da LUIS EUSTAQUIO SOLLEVA
Introduzione dell'autore al libro appena uscito
Un chiarimento sulla genesi di questo libro Questo libro è il risultato di un intenso attivismo analitico-critico nei confronti delle versioni dei media aziendali occidentali sugli eventi che hanno scosso l'umanità, considerando il periodo alla fine del secondo mandato di George Bush, l'inizio e quasi la fine fine da quando l’egemone unipolare, con Barack Obama, cercò con tutti i mezzi di imporsi contro il popolo e l’umanità.
Si compone di articoli che sono stati pubblicati sul sito web Osservatorio della Stampa, tra il 2007 e il 2015, scritto in una prospettiva transdisciplinare, utilizzando come riferimento la produzione letteraria di fantasia nazionale e internazionale, soprattutto considerando opere come Memórias Póstumas de Brás Cubas (1881), di Machado de Assis, i servi (1902), di Euclides da Cunha, Vite secche (1938), di Graciliano Ramos. Grande Sertao: veredas (1956), di Guimarães Rosa, Il processo (1925), di Franz Kafka e I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij.
Il periodo a cui si fa riferimento è di singolare importanza, perché, di fronte al tentativo dell'egemone americano di imporsi con tutti i mezzi, e in modo unipolare, con guerre di saccheggio e colpi di stato, con rivoluzioni colorate, come quella cinicamente Chiamati Spring Arabs, l’emergere della prospettiva multipolare è stata osservata contemporaneamente e in un processo dialettico, con Cina e Russia in prima linea.
Si tratta, quindi, di un libro frutto di una militanza in tempo reale, criticamente concentrata contro la manipolazione del sistema mediatico al servizio del dominio occidentale-nordamericano, considerando soprattutto la sua dimensione oligopolica brasiliana, ventriloquizzando il sistema imperialista basato sulla supremazia del dollaro.
È anche un periodo di articolazione dei colpi di stato giuridico-mediatici dell’era Obama in America Latina, a partire dall’Honduras nel 2009, passando per il Paraguay nel 2012, fino ad arrivare in Brasile, con la caduta di Dilma Rousseff nel 2016, facilitata dalla rivoluzione colorata dei giorni di giugno 2013, ancora oggi romanticizzata dalla sinistra brasiliana, incosciente e culturalmente referenziata negli Stati Uniti, culminata nella mediatizzazione dell’Operazione Lava Jato e nel conseguente arresto di Lula — con Obama sullo sfondo, cinicamente , sussurrando: “Questo è il ragazzo!"
Esiste una lettera di Friedrich Engels, inviata alla scrittrice inglese Miss Harkness, datata 1888, con la seguente osservazione sulla grande opera letteraria del realismo estetico: “presuppone, oltre all'accuratezza dei dettagli, l'esatta rappresentazione di personaggi tipici in circostanze tipiche (ENGELS, 1971,196). Senza la pretesa che si tratti di un “grande libro teorico”, la decisione di pubblicarlo nasce comunque dall’esigenza (spero non solo dell’autore) di rendere pubblico uno sguardo storico-materialista sugli eventi, sulle loro versioni plasmate dalle corporazioni media, concentrandosi su “personaggi (personaggi pubblici, personaggi di fantasia) tipici di circostanze storico-sociali tipiche, siano esse dell’arroganza unipolare (epigonale) degli Usa, sia dell’inizio della sua fine, con i primi abbozzi di risposte alternative guidate da i principali leader del mondo multipolare emergente, compreso il contesto latinoamericano, con la formazione dell’ALBA, Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nuestra America, della CELAC, Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi e dell’UNASUR, Unione delle Nazioni Sudamericane.
Si tratta, dunque, di testi circostanziali... che sono stati scritti con il principio della speranza immanente, materialista e laica, dialetticamente fondati sulla negazione radicale dell'esistente, verso una sintesi paradossale aperta al plurisocialismo dei popoli.
E parlando di illuminismo, quello del sistema imperialista nordamericano è…
La tesi secondo cui un testo, qualunque esso sia, è sempre costituito da un mosaico di voci esplicite e nascoste, senza che spesso si possa sapere se le prime siano più rilevanti delle seconde, costituisce (ma mai solo) un pretesto per riconoscendo l’importanza di due opere per questo libro, e cioè: Cultura e imperialismo (2011), di Edward Said (1935-2003), e Dialettica dell'Illuminismo (1985), di Theodor Adorno e Max Horkheimer.
