da PEDRO HENRIQUE M. ANICETO*
Critica alla politica monetaria e alle sue implicazioni per lo sviluppo del Brasile
Oggi, 14 agosto, studenti, lavoratori e vari movimenti sociali sono scesi in piazza sotto lo slogan “Meno interesse, più istruzione”. L’atto, indetto dall’Unione Nazionale degli Studenti (UNE), non è solo una manifestazione in difesa di maggiori investimenti nell’istruzione, ma una dura critica alla politica monetaria adottata dalla Banca Centrale, che, mantenendo alti i tassi di interesse, soffoca la crescita economica e sociale del Brasile. Questo testo cerca di esplorare gli impatti di questa politica, l’importanza del tasso di interesse e la necessità di ripensare l’autonomia della Banca Centrale, collocandola in una prospettiva critica di economia politica.
Il tasso di interesse è, in termini semplici, il costo del denaro. È determinato dalla Banca Centrale e influenza direttamente il costo dei prestiti, il rendimento degli investimenti finanziari e, di conseguenza, le decisioni di consumo e di investimento in tutta l’economia. Quando la Banca Centrale aumenta il tasso di interesse, rende il credito più costoso, scoraggia i consumi e gli investimenti e, teoricamente, riduce la pressione inflazionistica. D’altro canto, quando il tasso di interesse viene ridotto, il credito diventa più accessibile, stimolando consumi e investimenti, che possono portare alla crescita economica.
L’importanza del tasso di interesse risiede nel suo ruolo come strumento di politica economica. Viene utilizzato principalmente per controllare l’inflazione, ma le sue implicazioni vanno ben oltre. Il tasso di interesse influisce sul livello di attività economica, disoccupazione, distribuzione del reddito e, in ultima analisi, sul benessere sociale. In un paese come il Brasile, dove la disuguaglianza è estrema e dove milioni di persone dipendono dalle politiche pubbliche per avere accesso ai diritti fondamentali, la definizione del tasso di interesse non può essere vista solo come una decisione tecnica.
Si tratta soprattutto di una decisione politica con profonde implicazioni sociali. Negli ultimi anni, la Banca Centrale del Brasile ha mantenuto i tassi di interesse su livelli elevati, anche a fronte di chiari segnali di stagnazione economica. Questa posizione riflette una visione ortodossa della politica monetaria, che dà priorità al controllo dell’inflazione sopra ogni altra cosa, compresa la crescita economica e il benessere sociale. Questo approccio, tuttavia, merita un’analisi critica.
Mantenere alti i tassi di interesse ha gravi conseguenze per l’economia. In primo luogo, scoraggia gli investimenti produttivi. Le aziende che potrebbero espandere le proprie attività, creare posti di lavoro e contribuire alla crescita del PIL finiscono per rinviare o annullare i propri progetti di investimento a causa dell’elevato costo del credito. In secondo luogo, l’aumento dei tassi di interesse grava sui consumatori, soprattutto quelli con redditi più bassi, che dipendono dal credito per finanziare i consumi di base, come l’edilizia abitativa e l’istruzione.
Inoltre, una politica monetaria restrittiva, come quella adottata, tende ad aumentare la disoccupazione e il lavoro precario, aumentando la disuguaglianza sociale. Mantenendo alti i tassi di interesse, la Banca Centrale ostacola la ripresa economica e rende il Brasile meno competitivo sulla scena internazionale. Le aziende straniere, vedendo gli alti costi di operare in Brasile, scelgono di investire in altri paesi, danneggiando ulteriormente la crescita economica e la creazione di posti di lavoro.
Uno degli argomenti utilizzati dalla Banca Centrale per giustificare il mantenimento di tassi di interesse elevati è la lotta all’inflazione. Tuttavia, è fondamentale analizzare la reale origine dell’inflazione in Brasile. In molti casi, l’inflazione non è il risultato di un eccesso di domanda, ma piuttosto di fattori quali la speculazione finanziaria e le distorsioni del mercato. L’inflazione speculativa si verifica quando le aziende e gli agenti finanziari aumentano i prezzi di beni e servizi, non a causa di un aumento reale dei costi, ma a causa di aspettative inflazionistiche o della ricerca di maggiori margini di profitto.
Questo tipo di inflazione è particolarmente comune nelle economie con mercati concentrati, dove poche aziende dominano interi settori e hanno il potere di manipolare i prezzi. In Brasile, settori come quello dei carburanti e dei prodotti alimentari sono spesso bersaglio di speculazioni, con conseguenti aumenti dei prezzi che non riflettono la realtà economica.
La politica del deficit zero, difesa dal Ministero delle Finanze, peggiora questo scenario. Insistendo su uno stretto controllo dei conti pubblici, anche in periodi di attività economica relativamente bassa, il governo limita la propria capacità di investimento, anche in settori essenziali come l’istruzione e le infrastrutture. Questa politica, che mira principalmente a compiacere il mercato finanziario, ignora i bisogni sociali e l’impatto a lungo termine del taglio degli investimenti pubblici. Il risultato è un circolo vizioso: la mancanza di investimenti pubblici limita la crescita economica, il che a sua volta giustifica il mantenimento di una politica fiscale e monetaria restrittiva.
L’opinione predominante tra i responsabili delle politiche economiche in Brasile è che l’economia è una scienza esatta, le cui decisioni devono essere prese sulla base di calcoli tecnici e modelli matematici. Questa visione non tiene conto del fatto che l’economia è, prima di tutto, una scienza sociale, che si occupa della distribuzione delle risorse e del potere in una società. Le decisioni economiche non sono neutre; riflettono scelte politiche che avvantaggiano alcuni gruppi a scapito di altri.
La valuta, in quanto oggetto centrale dell’economia, è uno degli strumenti più politici che esistano. Il modo in cui viene gestito, le politiche che ne determinano la circolazione e gli interessi che guidano queste politiche sono profondamente politici. L’autonomia della Banca Centrale, difesa da molti con la motivazione che garantisce una “esenzione tecnica”, è, in realtà, un modo per presumibilmente depoliticizzare decisioni che sono, per natura, politiche. Separando la Banca Centrale dalle richieste e dai bisogni sociali, neghiamo la natura politica dell’economia e compromettiamo il futuro del Paese.
In questo contesto, è urgente ripensare la politica monetaria e l’autonomia della Banca Centrale. Mantenere tassi di interesse elevati e insistere su una politica di deficit zero non solo limita la crescita economica, ma approfondisce anche le disuguaglianze sociali. È necessario adottare una politica economica che riconosca la centralità dello sviluppo sociale e che veda negli investimenti pubblici, soprattutto nell’istruzione, un motore di crescita sostenibile e inclusiva.
L’UNE, invocando la legge “Meno interesse, più istruzione”, attira l’attenzione sulla necessità di un nuovo approccio economico. Un approccio che riconosce che l’economia è una scienza sociale, che le decisioni monetarie e fiscali hanno profonde implicazioni politiche e che lo sviluppo economico non può essere sacrificato in nome dell’inflazione che spesso è più il risultato della speculazione che dell’eccesso di domanda.
È giunto il momento di mettere lo sviluppo sociale al centro delle decisioni economiche. È tempo di riconoscere che l’istruzione è il principale motore per un futuro prospero ed equo. Ed è tempo di capire che l’economia, in quanto scienza sociale, deve servire le persone e non gli interessi di una piccola élite finanziaria. Questo 14 agosto difendiamo meno interessi e più istruzione come pilastri di un Brasile più giusto e più sviluppato con opportunità per tutti.
*Pedro Henrique M. Aniceto studia economia all'Università Federale di Juiz de Fora (UFJF).
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