Dopo tutto, il PSDB esiste ancora? A giudicare dalla nota ufficiale rilasciata al momento del rilascio di Lula, non di più. Si ripete la cantilena del discorso di Bolsonaro, militari e militanti di estrema destra
Di Francisco Foot Hardman*
Di fronte al cambiamento sostanziale della situazione politica con il rilascio di Lula, FHC non ha perso l'occasione di distillare la sua arroganza reazionaria e risentita, mascherata da saggezza ammuffita: “— Lula è libero, ma rimane inammissibile ai sensi della legge 'tabula rasa'. – Dobbiamo rafforzare il 'centro democratico'”.
Dopo che il PSDB ha perso clamorosamente, sia all'esito del golpe parlamentare-media-giudiziario contro Dilma, dovendo togliere Aécio dal parlatorio, sia successivamente alle elezioni del 2018, quando il monotono Alckmin ha compiuto l'impresa di avere quasi la metà al tempo della propaganda elettorale, raccogliendo meno del 5% dei voti per il presidente, i capi tucano strappati erano senza meta, senza parola, senza programma.
Oltre ai due citati, che ricorda ancora Serra e Aloysio, tutti implicati in accuse gravissime e schermate da una magistratura venale, che risalgono allo sfacciato acquisto di voti per l'emendamento alla rielezione di FHC, alla documentata privatizzazione di teles, a Dersa Paulo Preto, i conti in banca in Svizzera, le disavventure sulla metropolitana di San Paolo, per non parlare degli eccessi e delle deviazioni di Aécio e Azeredo a Minas?
FHC fa del suo meglio per non lasciare le luci della ribalta. Per questo, ha un incredibile compiacimento mediatico. Come se questa finzione aurea mediocrita che prescrive come luogo discorsivo fosse qualcosa di più di ciò che realmente è: ridondanza mediocre di una retorica confusa e superficiale. Tende a usare il “Brasile” come oggetto di frasi gonfiate, come se fosse l'inviato speciale della rediviva nazionalità.
Al posto del dio bolsonarista, sembra che FHC voglia porsi come “al di sopra di tutto”, e non a caso ha tentato il possibile per diventare senatore a vita o, più recentemente, essere terzius in un'elezione indiretta per il presidente-tampone, dopo il colpo di stato contro Dilma, nel caso in cui fosse stato messo sotto accusa anche Temer.
Capi tucani alienati dall'apparato São Paulo-Mineiro, che è il nucleo del PSDB, dal gruppo dell'estrema destra cordiale, diciamo, in questa irresistibile ascesa di João Doria per controllare la macchina e i voti (ex governatore Alberto Goldman, una delle vittime di questa strage, ha definito molto bene il modus operandi dell'attuale governatore di San Paolo e precandidato presidenziale: predatore) non è mai sembrato disposto a lottare per riconquistare l'egemonia del partito perduta. Al terreno della lotta politica interna preferiscono soluzioni miracolose, personaliste e, in senso stretto, estremamente antidemocratiche, perché antisistemiche, basate su occasionali populismi e, bisogna riconoscerlo, su menzogne mediatiche e illusioni salvifiche.
Ma chi è consacrato a ricostruire il “centro democratico” che, in senso stretto, non è mai esistito? La formula di Huck sta arrivando. Fu il giornalista Reinaldo Azevedo a definire con precisione e malizia questo appello: Huck sarebbe il “Sílvio Santos degli hipster”. Oltre ad essere, appunto, nella vita reale, il figlioccio per matrimonio di FHC, configurando il clientelismo in versione moderna, come si conviene al coronelismo oligarchico-mediatico della nostra élite più arretrata e recalcitrante, non meno “cool” in questo universo mitologico della società celebrità e frasi sciocchezza a dire il vero, infatti, lo scambio di registri è anche lo stile preferito del suo padrino.
Vigliacchi o pigri per ricominciare sconfiggendo Doria all'interno di ciò che restava dell'apparato tucano, FHC e alcuni di questi capi, vedove del colpo di stato che ha portato all'attuale tragedia brasiliana, dei cui orrori abbiamo esempi quotidiani, ora tramano una nuova manovra per silurare quel che resta del sistema politico-partitico, inventando pane e circhi nuovi per le masse, e disegnando in Huck, una creatura della società dello spettacolo che vive dello sfruttamento della povera gente, il messianico “rinnovatore” come fu Collor là e, oggi, nella forma più degradata, con tinte neofasciste, il bolsonarismo. A tal fine, avrà l'approvazione e i fondi del mondo degli affari e della finanza e, come nei casi di Collor e Bozo, il supporto strategico di Rede Globo de Manipulação.