Il primo, Cultura e imperialismo, costituisce una presenza assente che ha motivato in un modo o nell'altro la stesura di tutti i testi di questa raccolta, poiché in tutti essi il rapporto tra cultura e imperialismo è fondamentale per la produzione di analisi critiche di artefatti culturali e informativi come quelli letterari e opere cinematografiche, telegiornali, soap opera, talk show, nonché fatti contemporanei rilevanti, come le “ribellioni popolari” in Brasile e Medio Oriente, nel periodo di riferimento sopra spiegato. Se ciò che comunemente viene chiamata soggettività può essere interpretata come una metonimia incarnata (la parte per il tutto) della cultura di un dato tempo, nel capitalismo globale integrato, che produce anche beni connessi a livello globale, l’industria culturale costituisce una sorta di deposito di soggettività i diritti umani meticolosamente amministrati dall’imperialismo, in questo caso nordamericano, questo egemone nella decadenza.
Il suo obiettivo colonizzatore è uno: la produzione di artefatti culturali che funzionino come un vero cavallo di Troia, soprattutto per i condannati della Terra di oggi, per fare riferimento all'omonimo libro di Franz Fanon, I Dannati della Terra (1961), in cui l'autore di Pelle nera, maschere bianche (1952) ha prodotto argomentazioni precise per dimostrare alcuni effetti tragici, anche psichiatrici, dell'impresa imperialista sui popoli del mondo, implacabilmente condannati all'abbandono, alla fame, alla disperazione e alla morte, anche sotto forma di genocidio.
Se l’imperialismo costituisce il momento in cui l’espansione colonizzatrice dei centri di potere acquista una dimensione sistemica, è prevedibile, quindi, che tale espansione avvenga a tutto spettro, occupando, sfruttando e colonizzando non solo risorse primarie, ma anche artefatti culturali, conoscenze , alterazioni di genere, etniche, di classe, nonché desideri, compresi quelli di emancipazione e di giustizia, e per questo libro la sua convergenza con la proposta di utilizzare il concetto di imperialismo elaborato da Said, che così si esprimeva, non è circostanziale rispetto: “Utilizzerò il termine imperialismo per designare la pratica, la teoria e gli atteggiamenti di un centro metropolitano dominante che governa un territorio lontano; il colonialismo, quasi sempre una conseguenza dell’imperialismo, è la creazione di colonie in territori lontani” (SAID, 2011, p. 42).
Un'altra opera fondamentale per questo libro è Dialettica dell'Illuminismo (1985), di Adorno e Horkheimer, attraverso il quale viene sviluppato il concetto di illuminismo partendo dalla tesi che, nel corso della sua storia, l'umanità ha prodotto conoscenze magistrali impegnate nella sottomissione della natura (lavoro non retribuito) e della classe operaia attraverso varie forme di sfruttamento , schiavitù, feudale, capitalista. Sia la natura che la classe operaia sono illuminate da un progresso che può essere definito come progresso nell’illuminazione oligarchica sulla natura e sul lavoro.
Sia la natura che il lavoro, nell’era dell’illuminismo della civiltà borghese o di questa come forma monumentale di illuminismo, sono esposti allo stesso rischio letale: l’avanzamento totale dell’illuminismo del capitale o del capitale come illuminismo su tutta la Terra.
Tenendo presente la forza travolgente dell’illuminismo del e nel capitale, nell’era della riproducibilità dell’utopismo tecnologico e nel contesto in cui le multinazionali e il sistema finanziario internazionale assoggettano l’industria culturale e la politica istituzionale, egualmente su scala planetaria, Adorno e Horkheimer lo definì così il luogo di resistenza e di alternativa del pensiero, valido anche per la creazione: “Contrariamente ai suoi amministratori (dell'illuminismo), la filosofia rappresenta, tra l'altro, il pensiero, nella misura in cui non capitola davanti alla divisione dominante del lavoro e non accetta che prescriva i suoi compiti” (ADORNO & HORKEHEIMER, 1985, p227).
