivista borghese e lodava la scienza politica come la vera via per comprendere il mondo sociale, parlava di una fase precedente del pensiero sociologico. E anche da una scienza politica completamente diversa; usa l'espressione per designare la tradizione di comprensione realistica dei processi di potere, inaugurata da Machiavelli, non una nascente disciplina americana[Iii]. Nella scienza politica disciplinare l’approccio critico e antipositivista resta controcorrente.

Ho sottolineato come le tradizioni inaugurali della scienza politica la rendessero poco ricettiva ai contributi del marxismo. Ma esiste anche una lettura alternativa che merita di essere presa in considerazione, secondo la quale è stato proprio il marxismo a mostrare poca attenzione alla politica. Un testo provocatorio di Norberto Bobbio, che suscitò grande dibattito al momento della sua pubblicazione, rispondeva negativamente alla domanda che ne costituiva il titolo: “Esiste una dottrina marxista dello Stato?”. L’idea che la politica sia solo una parte della “sovrastruttura” che riflette una certa base sociale, cioè che non sia altro che un epifenomeno di conflitti più profondi, avrebbe portato al sottosviluppo del pensiero marxista in questo campo.

A ciò si aggiunge la tendenza, presente in gran parte del marxismo (soprattutto, ma non solo, fino agli ultimi decenni del XX secolo), all'isolamento teorico, impedendone la fecondazione da parte di altre correnti. Nel testo Norberto Bobbio ironizza su Umberto Cerroni che, in un libro del 1968, definì C. Wright Mills un “grande sociologo” e concesse a Max Weber il modesto status di “osservatore attento”. Pertanto, la riflessione dei marxisti sullo Stato e sulla politica in generale finisce, spesso, per essere condannata a limitarsi a riscoprire (e a tradurre nel loro gergo) ciò che molti altri avevano già detto prima.

La lettura di Norberto Bobbio fu contestata dagli autori marxisti, che la additarono come parziale e selettiva.5 Ma non si può negare che le opere fondative del marxismo riconoscono alla politica un ruolo limitato e, di fatto, vedono in essa soprattutto il riflesso di strutture più profonde. C'è un contrasto tra la sensibilità alla specificità del politico, presente nelle opere in cui Marx discute processi storici concreti, e l'insufficiente teorizzazione quando lavora a un livello più astratto.

Sebbene si possano indicare autori che, dall'interno del marxismo tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, hanno presentato una discussione più robusta sulla politica (come è il caso, per vie diverse, sia Rosa Luxemburg o Lenin, sia di Eduard Bernstein), solo nel dopoguerra, con la pubblicazione dell'opera di Antonio Gramsci, si verificò un salto significativo nella riflessione marxista sulla politica.

Ciò che propongo in questo libro è un esame introduttivo dell’utilità delle categorie marxiane o nate dalla tradizione marxista per la produzione di una scienza politica più capace di comprendere il mondo sociale – e, forse, anche di orientare l’azione al suo interno. Sono quindi in linea con la posizione di Gramsci: si tratta di cercare una disciplina che rifletta più la sua ispirazione primitiva, nell'opera di Machiavelli, e meno la sua istituzionalizzazione, a partire dagli ultimi anni del XIX secolo, nell'ambiente accademico americano.

Il percorso proposto non è solo quello di considerare il “marxismo come una scienza sociale”,[Iv] il che suggerisce qualcosa come una sua normalizzazione e incorporazione negli aspetti teorico-metodologici dominanti, mantenendolo però come tensionatore della disciplina. L'aggiunta fornita dal marxismo, così come da altre correnti con un progetto di emancipazione (femminismo, studi decoloniali), è una teoria focalizzata sugli attuali modelli di dominio il cui orizzonte è la produzione di una nuova società. Un marxismo mutilato dell’undicesima tesi su Feuerbach – quella secondo cui la questione non è interpretare il mondo, ma trasformarlo[V] – perde la sua peculiarità.

