Il bagno della signora “Mai”

Dora Longo Bahia, Liberdade (progetto per Avenida Paulista II), 2020 Acrilico, penna ad acqua e acquerello su carta 29.7 x 21 cm
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da Remy J.Fontana*

Canudos e le favelas e le periferie povere del Brasile seguono la stessa logica perversa e decimante

“Mai”, come sappiamo, non è esattamente il nome di una persona, anche se così ha risposto alla domanda sul suo nome. E non lo faceva per capriccio o per civetteria, né perché così si definiva, per quanto strano potesse essere, ma per proteggere l'ultima fiamma che gli restava della sua condizione umana. Avendo perso tutto, aveva pagato un prezzo troppo alto per vivere una realtà che ora sembrava una follia, gli sembrava rimasto solo il suo nome, che non avrebbe consegnato a nessuno, anche se l'avessero distrutto o "se l'avessero rotto a pezzi". Questa risoluzione aveva “qualcosa di immutabile, indiscutibile e definitivo”.

Nemmeno il suo vero nome, in quel momento e in quelle circostanze, gli conferiva un'identità indiscutibile, il suo segno personale, rivelando una personalità unica, poiché un nome, per non essere solo un'anagrafe o un'astratta iscrizione lessicale, acquista solo piena validità per designare una persona quando è associata alla storia delle sue relazioni e riferita a contesti ed esperienze che le conferiscono un carattere unico, in modo tale che la persona faccia il nome, non il nome la persona.

Che importanza avrebbe avuto un nome in mezzo a quell'ecatombe, da cui uscì come una figura deplorevole, come uno straccio umano? Quale possibile corrispondenza ci sarebbe ancora tra il suo corpo emaciato, la sua anima, se ne avesse ancora una, e un nome, il suo o un altro?

Il fatto che usasse una parola straniera indicava che non era originaria della terra, sebbene si trovasse in una patria recentemente devastata dalla barbarie di un massacro, dove la morte veniva annunciata con il rumore dei bombardamenti della nascente repubblica.

Il personaggio, romanzato dall'ungherese Sandor Marai, emerso dalla brutale decimazione della roccaforte dei Canudos, uno dei rari superstiti, nella sua ricostruzione del classico brasiliano: Euclides da Cunha – era stato tralasciato, ma “avrebbe potuto essere anche come quello".

L'ignominia terminò il 5 ottobre 1897, dopo quattro spedizioni militari nel corso di dieci mesi, quando da sette a diecimila soldati, ormai cenciosi quasi quanto i loro oppositori, otto anni dopo la Proclamazione della Repubblica, uccisero novemila affamati , cadaverici, impazziti, i ribelli di Canudos e il loro capo, profeta, Antônio Maciel, il Consigliere.

Se la “questione sociale” in materia di polizia è stata una delle classiche espressioni del predominio secolare che attraversa la storia delle nefandezze in questo Paese rispetto alle classi subalterne, forse si potrebbe ampliare la formula, adattandola, designando il “questione di estrema povertà” ” come caso dell'esercito.

Per avvalorare questa tragica semantica basterebbe richiamare due esempi del passato, Canudos e Contestado, e uno attuale, di una situazione attuale che segue la stessa logica perversa e decimante, quella delle favelas e delle periferie povere del Brasile.

In tutti e tre i casi, contrariamente a quanto avrebbe proclamato il maresciallo Bittencourt in Canudos, la giovane repubblica non ha portato trionfalmente al sertão la bandiera delle “idee democratiche”, se non per la reiterazione del cinismo, e per il discorso mistificante che attraversa i tempi, momenti della storia del nostro Paese.

Forse non è casuale il fatto di designare una “favela” – una delle colline nei dintorni di Canudos -, gli assembramenti nelle colline e nelle periferie disagiate delle nostre città, il cui movimento demografico risale alla popolazione espulsa dall'entroterra a il tocco di spazzatrici, bazooka o povertà estrema.dalla schiavitù coloniale, entrando nella repubblica, prima militarizzata, poi oligarchica e nella sequenza priva di consistenza nei suoi valori, ed efficacia nei suoi meccanismi e istituzioni.

Ma ci stiamo dirigendo verso il bagno, o più precisamente, il trogolo.

I tre prigionieri ribelli, portati davanti al maresciallo che aveva compiuto il genocidio, si distinguevano appena dagli stracci che coprivano la loro pelle seccata dal sole, macchiata di sangue e puzzolente di polvere da sparo. Si sapeva che una di loro era una donna, ma come riconoscerla in tali condizioni?

«Quale delle tre era lei?»

Nessuna traccia, nessuna percezione aiutava a rivelare la condizione femminile tra coloro che si presentavano con solo stracci e ossa. Per esclusione, dopo qualche scrutinio identificativo di un meticcio, dal cappello, e di un nero, dalla pipa d'argilla adesa al petto, restava la terza persona, indistinta per “genere”, né maschio né femmina. Il maresciallo, non avendo altra scelta, dovette istruire un soldato, ritenendo indegno rivolgersi direttamente a quella “feccia” che gli chiese chi fosse la donna.

"Io sono la donna", disse una voce rauca, con uno strano accento.
“Sono il maresciallo. Cosa vuoi?"

Come stabilire la comunicazione in tali circostanze, dove da un lato, abbattuto, c'è una creatura a cui è imposto il silenzio di fronte alla difficoltà di formulare idee o alla mera articolazione delle parole e, dall'altro, l'imposizione di un sovrano regna maresciallo, come se presiedesse una corte marziale?

È in queste condizioni che le viene chiesto dove si trovasse il Consigliere, se fosse vivo, cosa intendesse fare, chi fosse, al termine della quale il maresciallo ripete "Cosa vuole?"

