Norme fondamentali dell'ordine politico

Immagine: Nico Siegl
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da FRANCISCO PEREIRA DE FARIAS*

La collettività ha bisogno di una norma di legge o di un principio giuridico per riprodurre la coerenza e la coesione del tipo di ordine sociale e politico

In questo testo ci concentreremo sulle norme fondamentali espresse dalle leggi generali o dai cosiddetti principi del diritto.

La funzione primaria di questi principi è quella di prescrivere i termini o i valori fondamentali che devono essere attuati dalle regole specifiche delle relazioni sociali, costituendo un ordine politico di tipo storico. La collettività ha bisogno di una norma di legge o di un principio giuridico per riprodurre la coerenza e la coesione del tipo di ordine sociale e politico. Il principio giuridico ha quindi la funzione di stabilire i valori fondamentali di un tipo di collettività, aggiungendo a tali valori gli interessi sociali che segnano un’epoca storica.

La formazione sociale contemporanea adotta il principio dell’uguaglianza giuridica. Questa formazione deve attribuire le stesse capacità giuridiche al proprietario dei mezzi di produzione e al possessore della forza lavoro, affinché si possa stabilire il contratto di lavoro, lo scambio tra salario e riproduzione della forza lavoro.

Così, l’uguaglianza giuridica, facendo credere, agli occhi del produttore diretto, che esiste un’armonia di fini tra il proprietario della forza lavoro e il proprietario dei mezzi di produzione, contribuisce alla riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici (Saes, 1994). In realtà, si tratta di parità di trattamento tra disuguali, preservando i ruoli di imprenditore capitalista e lavoratore salariato.

L’avvento della società del capitale presenta i principi giuridici come formulazioni emananti dalla “ragione” umana (assiomi). C'è la richiesta da parte degli interessi capitalistici di un diritto chiaro, libero da turbative considerate irrazionali, derivante da privilegi concreti, che garantisca la validità dei contratti. L'alleanza tra la nascente borghesia e i contadini impoveriti fu una delle forze trainanti della rivoluzione politica, diffondendo la razionalizzazione formale del diritto. Le scuole di diritto si separarono dalle istituzioni ecclesiastiche; e gli operatori legali, responsabili dell'obbedienza ai precetti religiosi.

Al contrario, le formazioni feudali non sono guidate dal principio di uguaglianza giuridica, attribuendo capacità giuridiche disuguali a padroni e servi. Questi ultimi sono esclusi, ad esempio, dagli incarichi politici, a causa della mancanza di reddito; In queste società i sistemi elettorali tendono ad essere censuari, perché in un’economia basata sul rapporto fiscale, quindi non monetario, il lavoratore dipendente non può percepire regolarmente uno stipendio, dovendo garantire la propria sussistenza pur svolgendo funzioni statali. In questo modo il principio dei privilegi giuridici diviene funzionale alla riproduzione del potere politico signorile.

Le norme fondamentali nella formazione feudale assumono la forma di principi “rivelati” (dogmi). La classe signorile instaura con la classe dei servi un rapporto di dipendenza personale (Marx, 1983). Allo stesso modo in cui Dio stringe un'alleanza con il Popolo eletto sulla Terra. L'apparenza delle leggi fondamentali nella società feudale è che esse non vengono fatte, ma piuttosto date, rivelate attraverso la mediazione del Principe carismatico o il carisma della Chiesa religiosa.

La pratica legale sembra poco distinguibile dalla vita religiosa; le scuole giuridiche vengono confuse con i conventi degli ordini religiosi e quelle che applicano la codificazione sono sottoposte al rigido rispetto degli imperativi dei testi sacri (Cerroni, 1993).

L'analista giuridico adotta la massima dell'agiuridismo metodico, esentandosi dal compito, tipico della filosofia del diritto, di trovare i fondamenti (i principi) dei diritti umani. Ma questo “scetticismo organizzato” (Merton, 2013) non significa limitarsi a una visione istituzionalizzata dei diritti umani, che porterebbe l’analista a rimanere intrappolato nell’enigma della legge. Si tratta di passare dal modo filosofico di conoscere (dimostrazione assiomatica) al modo scientifico (dimostrazione non assiomatica), nella ricerca del fenomeno giuridico.