Se oggi l’illuminismo si gestisce da solo attraverso la divisione internazionale del lavoro e della conoscenza, segmentando e catturando tutto e tutti attraverso la falsa universalità dell’astrazione monetaria, il lavoro Dialettica dell'Illuminismo, di Adorno e Horkeheimer, costituisce il discorso indiretto dei saggi di questo libro nella sua dimensione metodologica perché la questione del metodo qui presente è: non capitolare davanti alla divisione internazionale dominante del lavoro e non permetterle di prescrivere i compiti del pensiero, per critica e prassi.
Ed è anche per questo che il materialismo e la dialettica storica sono sempre necessari; la dialettica dell'unità di contraddizione, della trasformazione della quantità in qualità e della negazione della negazione, che significa negare l'illuminismo nei termini di Adorno e Horkeheimer, dotarlo di una dimensione qualitativa, nell'unità di contraddizione dell'imperialismo fase (nordamericana) del capitale.
Ciò che si intende con questo è che è necessario tirare un altro filo dalla categoria dell’illuminismo, iniziata con Immanuel Kant, nel breve saggio “Cos'è il chiarimento”, datato 1783, testo che costituisce un riferimento fondamentale nella tradizione teorica marxiana per la sua posizione: “Illuminismo [illuminazione] è l'uscita dell'uomo dalla minorità, di cui egli stesso è colpevole. La minorità è l'incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la direzione di un altro individuo” (KANT, 1985, p. 100).
Si vede così un'altra tradizione teorica riguardo alla categoria dell'illuminismo, diversa in tutto e per tutto da quella di Adorno e Horkheimer, perché non è avallata dal rapporto (caro a Michel Foucault) tra conoscenza e potere, conoscenza e potere su, ma nella dimensione della conoscenza/liberazione, della conoscenza/emancipazione.
Esistono quindi due tipi di chiarimenti, motivo per cui necessitano di essere ugualmente chiariti. Il da Dialettica dell'Illuminismo è quella della conoscenza, del dominio simultaneo sulla natura e sulla classe operaia; Quella di Kant è una conoscenza/emancipazione che, con il marxismo, diventa conoscenza/emancipazione della classe operaia e quindi della natura, con la costituzione della società socialista, processo immanente per realizzare la società dei produttori liberamente associati; quello del comunismo.
La categoria di chiarimento di Adorno e Horkheimer necessita quindi di essere oggettivata, soprattutto per quanto riguarda la storia dell'Occidente, di tradizione oligarchica, basata sull'appropriazione privata della terra, della famiglia e dello Stato. Si tratta di una versione di illuminismo che è inseparabile dal dominio oligarchico occidentale e che nel modo di produzione capitalistico porta al sapere/potere dei detentori del capitale contro la classe operaia e contro la natura; e nella fase imperialista nordamericana riguarda il sapere/potere dell’industria culturale (che è teorico, che è economico, che è estetico, che è biopolitico, che è politico, che è tecnologico) che si chiarisce magistralmente con l’obiettivo di dominare e soggetto sempre più alla natura e al processo generale del servizio sociale.
Nel dialogo con il discorso indiretto congiunto, cosa viene prima, da Imperialismo e cultura, di Edward Said, e Dialettica dell'Illuminismo, di Adorno e Horkheimer, le due linee di forza di questo libro sono l'indisciplina in rapporto alla disciplina delle e nelle unità discorsive, come questione di metodo, e l'incessante indagine del rapporto tra cultura e imperialismo, all'interno del orizzonte dell'industria culturale, come tematica senza la quale, questo è l'argomento principale, non è possibile pensare la sfida di un'umanità che sia veramente protagonista del proprio destino, chiarendosi non più in modo signorile, ma attraverso un profondo rispetto per ciò che lo nobilita; lavoro collettivo, pensato e realizzato nel duplice aspetto di lavoro umano e di lavoro della natura.
Se il termine imperialismo non compare nei titoli dei capitoli di questo libro, il motivo è semplice e si inquadra nel seguente ragionamento: l’industria culturale, arresa al potere economico-finanziario, è, per dialogare con una nota opera di Fredric Jameson (1991), la logica culturale dell’imperialismo nella e nella civiltà borghese, costituendosi come prima linea di una spettacolare impresa globale di soggettività illuminate, tanto più sottomesse quanto più si vedono libere all’interno dell’ordine dominante della divisione sociale di lavoro, che è anche l'ordine dominato di quella che può essere chiamata la divisione sociale delle soggettività che si chiariscono, illuminate.
