No, il resto non è silenzio

Immagine: Wendelin Jacober
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da EUGENIO BUCCI*

Le docili parole del governatore di San Paolo compromettono l'onestà dei suoi sostenitori e vandalizzano la storia del PSDB

Il resto è il “sostegno incondizionato” pronunciato in tono oltraggioso dal governatore di San Paolo, Rodrigo Garcia, del PSDB, davanti a un presidente della Repubblica dalla faccia arcigna e al suo entourage infuriato. No, quello non era supporto, era una resa completa e soprannaturale. Al termine della tragedia, la scena continua, a riprova che ci sono parole dopo la morte politica. Ecco il resto del resto.

È così che il cadavere del toucanato di San Paolo ha lottato, fatto a pezzi, disfatto – e schiamazzando. La sua maschera mortuaria snocciolata davanti a microfoni, fotografi e operatori video, seguendo un copione di prolungata umiliazione. No, l'atmosfera non era da campagna. Nessuna di quelle comparse che si accalcano intorno ai protagonisti con le braccia alzate e si tengono per mano in un'euforia apartitica, niente di tutto questo. L'atmosfera era quella di una veglia, cioè di una veglia militare. Gli uomini fascisti non piangono, ma nemmeno ridono: quando si lasciano mostrare i denti, sembrano pronti ad abbaiare.

Sui giornali di ieri l'immagine non era così disastrosa. In una delle fotografie c'era una smorfia che somigliava a un sorriso sul volto dell'incumbent federale. La foto era un'illusione, un'istantanea meno cupa. Al telegiornale, martedì sera, si è potuto vedere meglio lo stato d'animo della banda che circonda l'ultimo dei tucani. Nessuno degli astanti, in nessun momento, ha abbassato le sopracciglia. Nessuno sorrideva, nemmeno il governatore che recitava i termini del suo "sostegno". Il presidente e tutti i suoi uomini stavano guardando oltre i riflettori, rigidi, con l'aria di pochi alleati. Erano arrabbiati. Nella loro immaginazione rarefatta, forse hanno interpretato il ruolo di truppe che calpestano il territorio conquistato mentre il rappresentante dei vinti firma la capitolazione “incondizionata”.

Di fronte a uno spettacolo così degradante, anche chi non si è mai identificato con il partito che si intendeva, un giorno, come socialdemocratico, ha sentito una stretta all'anima. Il PSDB ha governato San Paolo per un'eternità – la più antica si dice dai lontani anni 1990. Tra le sue fila sono passate personalità rispettabili.

Ora, ridotto a questo, nient'altro che a questo, interpreta il non morto convertito in sabujice, aggrappato agli stivali contro i quali si è opposto in passato. Ancora più insopportabile è il pensiero che molti di quei tipi trasandati e profilati fossero armati. La maggior parte di loro elogia o ha già elogiato la dittatura militare. Uno ha detto che avrebbe ripristinato l'AI-5. E c'è anche quello che ha promesso di chiudere il Tribunale federale. Perché lì in mezzo si vedeva, incondizionatamente sottomesso, il capo dell'Esecutivo di San Paolo.

Sappiamo che i leader più in vista del partito moribondo non hanno seguito la stessa strada. Questi, coerentemente, si oppongono al Presidente della Repubblica e sostengono, ora al ballottaggio, il candidato che possa sconfiggerlo. Il gesto del governatore, però, sminuisce ogni dignità. Le sue docili parole compromettono l'onestà dei suoi correligionari e vandalizzano la storia della leggenda con la quale raggiunse la carica che ora ricopre.

Forse lui stesso non lo sa, ma il suo atteggiamento costituisce un attacco. A volte, la violenza peggiore non è quella fisica, ma è quella che avviene sul piano simbolico e ferisce mortalmente la memoria che ci identifica. I neonazisti che profanano i cimiteri ebraici mirano a violare il più sacro in quelli che odiano di più. La resa a cui abbiamo potuto assistere martedì può – e deve – essere intesa come un atto di profanazione simbolica, anche se l'attore sulla scena non si è reso conto di ciò che aveva fatto.

La sudditanza a cui è stato sottoposto fa sanguinare il legittimo orgoglio delle persone che fanno o hanno fatto parte del PSDB, allo stesso modo che offende chi, senza aver mai aderito al partito, riconosce in esso un patrimonio dell'ambito democratico . Questa associazione non meritava di veder convergere tutto il suo passato verso il “sostegno incondizionato” del suo contrario, non meritava di ridursi ad un adulatore fuori luogo frammisto ad usurpatori che non appartengono al posto che occupano.

O Estadão ieri, in un reportage di Leon Ferrari e Levy Teles (p. A13), ha riportato la notizia che, sui social network, si sta alzando un'ondata di pregiudizio contro le persone del Nordest. In post riesumati dalla fogna della xenofobia, voci intolleranti attaccano gli elettori della Regione Nordest, dove il Presidente della Repubblica ha subito la sua peggiore sconfitta al primo turno. Alcuni messaggi chiamano il Nordest “Cuba do Sul”. Uno di loro chiede di notificare al "presidente della Russia che il nord-est fa parte dell'Ucraina". Altri affermano che “i poveri sono come i vermi” e c'è chi prevede che “gli asini del Nordest” debbano “morire di fame”.

Fu a questa specie di ondata furiosa che il governatore di São Paulo consegnò le sue deboli e tristi forze. Ora, finalmente, presume che il suo partito sia il Brasile: il Brasile che nega se stesso, il Brasile che odia il Brasile. Arriviamo, quindi, in Brasile divisi soprattutto. Un rumore, uno stridio infernale. I burberi ai quali il governatore ha offerto il suo “sostegno incondizionato” devono pensare che il silenzio sia una cosa da comunisti. Potrebbe essere d'accordo.

* Eugenio Bucci È professore presso la School of Communications and Arts dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di La superindustria dell'immaginario (autentico).

Originariamente pubblicato sul giornale Lo Stato di San Paolo.

 

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