Questa tensione diventa tanto più necessaria quanto più diventa chiaro che la scienza politica sta attraversando una crisi di rilevanza.[Vi] La miopia istituzionalista ha portato a successive “sorprese”, situazioni che sfuggono completamente alla capacità esplicativa dei modelli dominanti nella disciplina. La più importante di queste è l’attuale crisi della democrazia, descritta dai politologi convenzionali come l’improvvisa e inaspettata esplosione del “populismo”, che destabilizza i regimi liberal-democratici. C’è una marcata incapacità di comprendere la connessione tra i processi sociali ampi e il funzionamento delle istituzioni politiche. Credo che Marx e il marxismo abbiano molto da offrire su questo punto. Indicare alcuni dei modi in cui questo contributo è necessario è l’ambizione di questo libro.

Nel primo capitolo discuto il metodo del materialismo storico e il rapporto tra politica ed economia. Nelle scienze politiche si tende a isolare la politica come un mondo separato e a produrre modelli che ignorano, quasi deliberatamente, ciò che accade al di fuori dei suoi confini. Al contrario, sostengo che sono necessari due movimenti (e che Marx può contribuire ad entrambi).

Il primo è comprendere che la definizione stessa dei confini politici è un prodotto storico e il risultato di conflitti tra interessi diversi. Questo ci aiuta a evitare di reificarli, come fa oggi la parte maggioritaria della disciplina. Il secondo movimento è quello di ricollegare la comprensione della politica con le più ampie controversie sociali che la permeano. Senza questo, lo studio sarà limitato a piccolo politico, cioè al conflitto degli ego e alla disputa per le posizioni, niente più che le increspature di profondi scontri sociali. Una lettura del materialismo storico che lo vede non come una determinazione economica, ma come una sovradeterminazione di diverse pratiche sociali, che consente contemporaneamente di rifiutare l’autonomia della politica e di preservare l’efficacia del momento politico.

Poi, nel capitolo 2, tratto il concetto di “classe sociale”, che il marxismo, come sappiamo, pone al centro della sua riflessione – come affermano Marx ed Engels nel libro Manifesto comunista, la storia dell’umanità è la storia della lotta di classe. Il concetto è controverso, non essendo mai stato pienamente sviluppato dallo stesso Marx; e, all’interno della stessa sinistra, molti sottolineano che l’attenzione esclusiva alla classe porta all’oscuramento di altre fonti di oppressione sociale.

Nella tradizione dominante della scienza politica, invece, la classe è tutt’al più un elemento secondario. La disuguaglianza economica tende a essere trattata solo in relazione all’accesso al reddito e alla ricchezza, ignorando i rapporti di produzione. E la divisione fondamentale della società è vista tra governanti e governati: questo è il percorso della teoria delle élite e della lettura di Machiavelli da parte di James Burnham. Tuttavia, l’attenzione al conflitto di classe (che non significa stabilirlo come l’unico asse rilevante) è fondamentale per espandere la comprensione dei processi politici e integrarli con dinamiche sociali più ampie.

Ma riconoscere la rilevanza del conflitto di classe non esaurisce la questione del suo rapporto con altri assi di dominio presenti nel mondo sociale, come il genere o la razza – una discussione che si svolge nei capitoli 3 e 4. Come riflesso dell’attivismo intellettuale di molti ricercatori, il campo delle scienze politiche è diventato, negli ultimi tempi, più sensibile all’importanza di queste categorie. A sinistra, l’apertura a tali temi a partire dagli anni Sessanta, grazie soprattutto ai movimenti femministi, neri e giovanili, è stata seguita, in tempi recenti, da una svolta “identitaria” (espressione che utilizzo per designare specificamente la tendenza a affermare l’appartenenza al gruppo, staccandolo dalle strutture sociali di dominio).

Mentre le riflessioni del dopoguerra dialogavano con la tradizione marxista, mettendola in tensione e costringendola a rinnovarsi, l’identitarismo privilegia una grammatica liberale e idealista, collocandosi in un campo opposto al materialismo storico. Diventa necessario, allora, capire quale contributo Marx e il marxismo possano ancora apportare a queste discussioni. Il capitolo 3 analizza principalmente il rapporto tra genere e classe; o 4, tra razza e classe.