La civiltà borghese non solo produce merci su scala globale, ma trasforma anche noi in merci nella misura in cui ci affermiamo come soggettività di genere, etniche e di classe, purché accettiamo i compiti prescritti dalla divisione sociale dominante del lavoro, le cui principali L'ordine delle parole è: più divisione, che inevitabilmente si verifica nell'orizzonte dell'affermazione segmentata di sé al di fuori di una coscienza radicale e secolare della vita sociale, poiché ogni affermazione di sé che non sia sfidata a trascendere la civiltà borghese, intendendola ugualmente come storica ( innaturale e non necessaria, quindi) diventa inevitabilmente vulnerabile all’abbraccio totalizzante e signorile dell’imperialismo, soprattutto nella sua fase attuale, quella del montaggio e rimontaggio (una macchina integrale di notizie false) di tutto ciò che esiste, anche a livello molecolare e genetico, tenendo conto delle illuminanti forze produttive (nel senso di Adorno e Horkheimer) dell'Intelligenza Artificiale e delle scienze biologiche e fisiche, nell'ambito della biogenetica e delle nanotecnologie.
La forma specifica di illuminazione dell'industria culturale dell'imperialismo nordamericano, in sé una forma illuminata e che si chiarisce senza sosta (nel senso di conoscenza signorile), è ciò che riceve il nome generico di cultura di massa, che cattura e incorpora le tendenze di tutto , in atto, compreso l’identitarismo di sinistra, femminista, nero, omoaffettivo, la crisi ecologica, oggi chiamata ha risvegliato la cultura, manipolato dal Partito Democratico americano e dal World Economic Forum.
Le Nuove Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione della Silicon Valley, i cosiddetti GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) possono essere interpretate, in questo contesto, come nuovi supporti per l’editing infinito della cultura di massa, aumentando su scala infinitesimale la produzione di bugie e manipolazioni in relazione alla classe operaia e alla natura.
Tutta l’umanità diventa sempre più simile a se stessa per compensare da un lato l’intensa concentrazione della ricchezza e dall’altro l’immensa miseria della stragrande maggioranza. Questo è dunque il ruolo dell’industria culturale (con Silicon Valley in prima linea): renderci tutti simili tra loro, in un contesto di estrema disuguaglianza planetaria. Alla stragrande maggioranza piacciono gli stessi film, la stessa musica, gli stessi libri, le stesse danze, le stesse narrazioni, anche se i generi ci vengono presentati qualitativamente come diversi, anche se diversi beni culturali sono diretti a diversi profili di persone, in contesti in cui alcuni tendono a pensare di essere più informati, più intelligenti, più raffinati, più selettivi degli altri.
Tuttavia, nonostante le differenze effettivamente esistenti, la posta in gioco nella produzione di beni dell’industria culturale si dispiega in due variabili: (i) La variabile della divisione internazionale dei beni culturali, che segmenta gusti, ideologie e profili come luogo immanente dell’illuminismo nel mondo contemporaneo, per la semplice ragione che la segmentazione, per quanto orgogliosi delle nostre differenze rispetto alla maggioranza, è essa stessa una forma di merce che, come tale, tende a universalizzare (sempre un falso universalizzazione) i valori tipici della società borghese, il suo ordine o disordine dominante.
(ii) La variabile che generalizza la miniaturizzazione degli artefatti culturali come forma di spostamento e persino di censura rispetto a opere creative che affermano altri mondi possibili, al di fuori della civiltà borghese e, quindi, delle dinamiche illuminate della sua divisione sociale dominante del lavoro.
L’aspetto più evidente della miniaturizzazione degli artefatti creativi prodotti dall’industria culturale, e qui dialogo con Terry Eagleton (2005), riguarda la sua riduzione all’ambito dei diritti civili, ancora intesi nell’ambito del neoliberismo americano. La miniaturizzazione/reificazione degli artefatti culturali sotto il segno dell’espressione civile di genere, etnia, età, comportamento e perfino classe (categoria che tende ad estetizzare come diritto civile reificato) ha la deplorevole conseguenza di una censura inaccettabile, ancorché mai apertamente dichiarata, ai diritti economici e sociali, che, in senso stretto, appaiono come una questione di creazione solo se sono ugualmente reificati ed estetizzati; se alla fine vengono catturati dal dominio liberale dei diritti civili, guidato dall’occidentalizzazione americana del pianeta, in modo tale che non sarebbe così assurdo affermare che gli Stati Uniti sono stati l’epicentro sismico dell’illuminismo imperialista dell'industria culturale.
