da LUIZ RENATO MARTIN*
L'arte di Miró è caratterizzata dal rigore del ragionamento plastico; per il dialogo con il cubismo e le arti grafiche; dalla strategia critica di far implodere il sistema pittorico
Il mito dell'arte non riflessa, legato a Miró, è sostenuto da Breton, che vede nella sua “totale spontaneità di espressione (…) incomparabile innocenza e libertà”. La sentenza è nata nello scontro tra surrealismo ufficiale e rivali.[I] Ma la contraddizione era radicata.
Miró sfugge a questa definizione per il rigore del ragionamento plastico; per il dialogo con il cubismo e le arti grafiche; dalla strategia critica di far implodere il sistema pittorico. Così, nel 1923-24, prende posizione nel dibattito moderno con una strategia insieme analitica e romantica (e quindi, come Kandinskij, senza trascurare la questione del soggetto), tradotta nell'intento di ridurre il lessico della pittura ai dati fondamentali: linea, colore e piano (quest'ultimo presto materializzatosi come supporto), depurati dagli effetti illusorio-metafisici di profondità, volume, ecc. L'azione riduttiva di Miró, basata sul cubismo (e, in senso più ampio, sul materialismo), conferisce un nuovo grado analitico alle conquiste della bidimensionalità e al primato del piano come qualità della pittura (ignorate dai surrealisti). Stabilisce un nuovo livello storico.
Nuove scoperte di Miró, estranee al surrealismo, come il quadro a fondo monocromatico (1925), negano il valore di una scena che trascende il quadro, equiparando la pittura alle tecniche grafiche e il presupposto di quest'ultima, quello della sfondo come superficie per operazioni concrete, di natura funzionale; L'approvazione di Miró dell'atto cubista di incorporare lettere e numeri va in questa direzione, conferendo alla tela il contenuto superficiale di una pagina.
Questa analisi materialista del dipinto ha più elementi: l'effetto antiauratico delle traverse del telaio ligneo, al di sotto della tela – volutamente calpestata dal pennello –; e l'enfasi sulla deformazione dei corpi, delineata dai rigonfiamenti.
Questo segno, in sintonia con il gruppo di Documenti,[Ii] e la ruvidità della caricatura rivelano anche l'estensione sistematica della ricerca di Miró: le figure semplificate e bidimensionali – di cui attestano la concretezza i sottotitoli e il pubblico ripudio dell'astrazione da parte dell'autore – fungono da pre-immagini o schematismi, quindi, da esposizione di strutture genetiche immaginazione, spiegando i fattori di visibilità.
l'opposizione progettuale il colore opera nella storia dell'arte fin dal Cinquecento italiano, ed è stato fonte di numerose controversie (Poussin Rubens nel XVII secolo, classicismo romanticismo nel XX secolo XVIII). Anche l'intervento di Miró in questa vicenda è strategico. Si aggiunge al principio riflessivo del disegno e costruisce un regime cromatico analitico ristretto ai colori primari, che perdono peso simbolico per la linea e ne guidano solo la visione.
Ma qual è la sintesi posta dal trionfo delle linee? Non è quella delle forme che contempla la ragione classica, ma quella di una sintesi incompiuta che porta la traccia di uno spirito atomizzato, orfano di forme, basato su un'immanenza conflittuale, opposta all'ideale delle forme piene.
Pertanto, un tale intelletto è diviso e porta ad antinomie. In quanto disegno, la nuova sintesi ha un significato negativo o antiformale, si oppone insomma all'immagine come rappresentazione. E, nel piano semantico delle parole, la comprensione abbraccia il reale. Nascono così tensioni insolubili: da un lato, la base della fantasia visiva, l'atto sintetico dell'intuizione interiore soggettiva; dall'altro, nell'informazione scritta, il legame cognitivo del soggetto con il mondo, la designazione oggettiva dei temi. Cosa implica l'invito riflessivo, all'accoglienza, a un'analisi che spinga il pubblico, di fronte alla distanza tra figura e parola, a cogliere la propria produttività interna: cioè a notare lo scarto soggettivo tra immaginazione e comprensione, il sentimento e forma, e per oggettivare tale contrasto nel dipinto.
Il titolo, quindi, non determina. Ma, di fatto, pone un problema, un polo di tensione. Il nucleo della poetica di Miró risiede in questa tensione insormontabile del viaggio incompiuto dal soggettivo all'oggettivo, che perpetua un'oscillazione esposta nella materialità del fatto estetico (la radicale relazione linea-linea colore e lo sfondo come supporto) secondo un disegno riflettente e universalizzante. È ciò che propizia e unifica l'uso di tanti mezzi, nuove tecniche e materiali non nobili, esaltandone il pregiudizio espressivo, scarto compreso.