Il dibattito sul concetto di “Stato” è il tema del quinto capitolo. L’opera di Marx tende verso una stilizzazione profonda – il “comitato direttivo” degli interessi generali della borghesia, secondo Manifesto –, che corrisponde all’esigenza di combattere le percezioni idealistiche dello Stato come promotore del bene comune. I suoi scritti storici rivelano ancora una volta una comprensione più complessa; e la lotta dei dominati ha reso la situazione ancora più spinosa, dal momento che gli Stati hanno cominciato ad agire, spesso, contro la volontà espressa del capitale e di altri gruppi privilegiati (con leggi che tutelano il lavoro o promuovono l’uguaglianza di genere o di razza, per esempio).

Nella seconda metà del XX secolo, quando tradizionale della scienza politica sembrava disposta a fare a meno della categoria “Stato” in favore della più diffusa nozione di “sistema politico”, furono gli autori marxisti o influenzati dal marxismo a sostenerla e a costruire un sofisticato corpus teorico per spiegarla, senza perdere qualsiasi vista il suo carattere di classe. Il riconoscimento del carattere di classe dello Stato, che questa tradizione non ha mai abbandonato, ci consente di mettere in discussione criticamente l’istituzionalismo piuttosto piatto che contraddistingue gran parte della disciplina.

Un tipo specifico di regime politico, la democrazia, è da tempo diventato l’orizzonte normativo della scienza politica – e il capitolo 6 discute il contributo del marxismo alla sua comprensione. Si tratta, soprattutto, di rompere con le visioni formaliste, che separano le istituzioni democratiche dai conflitti sociali e le presentano come un campo neutrale (le “regole del gioco”) in cui le controversie vengono regolate. Anche se difficilmente si può parlare di una “teoria marxista della democrazia”, gli autori marxisti hanno introdotto importanti dibattiti per comprenderla in un modo più complesso, come una forma di dominio politico strettamente correlato al dominio sociale generale, per rafforzarlo o per moderarlo. Esso.

Il settimo capitolo sposta l'attenzione sulla produzione dei comportamenti sociali, discutendo i controversi concetti di alienazione, feticismo e ideologia. La massima utilitaristica secondo cui ogni persona è il miglior giudice dei propri interessi, che è alla base della maggior parte dei modelli di scienza politica, si confronta con la comprensione che il mondo sociale non è trasparente e che la diffusione dell'una o dell'altra lettura su Questo mondo è oggetto di una lotta impari.

Allo stesso tempo, però, la percezione che i dominati siano vittime di una falsa coscienza può portare ad atteggiamenti paternalistici e autoritari, come se l’osservatore esterno, ma dotato dei corretti strumenti analitici, fosse in grado di determinare quali siano i “veri” interessi sono degli agenti migliori degli agenti stessi. Anche così (e in questo, ancora una volta, Marx e il marxismo forniscono strumenti preziosi), non è possibile cercare una comprensione approfondita delle controversie politiche senza tematizzare la produzione sociale delle preferenze, per la quale i dominanti dispongono di risorse molto più potenti di quelle i dominati.

La trasformazione sociale è il tema dell’ottavo capitolo. Gli scritti di Marx talvolta danno luogo a un'interpretazione deterministica, come se a un certo punto il modo di produzione capitalistico diventasse incapace di risolvere le proprie contraddizioni e dovesse necessariamente cedere il passo a un'altra forma di organizzazione sociale. Allo stesso tempo, però, c’è spazio per l’azione umana; del resto “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi” e il motore della storia, secondo il famoso luogo comune, è la lotta di classe.

In un momento in cui il principale strumento di lotta politica emerso dalla tradizione marxista, il partito di classe, sembra dibattersi in una crisi insolubile, vale la pena chiedersi cosa Marx e il marxismo possono ancora offrire per la comprensione del cambiamento sociale – e cosa tipo di società futura che essi progettano, di fronte al fallimento storico del socialismo reale (l’esperienza del blocco sovietico) e ad una radicata incredulità nei confronti dell’“ipotesi comunista”.

