Natura e grazia in Blaise Pascal

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da OMERO SANTIAGO*

Considerazioni sul libro di Luís César Guimarães Oliva

“Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una cosa: non saper stare fermi in una stanza.”
(Blaise Pascal, Laf. 136/Br. 139)

Questa l'acuta osservazione di Blaise Pascal, raccolta tra i materiali che la tradizione ha accettato di chiamare Pensamenti, pur essendo realizzato nel XVII secolo, costituisce un caso raro, forse unico, nella storia del pensiero. La pandemia e le difficoltà dell’isolamento sociale che abbiamo vissuto così recentemente hanno dimostrato, centinaia di anni fa, come in un incredibile esperimento planetario, la verità di questo aspetto della condizione umana rilevato da Blaise Pascal: le persone non vogliono né possono sistemarsi, sono naturalmente irrequieti; Preferiamo il rischio di una malattia mortale piuttosto che ritirarci e dover affrontare noi stessi.

L’isolamento blocca la nostra incessante ricerca del “divertimento”, cioè di tutto ciò che ha il potere di distrarci e farci dimenticare la vita, il mondo e, soprattutto, noi stessi, chi siamo e la nostra condizione: dal punto di vista Il punto di vista di Blaise Pascal, gli esseri del “mezzo”. Ciascuna persona, purché rifletta un po' su se stessa, riconosce di essere capace di grandi cose (chi non ha mai compiuto una buona azione? chi non ha mai sognato qualcosa di meglio?) e allo stesso tempo di perpetrare bassezze (chi non le ha mai fatte, scagli la prima pietra). In ogni individuo coesistono qualcosa di alto e di basso e ci troviamo inevitabilmente tra questi poli.

Che fosse una cosa o un'altra, tutto si sarebbe risolto; ma questo è inconcepibile perché siamo umani. Siamo e viviamo, con inquietante necessità, tra il finito e l'infinito, il basso e l'alto, la miseria e la grandezza, calpestando la polvere della terra e contemporaneamente stupiti dal cielo – potendo sempre andare in una direzione o nell'altra , per la nostra gioia o per la nostra tristezza.

Quali sono le ragioni di questa condizione stravagante? Alla ricerca di spiegazioni, Pascal assume la prospettiva del cristiano esigente e si affida a una teologia severa che individua nel nostro essere un'ambiguità fondamentale derivante dal peccato commesso dal primo uomo, Adamo: l'oltraggio inflitto dalla creatura finita al suo creatore infinito. , un'ingiustizia quindi incommensurabile i cui effetti hanno da allora segnato in modo indelebile la nostra natura, producendone una seconda, e diffondendosi attraverso la storia umana.

Ecco perché siamo condannati al mezzo e, non appena ce ne rendiamo conto, alla noia. Né all’inferno né in paradiso, dobbiamo vivere in questo mondo correndo ogni rischio in ogni momento, affrontando l’incertezza, come su una corda tesa. Questo è ciò che ci rende inquieti, ed è per sfuggire a questa condizione, o almeno alleviarne il peso, che siamo sempre alla ricerca di distrazioni e divertimenti che fungano da protezione e palliativi: giochi coinvolgenti, cibo e bevande a non finire, vita sociale intensa, e così via. Al contrario, restare tranquilli e senza divertimento ci rattrista, perché ci costringe a pensare alla nostra condizione, producendo così l’insopportabile esposizione della radice della nostra infelicità, cioè noi stessi.

Da un punto di vista pascaliano, come espresso nella nota inizialmente citata, ecco perché l’isolamento – l’essere rinchiusi e avere tempo per sé stessi – è così terrificante. A solo confronto, c’è quell’ansia, quell’irritazione e quell’orrore espressi da chi “perde” un minuto o due al faro nell’attesa di attraversare una strada; ha sempre fretta di non fare nulla, incapace di calmarsi per un momento, come se il mondo dovesse finire per questo. Questo è il disagio peculiare e paradossale scoperto da Blaise Pascal: l'inquietudine causata dall'imperativo dell'immobilità.

Ora, cosa possiamo dedurre dal fatto che siamo noi stessi?

Una ricca esplorazione di questo enorme e stimolante problema pascaliano è ciò che ci propone Luís César Guimarães Oliva nel suo Natura e grazia in Blaise Pascal. Per il lettore interessato a queste problematiche, l'opera funge da filo d'Arianna per ripercorrere i testi scarsi, incompleti e postumi di Pascal, il quale (non è mai troppo ricordarlo) morì giovanissimo e ebbe appena il tempo di organizzare gli appunti che teneva. per comporre un'apologia della religione cristiana. Il focus dello studio cade sui due concetti cruciali del problema che abbiamo appena delineato: la perigliosa natura umana, che fin dalla caduta adamica è stata per noi una dannazione, e il mistero di una grazia che, pur redimendo, giunge soltanto a noi per intervento divino.

I lettori amanti di Blaise Pascal apprezzeranno sicuramente il libro di Luís César Guimarães Oliva come ritratto lucido e rigoroso del filosofo. Chi storce il naso quando sente nominare il giansenista, sa che perderà solo se resterà sordo ai problemi reali che egli scoprì e cercò, a modo suo, di affrontare; Direi addirittura che la lettura del libro in questione è consigliata soprattutto a questi ultimi.

Diciamolo chiaro, non è necessario sposare la teologia trasmessa da Blaise Pascal per riconoscere la sottigliezza delle sue osservazioni e la sua comprensione della condizione umana, invariabilmente intermedia tra nature disparate, peccato e redenzione. Tra una cosa e l'altra si pone il dilemma di scoprire, date le circostanze, come comportarsi con chi siamo e chissà, con un po' di fortuna, imparare a stare zitti in una stanza, quando ciò è strettamente necessario.

*Omero Santiago È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'USP.

Riferimento

Luís César Guimarães Oliva. Natura e grazia in Blaise Pascal. San Paolo, Paulus, 2023, 536 pagine. [https://amzn.to/3ZCjAb5]


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