Nota sul costruttivismo russo – II

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da LUIZ RENATO MARTIN*

Nikolai Tarabukin e il dibattito artistico nella Russia rivoluzionaria

 

Critica del lavoro alienato

Il costruttivismo, nonostante anche la manifesta ostilità di Lenin (1870-1924) e Krupskaya (1869-1939), si presentò come prodotto diretto e vettore dell'approfondimento della Rivoluzione d'Ottobre. Allo stesso tempo, si è costituito, a differenza delle sue controparti occidentali, dalla messa in discussione e dalla ristrutturazione non solo funzionale, ma radicale delle pratiche artistiche, per quanto riguarda l'inserimento nelle relazioni economiche e sociali. Ed è anche per questo che il costruttivismo è diventato un fattore indesiderabile di fronte alla nuova politica economica (NEP), che ha portato all'opposizione. Allo stesso modo, quindi, il costruttivismo è stato sradicato prima dell'approfondimento della riorganizzazione taylorista[I] di lavoro che ha consolidato, in nome dell'imperativo della produttività, il modello capitalista-fordista del lavoro alienato fondato sulla divisione intellettuale corporeo.

In sintesi, l'atto estetico unito a una prospettiva critica e radicale, dialettica e marxista, implicava la determinazione reciproca dei momenti di produzione e di consumo, momenti che nel capitalismo si offrono non solo come distinti, ma isolati.

Una parziale eccezione in questo contesto, al di fuori dell'URSS, furono gli artisti che operarono e intervennero anche nella ricezione delle loro opere; per esempio, alcuni dadaisti e Marcel Duchamp (1887-1968). Nel costruttivismo, invece, l'integrazione teoria-pratica era una questione di principio.

In definitiva, per chiarire il contrasto tra i principi del costruttivismo rivoluzionario e quelli dei suoi omologhi occidentali, è necessario stabilire la distinzione nel fondamentale rifiuto critico del feticismo insito nella contemplazione e, naturalmente, nella merce. Distinto e stabilito questo, allora, invece di addurre come modello la geometria, ciò che è decisivo, nel caso rivoluzionario, viene ad essere la considerazione della determinazione reciproca tra funzione, forma e struttura dell'opera, incidendo direttamente sulla trattazione dei materiali o del processo produttivo. Del resto, nell'ambito del costruttivismo, la configurazione dell'opera, pur includendo l'effetto di straniamento, [Ii] propugnato da Viktor Chklovsky (1893-1984), è stato condizionato e plasmato dall'esigenza di funzionalità, cioè dal compito etico e politico di ricostruire la quotidianità, unita al processo rivoluzionario.

La Germania ha quindi funzionato come principale cassa di risonanza per i dibattiti sovietici, diffondendoli nel resto d'Europa. Alcuni principi e procedimenti costruttivisti furono così assimilati e diffusi da Bertolt Brecht (1898-1956) e Walter Benjamin (1892-1940), Erwin Piscator (1893-1966), John Heartfield (1891-1968) e Hannes Meyer (1889- 1954), tra gli altri.

 

Dal process painting al nuovo realismo

Per cercare, nelle formulazioni di Tarabúkin, i precedenti punti di riferimento indicativi del costruttivismo, è necessario riaprire l'esame dell'opera di Cézanne.

Perché Cézanne è considerato una delle fonti decisive del costruttivismo? Perché, secondo Tarabúkin, “fu da Cézanne che il pittore iniziò a concentrare tutta la sua attenzione sulla reale struttura materica della tela (…)”.[Iii] In questo caso, tale struttura può essere intesa come l'ordinamento dei materiali specifici, cioè la trama, il colore, la pennellata e la loro organizzazione.[Iv]

È infatti nell'opera di Cézanne che la struttura del quadro acquista pieno risalto, risaltando di fronte alla dimensione semantico-rappresentativa, da porre esplicitamente come motivo imprescindibile per l'osservatore.

È noto che all'inizio degli anni '1870 dell'Ottocento Cézanne iniziò a dipingere insieme all'amico Pissarro (1830-1903) e, sotto l'influenza di quest'ultimo, iniziò ad adottare il lavoro all'aperto e una tavolozza leggera. Tuttavia, senza soffermarsi su tali opzioni, caratteristiche dell'impressionismo in generale, Cézanne elabora – controcorrente rispetto a questo movimento – una modalità segnata dall'uso esplicito di pennellate modulari, disposte in piccoli blocchi o serie. Si evolve parallelamente verso l'organizzazione del tessuto pittorico, segnato da intermittenza non solo in termini di orientamento delle pennellate – poiché le serie o blocchi si dispongono sempre più lungo vettori con orientamenti diversi –, ma anche da discontinuità e lacune in termini di modelli e campi di colore. In più occasioni, oltre alle sfilacciature nella disposizione degli elementi della composizione, si è rivelata discontinua l'occupazione stessa della tela, cioè il trattamento elementare del supporto: porzioni non dipinte lasciano emergere la tela.

Qual è stata la ragione di ciò? Infatti, diversi osservatori rimasero stupiti dal modo di dipingere di Cézanne. Così il critico-artista JF Schnerb (1879-1915)[V] e RP Rivière, così come Émile Bernard (1868-1941) riferiscono che il pittore iniziò a dipingere senza alcuno schema o composizione precedente e così continuò, facendo avanzare la sua pittura occupando successivamente le regioni adiacenti, come se camminasse passo dopo passo, senza saltando attraverso nuovi sguardi, da una parte all'altra della tela, come si usava allora fare dalla composizione. E così facendo, la sua più grande preoccupazione – da lui presa come segno di autenticità e sincerità nel processo lavorativo – è stata quella di non correggersi mai.[Vi]

Il noto risultato furono le asimmetrie e le deformazioni (che divennero tipiche della pittura di Cézanne); così come – e nonostante le deformazioni – la sua insistenza figurativa intorno a motivi e oggetti ricorrenti, come mai esauriti o effettivamente completati.

