da JALDES MENESES*
L'importanza del concetto di relazioni di potere per comprendere l'insieme teorico gramsciano
Il più leninista di tutti i concetti filosofici e politici originari di Gramsci è il concetto assolutamente storicista (o realista) dei "rapporti di forza". In Gramsci l'uso (e non l'abuso) del concetto di rapporti di forza ha superato l'uso strettamente politico. Arrivato a andatura polemica altisonante, al territorio della storia e della filosofia. La vera assialità politica e filosofica dei rapporti di forza è stata a lungo sottovalutata nella gigantesca fortuna critica di interpreti del filosofo rivoluzionario italiano.
Che sciocchezza è questa? La tradizione filosofica e politica di Marx, Engels, Lenin e di un'immensa galleria di autori ha qualcosa a che fare con il vecchio storicismo tedesco, plurale e conservatore, che relativizzava e diluiva la storia nelle differenze culturali delle civiltà? In una certa misura, Marx ed Engels, già nel testo fondante della teoria materialistica della storia – L'ideologia tedesca -, scusate il gioco di parole, fondarono una teoria storicista della storia alternativa allo storicismo conservatore quando scrissero che, al di là della consacrata differenza tra “scienze naturali” e “società”, “noi conosciamo un'unica scienza, la scienza della storia”. La frase non è né naturalistica né positivista.
In sostanza, contiene ante litteram, lo stesso senso dello storicismo assoluto (o realista) di Gramsci. Anche una semplice ermeneutica percepisce, in questo caso, che la storia non è più relativa alla cultura, ma alla storia stessa. Pertanto, non è divertente l'ammirazione di Marx ed Engels per Charles Darwin – il genio che ha storicizzato le scienze naturali. La giunzione tra Marx e Darwin è quindi spiegata da Engels non meno che nell'orazione funebre al funerale di Marx in termini di "Come Darwin scoprì la legge dello sviluppo della natura organica, così Marx scoprì la legge dello sviluppo della storia umana". Per questo – permettetemi un'altra nota biografica – Marx scelse di inviare una delle prime copie del Primo Libro del Capitale al naturalista inglese, il quale, dall'alto della sua nobiltà, non si degnava certo di leggere gli scarabocchi di uno sconosciuto esilio tedesco.
Da dove cominciare a dipanare il groviglio di questioni complesse, anche ermetiche per chi non lo sapesse, affrontate nei primi due paragrafi? Insomma, Gramsci formulò un'analisi dei rapporti di forza. Sottolinea e sostiene sotterraneamente l'intero insieme della riflessione carceraria dell'autore comunista. L'esposizione di questa analisi, nel Quaderni della prigione, si trova nella nota numero 17 del Quaderno 13, intitolata Analisi delle situazioni: rapporti di potere (Gramsci, 2000 CC13: 36-46).
A prima vista, questa analisi sembra comporre solo un metodo di analisi della congiuntura politica. Niente di più fuorviante. L'ambizione di Gramsci è molto più grande. Immersi nella questione dei rapporti di forza, si inseriscono nuclei tematici molto più ampi, in particolare la grande questione di ogni teoria sociale. La teoria sociale deve studiare la realtà come seconda natura o valore culturale. Società di studio che recepisce/adatta i metodi delle scienze naturali? O di formulare una metodologia storico-politica (alcuni preferiscono l'affascinante espressione ontologia) adeguata ai fenomeni sociali?
Scrive Gramsci (2000 C13V3: 40): “si legge spesso, nelle narrazioni storiche, l'espressione generica: rapporti di forza favorevoli, sfavorevoli a questa oa quella tendenza. Così, astrattamente, questa formulazione non spiega nulla o quasi nulla, poiché ciò che si fa non è altro che ripetere il fatto che deve essere spiegato, presentandolo una volta come un fatto e una volta come una legge astratta e come una spiegazione. Pertanto, l'errore teorico consiste nel presentare un principio di ricerca e interpretazione come una 'causa storica'”.
