da PAULO EMÍLIO VENDITE GOMES*
Commento all'opera del regista italiano
Attualmente, il primo malinteso intorno a Rossellini è la sua popolarità. Dal 1947 nessuno dei suoi film ha avuto successo al botteghino e nemmeno, almeno inizialmente, di critica. Se il tuo nome non è stato dimenticato da un gran numero, ciò è dovuto solo alle tue storie d'amore con attrici famose. Tutto ciò che fa di Roberto Rossellini uno dei grandi uomini del nostro tempo è ignorato da quasi tutti e considerato noioso da molti.
Il suo nome è spesso usato per il gusto dello scandalo, ma non viene mai sottolineato ciò che è veramente scandaloso nel suo comportamento nei confronti delle convenzioni cinematografiche e di altro genere, ovvero la pertinenza, la coerenza e l'integrità con cui persegue la sua ricerca. .
È giunto il momento di verificare un fatto bello e sorprendente: il cinema moderno ha il suo Georges Bernanos o il suo León Bloy. E il sodalizio tra Rossellini ei due grandi cristiani dei nostri giorni non è casuale. Questa miscela di umiltà e orgoglio nel sentimento di concretezza ed eternità, così come la fede nella libertà come qualcosa di assoluto, sono alcune delle caratteristiche comuni ai suddetti scrittori e al regista. Attraverso un processo ideologico in cui si combinano pessimismo e ottimismo, i tre credono che il mondo sia pronto per entrare in una nuova era; ma allo stesso tempo non si sentono abbastanza forti per indicare le soluzioni, le strade giuste. Per questo si limitano a scrivere libri o a fare film, altrimenti entrerebbero in azione, come profeti e riformatori...
In questa prospettiva, come conciliare il pensiero e l'opera di Rossellini con la consueta nozione di neorealismo? In realtà non è possibile alcuna armonizzazione. L'espressione consumata e comoda ha, per Rossellini, un significato più difficile. In generale, il neorealismo è per lui una posizione morale attraverso la quale contempla e indaga il mondo; e praticamente significa accompagnare con amore gli esseri attraverso tutte le loro impressioni, scoperte, perplessità e vicissitudini, evocando contemporaneamente la contemporaneità e l'eternità dell'umano.
Rossellini ebbe successo mentre la sua ricerca e la sua testimonianza si confondevano con la cronaca del nostro tempo, come in Roma Città Aperta e Paisà. La descrizione di lotte e sacrifici, ancora nella memoria di tutti, non mostrava chiaramente che, in questi nastri, soprattutto nel secondo, il senso della realtà quotidiana fosse già esteso a una contemplazione perplessa della tragedia degli uomini. In Germania anno zero la natura del combattimento era diversa e gli spettatori trovarono difficile seguire le peregrinazioni di Edmund tra le rovine di Berlino, fino al suo suicidio. La morte di questo bambino e quella di Europa 51 non può non ricordare la scomparsa di Marco Romano Rossellini all'età di nove anni, nel 1947.
Questo evento drammatico nella vita del cineasta ha certamente accelerato la sua tendenza a non subordinare la ricerca dell'umano a un inquadramento nella cronaca storica o nel fatto sociale catalogato.
Prima di Germania anno zero, Rossellini aveva filmato Anna Magnani in un monologo di Cocteau, La Voix Humaine, cronaca della sofferenza dell'amante anziano e abbandonato. Questo nastro di quaranta minuti, non potendo rientrare nelle linee guida commerciali, il regista ha provato a realizzare, subito dopo l'esperienza tedesca, un altro episodio che andasse a comporre il girato richiesto, e ha chiesto idee ai suoi assistenti.
Federico Fellini, suo collaboratore da allora Roma Città Aperta, ha suggerito uno schema, che Rossellini ha trasformato II Miracolo. Una contadina, povera di spirito ma piena di fede, incontra un vagabondo sui monti, dove custodiva un gregge di capre, che lei scambia per San Giuseppe. Lo sconosciuto le dà del vino finché non diventa incoerente e approfitta della situazione. Al risveglio, la pazza è sola e felice dell'apparizione di San Giuseppe, che non sa più se avvenuta in sogno o nella realtà. Quando la gravidanza viene rivelata, viene denigrata da tutto il villaggio, ma si considera fecondata dallo spirito divino. E la nascita del bambino, il frutto di quello Milagre, è un misto di dolore, gioia materna e trionfante alleluia.
Tra L'Amore, titolo generico dato ai due episodi, e Francesco Giullare di Dio, ci sono due film – La Macchina Ammazzacattivi e Stromboli, Terra di Dio – che non ho mai avuto occasione di vedere. Non conosco le circostanze esatte che portarono Rossellini ad usarne cinematograficamente Fioretti, ma il passaggio dall'episodio del convento di paisà, alle avventure di Francesco e Ginepro, attraverso la follia di L'Amore. In tutti e tre i casi, ciò che risalta è l'immenso potere comunicativo che l'autenticità può acquisire, anche nelle sue espressioni più umili, anche nell'ambito in cui l'innocenza si confonde con l'alienazione.
