Miriam Chnaiderman e Tania Rivera

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da RACCONTI AB'SÁBER*

Considerazioni sui libri di Miriam Chnaiderman e Tania Rivera

Miriam Chnaiderman – Una psicoanalisi errante

Gli psicoanalisti si recano in città senza un indirizzo previo o specifico, desiderando la vicinanza e l'esperienza che il loro posto sociale, il loro posto sociologico nel mondo, impedisce loro per principio di avere. Viaggi attraverso San Paolo, verso periferie sconosciute, verso il centro lacerato, verso le occupazioni e i loro vitali movimenti sociali, per ascoltare, vedere ed essere visti. Cercano di essere presenti come una sensibilità indeterminata a se stessi. E anche per coloro che non hanno mai visto, non hanno mai parlato, non hanno mai nemmeno pensato all'idea di questa cosa chiamata psicoanalista.

Politica originaria di presenza interamente “aperta”, non c’è moralismo teorico, teleologia della guarigione, fantasia di trascendenza, in questa presenza dello psicoanalista come qualcosa di comune. La strada, sempre insolita per chi vive lontano dai propri potenti dispositivi. Un grado zero di autoritarismo, del posto nel mondo dello psicoanalista, ora una differenza da creare, un'altra, al primo livello di riconoscimento di tutti gli altri, per tutti questi nascosti, negati, feriti e gettati nella strada e nel tempo, i brasiliani di questo Brasile.

Con questi transiti, che creano connessioni, si produce una città, con il movimento dei corpi nella direzione della città desiderata. Un viaggio, un tour, un’esperienza, “in ascolto della città”, una vita disponibile all’incontro con chi c’è, chi ne ha bisogno o è semplicemente curioso. La città non è la città della gestione politica delle merci, ma la città dell'azione politica di coloro che la desiderano. All'angolo, nel quartiere lontano, nella vita sconosciuta della città, spesso rovinata, di una psicoanalisi che non sa cosa troverà, né cosa essa stessa sia a priori, in assoluto.

Sai che puoi vivere e far rivivere la tua città. Dimenticare profondamente se stessi e ricominciare dall'altro, dal dimenticato di ciascuno, dal tutto, pur così evidentemente ovvio e visibile, con i suoi mondi, è uno dei fondamenti della psicoanalisi contemporanea. Il fatto che ciò avvenga per strada è una promessa di vita, minima, in tempi continui di grande violenza, e per questo è così grande.

Un libro sull'esperienza politica dell'eccezione e, quindi, generale. Miriam Schnaiderman può quindi formulare: “Ho difeso la strada come spazio di lavoro e propongo la creazione di team di lavoro itineranti che possano fornire alla 'popolazione di strada' gli strumenti per vivere in modo più dignitoso. Molti senzatetto hanno già lavorato, provengono dalla campagna, sanno cucire, cucinare, trasportare. Abbiamo ricevuto numerose segnalazioni di ex cuochi, ex contadini, ex insegnanti, ex giornalisti che si sono ritrovati in strada. Non potevano sfruttare la loro precedente esperienza lavorativa sulla strada? È necessario rispettare il loro nomadismo e consentire loro di scegliere uno stile di vita più dignitoso. Se la strada è più allettante, nonostante tutti i rischi, è perché non è ancora stata costituita una confraternita dello stesso ordine. Perché nel nostro mondo ciò che viene perforato è l'identificazione con la specie umana. Ricordate l'indigeno Galdino, l'omicidio di un omosessuale in Praça da República, il ragazzi del campo attaccare giovani ben vestiti. Sembra che solo gli umiliati, coloro che sono privati ​​delle condizioni minime per la sopravvivenza, abbiano fortemente la nozione di appartenere alla specie umana. Da qui la solidarietà, da qui la fratellanza, da qui la vita comunitaria che costruiscono sui marciapiedi sporchi di San Paolo. // Finché non ci sarà una vasta campagna per trasformare le strade in laboratori, dove ognuno possa inventare il proprio modo di essere nella vita, finché la preoccupazione sarà quella di 'pulire' le strade e prevarrà la mancanza di rispetto per l'unicità nei modi di affrontare la storia personale, la violenza continuerà a predominare”.[I]

TaniaRivera – Luoghi di delirio, arte ed espressione, follia e politica

In effetti, un intero popolo, in ironico confronto con l'esperienza borghese generalizzata e pastosa, ha vissuto la propria modernità come una combinazione di arte, ricerca attiva dell'immaginazione, al limite del delirio, indagine aperta della follia, vita artistica o letteraria, pratica clinica e psicoanalisi.

