Il Cimitero della Preghiera

Immagine: Soner Arkan
WhatsApp
Facebook
Twitter
Instagram
Telegram

da ARI MARCELO SOLONE*

Deve esserci qualche punto nel giudaismo che, invece di sfociare nel sionismo o nella psicologia, sfocia nella preghiera.

Da prima dello scoppio degli ultimi disastri in Israele e Palestina, un rumore impedisce la riflessione all'interno del mondo ebraico. Il dibattito pubblico ha trasformato l’esistenza ebraica in un assordante binario: siamo a favore o contro Israele, siamo a favore o contro la Palestina. Queste categorie mescolano senza ostacoli il diritto all'ebraismo, all'islam, ai territori, alla diaspora e, localmente, sono legate da un certo sonnambulismo alle tensioni ormai quasi nominali tra sinistra e destra. Brulicano esperti, persone offese, eroi e altri tipi di disperati.

Questo testo non intende discutere del conflitto, né prendere posizione di fronte alla parata di orrori che ha scatenato. Vuole essere un appello comico e tardivo agli ebrei brasiliani dediti al mantenimento del valore della vita umana. Se sono cinquanta, dieci o due, queste povere cose valgano l'immensità di Sodoma e Gomorra in cui viviamo. Qui risiedono la speranza e l’impegno.

Diritto di abbandonare

Le formule facili rendono difficile che le alternative fioriscano nella confusione dell’esperienza interna. Un esempio è la separazione tra ebraismo e sionismo. Per un ebreo all’interno della sua comunità, non è difficile comprendere la trasposizione della retorica antiebraica nella categoria dell’antisionismo. I sionisti controllano le finanze, la politica internazionale, i media, seguono il... Talmud e non il Torah, loro sono Cazari convertiti e cercano di schiavizzare, femminilizzare e sottomettere il mondo, incoraggiando l’immigrazione di massa, la dissoluzione dei popoli, l’imperialismo capitalista, il comunismo internazionalista. Allo stesso tempo, il vero sionismo è anche un’incognita interna al mondo ebraico.

Per alcune generazioni, l’autoproclamata sinistra ebraica brasiliana si è trovata in un vicolo cieco che, ad eccezione di momenti di peggioramento degli orrori in Israele, sembra confortevole. È un vicolo autoimposto, un territorio tanto semplificatore quanto il trattore della separazione discorsiva (e non effettiva) tra ebraismo e sionismo. UN haskalah portò con sé il cupo soprannome di “ebreo non ebreo” che, se in un contesto di emancipazione e di antagonismo verso shtetl, aveva senso, data la distanza reale tra la vita e il commercio ebrei e il ethos borghese dell’Europa cristiana – è diventato oggi uno slogan debole. Non c'è scampo, l'assimilazione ha vinto e l'ebreo è stato incorporato nell'universo sensibile della borghesia. Un ebreo non ebreo non è altro che un cittadino vestito con il folklore della sua cultura ancestrale.

È colui che invoca il diritto alla laicità interna che trasforma l'ebraismo in un popolo come gli altri, dotato dell'esigenza di esercitare il proprio nazionalismo come gli altri. Resta la contraddizione di una sinistra legata alla destra e all'etnonazionalismo. Il superamento della religione sommato al mantenimento del titolo trasforma l'ebraismo in una mera tappa nella cronologia dell'emancipazione dei popoli, quando siamo in buoni rapporti. Il diritto di abbandonare l'ebraismo è assoluto o terribilmente limitato, alimentato dall'auto-repulsione.