Alcuni non si rendono conto che, nel caso di analisi di una situazione in cui è in gioco l'assetto di diversi rapporti di potere, è indispensabile discernere, prima di presentare il fatto e riprodurlo, come un rapporto di potere favorevole o sfavorevole (esempio: alcuni autori descrivono il fatto di una crisi economica del capitalismo, di carattere ciclico, senza più, come rapporto di forza favorevole allo smantellamento del sistema), la “vari tempi e gradi” (Gramsci, 2000 C13V3: 40) intrinseco nella composizione dei vari rapporti di potere.
Secondo Gramsci (2000 C13V3: 40-46), ci sono tre “momenti” o “gradi” di un dato rapporto di forza:
1 – Il rapporto di potere immediatamente slegato dalla struttura sociale oggettiva (demografia, grado di sviluppo delle forze produttive, ecc.). In questo caso il rapporto di potere può essere spiegato in termini quantitativi, quasi come una radiografia (numero di abitanti in una data città, numero di esercizi commerciali nella stessa città, ecc.).
2 – Il rapporto di potere di contenuto politico, pertinente al grado di coscienza e di organizzazione delle classi di una data società. Gramsci divide questo momento in più gradi. Il primo, chiama economico-aziendale (quando una determinata professione o ramo di attività sente la necessità di organizzarsi come gruppo professionale o aziendale). Poi, sempre nelle maglie dell'economia-corporativismo, il gruppo sente la necessità di compattare le altre professioni o gruppi imprenditoriali, di agire nell'ambito di una classe e non solo in quello di un ristretto gruppo sociale. Come conclude Gramsci (41), «la questione dello Stato si pone già in questo momento, ma solo nel campo dell'ottenimento dell'uguaglianza politica e giuridica con i gruppi dominanti (...)». Segue poi un terzo momento, quello dell'universalizzazione, in cui “si acquisisce la consapevolezza che gli interessi aziendali stessi, nel loro sviluppo attuale e futuro, superano l'ambito aziendale, di gruppo meramente economico, e possono e devono diventare interessi di altri gruppi subordinati. Questa è la fase più strettamente politica, che segna il passaggio (…) dalla struttura alla sfera delle sovrastrutture complesse”.
3 – Il momento della ratio della forza militare, dell'azione immediata, fulminante, in un concreto scenario storico. Anche Gramsci divide questo rapporto in due gradi: uno militare, in senso stretto (tecnico-militare), e l'altro politico-militare, in cui il secondo grado subordina il primo, altrimenti cadrebbe in un'illusione militaristica, in capacità ( limitata) risoluzione dei conflitti attraverso il predominio assoluto della forza. Come sostiene Gramsci (2000 C13V3: 43): “Nel corso della storia, questi due gradi hanno presentato una grande varietà di combinazioni. Un esempio tipico, che può servire da dimostrazione limitante, è quello del rapporto di oppressione militare di uno Stato su una nazione che cerca di raggiungere la propria indipendenza statale. Il rapporto non è esattamente militare, ma politico-militare: infatti, questo tipo di oppressione sarebbe inspiegabile senza lo stato di disgregazione sociale del popolo oppresso e la passività della sua maggioranza”.
Poiché il pensiero di Gramsci è sistematico sotto un involucro frammentario, in questo senso l'analisi dei rapporti di potere è uno dei fondamenti di questa sistematicità. Prendi l'esempio di Notebook 22 (Americanismo e fordismo). Chiunque si prenda la briga di leggere attentamente l'architettura di questo testo vedrà che segue rigorosamente gli elementi di "analisi dei rapporti di potere" contenuti nella nota 17 del Quaderno 13 (Analisi della situazione: relazioni di potere).
Considero il concetto di relazioni di potere fondamentale per comprendere l'insieme teorico di Gramsci, soprattutto perché è un tassello decisivo per comprendere il metodo di indagine di Gramsci. Solo entrando nel laboratorio categoriale gramsciano è possibile valutare l'intera portata epistemologica e metodologica espressa in questo concetto, vale a dire: anche le questioni di filosofia, di concezione del mondo (ideologia), sono totalmente crivellate di rapporti di forza.