Ed è proprio di fronte a questo progetto globale di occidentalizzazione americana del pianeta che è possibile trovare lo scarto necessario per riprendere la discussione sull’approccio di critica integrale dell’imperialismo assunto da questo libro.
A proposito, durante la lettura del libro La legge globalizzata del valore, di Samir Amin, ciò che si osserva di norma è che il sistema imperialista statunitense estrae reddito dal lavoro (include sempre quello di natura schiavizzata) su scala planetaria, motivo per cui è possibile dedurre che la principale lotta di classe di oggi avviene sul piano del rapporto tra imperialismo e sovranità nazional-popolare. Non c’è quindi via d’uscita per idee e progetti politici come Brics+, ad esempio, se non si tiene conto letteralmente sul campo della seguente realtà: il capitalismo attuale è l’immagine e la somiglianza dell’illuminismo del mondo culturale settentrionale. industria-americana, per cui la lotta per l’emancipazione dei popoli rispetto alla dittatura globale unipolare occidentale-yankee passa necessariamente attraverso il campo della cultura e soprattutto dell’industria culturale, epicentro della produzione di stili di vita e di soggettività, a livello di vita concreta.
Tuttavia, la questione dell’imperialismo, nei saggi contenuti in questo libro, non si riduce all’imperialismo americano-occidentale. In quanto potenti forze guerriere che competono per il controllo delle risorse umane e naturali del pianeta, l'imperialismo può essere ugualmente definito come la fase superiore dell'illuminismo, quando raggiunge tutte le dimensioni della vita sulla Terra, ragione sufficiente per sostenere la tesi secondo cui l'illuminismo non solo il mondo borghese civiltà stessa, ma anche l'insieme delle forze in azione nel terreno-mondo, da quelle più potenti a quelle più quotidiane e immanenti, vissute da tutti noi, ad esempio, nei rapporti apparentemente innocenti di compravendita come unità minima del capitalismo, e quindi dell’imperialismo stesso, nella sua fase finale, nordamericana, globale.
Questa lettura, tuttavia, non può servire a produrre generalità nichiliste del tipo: “Ebbene, se è così, se noi siamo l’imperialismo, allora non c’è nulla che possiamo fare perché qualsiasi cosa proponiamo o pensiamo verrà fuori da questa evidenza, è autoritarismo, semplicismo, anacronismo”. Sempre contro il nichilismo, inteso come adattamento all'esistente, i saggi qui presentati sono improntati ad una prospettiva affermativamente storica, motivo per cui partono dalla tesi che le forze umane e non umane (animali, vegetali, minerali, energetiche, tecnologiche, scientifiche) , epistemologici, lavorativi, teorici, culturali), pur essendo stati catturati dall'ininterrotta produzione civilistica dell'illuminismo, sono ugualmente storici, motivo per cui possono assumere o condurre prospettive collettive, liberatrici, non signorili.
D’altro canto, se l’imperialismo può essere definito come il pragmatico amministratore globale di forze locali, regionali e internazionali al servizio dell’illuminazione della e nella civiltà borghese, i suoi principali attori finanziari, ideologici e geografici non sono né unidimensionali né consensuali né sostanzialmente lo stesso. Ci sono attori più aggressivi, o addirittura più genocidi, di altri.
Se si osserva il mondo oggi, non è difficile vedere, per ovvi motivi statistici, che il suo lato occidentale, europeo-americano, è stato ed è attivamente presente praticamente in tutte le guerre e i conflitti degli ultimi decenni, se non degli ultimi secoli. Con centinaia e forse migliaia di basi militari in punti geostrategici del pianeta, non sarebbe errato affermare che gli Stati Uniti hanno invaso il mondo, per non parlare del lato tecnologico-comunicativo di questa invasione, la cui ubiquità virtuale-elettronica è stata eroicamente ( sempre parzialmente) rivelatoci, di recente, dall’ex agente della CIA esternalizzato, Edward Snowden.