La conoscenza scientifica acquisisce la specificità di moderare le inclinazioni etnocentriche, tipiche fino ai nostri giorni delle forme storiche di collettività, relativizzando le loro convinzioni sul significato dell'essere umano, allo stesso tempo non ignorando la lotta in queste e queste collettività per l'egemonia di significato dell’umanità (Lévi-Strauss, 1996).

Il modello normativo, a un livello più generale e, quindi, nella genesi logico-storica delle forme sociali, rimanda al significato stesso dell'umanità. Questo significato antropologico è, di per sé, distinto e anteriore al significato di cittadinanza, che è l'individuo che sorge nella forma sociale sviluppata, nella quale si riscontra già la separazione tra campagna e città e, correlativamente, la formazione dello Stato.

Il dipendente statale diventa responsabile delle attività produttive, prevalentemente agrarie, e può dedicarsi a funzioni gestionali in modo permanente e specializzato, attraverso l'adozione del sistema fiscale. C'è da un lato il governo professionalizzato e dall'altro l'individuo soggetto alla legge emanata dalla città-stato. Il diritto statale è il diritto della forma soggetto, cioè della forma dell'imperativo categorico o incondizionato, ma la cui essenza è il suo carattere sociale (funzionale) e non sovrastorico (incondizionato).

Gli individui umani sono già presenti in una società senza stato, il che non significa uno stato di natura. La comunità di vita spontanea si presenta come una società, un insieme di ruoli governati da norme stabilite. L'essere umano coincide con la vita collettiva e culturale, cioè con la vita dotata di un linguaggio astratto, basato su norme generali. In altre parole, la società iniziale, la società senza stato, fa sì che i comportamenti degli individui e dei gruppi siano guidati dalla legge di astrazione, una causa interna, e non dalla legge di natura, una causa esterna.

L’uguaglianza è il fulcro dei diritti umani, poiché il rapporto di equivalenza precede storicamente la cittadinanza (individuo “libero”). Nella formazione capitalistica contemporanea, questa uguaglianza è, da un lato, formale: “tutti sono uguali davanti alla legge” (Dichiarazione/1789) e, dall’altro, materiale: “il diritto al lavoro, all’istruzione, al tempo libero, alla protezione sociale " (Dichiarazione\1948). Tuttavia, questo riconoscimento da parte del diritto contemporaneo del duplice aspetto del diritto – astratto e concreto – diventa insufficiente per rispondere all’esigenza di adeguata misurazione contenuta nella legge, poiché astrae il rapporto antagonistico tra imprenditore capitalista (che mira alla ricchezza) e lavoratore salariato. (ricerca della soddisfazione dei bisogni).

A sua volta, la libertà diventa il centro dei diritti di cittadinanza, poiché il governo della separazione tra città e campagna o il governo statale, residente in città, proietta inizialmente il proprietario dei mezzi di produzione come individuo “libero”, il cittadino, in opposizione al produttore diretto come individuo “non libero”, lo schiavo – condizioni affinché il proprietario estragga pluslavoro dal produttore diretto, trasformato in parte in entrate fiscali statali.

Lo sviluppo della cittadinanza, dalla schiavitù al capitalismo, porterà alla piena inclusione, cioè in forma egualitaria, del produttore diretto, del lavoratore salariato, nella categoria giuridica dell'individuo libero, della forma soggetto.

Pertanto, la distinzione tra essere umano, essenzialmente egualitario, e singolo cittadino, formalmente libero, implicita nella legislazione della società moderna, diventa giustificata, anche se l'elenco delle norme dichiarate porta a pensare all'identificazione dell'uomo e del cittadino. Perché la tendenza del discorso istituzionale nel diritto contemporaneo a dire che gli esseri umani vengono al mondo vestiti da cittadini? Si tratta di eternare, agli occhi di chi pratica il gioco sociale, le regole della divisione di Stato e società, correlate alla divisione tra proprietario dei mezzi di produzione e possessore della forza lavoro.

