da JOÃO LANARI BO*
Commento al film diretto da Bernardo Bertolucci
Fascismo: delle parole che la cultura politica del Novecento ha forgiato, questa è senza dubbio una delle più forti, cariche di significati e acusticamente potenti. L'etimologia ne conferma la forza: il termine deriva dal latino fasces, fascio di bastoni legati attorno ad un'ascia, simbolo del potere conferito ai magistrati nell'antica Roma di flagellare e decapitare i cittadini disobbedienti.
Oggi associamo il fascismo alla filosofia politica che esalta la nazione e la razza al di sopra dell'individuo e che difende, al limite, governi autocratici e centralizzati, guidati da dittatori inclini alla repressione forzata dell'opposizione. Nel XXI secolo, la parola (e il concetto) si aggiorna nell'ambiente digitale dei social network, e comincia a designare anche comportamenti e azioni che ci circondano: il suo uso politico, che con Mussolini e il suo gruppo ha trovato espressione istituzionale indietro nel giorno 1919, in Italia, rientrò a pieno regime.
Il cinema, in particolare quello italiano, si è abilmente avventurato nei meandri della psiche fascista, soprattutto negli anni produttivi dal 1950 al 70, quando era, nelle parole di Martin Scorsese, uno dei migliori, se non il migliore, cinema del mondo. il conformista, che Bernardo Bertolucci ha realizzato nel 1970, è uno dei gioielli di questa cinematografia: impressionanti composizioni di luci, ombre e linee diagonali, combinate con una scenografia esuberante che ricrea l'architettura e le arti decorative dell'Italia fascista, risultano in una connessione tra il mentalità che ha prodotto questo mondo e l'interiorità del personaggio che lo abita, il conformista. Un uomo che voleva essere un fascista anonimo e perfetto: per enfatizzare questo ambiente mentale, è necessario contenerlo in spazi singolarmente fascisti, costruiti da composizioni fasciste esemplari.
Basato sul libro del 1951 di Alberto Moravia, il conformista è quasi un film di gangster – Orson Welles diceva che il fascismo era gangsterismo in politica. Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant, in uno dei suoi ruoli migliori), è l'ancora che racconta eventi, passati e futuri, come in un flusso di coscienza. In flashback cronologicamente irregolari, grandi salti da una scena all'altra, molti dei quali irrealistici o onirici, rifacciamo la formazione del carattere fascista che contraddistingue il personaggio.
Ancora preadolescente, ha avuto un incontro traumatico con l'autista di famiglia, Lino (Pierre Clementi), che lo ha sedotto ed è finito ucciso dalle mani di Marcelo: senso di colpa e disgusto. Segue un matrimonio tempestivo ed emotivamente vuoto con Giulia (Stefania Sandrelli), fino a quando non viene incaricato di uccidere il suo ex mentore, il professor Quadri (Enzo Tarascio).
Il Professore, che vive in esilio a Parigi, è stato suo relatore nella tesi che ha scritto sull'allegoria della caverna di Platone – prigionieri che conoscevano solo le ombre sul muro, ombre che sono la vera versione della realtà. La menzione della tesi da parte del Professore offre a Vittorio Storaro l'opportunità di produrre uno dei migliori momenti fotografici del film – che è, ovviamente, pieno di inquadrature rigorose e inaspettate, riflessi e toni saturi, soprattutto blu e rossi, catturando il insicurezza e terrore che si insediano nell'animo dei passanti.
Marcello diventa ossessionato dalla moglie di Quadri, Anna (Dominique Sanda): i dettagli esatti della missione si rivelano solo lentamente, causando infelicità a Marcello. La sua coscienza è spaziale: viaggiamo tra i vasti vuoti di edifici fascisti-modernisti, un ospedale psichiatrico a cielo aperto dove è internato suo padre e una sala da ballo affollata di ballerini parigini, dove sua moglie balla guancia a guancia con il suo amante.
Tutto questo immaginario è punteggiato dalla visione, insieme freudiana e marxista, di Bernardo Bertolucci: il fascismo è la matrice storica delle pulsioni libidinali e violente, atomizzate nella pratica di individui che lo esercitano, istituzionalmente o meno, come Marcello – anche se ha vita trascorsa nascondendo identità nella facciata anodina di un perfetto conformista, comportandosi nel modo meno aberrante possibile, in una parola normale.
Per il pubblico brasiliano un momento speciale: una breve e fugace apparizione di Joel Barcelos, attore emblematico del Cinema Novo, nel gruppo degli allievi del professor Quadri. il conformista è un film sul passare del tempo e sul potere del destino, ma, come suo direttore, non converge a una catarsi positiva, come nelle tragedie greche: al posto del fato spicca l'inconscio storico di Marcello. Verso la fine, guarda la sua giovane figlia, poi entra nella Roma devastata che ha contribuito a creare.
*João Lanari Bo Professore di Cinema presso la Facoltà di Comunicazione dell'Università di Brasilia (UnB).
Riferimento
il conformista
Italia\Francia\Germania, 1970, 107 minuti
Regia: Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura: Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci
Fotografia: Vittorio Storaro
Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Pierre Clementi, Stefania Sandrelli, Enzo Tarascio, Dominique Sanda.
Disponibile in magazzino sulla piattaforma MUBI, in copia restaurata