Per coloro che aspiravano, come i simbolisti Maurice Denis (1870-1943) ed Émile Bernard e i suoi sostituti formalisti, alla geometrizzazione e all'aggiornamento dell'ordine classico di fronte al tono soggettivista dell'impressionismo, alla dialettica procedurale e al modo permanentemente incompiuto di Cézanne appariva sconcertante e paradossale. Cosa voleva comunque?

Cézanne stava facendo qualcosa che oggi si può chiaramente distinguere, ma che all'epoca stupiva anche i suoi più stretti e pseudo-aderenti, come i simbolisti. In qualche modo, Cézanne ha evitato di sovrapporre l'egemonia dei valori della composizione, delle sue logiche e combinazioni, alla pratica e al trattamento fisico della materia pittorica.

 

Arte procedurale, nuovo realismo

Fu così istituita quella che i costruttivisti chiamavano arte procedurale; la pratica artistica è stata esposta allo scoperto invece del feticismo del prezioso risultato. In sintesi, l'arte procedurale ha rivelato la superiore consapevolezza di esplicitare – come in una dimostrazione algebrica – la verità della sua fabbricazione, gli input e i nessi, anteponendoli alla funzione referenziale di rappresentare forme e aspetti a essa estranei (siano essi erano le forme della natura, erano quelle relative alla soggettività).

Pertanto, è stata la radicalizzazione della scoperta o svolta di Cézanne che ha aperto la strada al costruttivismo rivoluzionario; svolta che, soprattutto, includeva una consapevolezza materialista e politica da parte di Cézanne che, dopo il massacro della Comune del maggio 1871, e di fronte alla guerra sociale della suddetta Belle Époque, iniziò a conferire sovranità al lavoro a fronte della forma o del bene che ne derivava.[Vii]

È in questo senso che si può dire che è stata la radicalizzazione della dimensione processuale dell'arte ad alimentare il ciclo analitico degli oggetti non utilitaristici, che va dal 1919 al 1921; un ciclo che i costruttivisti chiamavano “fase di laboratorio”, concepito “in vista della produzione futura”.[Viii]

Fu allora che si consolidarono e presero piede le nozioni di oggetto – operanti nei dibattiti russi dal 1915, in opposizione a quella di opera d'arte – e anche quella di arte non oggettiva – che fu impiegata da Malievich e dai costruttivisti in risposta a Kandinsky –, e che non va confusa con la nozione di quest'ultimo di arte astratta, perché le concezioni suprematiste e costruttiviste volevano essere antimetafisiche, materialiste e concrete. Insomma, per riprendere da Chklovsky la formulazione di tale distinzione: “le opere d'arte non sono più finestre che si aprono su un altro mondo, ma sono oggetti”.[Ix]

Insomma, a questa soglia, si superava la dimensione figurativa dell'arte e si postulava un oggetto con valore in sé, i cui legami erano posti in sé e non in qualche istanza esterna. Questo è ciò che Malevich chiamava il nuovo realismo pittorico. Lì è stata forgiata una nuova nozione di realismo, completamente diversa da quella ingenua derivata dal naturalismo.

Nelle parole di Tarabúkin, “l'artista costituisce la propria realtà nelle forme della sua arte e concepisce il realismo come consapevolezza dell'oggetto autentico, autonomo nella sua forma e nel suo contenuto”.[X]

 

Davanti all'"ultimo fotogramma"

Tale fu il terreno da cui scaturì il dibattito lanciato da Tarabukin. Il discorso costruttivista da lì è avanzato verso due questioni decisive per la transizione produttivista: la radicalizzazione dell'opposizione intrinseca tra le idee di composizione e costruzione; e quello del carattere utilitaristico degli oggetti o della costruzione costruttivista – poiché anche qui ben presto si è instaurata una contrapposizione.

Risale a questo periodo, precisamente al 20 agosto 1921, pochi giorni prima dell'apertura della mostra. 5 x 5 = 25 – in cui Rodchenko ha presentato tre dipinti, colore rosso puro, Colore blu puro e Colore giallo puro –, la conferenza di Tarabúkin a INKhUK, già citata, intitolata “The Last Picture Was Painted [L'ultimo tableau è stato dipinto]", che ha segnato il culmine del costruttivismo analitico e anche il suo imminente superamento, secondo Tarabúkin.

Bisogna andare ai termini stessi del convegno, su una delle tele, per il calore insostituibile, espressivo e limpido con cui si chiedeva un nuovo corso del costruttivismo. Tarabukin disse di quello che poi chiamò “l'ultimo dipinto”: “(…) una piccola tela quasi quadrata e interamente ricoperta da un unico rosso. Quest'opera è estremamente significativa dell'evoluzione subita dalle forme artistiche negli ultimi dieci anni. Questo non è un passo che può essere seguito da altri, più recenti, ma l'ultimo passo, l'ultimo passo fatto a conclusione di un lungo cammino, l'ultima parola dopo la quale il quadro deve tacere, l'ultimo 'quadro' eseguito da un pittore. Questa tela dimostra eloquentemente che la pittura, come arte della rappresentazione – quello che è sempre stata fino ad oggi – è giunta al capolinea. Se la Quadrato nero su sfondo bianco, di Malievich, conteneva, nonostante la povertà del suo senso estetico, una certa idea pittorica che l'autore aveva chiamato 'economia', 'quinta dimensione',[Xi] La tela di Rodchenko è, al contrario, spogliata di ogni contenuto: è un muro cieco, stupido, senza voce.[Xii] Ma come anello di un processo di sviluppo storico, 'fa epoca', se lo consideriamo non come un valore in sé (che non è), ma come un passo in una catena evolutiva”. [Xiii]

Nel novembre dello stesso anno, 1921 – l'anno di molte scissioni nel processo rivoluzionario –, Rodchenko, la sua compagna Varvára Stepánova (1894-1958) e altri costruttivisti dichiararono di rinunciare all'“arte da cavalletto”."; proclamarono la scomparsa di un tale linguaggio, per dedicarsi alla produzione di oggetti dal carattere utilitaristico e approfondire così l'impegno rivoluzionario.