Questo vero complesso culturale della modernità, dei ricercatori e dei produttori di lavoro artistico con lavoro clinico, della deriva permanente in cui l'arte moderna si è aperta a tutti i tipi di mondo dell'esperienza, e dell'invenzione della cosiddetta arte contemporanea, ha attirato filosofi e psicoanalisti al suo delirio, alla vita vissuta in questo modo - nell'indagine a partire dalle matrici del tempo e dello spazio, del flusso e dell'esperienza aperte da artisti, pazzi e artisti pazzi.

Questo campo di esperienze ha generato una potente comunità di produttori che, pur conducendo la loro vita creativa più o meno tra loro, hanno comunicato una delle possibilità limitanti del mondo: quella di una sorta di anarchismo estetico condiviso, di vivere una vita sociale che si reifica ogni giorno e ogni stagione.

In Brasile, questo potente principio, in cui artisti, pazzi, critici e filosofi clinici si incontravano e creavano una comunità di destino in ciò che interessava loro, la vita, l'arte, il delirio e altri tipi di potere di fronte allo schiacciamento industriale delle esistenze o alla rovina della povertà e dell'esclusione, aveva una storia e una cultura proprie e potenti. Nel paese di origine popolare schiavizzata, spezzata da tutti i diritti su un territorio simbolico organizzato come una tradizione di vita, segnato nel profondo dalla violenza e dalla precarietà, un tale movimento di vita con espressione, una specie di delirio e critica, la struttura della nostra “trance”, non è in alcun modo una coincidenza.

Tania Rivera, psicoanalista, critica e grande ricercatrice, ci ha consegnato la storia aperta – e la grande storia, potremmo dire – di questo universo culturale segnato da vite in sperimentazione, in cui arte, follia e psicoanalisi vanno di pari passo, in un gioco di reciproco riconoscimento delle differenze nell’approssimazione permanente, delle speciali inclinazioni elettive e affettive.

Luoghi di delirio, arte ed espressione, follia e politica È, a mio parere, il grande libro di questa forte storia dell'arte brasiliana e del pensiero clinico brasiliano che si costituisce reciprocamente, a partire dal gesto dell'incontro tra l'arte delirante, la follia come arte, e lo psicoanalista, clinico, come critico. Il libro ricostruisce molti dei momenti e degli attori di questo incontro, a partire dalle questioni moderniste europee sulla questione, e intuisce i nostri mondi di potenzialità in gioco, portati avanti con il massimo coraggio sperimentale che il momento aperto della formazione nazionale ha concesso anche ai soggetti del delirio critico dell'arte.

È importante notare che non si tratta di un caso di surrealismo manuale o di impianto di un manifesto, né di condiscendenza verso l'irrazionalità dell'espressione immediata, informe perché disinformata, ma, al contrario, della storia di un potente movimento sotterraneo, sociale e investigativo, di un lavoro che ha coinvolto tanti – Nise da Silveira, Osório Cezar, Mário Yahn, Mario Pedrosa, Maria Leontina, Almir Mavignier, Abraham Palatnik, Lula Wanderley; e Albino Braz, Aurora Cursino dos Santos, Haydée de Carvalho, Antônio Bragança, Raphael Domingues, Carlos Pertuis, Fernando Diniz, Emygdio, Arthur Amora, Arthur Bispo do Rosário tra molti altri – in cui l’arte dei folli si rivelò come un modo di produrre vita e conoscenza e i clinici cominciarono a pensare/vivere i loro oggetti, soggetto, delirio, cultura, basandosi sulla potente influenza di quell’arte.

Nell'opera, i luoghi del delirio, forniti dagli artisti folli o da quelli dell'avanguardia brasiliana, sono questi: luoghi dell'esperienza, in cui l'apertura di una realtà sconosciuta si propone come cultura e conoscenza, vita e arte, esperienza a partire dalla cosa limite, a chi non è folle e sa indagare dall'interno il potenziale produttivo del delirio, questa intensa produzione di differenza, così caratteristica anche della vita sociale brasiliana.

Tania Rivera si addentra davvero nel potenziale concreto delle opere, nella storia teorica e nell’enigma biografico, politico e antropologico di alcuni artisti del delirio – come nel saggio ad alta tensione su Arthur Bispo do Rosário –, per giungere alla proposta psicoanalitica e vitale di luoghi dei soggetti nel mondo che attraverso l’arte si convertono in luoghi dei soggetti. Un libro eccezionale, sul rapporto tra la psicoanalisi e uno straordinario movimento culturale dal XX secolo a oggi.