Cosa potrebbe volere questa donna?

Nel caso della signora “Mai”, invece, siamo lontani dalle elaborazioni sofisticate e astratte della psicoanalisi su ciò che le donne vogliono, e più vicine, tanto meglio, all'interno della realtà oggettiva delle condizioni abiette che rendono la vita di molti “… povero, grossolano, animalesco e breve”.

"Cosa vuoi?"
Aprendo gli occhi, con voce rauca e seria, disse:
"Voglio farmi una doccia."

Quello che poteva essere inteso solo come un desiderio comprensibile per qualcuno in condizioni così spiacevoli, rivestiva una dimensione profonda, proveniente non solo dalle sue viscere o dalla superficie della sua pelle che implorava acque riparatrici per dargli igiene e benessere. Quello che stava accadendo, e quello che cercavo semicoscientemente, era un rito per recuperare la dignità che era stata offesa e annullata; ciò che desiderava in mezzo allo stupore in cui si trovava era ritrovare il senso di sé, riscoprirsi persona dotata di umanità, al di là della radicale animalità da cui usciva dolorosamente da mesi di privazioni, miseria e ora come sopravvissuta al massacro del campo del Conselheiro, che l'aveva degradata più di una malattia letale.

Quando nulla rimane, quando tutto sembra perduto, quando la sconfitta mette a nudo la sua brutalità, quando la vita, essa stessa ridotta a un tenue respiro che sembra concedere un ultimo sguardo a ciò che fu, questo è il momento di una possibile epifania o di un irrimediabile crollo.

Spogliarsi nudi, infilarsi in una vasca da bagno improvvisata, in una tenda da campagna, esporre un corpo emaciato agli sguardi, tra perplessi e concupiscenti, di alcuni soldati potrebbe costituire un ostacolo insormontabile al pudore femminile.

Se era il suo corpo che, grazie alle effusioni delle acque limpide e fresche, si rivelava attraverso gli occhi degli altri piuttosto che il proprio, era dovuto a una percezione interiore che riacquistava la sua identità ad ogni movimento che compiva per distaccarsi da Lei. se dalle placche tettoniche di polvere, polvere da sparo e sangue; fino a padroneggiare pienamente se stessa non solo di ciò che la denunciava esplicitamente come donna – che anche lo squallore della sua carne non adombrava la sensibile esuberanza delle sue forme – ma anche fino a recuperare la disposizione di uno spirito altero, che ora le faceva affrontare i suoi aguzzini con impavidità e serenità.

Riprendendo il controllo sul suo corpo, ora irrigato dal sangue caldo e profumato dal sapone al muschio fornito dal maresciallo, ne emerse trasfigurata, in una metamorfosi che turbava i sensi di mascolinità a lungo private dello sfogo dei propri impulsi, e ancor più inquietante per rivelare se stesso come uno straniero colto, in quella terra di miseri caboclos decimati dalla violenza “civilizzatrice” del nuovo regime.

Quella era una donna "vera", agli occhi sorpresi degli ufficiali, che li ringraziarono per essersi fatti la doccia con un “Grazie signori”, con la certezza morale di chi sapeva che una sconfitta, per quanto clamorosa – pur non essendo una combattente, in quanto moglie di un medico capitato per caso a Canudos -, o un combattimento fallito, non devono piegare la spina dorsale di chi difende solo la propria vita, né abbassa il mento né allenta la postura.

Ora poteva rispondere alle preoccupazioni del maresciallo sulla sorte del Consigliere, il quale non gli tagliò la testa ma, anzi, gli mandò il messaggio che era vivo, e che i cannoni erano inutili, perché anche se avevano distrutto Canudos, domani ci sarebbero dieci Canudos in Brasile. "E dopodomani, cento."

In mezzo a tali dubbi sulla possibile ricomparsa del ribelle, o di altri mistici, “profeti barbari” che agitavano il sertão, timorosi di un'opinione pubblica spaventata, che ora portava la gente delle città a celebrare nelle strade lo schiacciamento di “quella gente pericolosa”, il maresciallo temeva uno scandalo politico se non avesse potuto mostrare la testa del Consigliere.

E questa preoccupazione da parte dei militari, timorosi di una recrudescenza dello spettro selvaggio della rivolta, è stata forse da allora una delle matrici del continuo soffocamento di questo stesso popolo, reintegrato nelle successive generazioni nella loro misera condizione, sulla alla ricerca di una crepa libertaria, attraverso la quale sarebbe venuto un nuovo leader messianico, frustrando ancora una volta le sue speranze, fino al momento in cui scopre che può solo espanderle, attraverso il quale può avanzare, quando si fida delle proprie forze, sapendo come organizzare loro, per poi bagnarsi nelle acque limpide di una libertà conquistata.

L'immagine della sopravvissuta di Canudos che esce “gloriosamente” dal suo bagno potrebbe essere interpretata, nella condizione di una donna comune, come una Marianna dei rivoluzionari francesi, o meno comune, come la nostra Marielle, come simbolo di libertà, assumendo il posto del mistico, dell'icona religiosa o del leader populista.

Parodiando “l'albero della libertà” dei radicali del 1789, chissà, forse non istituiremmo una “vasca della libertà” per i nostri “brutti, sporchi e cattivi” per celebrare i tempi nuovi, quelli che purtroppo non sono ancora arrivati .

*Remy J.Fontana, sociologo, è professore in pensione presso l'Università Federale di Santa Catarina (UFSC).

Riferimento


Sandor Marai, Verdetto a Canudos. San Paolo: Companhia das Letras, 2002.

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