Si è così aperta una scissione nel gruppo costruttivista, poiché l'INKhUK aderiva fortemente alle tesi produttiviste, mentre gli scontenti seguivano le orme di Kandinskij – che aveva già lasciato l'Istituto all'inizio dell'anno – ed entravano in esuli all'estero, come i fratelli Gabo e Pevsner, che già da tempo avevano mantenuto molti contatti con l'Occidente.[Xiv] Entrambi, pur facendo ricorrentemente riferimento alle forme meccaniche e geometriche come elementi di una nuova arte, non abbandonarono mai le concezioni della composizione e dell'arte come contemplazione.

In questo contesto storico, il testo di Tarabukin Dal cavalletto alla macchina [Du Chevalet alla Machine], apparso nel 1923 tra le pubblicazioni provenienti da Proletkult,[Xv] ha costituito un'arma centrale nel processo di dibattito, segnando la nuova inflessione del movimento. In questa seconda fase, coloro che rivendicavano la traiettoria costruttivista e si autoproclamavano artisti di sinistra dichiaravano che era giunto il momento dell'utilitarismo e della dissoluzione dell'oggetto. Fu proclamato un nuovo livello riflessivo e pratico per il costruttivismo: il programma produttivista.

Nel frattempo si stava già armando la reazione conservatrice che avrebbe poi acquisito piena forza e potenza con lo stalinismo. Nel 1921 fu costituita una nuova associazione di pittori, l'Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria (AKhRR), con l'obiettivo di difendere i cosiddetti "realisti e rappresentativi [realista e rappresentativo], in linea con i cosiddetti valori di “realismo eroico” (sic). Nella sua mostra annuale del 1922, l'AKhRR ha chiesto la lotta contro "l'arte speculativa dei produttivisti". [Xvi]

 

costruzione contro composizione

Quali sono, in fondo, i criteri ei presupposti della discussione proposta da Tarabukin all'interno del gruppo costruttivista? Riguardo al nocciolo dell'opposizione tra composizione e costruzione, si può dire che la nozione di composizione, in termini di sfera soggettiva, rimandava alla contemplazione passiva, mentre la costruzione si traduceva in una modalità di azione svolta attraverso la materia. È a tale dinamismo, opposto alla passività contemplativa, dunque, che si richiama la nota definizione di forma, formulata da Tátlin in termini materialistici, come “il prodotto della forza dinamica risultante dalle sue relazioni”.[Xvii]

Contrapponendo la costruzione alla composizione, Tarabukin affermava che quest'ultima riguardava il momento della rappresentazione e quindi inglobava nella pittura elementi illusori, come gli effetti volumetrici di profondità, di luminosità o cromatici, temporali o ritmici, ecc.

Dall'altro lato, la costruzione elaborata esclusivamente sull'organizzazione degli elementi materiali, vale a dire la trama, il colore, la massa e la pennellata o tecnica di trattamento del materiale. Pertanto, nel promuovere il passaggio dalla superficie piana della pittura allo spazio reale, in cui artisti, come Tátlin e i membri di OBMOKhU, hanno iniziato a confrontarsi con materiali reali come ferro, vetro e legno, si è avvertita una sensazione di guadagnare in autenticità...

In questo modo, ancor più che nel Controrilievo angolare, di Tátlin – che richiedeva però un punto di vista univoco, come ha sottolineato Tarabúkin –, era infatti nei suoi controrilievi centrali e soprattutto nelle opere spaziali costruttiviste, della terza mostra di OBMOKhU, tra cui alcuni sospesi costruzioni di Rodchenko, che hanno dimostrato di essere pienamente evidente la nozione di costruzione, esaltata nell'effettiva interazione con lo spazio reale.

In sintesi, se da un lato la composizione comprendeva operazioni illusionistiche, dall'altro la costruzione riguardava solo i materiali e gli elementi reali e concreti della pittura. Ciò detto, concludevano i costruttivisti, era necessario sancire il superamento della composizione come puro principio estetico, legato alla bidimensionalità e alla tradizione storica della rappresentazione. Nel costruttivismo, invece, si affermò la verità della costruzione, articolata all'organizzazione degli elementi materiali e reali, cioè emancipata dall'illusionismo della rappresentazione.

 

Dopo la morte dell'art

Considerando l'avvento di questo stadio superiore di autenticità e verità, si comprende l'entusiasmo del commento di Tarabukin a proposito di una relazione presentata da Óssip Brik in una seduta dell'Istituto di Cultura Artistica, il 24.11.1921, e che fu sottoscritta da venticinque artisti costruttivisti-produttivisti. Il documento prevedeva il trasferimento dell'Istituto, l'INKhUK, che apparteneva al Commissariato per l'Istruzione (Narkompros), al Consiglio Superiore per l'Economia Nazionale.

In quell'occasione Tarabukin puntualizzava la nuova concezione dell'arte come attività produttiva da riallocare in un portafoglio economico: “Ma la morte della pittura, la morte dell'arte da cavalletto non significa, quindi, la morte dell'arte in generale. L'arte continua a vivere, non come forma determinata, ma come sostanza creatrice. Anzi: nel momento in cui le sue forme tipiche sono state seppellite e noi abbiamo appena accompagnato il loro funerale nella spiegazione precedente, l'arte vede aprirsi davanti a sé orizzonti di un'ampiezza eccezionale (…)”.[Xviii]

Il primo numero della rivista Budella, nel 1923, fece eco ad una simile richiesta, proponendo nuove funzioni per l'arte, attraverso la proclamazione di Majakovskij: “Il costruttivismo deve diventare la forma superiore di 'ingegneria' delle forme dell'intera vita”.[Xix]

Di conseguenza, per gli artisti, d'ora in poi impegnati in campi precedentemente chiusi, si è posto il compito più grande di rivoluzionare la percezione e la coscienza della maggioranza. A tal fine, gli artisti-produttivisti cercano di uscire dagli atelier per agire e intervenire nelle fabbriche.