Le sfumature di misticismo che si delineavano nell'opera di Rossellini lo rendevano sospettoso nei confronti del clericalismo comunista, che fino al 1950 circa ebbe una forte influenza sulla critica cinematografica italiana. Incompreso dai comunisti per questi motivi, sembrerebbe teoricamente normale che, in altri settori, tra i cattolici, ad esempio, trovasse una migliore accoglienza. Tuttavia, il clericalismo religioso non si è rivelato più sensibile del clericalismo politico. La religiosità pura, profonda e poetica di II Miracolo, era considerata un'abominevole bestemmia, e non si riconosceva la scintilla divina nella quotidiana, per quanto strana, semplicità di Francesco e dei suoi amici.
Non c'era niente, nella profondità umana o nell'autenticità religiosa di Francesco, Giullare de Dio, che potevano scioccare cattolici o comunisti, ma prevalsero i pregiudizi, che contribuirono molto alla totale freddezza con cui fu accolto uno dei nastri più belli realizzati negli ultimi vent'anni. Comunisti e cattolici erano ingiusti Francesco, Giullare di Dio, ma perspicace dei sentimenti profondi di Rossellini. La prova è stata il seguente film, Europa 51, in cui la tendenza del suo pensiero era quella di strappare gli uomini al conformismo, alla buona coscienza e al conforto intellettuale della Chiesa e del Partito.
Durante lo svolgimento di Francesco, Rossellini ha spiegato a Fabrizi, che interpretava il tiranno Nicolau, cosa il Fioretti. Dopo aver ascoltato attentamente, l'attore ha espresso la sua conclusione senza esitazione: San Francesco d'Assisi era un pazzo. Nella stessa occasione, uno psichiatra di Roma aveva raccontato a Rossellini di un curioso episodio accaduto a un suo paziente, un facoltoso uomo d'affari di Piazza Venezia. Un giorno ebbe una crisi di coscienza e iniziò a vendere la sua merce a prezzo reale, cercando di illuminare i clienti sulla qualità e insistendo soprattutto sui suoi difetti.
La cosa sembrava già piuttosto strana alla famiglia e alla clientela del commerciante, quando decise di andare in Questura ad accusarsi di tutte le infrazioni minori del Codice, che ogni cittadino normalmente pratica e alle quali la legge non è interessata, se non nel rari casi di reclamo diretto. A quel punto nessuno ha avuto più dubbi e l'uomo è stato ricoverato in una clinica specializzata. Lo psichiatra, dopo aver esaminato il commerciante, era convinto che lui subìto solo una crisi morale. Il medico era perplesso, e la soluzione che trovò fu quella di dissociare l'essere umano dal professionista, verificando che il paziente agisse diversamente dalla media, e optando per il suo ricovero.
Il caso turbò profondamente Rossellini che, contemporaneamente, leggeva Simone Weil, quella mistica contemporaneissima che, anche nel 1935, era attiva in piccoli gruppi trotskisti o anarchici a Parigi, e poi visse l'esperienza della condizione operaia. L'opinione di Fabrizi su San Francisco, il racconto dello psichiatra romano e la lettura di Simone Weil furono le origini di Europa 51. La storia di Irene è una delle difficoltà che un'autentica creatura incontra nel mondo moderno, le gravi rotture che esige, la prossimità tra integrazione umana e declassificazione. Poiché la donna che diventa non entra nel quadro attuale, è definitivamente alienata da un patto implicito tra un prete, un comunista, la Famiglia, lo Stato e la Scienza. L'unica valvola di protesta rimasta all'umiltà è considerarla santa.
Come Irene, Rossellini ha seguito con amore l'avventura di Katherine viaggio in Italia. Qui gli ostacoli da superare erano molto più sottili e si cercava l'autenticità, quella dei rapporti tra uomo e donna. Mai come in questo nastro – dove il soggetto non è altro che un tenue filo – ritroviamo tutta la problematica metafisica e morale di Rossellini, così concreta e invisibile allo stesso tempo. E non a caso ha voluto collocare l'azione a Napoli, città che considerava, prima di scoprire l'India, il luogo del mondo dove c'era maggiore integrazione tra la quotidianità e il sentimento reale e immediato della vita eterna.
La presenza di un uomo con tali preoccupazioni e prospettive lo farebbe da solo uno scandalo permanente nel mondo della produzione cinematografica. Ma non è tutto. L'atteggiamento morale di Rossellini diventa un fatto estetico, e anche qui non gioca secondo regole convenzionali. Ma questo sarebbe oggetto di un altro articolo.
*Paulo Emilio Vendite Gomes (1916-1977) è stato fondatore della Cinemateca Brasileira, docente presso UnB e USP. Autore, tra gli altri libri, di Jean vigo (Senac/Cosac Naify).
Originariamente pubblicato su supplemento letterario dal giornale Lo Stato di San Paolo, il 20 settembre 1958.