Nel romanzo classico di oggi Quarup, di Antonio Callado (1967), allegoria magnificamente costruita attorno ai conflitti sociali in Brasile che portarono al colpo di stato militare del 1964, e dove la questione indigena appare con tutta l'enfasi necessaria, viene narrata una spedizione che cerca di trovare il centro geodetico del Brasile, nel cuore dell'Altopiano Centrale. Quando finalmente arrivano lì, tutto ciò che trovano è un enorme formicaio cavo e vuoto.
Perché il “centro democratico” proclamato da FHC somiglia molto a quel formicaio con solo buchi, di tunnel abbandonati. Gioco di prestigio di chi ha sempre governato per i piani alti, di chi ha sempre rinnegato l'immenso popolo escluso dall'agire e dall'inerzia del potere statale. Da un abbagliato, prima di tutto, con se stesso.
Ma, dopotutto, esiste ancora il PSDB? A giudicare dalla nota ufficiale emessa dal suo attuale presidente e capo di Doria, Bruno Araújo, niente di più. Da notare che ripete la cantilena del discorso di Bolsonaro, militari e militanti di estrema destra, al momento della scarcerazione di Lula.
Incapaci, perché sanno di essere perdenti in anticipo, di convivere con una sinistra organizzata e attiva, fanno appello, come si vede ora in Bolivia, al puro colpo di stato, sia che provenga direttamente dalle armi, sia che provenga dall'agitazione fascista, o, insomma, dalle manipolazioni mediatico-giudiziarie-parlamentari. Le combinazioni tra questi casi sono, infatti, i più comuni nella storia dell'America Latina. Loro, sì, veri promotori della destabilizzazione e della decostruzione del fragile patto democratizzante inaugurato con la Costituzione del 1988.
FHC e il suo fan club di amici di Huck non hanno alcuna legittimità politica per difendere la democrazia. Dovrebbero guardare le proprie mani e i propri piedi, impantanati nella successione di colpi del 2016 – iniziata con l'azione dell'illustre Miguel Reale Jr., che, tra le altre imprese, ha sollevato la sua amata discepola, Janaína Paschoal, tra le braccia di Bozo. E che ha aperto la strada al predatore trionfante Doria, surfista sull'onda Bolsonaro nel 2018, e oggi corridore in solitaria, generoso detentore del bottino di tucano, diretto al Planalto.
Questi sono i democratici della terra cava, del formicaio vuoto. Nel secondo round del 2018, non una parola è stata pronunciata contro la sinistra minaccia di restaurare i sotterranei della dittatura (ieri, Fleury squadron e OBAN de Ustra, oggi milizie della criminalità organizzata, sotto l'egida dei loro entusiasti protettori nel primo scaglione di la Repubblica).
Non posso dimenticare la patetica intervista che il geniale filosofo José Arthur Gianotti ha rilasciato alla giornalista Maria Lydia Flandoli, su Jornal da Gazeta, appena 48 ore prima del secondo turno, il 26/10/18. Dopo aver tenuto conferenze, con piena cognizione di causa, sui pericoli dell'avanzata fascista, in Brasile e nel mondo, interrogato su quale candidatura sarebbe stata “la meno cattiva” per l'avvenire del Paese, ha dichiarato: “—Mio caro Maria Lydia, se sapessi rispondere, dormirei tranquillo. Ma non lo so, per questo non dormo bene in questi giorni”.
E ora, tucani dal centro vuoto, dormi tranquillo? Huck e Angélica verranno a coltivare i loro sogni di libertà lontano dalla folla? A giudicare dallo sfarzo in ogni circostanza che conserva l'ineffabile FHC, sì. Perché tutto ciò che vogliono è privilegio e potere. Le persone povere e sofferenti, comparse occasionali in questa pantomima, dovrebbero stare fuori dalla festa.
*Francisco Piede Hardman è professore ordinario presso l'Institute of Language Studies di Unicamp; attualmente visiting professor all'Università di Pechino.