A questo punto, l'intervento di Tarabúkin ha cercato una radicalizzazione riflessiva del dibattito. Il fulcro della sua critica si rivolse poi ai suoi coetanei costruttivisti, dediti tuttavia all'“arte analitica”: “Pittura d'atelier o scultura – sia che la sua rappresentatività sia naturalistica (...), allegorica e simbolista (...), sia che assuma un carattere inesistente oggettivo come nella maggior parte dei giovani artisti russi contemporanei – è sempre un'arte museale, e il museo rimane un elemento che crea la forma (che detta la forma), allo stesso tempo la causa e lo scopo della creazione. Includo anche all'interno di oggetti museali, la cui destinazione non è un'attività pratica vitale, pittura spaziale e controrilievi. Tutto ciò che viene creato dall'ala 'sinistra' dell'arte contemporanea troverà la sua giustificazione solo tra le mura del museo, e ogni bufera rivoluzionaria troverà il suo placamento nel silenzio di quel cimitero”.[Xx]

Mettere in discussione la posizione dell'arte “non oggettiva [non oggettivo]”, nutrito dalle ricerche del primo costruttivismo, e prima ancora da formalisti e suprematisti, Tarabukin proclamò, a favore dello sviluppo produttivista del costruttivismo: “Il mondo attuale presenta all'artista esigenze del tutto nuove: egli si aspetta da lui non ' quadri' o 'sculture' da museo, ma oggetti socialmente giustificati dalla loro forma e destinazione”.[Xxi]

È importante notare che la critica di Tarabukin non si è fermata qui e ha attaccato anche atteggiamenti solo apparentemente produttivisti, come quelli di Malievich e Tátlin. Il pittore aveva scelto di applicare forme suprematiste alla porcellana, disegnando teiere e attrezzature per il tè; mentre lo scultore, dopo aver rinnegato i suoi “inutili controrilievi” (parole sue stesse), ha optato per la progetto di oggetti come “utili casseruole”.

Tuttavia, Tarabukin considerava tali atteggiamenti ingenui perché trasmettevano alla fabbrica la prospettiva dell'atelier, cioè la preoccupazione specifica per la produzione di oggetti particolari.[Xxii]

 

La questione del lavoro

Quali sarebbero allora le nuove forme d'arte, quelle che, nelle parole di Tarabukin, sono state portatrici di “orizzonti di eccezionale ampiezza”, intravisti dopo la “morte dell'arte da cavalletto”?[Xxiii]

Tarabukin li ha designati proprio con il termine russo masterstvo, unita alla qualifica di produttivista. Il traduttore inglese ha optato per "abilità di produzione”, qualcosa come “capacità di produrre”; il traduttore francese ha convertito questa nozione in “maîtrise produttivista”, qualcosa come “padronanza, sovranità, dominio o potere produttivista”…

Cosa supponeva esattamente Tarabukin quando attribuiva alla nozione la conservazione del tenore essenziale dell'arte, che non sarebbe scomparso nemmeno con la morte delle modalità artigianali o da cavalletto? In un modo o nell'altro, il fatto è che ha dimostrato in questi termini, lo scopo di concettualizzare l'arte come una pratica indipendente da qualsiasi situazione data nel passato o nel presente: “Il problema della padronanza produttivistica non può essere risolto da una connessione superficiale tra arte e produzione, ma solo per il loro rapporto organico, per il legame tra il processo stesso del lavoro e la creazione. L'arte è un'attività che presuppone in primo luogo maestria e abilità. La maestria è per natura immanente all'arte. Né l'ideologia, che può assumere aspetti molto diversi, né la forma stessa o il materiale, che variano all'infinito, ci permettono di designare concretamente l'arte come categoria della creazione. sui generis. È solo nel processo stesso dell'opera, processo che tende a una maggiore perfezione dell'esecuzione, che risiede il segno rivelatore dell'essenza dell'arte. L'arte è l'attività più perfetta applicata alla conformazione della materia”.[Xxiv]

Cioè, in questi termini, l'arte appare come una modalità di lavoro superiore, capace di tradursi in un lavoro non alienato o emancipato. Il significato della ridefinizione dell'arte come modo di lavorare, come proposto da Tarabúkin, è spiegato di seguito: “Coltivando l'idea di maestria in ogni tipo di attività, contribuiamo ad avvicinare l'arte al lavoro. La nozione di artista diventa sinonimo di quella di maestro. Passando attraverso il crogiolo della creazione, che comunica una tendenza alla perfezione, il lavoro doloroso e subordinato dell'operaio diventa maestria, arte. Il che significa che ogni uomo che lavora, qualunque sia la sua forma di attività - materiale o puramente intellettuale - cessa, dal momento in cui è animato dal desiderio di compiere il suo lavoro alla perfezione, dall'essere operaio-artigiano a diventare maestro. . Per il maestro, artista nel suo campo, il lavoro banale, meccanico, non esiste: la sua attività è un'attività artistica, creativa. Tale lavoro è privo degli aspetti umilianti e distruttivi che caratterizzano il lavoro subordinato. Il legame organico tra lavoro e libertà, la creazione e la maestria insite nell'arte, può essere realizzato integrando l'arte nel lavoro. Unendo l'arte al lavoro, il lavoro alla produzione e la produzione alla vita, alla quotidianità, si risolve in un sol colpo un problema sociale estremamente difficile”.[Xxv]

Poiché, tuttavia, Tarabukin si rifiutava di applicare alla produzione la mera conoscenza artistica, come Malêvitch e Tátlin cercavano quando miravano alla fabbricazione di particolari prodotti, si poneva la domanda: come realizzare, di fatto o simbolicamente, uno scopo così rivoluzionario?