L'insieme delle leggi derivate dalle norme fondamentali o dalla Costituzione di una comunità politica varia a seconda degli interessi specifici della forza sociale egemonica. Attraverso l’interiorizzazione dei valori fondamentali dell’ordine sociale nella vita familiare ed educativa, la socializzazione politica, l’origine sociale, la pressione dei gruppi più potenti – tutti questi fattori inducono il legislatore a formulare la legge dal punto di vista della forza sociale che conquista l’egemonia, ovvero la capacità di trasformare i propri interessi specifici in obiettivi generali.

Nella prima fase del capitalismo – in cui prevalevano gli interessi del capitale mercantile, poiché questo capitale controllava le cooperative e le manifatture della nascente industria ed aveva maggiore influenza nell’direzione delle politiche economiche (monetarie, fiscali, creditizie, valutarie) dello Stato, con conseguente rendimento più elevato delle attività commerciali rispetto a quelle produttive -, il principio di uguaglianza giuridica, concepito come legge di natura, ha dato alle Costituzioni un fondamento naturale, per cui le leggi dell'ordinamento giuridico assumono carattere di ipotesi formali, cioè , non descrivono necessariamente una realtà storica.

Questo perché il formalismo giuridico non solo si addiceva al capitalismo mercantile, a causa delle incertezze sul significato dell’umano nelle società primitive e sul senso della natura negli esseri umani, poiché rafforzava, da un lato, la violenza del colonialismo e, dall’altro , lo sfruttamento del lavoro delle donne e dei bambini; ma ha anche facilitato il lavoro di razionalizzazione da parte degli operatori del diritto, data la forma assiomatica dei principi, così come formulati dalla corrente contrattualista (Hobbes, Locke, Rousseau).

 Con il passaggio al capitalismo industriale, con l’installazione del sistema macchina nell’azienda industriale e il reindirizzamento delle politiche statali a loro vantaggio, le leggi della natura furono convertite in principi materiali, esprimendo le influenze utilitaristiche (Bentham) e socialiste ( Saint-Simon). Gli interessi industriali non possono operare con l'aspettativa di un eccessivo sfruttamento della forza lavoro, poiché ciò impedisce il passaggio dal plusvalore assoluto (ore lavorative) al plusvalore relativo (produttività) come base della redditività dell'azienda.

In questo senso diventa funzionale, contenere la spinta ai profitti immediati della frazione industriale e indurre le imprese ad adottare strategie di innovazione tecnica e di metodi di lavoro, una politica di enfasi sui principi materiali del diritto, normalizzando il benessere classe operaia.

La Costituzione si presenta, allora, come un insieme politico-giuridico, che deriva da un processo sociale regolare, nello stesso tempo in cui questo quadro di leggi interviene per configurare e stabilizzare la dinamica di questo processo sociale. Come sottolinea in altri termini Umberto Cerroni (1993, p. 157): «qualsiasi diritto [moderno] è articolato da due elementi interconnessi: l'elemento imperativo costituito da una volontà dotata di forza e l'elemento culturale costituito da una disposizione razionale, proveniente da un’autorità legittima”.

* Francisco Pereira de Farias È professore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università Federale del Piauí. Autore, tra gli altri libri, di Riflessioni sulla teoria politica dei giovani Poulantza (1968-1974) (lotte anticapitali).

Riferimenti


CERRONI, Umberto. Politica. San Paolo: Brasiliense, 1993.

LÉVI-STRAUSS, Claude. Razza e storia. In: Antropologia strutturale a due. Parigi: Plon, 1996.

MARX, Carlo. La capitale: critica dell'economia politica. San Paolo: Aprile culturale, 1983. (3v.)

MERTON, Roberto. Scienza e struttura sociale democratica. In: Saggi di sociologia della scienza. San Paolo: Editora 34, 2013.

SAES, Décio. Il concetto di Stato borghese. In: Stato e democrazia: saggi teorici. Campinas: IFCH-Unicamp, 1994.


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