Anche se è chiaro che non si tratta di un atto sacro nel campo dello spionaggio tecnologico e che questo è anche un nuovo scenario di guerra o di dispute tattiche e strategiche tra le grandi potenze del sistema imperialista mondiale, non è irragionevole affermare che, in In questo particolare, gli Stati Uniti occupano una posizione quasi unipolare, e non è un fatto circostanziale, tra l’altro, che Internet sia stata creata militarmente, per uso militare, dall’esercito americano.
In qualità di leader, ad esempio, del Five Eyes Club, composto da Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada, gli Stati Uniti sono in prima linea in un processo molecolare e allo stesso tempo monumentale di illuminazione panottica di tutta l’umanità, archiviando praticamente tutte le comunicazioni elettroniche nel mondo, classificandole ideologicamente, commercialmente e militarmente.
Se invece i saggi qui presentati hanno come interlocutore critico, nei confronti dell’imperialismo, nella sua versione occidentale-americana, il motivo principale è tattico e ha il seguente orizzonte di riferimento strategico: all’interno della civiltà borghese, un mondo multipolare è migliore di un sistema unipolare, poiché consente non solo l’emergere di contraddizioni all’interno del sistema-mondo, ma anche (perché è storia in movimento) l’emergere di forze non imperialiste, con tendenze esplicitamente postcapitaliste, come accade, per esempio, con l’Alleanza Bolivariana per le Americhe, ALBA, un blocco di paesi (composto da Venezuela, Ecuador, Bolivia, Cuba, Nicaragua, Dominica, Saint Vincent e Grenadine) il cui obiettivo è il benessere sociale dei le rispettive popolazioni, dando priorità, a tal fine, ad uno scambio solidale di risorse energetiche, educative, medicinali e culturali, al fine di, nel loro insieme, compensare o equiparare le carenze e i deficit naturali e storici delle realtà nazionali isolate.
Per tutto questo, perché hanno l’industria culturale come oggetto di analisi critica, perché sono stati scritti con l’obiettivo di decostruire la metafisica della presenza della tecnica nelle nostre vite, i saggi qui presentati metteranno in discussione, in molti e diversi modi, in dialogo con Jacques Derrida La farmacia di Platone, l'“Unità della metafisica, della tecnica, del binarismo ordinatore. Questo dominio filosofico e dialettico di farmaceutico che dovrebbe trasmettersi da padre legittimo a figlio di buona famiglia, una scena familiare la mette continuamente in discussione, costituendo e fessurando allo stesso tempo il passaggio che ricollega la farmacia alla casa. Il platonismo è allo stesso tempo la ripetizione generale di questa scena familiare e lo sforzo più potente per dominarla, per attutirne il rumore, per nasconderla abbassando le tende sul mattino dell’Occidente (DERRIDA, 2005, p.121)” .
Adattando l'estratto sopra da La farmacia di Platone, dalla filosofia ai mass media (compresi quelli della Silicon Valley), la militanza dei testi di questo libro è legata a uno sforzo analitico per descrivere il modo in cui l'unità della tecnica dell'industria culturale viene trasmessa dal “padre legittimo per i figli ben nati” della società brasiliana, in un contesto in cui il primo, il padre legittimo, può essere tradotto come il colonizzatore di turno, e questi, i figli ben nati, come custodi dei compiti prescritti dalla padre, e cioè: soffocare, attraverso l’industria culturale, i rumori della speranza, della giustizia, della creazione, della libertà dei popoli del Brasile, dell’America Latina e del mondo, abbassando il sipario su ciò che in Occidente, prima che essere colonizzazione, illuminismo, Il dominio, sempre è stato ed è domani, la promessa di un mondo laico, nell’uguaglianza, nella libertà, nella fraternità – una promessa non solo abortita ma anche “chiarita” per meglio ingannare, ingannare, sottomettere.
I capitoli
Nel primo capitolo, l’interfaccia con la letteratura, in questo libro, è avvenuta come sperimentazione del concetto di letterature post-autonome, sviluppato da Josefina Ludmer nei seguenti termini: “Le letterature post-autonome del presente lascerebbero la “letteratura” , oltrepasserebbero il confine ed entrerebbero in un ambiente reale-virtuale (una questione), senza esteriorità, che è l'immaginario pubblico; in tutto ciò che si produce e circola e ci invade ed è sociale e privato e pubblico e reale.