Per Tarabúkin, infatti, non si trattava di modificare particolari prodotti, perfezionandone l'eccellenza, come cercherà esemplarmente il Bauhaus, all'interno del capitalismo, ma piuttosto di esercitare un'azione trasformatrice sul processo lavorativo e implicare, quindi, direttamente cambiamenti nel lavoro relazioni e nel lavoratore. Tarabukin affermava in questo senso: “L'arte così intesa è davvero capace di cambiare la vita, perché trasforma il lavoro, base della nostra vita, rendendolo maestria, creazione, gioia. L'arte del futuro non sarà un bene speciale, ma un'opera trasformata”.[Xxvi]

 

elefanti e farfalle

Tuttavia, è necessario insistere sulla domanda, perché, dal punto di vista delle strategie artistiche, come realizzare un programma del genere? Per quanto riguarda la concezione dell'opera artistica, è stato subito necessario rilevare, sottolinea Tarabukin, la scomparsa del valore dell'oggetto in generale come diretta conseguenza della produzione di massa. Così, l'artista attento ai processi di produzione industriale dovrebbe notare che “la partecipazione di molte industrie è necessaria per la fabbricazione di qualsiasi prodotto. L'oggetto perde ogni individualità nel processo di produzione.

Di conseguenza, Tarabukin ha dichiarato: “Numerosi prodotti attuali non si presentano più come oggetti, ma come complessi di oggetti indissolubilmente legati nel processo di consumo e formanti un sistema – o non rappresentano nemmeno più un'opera materializzata. Così, ad esempio, l'utilizzo dell'energia elettrica, complesso sistema di impianti che fornisce beni sotto forma di luce, calore, forza motrice, ecc. Ci siamo imbattuti in un nuovo concetto, quello di “installazione”,[Xxvii] sconosciuto nelle condizioni di una cultura materiale meno sviluppata.[Xxviii] Infine, la produzione seriale cancella i confini della nozione di oggetto portando a un'estrema riduzione del tempo di esplorazione dell'oggetto, arrivando talvolta fino al suo uso singolo./ L'oggetto perde la sua ragion d'essere, cessando di essere concepito per un tempo di utilizzo importante e diventare qualcosa che si consuma subito: non è più un elefante, ma una farfalla effimera”.[Xxix]

Per non concludere con questa nota di fulminante perspicacia, capace anche di confondere, data la sua apparente attualità – che potrebbe indurre gli sprovveduti a ritenere che il programma produttivista si sarebbe impiantato nelle arti, a prescindere da ogni vincolo politico, economico ed etico base coerente con essa –, è decisivo, collocarla con precisione, coniugarla con una spiegazione della natura del costruttivismo rivoluzionario, data da Aleksei Gan, in Costruttivismo (1922) – spiegazione che è, va notato, strettamente contemporanea ai commenti in questione, di Tarabukin, e che quindi corrisponde a una discussione in corso in quel momento.

Così, in un dibattito sulla natura del costruttivismo con Iliá Erenburg (1891-1967) ed El Lissitzky (1890-1941) – che, in questo caso, si lamentò anche del movimento –, Gan rifiutò parallelismi e approssimazioni (accettate dai suoi compagni ) tra alcuni aspetti dell'arte d'avanguardia occidentale, annunciata dalla rivista francese L'Esprit Nouveau ("spirito costruttivo", "stile collettivo", ecc.) e costruttivismo sovietico. La differenza fondamentale, sottolinea Gan, non può essere osservata da un confronto limitato ai tratti strettamente artistici. Al contrario, insiste, la distinzione cruciale, per il confronto tra le correnti artistiche, risiede nei rapporti concreti e reali che le forme artistiche instaurano con le “forme produttive”, oltre che con le “forme sociali” del loro contesto. Le somiglianze, che possono esistere a prima vista, devono quindi passare attraverso il setaccio di parametri e criteri extraestetici prima di essere accettate.

In questo senso Gan afferma: “L'errore essenziale del compagno Erenburg e del compagno Lissitzky è l'incapacità di distaccarsi dall'arte. Battezzano con il nome di costruttivismo ciò che è solo una nuova arte. Possono così mettere insieme il teatro di Tairov, Charlie Chaplin, Meyerhold, Mardjanov, l'improvvisazione comica, i circhi, Fernand Léger e molti altri. Ma questo non significa che il costruttivismo sia un fenomeno che appartiene solo a noi.[Xxx]

Si sviluppa da una situazione di vita concreta, che si basa sullo stato delle forze produttive. E acquista orientamenti diversi secondo lo stato delle forme produttive, cioè secondo le diverse forme sociali.

Il regime sociale e politico dell'URSS e il regime dell'Europa capitalista e dell'America sono due regimi diversi. È naturale che il loro costruttivismo non sia lo stesso.

Il nostro costruttivismo ha dichiarato una guerra senza compromessi all'arte, perché i mezzi e le qualità dell'arte non sono più in grado di riflettere i sentimenti dell'ambiente rivoluzionario. Questo ambiente è unito solo dai veri successi della rivoluzione e dai sentimenti espressi dalla sua produzione intellettuale e materiale.

In Occidente il costruttivismo viene fatto fraternizzare con l'arte (la malattia cronica dell'Occidente è la politica della conciliazione).

Il nostro costruttivismo si è posto obiettivi chiari. Trovare l'espressione comunista delle costruzioni materiali.

 

In Occidente, il costruttivismo flirta con la politica dichiarando che la nuova arte è al di fuori della politica, ma che non è nemmeno apolitica. Il nostro costruttivismo è un costruttivismo combattivo e intransigente: conduce una dura lotta contro i gottosi e i paralitici, contro i pittori di destra e i pittori di sinistra, in una parola, contro tutti coloro che difendono, anche un po', il pensiero speculativo attività dell'arte.

Il nostro costruttivismo combatte per la produzione intellettuale e materiale della cultura comunista” (Tver, 1922).[Xxxi]

*Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). È autore, tra gli altri libri, di Il complotto dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).