Va oltre la sensibilità degli apparenti discepoli di Isaac Deutscher che il testo fondativo di questa idea inizi con la figura di Acher, il vicino eretico. Ben Abuia non è diventato l'ebreo non ebreo a causa dell'assenza del giudaismo, ma a causa del suo eccesso, poiché era uno dei sopravvissuti al pardes. Se la nostra sinistra ebraica, armata solo della paura della morte e dell’antisemitismo (ed essendo pienamente ebraica), non sapesse né cercasse di sedersi con i saggi in un beh, midrashAcher non solo si è seduto accanto agli insegnanti ma, quando si è alzato, questi gli sono caduti dalle ginocchia. sefarim acherim. Cavalcandogli il culo durante shabbat, un ebreo non ebreo è in grado di legarsi alla tradizione quanto basta per dire al suo discepolo non eretico quanta strada gli è consentito camminare, dato il divieto di melachot.

Se il haskalah ci ha insegnato la logica borghese dei diritti, la tradizione insegna la logica ebraica dei doveri. Abbiamo il diritto di abbandonarli, resta da vedere se sarebbe umano.

Un popolo non-come-gli-altri

C’è il dovere di immergersi nella liturgia. Non è negoziabile ed è uno dei frutti di cui beneficiamo sia nel mondo presente che nella realtà futura – insieme all’accoglienza degli stranieri, alla visita dei malati, agli atti di amore e giustizia e alla ricerca della pace, per citarne alcuni. La liturgia è il nostro palazzo. Lo ripetiamo, perché da esso ricaviamo una fonte di vita.

Il diritto ad abbandonare la liturgia, superata e legata all’universo pre-borghese – che ci ricorda la condizione pre-cittadina – è allo stesso tempo il diritto a dimenticare i testi e la fonte della vita. Alcuni elementi di questa letteratura appaiono invece interessanti alla luce del dibattito sulla condizione ebraica.

Cosa significa implorare Dio di salvarci dalle persone e dalle loro dinamiche? Cosa significa ripetere il mandato divino che ci è proibito il comportamento dei popoli? La preghiera strappa la richiesta di libertà alla sua astrazione. Siamo un popolo scelto per adempiere ad una serie di doveri arbitrari; tra questi la negazione delle dinamiche dei popoli. Si tratta di un valore che abita l'universo confessionale ebraico, non le sue forme moderne.

La richiesta secolare di assomigliare agli altri è storicamente giusta, ma religiosamente debole. Assomigliare agli altri implica la violenza contro la quale l'Assoluto stesso ci mette in guardia nella sua manifestazione. La liturgia ci insegna anche che non abbiamo nessun re all'infuori di Lui. La nostra fondazione consisteva nella nostra liberazione da Mitsraim, il luogo stretto, in modo da avere libero accesso al cherut olam, alla realtà verticale e ampia, davanti alla quale tutti gli esseri umani sono insignificanti e ugualmente fondamentali. È l’Assoluto che esige cura dell’orfano, della vedova e dello straniero – esseri abbondanti.

Non dobbiamo essere una luce per il popolo in quanto popolo perfetto, bensì come la promessa dell'antipopolo. Parte dell’antisemitismo storico nasce dalla comprensione dell’ebraismo come negazione dell’alterità, nello stesso tempo in cui la liturgia ci impone la percezione che siamo un’eterna reiterazione dell’alterità cosmica. Siamo una promessa di abolizione dei popoli e di preservazione dei popoli. Questi valori sfuggono ai diritti acquisiti dall’ haskalah e rendere il secolarismo ebraico meno potente per la trasformazione. Permettere all'ebraismo come tradizione religiosa di circolare solo nelle mani di reshaim è firmare la nostra condanna a morte.

L’insistenza degli attivisti laici sul fatto di avere qualcosa che può essere chiamata “etica ebraica” è ridicola quando diventa chiaro il disagio con cui gestiscono la tradizione. Un'etica ebraica è il risultato di un pensiero che si posiziona lifnei meshurat hadin, oltre i limiti della legge – cioè dipende dalla legge stessa come promessa di superamento della legge. Una “etica ebraica” militantemente moderna è ebraica quanto Breno Altman o André Lasjt.

il cimitero

Il mondo non ortodosso, lo spazio in cui un ebreo di sinistra può sperimentare, viene abbandonato. Case lussuose condannate al vuoto, all'interno delle quali echeggiano melodie di Debbie Friedman o Carlerbach per volti tristi in cerca di conforto piccolo-borghese.

