da LUÍS FELIPE MIGUEL*
Se non rispondesse all’attacco israeliano, l’Iran potrebbe ritrovarsi demoralizzato. Se vai in guerra corri il rischio di una grave sconfitta.
Di fronte all'indifferenza del mondo, il genocidio continua a Gaza.
Ti viene voglia di chiederti: quanti bambini palestinesi dovevano essere uccisi prima che il mondo venisse smosso?
Cosa servirà affinché la vita palestinese venga finalmente riconosciuta come vita umana?
I leader sionisti, membri del governo di Benjamin Netanyahu, elogiano i soldati che torturano e violentano i prigionieri palestinesi come eroi. Altri sostengono apertamente lo sterminio dell’intera popolazione di Gaza.
Ma tutto ciò non basta perché Israele smetta di essere riconosciuto come il buon partner dell’Occidente liberale, “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
Uno Stato ufficialmente razzista, che priva la maggioranza della popolazione di ogni diritto, imprigiona bambini, tortura prigionieri, usa l’assassinio degli oppositori come politica: che razza di democrazia è questa?
Ora Israele sta cercando di iniziare una guerra nella regione. (Sì, cominciamo: quello che sta succedendo a Gaza, un potente esercito contro una popolazione disarmata, non è una guerra, è un massacro).
Due settimane fa Israele ha bombardato lo Yemen. Martedì scorso ha bombardato Beirut. Mercoledì è stata la volta di Teheran: l'obiettivo era assassinare Ismail Haniyeh, leader di Hamas.
Si trovava in città per un evento ufficiale, l'insediamento del nuovo presidente iraniano. Israele ha fatto esplodere una bomba in una residenza ufficiale del governo. Tutto ciò aumenta la gravità dell’aggressione. La morte di Ismail Haniyeh rende inoltre ancora più distante un accordo di pace a Gaza.
Una guerra serve all’obiettivo principale di Benjamin Netanyahu: rimanere al potere.
E, con la guerra, Israele cercherà di posizionarsi come vittima e di ripetere la vecchia narrativa di uno Stato povero circondato da potenze ostili.
In realtà, Israele è la potenza aggressore. Grazie all’aiuto militare miliardario degli Stati Uniti, grande complice del genocidio del popolo palestinese, dispone di risorse sia offensive che difensive di gran lunga superiori a qualsiasi altro paese della regione, compreso l’Iran.
Se non rispondesse all’attacco israeliano, l’Iran potrebbe ritrovarsi demoralizzato. Se vai in guerra corri il rischio di una grave sconfitta.
Per contenere Israele è necessario costruire un ampio rifiuto della comunità internazionale – il che è difficile, dato il peso della lobby sionista nella politica degli Stati Uniti. Bisogna però insistere in questa direzione.
Il Brasile può fare un altro passo, passando dalla condanna verbale alla rottura di tutti gli accordi commerciali e, infine, delle relazioni diplomatiche con lo Stato genocida di Israele.
* Luis Filippo Miguel È professore presso l'Istituto di Scienze Politiche dell'UnB. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia nella periferia capitalista: impasse in Brasile (autentico). [https://amzn.to/45NRwS2]
Originariamente pubblicato sui social media dell'autore.
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