La questione richiede un approfondimento, nel senso di ricercare il nucleo di questo punto focale politico, da cui Gramsci si avvicina alla totalità della vita sociale. Per qualche tempo Gramsci è stato presentato come un “teorico delle sovrastrutture” – con un accento sulla sovrastruttura politica –, in contrapposizione all'“economicismo”, dominante nella tradizione marxista della II e III Internazionale. La versione non è ingenua. Considerando Gramsci come un teorico delle sovrastrutture, si può operare, al tempo stesso, con una versione politicista di Gramsci, separando economia e politica, struttura e sovrastruttura.
Non è sbagliato dire che la politica è il punto focale di andatura di Gramsci. Che cosa significa? Il fondamento sistematico di questo punto focale della politica va ricercato nell'ambito della teorizzazione che chiamo Analisi dei rapporti di potere, poiché la dovuta considerazione di questa analisi consente di unificare in un unico movimento molteplici determinazioni politica ed economia, struttura e sovrastruttura, sfuggendo così alle insidie dell'economicismo e del politicismo (oltre che a quella vera perversione della scienza che è lo scientismo, cioè , la religione positivista della scienza).
La frase più nota Quaderni del carcere è quella che “tutto è politico”, inclusa la filosofia e la storia – “tutto è politico, inclusa la filosofia o le filosofie, e l'unica filosofia è la 'storia in azione', cioè la vita stessa” (Gramsci, 1999 C7V1 : 246) .
Tuttavia, se “tutto è politica” la risposta alla domanda non si troverà semplicemente nell'analisi a ciclo chiuso della pratica politica e delle istituzioni, nel modello della scienza politica. tradizionale. Si veda sotto, per inciso, l'esempio principale dell'analisi dei rapporti di forza, derivato e implicito dalla/nella lettura di Gramsci di una delle pietre più cantate della teoria globale della storia di Marx (purtroppo assunta come dogma dal diametro; odiato senza ulteriori riflessioni dai post-marxisti), il noto Prefazione del 1859 a Introduzione alla critica dell'economia politica (Marx). Ebbene, Gramsci (1999 C11V.1: 140), nel tentativo di operare una sintesi, diciamo, storicista (o realista) assoluta, riduce, per cominciare e mai finire il discorso, a due assiomi – seguendo appunto tale e qual è la lettera della “riduzione” marxiana enunciata nel famoso Prefazione – nientemeno che la storia universale dei modi di produzione. Quindi, ci sono due relazioni di potere fondamentali dei modi di produzione nella storia e tra di loro nello stesso periodo storico: “1) L'umanità si pone sempre e solo compiti che può risolvere; il compito stesso sorge solo quando le condizioni materiali per la sua risoluzione esistono già o, almeno, sono già in corso di esistenza; 2) Una formazione sociale non scompare prima che si siano sviluppate tutte le forze produttive che ancora contiene; e nuovi e superiori rapporti di produzione non prendono il loro posto prima che le condizioni materiali per l'esistenza di questi nuovi rapporti siano già state generate nel seno della vecchia società - queste proposizioni avrebbero dovuto essere analizzate in tutta la loro importanza e conseguenza. Solo su questo terreno è possibile eliminare ogni meccanismo e ogni traccia di superstizione 'miracolosa'; solo in essa va posto il problema della formazione di gruppi politici attivi e, in ultima analisi, anche il problema del ruolo dei grandi personaggi della storia”.
Gramsci non si discosta mai da questa analisi (anche quando il soggetto non è la politica, ma la filosofia e la storia) – è proprio ciò che ha il potere di dare sistematicità alla sua riflessione. Imitando il duro vocabolario di quello straordinario marxista Poulantzas: l'analisi dei rapporti di forza è il quadro di andatura Gramcian.
*Jaldes Meneses È professore presso il Dipartimento di Storia dell'UFPB.
Riferimento
Le citazioni da I quaderni del carcere di Gramsci sono tratti dai sei volumi dell'edizione brasiliana, edita da Editora Civilização Brasileira, tradotti da Carlos Nelson Coutinho, Marco Aurélio Nogueira e Luiz Sérgio Henriques.