 

Estratto dalla seconda metà della versione originale (in portoghese) del cap. 10, «La transition du constructivisme au productivisme, selon Taraboukine», dal libro La Conspiration de l'Art Moderne et Other Essais, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Lausanne, Infolio (2023, primo semestre, proc. FAPESP 18/26469-9). Vorrei ringraziare Danilo Hora per aver rivisto e traslitterato i termini russi in questo testo.

Per leggere la prima parte dell'articolo clicca su https://dpp.cce.myftpupload.com/nota-sobre-o-construtivismo-russo/

note:


[I] Sulla riorganizzazione del lavoro in forme tayloriste, promossa da Lenin, dall'aprile 1918, vedi “Lenin et Taylor”, seconda parte dell'opera di Robert LINHART, Lenin, Les Paysans, Taylor, Parigi, Seuil, [1976], 2010, pp. 101-219.

[Ii] Per quanto riguarda l'effetto di straniamento (ostranienie), si veda Philippe IVERNEL, Passages de frontières: Circulation de l'image épique et dialettique chez Brecht et Benjamin, in revue Hors Cadre/ 6 – Controbande, printemps 1988, Parigi, PUV Saint-Denis, pp. 135-7.

[Iii] ["C'est de Cézanne que le peintre start à faire porter toute son attention sur la structure matérielle de la toile »]. Cfr. N. TARABOUKINE, «2. La peinture se libère de la littéralité et de l´illusionisme [2. La pittura si libera dalla letteralità e dall'illusionismo]. In: idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 34.

[Iv] Vedi idem, “8. Le sens pictorial de la notion de construction [8. Il senso pittorico della nozione di costruzione]”, in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 44.

[V] Per l'articolo di Schnerb e Rivière sulla loro visita a Cézanne nel gennaio 1905, vedi RP Rivière et JF Schnerb, “L'atelier de Cézanne” (La grande recensione, 25.12.1907, pp. 811-7). in PM Doran (ed. critica e presentazione), Conversazioni con Cézanne, Parigi, Macula, 1978, pp. 85-91. A differenza del caso di Schnerb, altre informazioni su Rivière sono sconosciute.

[Vi] Vedi Richard SHIFF, Cézanne e la fine dell'impressionismo / Uno studio sulla teoria, la tecnica e la valutazione critica dell'arte moderna, Chicago, The University of Chicago Press, 1986, pag. 116.

[Vii] Sulla mitologia simbolista creata intorno a Cézanne, vedi ad esempio M. Denis, “Cézanne” (1907), in idem, Teorie, 1890-1910: du Symbolisme et de Gauguin vers un Nouvel Ordre Classique (1912), pp. 251, 246, apud R. SHIFF, on. cit., P. 132; estratti dal testo di Denis sono stati ripubblicati in PM DORAN, on. cit., pp. 166-80. Vedi anche È. Bernard, “Réfutation de l'impressionisme [Confutazione dell'impressionismo]”, in L'Esthétique Fondamentale et Traditionelle, p. 138-9, apud R. SHIFF, on. cit., P. 132. Per uno schema più dettagliato di tali dichiarazioni riassunte da Shiff, alcune da lettere e alcune da articoli, vedere le note 37-41 a p. 271. Per un recente, acuto e vivido tuffo investigativo in un episodio esemplare della guerra sociale del periodo, si veda Serge BIANCHI, Una tragedia sociale del 1908/Les Grèves de Draveil-Vigneux et Villeneuve-Saint-Georges, prefazione di Michelle Perrot, Nérac, Comité de recherches historiques sur les révolutions en Essone/ Éditions d´Albret, 2014.

[Viii] [in vista della produzione futura]. apud Andrei Boris Nakov, “Introduzione”, in N. TARABOUKINE, on. cit., P. 29.

[Ix] [les oeuvres d'art ne sont plus des fenêtres ouvrant sur un autre monde, ce sont des objets] Cfr. Victor CHKLOVSKI, Letteratura e cinematografia [1923] dentro Resurrection du mot et Littérature et cinématographe, trad. Andrée Robel, Parigi, Gerard Lebovici, 1985.

[X] [«L'artiste constitue dans les forms de son art sa propre réalité et conçoit le réalisme comme conscience de l'objet authentique, autonome quant à sa forme et quant à son contenu»].Cf. N. TARABOUKINE, “3. La voie du realisme [3. La via del realismo]”, in idem, Du Chevalet…, on. cit., P. 36.

[Xi] “Cfr. Gli opuscoli di Malievich: 'I nuovi sistemi nell'arte', 'Da Cézanne al suprematismo', ecc”. (Nota di Tarab.) [ed. Francese: K. Malevich, Écrits Tome 1. Di Cezanne au supremematisme, Losanna, L'Âge d'Homme, 1993).

[Xii] “Considero questa tela un'opera da cavalletto e mi rifiuto di vederla come un 'modello' di pittura murale decorativa [Considero questa tela come un'opera di chevalet, e rifiuto di vederla in un 'modèle' di pittura decorativa sulla parete]”. (Nota di Tarabukin).

[Xiii] ["C'était une petite toile presque carrée entièrement couverte d'une unique coleur rouge. Cette oeuvre est extrêmement significant de l'évolution subie par les formes artistiques au cours des dix dernières années. Ce n'est plus une étape qui pourrait être suivie de nouvelles autres, mais le dernier pas, le pas final effectué au terme d'un long chemin, le dernier mot après fanl la peinture devra se taire, le dernier 'tableau' exécuté par un pittore. Cette toile démontre avec eloquence que la peinture en tant qu'art de la représentativité – ce qu'elle a toujours été jusqu'à présent – ​​​​est arrivée au bout du chemin. SÌ Carré Noir sur Fond Blanc de Malévitch contiene, al di là della pauvreté de son sens esthétique, una certa idea pittorica che l'autore aveva appellato 'économie', 'cinquième dimension[Xiii]', la toile de Rodchenko est en rematch dépourvue de tout contenu : c'est un mur aveugle, stupide et sans voix' [Xiii]. Mais, en tant que maillon d'un processus de développement historique, elle 'fait époque', si on la considère non comme une valeur en soi (ce qu'elle n'est pas) mais comme une étape dans une châine d'évolution »]. Cfr. N. TARABOUKINE, “7. Il quadro più basso [7. L'ultimo quadro]”, in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pp. 41-2.