L'ultimo capitolo introduce una questione che, dai tempi di Marx fino ad oggi, si è spostata dai margini del dibattito politico per occuparne il centro: l'ecologia. Per molto tempo il marxismo è stato legato a visioni produttivistiche, che esaltavano il crescente “dominio dell’uomo” (sic) sulla natura”. La percezione è rafforzata dagli scarsi risultati, in relazione alla protezione ambientale, dei paesi che hanno rivendicato o continuano a rivendicare l’eredità del marxismo, i paesi del “socialismo reale”.

Contro ciò, gli autori contemporanei cercano di presentare una lettura diversa, a volte facendo dello stesso Marx un ecologista ante litteram. Ancora più importante, tuttavia, è capire come un approccio materialista, ispirato da Marx, possa aiutare a comprendere le sfide poste dal degrado ambientale e la sua connessione con i conflitti sociali.

Infine, la breve conclusione fa il punto su questi contributi e presenta quello che sarebbe, a mio avviso, un risultato ideale. Non una “scienza politica marxista”, che affermi un’appartenenza dottrinale a priori, ma una scienza politica aperta ai contributi del marxismo, sia nei suoi strumenti analitici che nei problemi che discute – e senza timore di, seguendo queste orme, prendere posizione e cercare di contribuire alla trasformazione sociale con carattere emancipativo.

* Luis Filippo Miguel È professore presso l'Istituto di Scienze Politiche dell'UnB. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia nella periferia capitalista: impasse in Brasile (autentico). [https://amzn.to/45NRwS2]

Riferimento


Luis Filippo Miguel. Marxismo e politica: modi d'uso. San Paolo, Boitempo, 204 pagine. [https://amzn.to/3Woimhq]

note:


[I] Thomas Kuhn, “Logica della scoperta o psicologia della ricerca?”, in La tensione essenziale: studi selezionati sulla tradizione scientifica e sul cambiamento (Chicago, Chicago University Press, 1977) [ed. reggiseni.: La tensione essenziale: studi selezionati su tradizione e cambiamento scientifico, trad. Marcelo Amaral Penna-Forte, San Paolo, Editora Unesp, 2011]. L'articolo originale è del 1970.

[Ii] Karl Marx e Friedrich Engels, La Sacra Famiglia (trad. Marcelo Backes, San Paolo, Boitempo, 2003), p. 71. L'edizione originale è del 1845.

[Iii] Antonio Gramsci, quaderni carcerari, v. 3: Machiavelli. Appunti sullo Stato e sulla politica (trad. Luiz Sérgio Henriques, Marco Aurélio Nogueira e Carlos Nelson Coutinho, Rio de Janeiro, Civilização Brasileira, 2000), p. 330-1. I manoscritti risalgono al periodo 1932-1934. Gramsci estrae da Machiavelli soprattutto un realismo orientato al dover essere, non come congelamento di un

[Iv] Qui evoco il titolo del libro di Adriano Codato e Renato Perissinotto, Il marxismo come scienza sociale (Curitiba, Editora UFPR, 2012).

[V] Karl Marx, “Tesi su Feuerbach”, in Karl Marx e Friedrich Engels, l'ideologia tedesca (trad. Rubens Enderle, Nélio Schneider e Luciano Cavini Martorano, San Paolo, Boitempo, 2007), p. 353. Il manoscritto originale è del 1845-1846.

[Vi] Non è nuovo. Un articolo pubblicato mezzo secolo fa, intitolato appunto “Marxismo e scienza politica”, presentava dati che dimostravano che la stragrande maggioranza degli scienziati politici credeva che la disciplina fosse superficiale e irrilevante. L'autore osserva che, nonostante questo sentimento critico, i politologi continuano a riprodurre gli stessi modelli banali, a causa della mancanza di strumenti in grado di superarli. Il marxismo, ha detto, potrebbe fornire tali strumenti. Vedi Bertell Ollman, “Marxismo e scienza politica: prolegomeno a un dibattito sul metodo di Marx”, Politica e società, v. 3, n. 4, 1973, pag. 491-510.


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