In altre parole, entrerebbero in un tipo di soggetto e in un tipo di servizio sociale, dove non esiste “indice di realtà” o “finzione”, costruendo il presente. Entrerebbero nella fabbrica della realtà, che è l’immaginazione pubblica, per raccontare alcune storie quotidiane su qualche isola urbana dell’America Latina” (LUDMER, 2013, p.133). Cercando di dialettizzare letterariamente la manipolazione dell'immaginario pubblico operata dal sistema mediatico occidentale-nordamericano, i testi del Primo Capitolo sono stati scelti con l'obiettivo di mostrare come l'industria culturale brasiliana, nella sua versione televisiva, utilizza la sua unità/convergenza tecnica con il sistema imperialista, per contribuire in maniera decisiva all’addomesticamento illuminato dell’immaginario pubblico brasiliano, latinoamericano e mondiale.
Nel secondo capitolo, “Società di controllo integrato, rivoluzioni catturate”, sempre in chiave militante, i saggi qui presentati analizzano le manifestazioni di piazza avvenute in Brasile durante e prima della Confederations Cup e anche in Medio Oriente, tenendo conto l’argomentazione secondo cui l’imperialismo occidentale-americano ha raggiunto un grado così elevato di sofisticazione tecnica e di plasticità colonizzatrice che nemmeno le manifestazioni di piazza e nemmeno l’idea di rivoluzione sfuggono alle sue dinamiche di e per l’illuminismo signorile.
Pur in controtendenza con settori della sinistra nazionale e internazionale, la questione fondamentale dei saggi del secondo capitolo è semplice e si inquadra nella seguente questione: se siamo arrivati al tempo dell’illuminismo signorile sulle manifestazioni di piazza e, quindi, rivoluzioni, come, contro ogni nichilismo, diventare rivoluzionari, nelle strade e oltre, senza correre il rischio di diventare, anche se non lo si sa e non lo si vuole, oggetto di manipolazione da parte di forze che non lo vogliono osano mostrare il loro volto, sia perché detengono informazioni che noi non abbiamo, sia perché, attraverso l'industria culturale, cercano di trasformare il mondo in una fabbrica della realtà del loro implacabile dominio?
A sua volta, seppur in un contesto diverso, considerando quella che Josefina Ludmer chiamava la fabbrica della realtà, l’obiettivo generale dei testi presenti nel terzo capitolo, Telenovelas e l’industria culturale, è quello di mostrare come la teledrammaturgia prodotta dalla TV Globo cerca, attraverso la finzione, di riscrivere la storia del Brasile, dal punto di vista signorile delle nostre classi dominanti, stabilendo, come fabbrica di realtà, il profilo “illuminato” della popolazione povera brasiliana e il loro rapporto con l’oligarchia che ha dominato per secoli e li rende irrealizzabili.
In sintonia con le più sofisticate risorse tecniche e tematiche dell'industria culturale occidentale, le soap opera di TV Globo, anche sostituendosi alla letteratura scritta, cercano di svolgere il seguente ruolo (tanto civilizzatore quanto quello che i portoghesi credevano di svolgere quando iniziarono a colonizzare il Brasile): “modernizzare” la popolazione brasiliana per adattarla all'immaginazione di consumi finanziati dalle multinazionali che dominano il pianeta. L’obiettivo, per questo, è uno solo: diventare contemporanei ai nuovi investimenti di marketing delle multinazionali, che avanzano sempre più nella divisione internazionale dei profili dei consumatori, incorporando alterità nere, indigene, femminili e omoerotiche.
Se da un lato questa impresa “modernizzante” ha contribuito a ridurre i pregiudizi etnici e di genere, dall’altro “chiarisce” le forze di emancipazione, che sono l’alterità, adattandole all’ordine dominante come se si trattasse di un mondo intero necessario, unidimensionale, oltre a funzionare come pubblicità del dominio planetario del capitale, nascondendo il suo lato genocida innanzitutto in relazione all’alterità, sempre più decimata sul pianeta.
*Luis Eustaquio Soares È professore presso il Dipartimento di Letteratura dell'Università Federale dell'Espírito Santo (UFES). Autore, tra gli altri libri, di La società del controllo integrato (Edufe).
Riferimento
Luis Eustaquio Soares. L'inizio della fine dell'era unipolare: letteratura e industria culturale. Allegro. Editore TerriED, 2024, 236 pagine. Disponibile qui.
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