Attraverso il suo impegno con il potere dell'arte delirante nell'esperienza brasiliana, Tania Rivera è riuscita a riposizionare il significato della psicoanalisi, con la sua concezione del carattere critico di questa esperienza clinica e culturale: "Certamente, Divisor [il lavoro performativo di Lygia Pape sull'esperienza di gruppo e collettiva] è un piano che taglia il mondo - e ci divide - in due campi. Quella sopra è raffigurata nella maggior parte delle immagini giunte a noi dalle recenti esecuzioni della proposta, mentre quella sotto appare raramente, in poche fotografie, come un insieme impersonale di gambe ferme o in movimento a ritmo costante. In realtà non avevo notato questa dimensione dell’opera finché non l’ho vissuta, nel 2010, quando è stata realizzata nel cortile del MAM – Rio per le riprese che avrebbero fatto parte del 29. Biennale di San Paolo. Gli amici mi avevano inviato via email un invito aperto a chiunque volesse partecipare. Quando sono arrivato, il tessuto stava già fluttuando nell'aria grazie a molti corpi eretti; Ricordo di essermi lamentato perché non tutte le crepe erano state occupate e che una delle estremità era caduta a terra. C'era un entusiasmo diffuso, ma non riuscivo a percepire la presenza di tutti, forse perché il mio contatto visivo era limitato a poche persone attorno a me. L'obiettivo della troupe era di tenerci fermi per lungo tempo e, a un segnale, camminare in avanti per alcune decine di metri e poi tornare indietro, ripetutamente. Ora credo di essermi sentito limitato nei miei movimenti, mentre aspettavo un volo collettivo che non si è mai materializzato. Non ricordo esattamente in quale momento della scena, che stava diventando noiosa, accadde qualcosa di sorprendente. Un improvviso fruscio cominciò a provenire dal centro del tessuto e presto mi resi conto che alcune persone stavano sollevando il tessuto con le braccia, in un gesto vigoroso con uno dei pugni, accompagnato da un movimento del corpo con cui la testa scivolò verso il basso e si sfilò dal vuoto che aveva occupato fino a quel momento. Ho fatto lo stesso. Sotto il telo ci guardammo e sorridemmo, e ognuno di noi si mosse automaticamente verso un'altra fessura in cui potevamo infilarci. Fu come un contagio: presto uscimmo tutti dai nostri anfratti e ci scambiammo di posto con gli altri, senza sosta, in una coreografia bellissima e complessa. Ricordo la gioia infantile e gli sguardi complici che accompagnavano questi movimenti. Abbiamo sovvertito la struttura, il piano che assegnava a ogni persona un determinato posto, e abbiamo realizzato qualcosa dietro le quinte, come dice una curiosa espressione popolare. Stavamo insieme al punto che potevamo scambiarci di posto. // È interessante notare che questa esperienza ha trovato riscontro nella mia pratica psicoanalitica. Come analista e come analizzando, ho imparato nel corso di molti anni che, se la psicoanalisi è una pratica di scoperte e rivelazioni di contenuti psichici – e avrebbe a che fare, in questo senso, con il sollevare veli di copertura –, non si tratta affatto di svelare l'inconscio o 'la verità' come una narrazione unica e definitiva a cui si accederebbe attraverso la corretta interpretazione dei suoi travestimenti. Credo che si tratti fondamentalmente di sospendere le narrazioni egemoniche in modo che ogni persona possa muoversi, anche solo in minima parte, al di fuori del proprio luogo abituale, aprendo la possibilità di nuovi gesti che non siano compiuti individualmente, ma che si intersechino con i gesti degli altri, per aprire infine i propri spazi – e inventare il campo del desiderio come ciò che avviene sotto le coperte, tra di noi. [Ii]

*Racconti Ab´Sáber È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'Unifesp. Autore, tra gli altri, di Il soldato antropofagico (Hedra). [https://amzn.to/4ay2e2g]

Riferimenti


Miriam Chnaiderman. Una psicoanalisi errante: Vagabondaggi cinematografici e riflessioni psicoanalitiche. New York, 2024, 344 pagine. [https://amzn.to/43JVw89]

Tania Rivera. Luoghi di delirio, arte ed espressione, follia e politica. San Paolo, Sesc Editions / n-1 editions, 2023, 406 pagine. [https://amzn.to/3R6u5xN]

note:


[I] Miriam Chnaiderman, Una psicoanalisi errante, P. 57.

[Ii] Tania Rivera, Luoghi di delirio, arte ed espressione, follia e politica, P. 19 e 20.


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