[Xiv] Vedi B. BUCHLOCH, on. cit..

[Xv] Fondata il 16-19 ottobre 1917, a Pietrogrado, da Bogdanov (1873-1928), Lunacharsky (1875-1933) e Gorky (1868-1936), come organizzazione culturale di lavoratori, ma che rivendicava piena autonomia dal governo e il partito bolscevico, il Proletkult (movimento di cultura proletaria) era visto dal governo e dal partito bolscevico come l'embrione di un partito rivale, secondo un articolo di Pravda, NO. 270, 1.12.1920. Fu quindi annesso al Commissariato del popolo per l'istruzione (Narkompros), guidato da Lunacharsky. Vedi C. LODDER, on. cit., P. 75 e n. 9, a pag. 278. Sugli ulteriori rapporti di INKhUK con Proletkult e sulla sua riorganizzazione secondo il programma produttivista, cfr. idem, P. 93.

[Xvi] [l'arte speculativa dei produttivisti]. apud ABNAKOV, on. cit., P. 16; vedi anche C. LODDER, on. cit., Pp 184-5.

[Xvii] [produit de la force dynamique risultante dalle sue relazioni]. apud Camilla GREY, L'avanguardia russa nell'arte moderna (1863-1922), Losanna, La Cité/ L'Âge d'Homme, 1968, pp. 239-41, apud  F.ALBERA, Eisenstein e..., operazione. cit. (San Paolo), pag. 239; Eisenstein e altri…, operazione. cit. (Losanna), pag. 174.

[Xviii] [“ Mais la mort de la peinture, la mort de l'art de chevalet non significa pas pour autant la mort de l'art in generale. L'art continue à vivre, non comme forme déterminée, mais comme sostanza creatrice. Mieux : alors que ses formes typiques sont enterrées et que nous venons d'en suivre les funérailles dans l'exposé qui précède, l'art voit s'ouvrir davanti a lui des horizons d'une ampleur exceptionelle (…)»]. Cfr. N. TARABOUKINE, « 12. Le refus de l´art de chevalet et l´orientation sur la production [12. Il rifiuto dell'arte da cavalletto e l'orientamento alla produzione]», in idem, Il cavaliere…, operazione. cit., pag. 49; si veda anche idem, «23. La réfraction de l´idée de maîtrise productiviste dans les autres arts [23. La rifrazione dell'idea di maestria produttivistica nelle altre arti]», in idem, Il cavaliere…, operazione. cit., pag. 72.

[Xix] [“le constructivisme doit devenir la forme supérieure de 'l'ingénieurie' des formes de la vie tout entière”]. Cfr. V.MAIAKOVSKI, Budella, nf. 1, 1923, apud A. KOPP, Cambia la vita, cambia la città, Parigi, coll. 10/18/UGE, 1975, p. 190 apud F.ALBERA, Eisenstein e..., operazione. cit. (San Paolo), pag. 169; Eisenstein e altri…, operazione. cit. (Losanna), pag. 123.

[Xx] ["La peinture ou la sculpture d'atelier – que sa représentativité soit naturaliste (…), allegorique et symboliste (…), ou qu'elle prenne un caract'ere non-objectif comme chez la majorité des jeunes artistes russes contemporains – est toujours un art de musée, et le musée demeure un élément formo-créateur (qui dicte la forme), en même temps que la cause et le but de la creation. Je fais aussi entrer dans les objets de musée, dont la destination n'est pas l'activité vitale, la peinture spaziali et les contre-reliefs. Tout ce qui est cree par l'aile 'gauche' de l'art contemporain ne trouvera sa giustification que dans les murs du musée, et toute la tempête révolutionnaire trouvera son apaisement dans le silence de ce cimetière »]. Cfr. N. TARABOUKINE, «10. L´art de chevalet est inévitablement un art muséal [10. L'arte da cavalletto è inevitabilmente un'arte museologica]», in idem, Du Chevalet…, op. cit., pag. 47.

[Xxi] [“ Le monde actuel présente à l'artiste des exigences entièrement nouvelles: il attend de lui non pas des 'tableaux' o des 'sculptures' de musée, plus des objets socialement justifiées par leur form et leur destination »] Cfr. idem, « 11. La traite présentee à notre époque [11. L'obbligazione e lo sgravio che si impongono nel nostro tempo]», in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 48.

[Xxii] Vedi idem, «19. L'idea artigianale dell'oggetto [19. L'idea artigianale dell'oggetto]. In: idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 63.

[Xxiii] [orizzonti di un'ampiezza eccezionale]; [la mort de l'art de chevalet]. Cfr. idem, «12. Le refus de l´art de chevalet et l´orientation sur la production [12. Il rifiuto dell'arte da cavalletto…], op. cit., pp. 49-50.

[Xxiv] ["Il problema della padronanza produttiva non può essere risolto da un legame superficiale tra l'arte e la produzione, più unico per il suo rapporto organico, per il legame del processo stesso del lavoro e della creazione. L'arte è un'attività che suppone en premier lieu maîtrise et habileté. La maîtrise est par nature immanente à l'art. Ni l'ideologie, che può cogliere aspetti très diversi, ni la forma elle même- ou le materiau, che varia all'infinito, ne permettent de désigner concrètement l'art comme una catégorie de création sui generis. C'est uniquement dans le processus de travail lui-même, processus tendu vers la plus grande perfezionation d'execution, que réside la marque qui découvre l'essenza dell'arte. L'art est l'activité la plus perfezionatione appliquée à la mise en forme du materia »]Cfr. idem, « 15. Le problème de la maîtrise [15. Il problema della padronanza]», in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 53.