Lo stesso scopo democratico universalizzante porta Miró a cercare nuove tattiche contro il valore della forma e del virtuosismo (che Miró rifiutava in Picasso): l'atto semi-infantile, lo stimolo dialogico alla reazione del sostegno,[Iii] il fatto casuale
Pertanto, tali pratiche anarchiche, senza fine in vista, non sono unilaterali; non esprimono un istinto presociale, anteriore a ogni legalità. Vogliono che la massima dell'atto di produrre significato sia universalizzata come un potere generale. C'è, in questa relazione, un implicito potere istitutivo, un'aspirazione legislativa contraria alla divisione sociale del lavoro, come allora si poneva. Così, Miró chiede: “una rivoluzione permanente, che non si rimanga mai fermi su un punto (...) una revisione di tutto. Ogni giorno, metto in dubbio tutto.[Iv]
*Luiz Renato Martins è docente-relatore dei corsi di laurea in storia economica (FFLCH-USP) e arti visive (ECA-USP). È autore, tra gli altri libri, di Le lunghe radici del formalismo in Brasile (Haymamercato/ HMBS).
Revisione: Gustavo Motta.
Commento ai cataloghi delle mostre (MAM-SP, 1996) e libro di interviste al pittore Joan Miró (São Paulo, Estação Liberdade, 1990). Modificato dall'originale pubblicato con il titolo “Il nero come sintesi”, in Giornale di recensioni / Folha de São Paulo, NO. 11, del 05.02.1996.
Riferimenti
Arestizabal, P. Rico, P. Grinberg, Miró: Percorsi di espressione, catalogo degli spettacoli:
Rio de Janeiro, Centro Culturale Banco do Brasil, 11.10 – 17.12.1995;
San Paolo, Museo d'Arte Moderna di San Paolo, 09.01 – 25.02.1996.
P. Rico, F. Mirò e Ma. Josè Lapena, Inediti Dibuixos di Joan Miró, catalogo della mostra: Mallorca, Fundació Pilar i Joan Miró, 19.12.1994 – 26.02.1995).
Giorgio Raillard, Joan Miró – Il colore dei miei sogni/ Interviste, traduzione di Neide Luzia de Rezende, São Paulo, Estação Liberdade.
note:
[I] La dichiarazione di Breton è stata fatta in un testo originariamente datato 1941, ripubblicato in André Breton, Il surrealismo e la pittura, Paris, Gallimard, 1965. Per un giudizio opposto, accentuando la negatività e la violenza di quest'arte con tracce di “disastro”, si veda Georges Bataille: “Joan Miró: Peintures Récentes”, in Documenti, NO. 7, Parigi, 1930; rappresentante. idem, Opere complete I, Parigi, Gallimard, 1970.
[Ii] La dissidenza del surrealismo, dopo lo scisma avvenuto con il secondo manifesto di Breton (1930), e il suo allineamento, nello stesso anno, al PCF, raggruppato in Documenti, e dal 1931 in poi Critica sociale (Pubblicazione di orientamento trotskista). Il gruppo ha combattuto, in nome del materialismo, gli ideali surrealisti. La critica delle idee elevate si riferiva all'idea di "informe", forgiata da Bataille, e proponeva la deformazione come pratica discorsiva nella letteratura e nelle arti visive (Masson, Miró, Giacometti, "l'arte primitiva" sono stati portati come esempi). Nel 1935 entrambe le fazioni si allearono momentaneamente nel fronte antifascista “Contre-Attaque”.
[Iii] La desublimazione dello sfondo è in aumento. Nel 1940-41, la base (il cielo) delle opere della serie costellazioni è realizzato con il solvente utilizzato per pulire la vernice dai pennelli sporchi. Nello stesso senso, nel 1974, Miró incendia gli schermi; e, nel 1975, defeca su un nuovo supporto, la carta vetrata, per comporre un trittico. Nella mostra in corso spicca l'idea dello sfondo come supporto, analogo al pavimento di un laboratorio. Miró predilige diversi elementi scartati, come la carta da pacchi ondulata, che perfora il suo design. Negando la gerarchia del creatore rispetto alla materia passiva, si livella a operatore di macchina da presa, per il quale il rapporto con il film avviene in reciproca determinazione. Nella scultura, anche il salvataggio dei resti è centrale.
[Iv] Cfr. Giorgio Raillard, Joan Miró – Il colore dei miei sogni/ Interviste [1990], traduzione di Neide Luzia de Rezende, São Paulo, Estação Liberdade, 1992 (4a ed.), pp. 25-6.