La responsabilità del fallimento degli ebrei brasiliani ricade sugli ebrei brasiliani. Se oggi la Casa del Popolo è un buco nero che cerca di riscattarsi dal proprio ebraismo in favore delle utopie calpestate di un Israele socialista o di una civiltà ebraica puramente laica, seppur morale e plurale, la responsabilità è in grembo quelli che, anche per un attimo, hanno creduto che la coscienza ebraica risiedesse nel sangue, nella cucina, nelle canzoni, nelle belle storie o anche nella storia della reazione all'antisemitismo.

La nostra speranza è nella ripresa. Per parafrasare un giovane Leonard Cohen, deve esserci qualche punto nel giudaismo che, invece di sfociare nel sionismo o nella psicologia, sfocia nella preghiera.

*Ari Marcelo Solon È professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP. Autore, tra gli altri, di libri, Percorsi di filosofia e scienza del diritto: il legame tedesco nel futuro della giustizia (Prisma). [https://amzn.to/3Plq3jT]


la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE

Vedi tutti gli articoli di

I 10 PIÙ LETTI NEGLI ULTIMI 7 GIORNI

Il complesso dell'Arcadia della letteratura brasiliana
Di LUIS EUSTÁQUIO SOARES: Introduzione dell'autore al libro recentemente pubblicato
Forró nella costruzione del Brasile
Di FERNANDA CANAVÊZ: Nonostante tutti i pregiudizi, il forró è stato riconosciuto come manifestazione culturale nazionale del Brasile, con una legge approvata dal presidente Lula nel 2010
Il consenso neoliberista
Di GILBERTO MARINGONI: Le possibilità che il governo Lula assuma posizioni chiaramente di sinistra nel resto del suo mandato sono minime, dopo quasi 30 mesi di scelte economiche neoliberiste.
Gilmar Mendes e la “pejotização”
Di JORGE LUIZ SOUTO MAIOR: La STF decreterà di fatto la fine del Diritto del Lavoro e, di conseguenza, della Giustizia del Lavoro?
Cambio di regime in Occidente?
Di PERRY ANDERSON: Dove si colloca il neoliberismo nel contesto attuale dei disordini? In condizioni di emergenza, è stato costretto ad adottare misure – interventiste, stataliste e protezionistiche – che sono un anatema per la sua dottrina.
Il capitalismo è più industriale che mai
Di HENRIQUE AMORIM & GUILHERME HENRIQUE GUILHERME: L'indicazione di un capitalismo industriale di piattaforma, anziché essere un tentativo di introdurre un nuovo concetto o una nuova nozione, mira, in pratica, a indicare ciò che viene riprodotto, anche se in una forma rinnovata.
L'editoriale di Estadão
Di CARLOS EDUARDO MARTINS: La ragione principale del pantano ideologico in cui viviamo non è la presenza di una destra brasiliana reattiva al cambiamento né l'ascesa del fascismo, ma la decisione della socialdemocrazia del PT di adattarsi alle strutture di potere
Incel – corpo e capitalismo virtuale
Di FÁTIMA VICENTE e TALES AB´SÁBER: Conferenza di Fátima Vicente commentata da Tales Ab´Sáber
Il nuovo mondo del lavoro e l'organizzazione dei lavoratori
Di FRANCISCO ALANO: I lavoratori stanno raggiungendo il limite di tolleranza. Non sorprende quindi che il progetto e la campagna per porre fine al turno di lavoro 6 x 1 abbiano avuto un grande impatto e un grande coinvolgimento, soprattutto tra i giovani lavoratori.
Umberto Eco – la biblioteca del mondo
Di CARLOS EDUARDO ARAÚJO: Considerazioni sul film diretto da Davide Ferrario.
Vedi tutti gli articoli di

CERCARE

Ricerca

TEMI

NUOVE PUBBLICAZIONI