[Xxv] ["Nel coltivare l'idée de maîtrise in ogni genere di attività, noi contribuiamo a avvicinare l'art du travail. La nozione d'artista devient sinonimo de celle de maître. En passant par le creuset de la creation, qui lui communique une tendence à la perfezionation, le travail pénible et contraignant de l'ouvrier devient maîtrise, art. Ce qui significae que tout homme qui travaille, quelle que soit sa forme d'activité – matérielle ou purement intellectuelle – cessate, du moment où il est animé par la volonté de faire son travail à la perfezionation, d'être un ouvrier-artisan pour diventare un maître-creator. Il ne peut y avoir pour le maître, artiste en sa partie, de travaux triviaux, machinaux: son activité est une activité artistique, créatrice. Un tel travail est dépourvu des aspetti umilianti e distruttivi che caratterizzano il travail contraint. La liaison organic entre le travail et la liberté, la création et la maîtrise inerente all'art, può essere realizzata intégrant l'art au travail. En reliant l'art au travail, le travail à la production et la production à la vie, à l'existence quotidienne, on résout du même coup un problème social extrêmement ardu »]. Cfr. idem, «16. Arte – lavoro – produzione – vie [16. Arte – opera – produzione – vita]», in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 54.

[Xxvi] [“ L'art ainsi compris est réellement capace de changer la vie, car il transforme le travail, base de notre vie, en le Rendant maîtrisé, créateur, joyeux. L'art du futur ne sera pas une gourmandise, mais du travail transformé »]. Cfr. idem, P. 56.

[Xxvii] Andrei Nakov adotta, nella traduzione francese, il termine “abbigliamento, vicino al portoghese “aparelhagem”. Gough, a sua volta, adotta in inglese "installazione”, come corrispondente al termine russo originale “ustanovka”. Opterò per la seconda per tradurre le parole di Tarabukin, nella nota che segue (LRM). Vedi M. GOUGH, op.cit., P. 105.

[Xxviii] “La nozione di 'installazione' e l'idea della smaterializzazione della cultura contemporanea furono diffuse da Kuchner [1888-1937] in una serie di conferenze tenute all'Instituto da Cultura Artística, nonché in conferenze pubbliche a cui rimando [“La nozione di 'appareillage' e l'idea della smaterializzazione della cultura contemporanea sono state ripetute da B. Kouchner in una serie di conferenze tenute all'Institut de la culture artistique, anche nelle conferenze pubbliche auxquelles je riferiscimi »”. (Nota di N. Tarab.).

[Xxix] [“De nombreux produits actuels ne se présentent plus comme des objets, mais comme des complexes d'objets indissolubiliment liés dans le processus de consommation et formant un système, ou bien ne représentent même plus du travail materialisé. Ainsi par exemple l'utilisation de l'énergie életrique, système complexe d'installations qui dispense des 'commodités' sous forme de lumière, de chaleur, de force motrice, ecc. Nous arrivons par là un concept nouveau, celui d' 'appareillage', inconnu dans les conditions d'une culture matérielle moins développée. Infine, la produzione en Série cancella le frontiere della nozione d'oggetto in questo modo che conduce a una riduzione estrema dei tempi di sfruttamento dell'oggetto, allant parfois jusqu'à l'utilisation unique de celui-ci./ L'oggetto perde la sua ragion d'essere in cessante d'essere concepito per un tempo di utilizzo importante e deve essere scelto qui se consumato in un fois: ce n'est plus un 'elephant' plus un 'papillon éphémère' »]. Cfr. idem, “20. L' 'objet' disparait de la grande industrie” in idem, Du Chevalet…, operazione. cit., pag. 65.

[Xxx] Sotto, corsivo, maiuscolo e spaziatura, come da testo originale.

[Xxxi] [“(…) Mais cela ne signifie pas que le costructivisme soit un phénomène qui nous soit propre à nous seuls.

 Il se développe à comme d'une situation concrète de la vie, qui s'appuie sur lo stato delle forze produttive. Et il prend orientamenti differenti selon l'état des forms produttives, c'est-à-dire selon les different forms sociales.

Le régime social et politique della RSFSR e le régime de l'Europe et de l'Amérique capitalistes sont deux régimes differenti. Il est naturel que leur costruttivismo lui non plus ne soit pas le même.

Notre constructivisme a déclaré une guerre intransigeante à l'art, perché les moyens et les proprietés de l'art non sono più capaci di riflettere i sentimenti dell'ambiente rivoluzionario. Questo ambiente è cementato esclusivamente dal successo della rivoluzione e dai suoi sentimenti espressi dalla produzione intellettuale e materiale.

En Occident on fait fraterniser le constructivisme avec l'art (la maladie chronique de l'Occident est la politique de la conciliation).

Notre constructivisme s'est donné des objectifs clairs:

Trova l'espressione comunista delle costruzioni materiali.

In Occidente il costruttivismo flirta con la politica e dichiara che l'art nouveau è hors de la politique, mais qu'il n'est pas non plus apolitique. Il nostro costruttivismo è un costruttivismo combattivo e intransigente: il mène une lutte sévère contre les goutteux et les paralytiques, contre les peintres de droite et les peintres de gauche, en un solo mot contre tous ceux qui défendent, ne fût-ce qu'un peu , l'activité speculative de l'art.

NOTRE CONSTRUCTIVISME LOTTA PER LA PRODUZIONE INTELLETTUELLE ET MATÉRIELLE DE LA CULTURE COMMUNISTE "].

Cfr. Alexis Gan, Le Constructivisme/Tver – 1922, tradotto da Larissa Yakoupova, apud Gérard CONIO, Il costruttivismo russo, prendi premier Le constructivisme dans les arts plasticiques/ Textes théorique – manifestes – documents, reunis et présentés par Gérard Conio, Lausanne, Cahiers des avant-gardes/ Editions l'Age d'Homme, 1987, p. 444.

 

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