Eccezionalismo nordamericano

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da TADEU VALADARES*

Commento critico sulla nuova ideologia del Partito Democratico degli Stati Uniti.

Heather Cox Richardson è una storica che sostiene a newsletter molto interessante, con analisi quotidiane di ciò che a suo avviso caratterizza gli Stati Uniti in termini politici, ideologici ed economici e la sua interazione con il 'resto del mondo'. A mio avviso, nel bel mezzo della crisi in cui sono immersi gli americani, lo storico si situa, in termini di affinità elettive, in un allineamento netto, spesso esplicito, con la visione del mondo dei membri del 'centro' del sistema democratico partito, lei e loro sono completamente convinti del potere quasi divino dei miti fondatori dell'America, che mappano immaginariamente l '"eccezionalismo americano" in via di estinzione.

Tuo "Lettere da un americano” possono essere letti come testi di combattimento, abilmente fabbricati, in cui il reiterato ricorso ai miti fondatori serve in pratica a due scopi. Da un lato criticare la visione del mondo del partito repubblicano, la mostruosità che si è affermata dalla fine, sempre nell'Ottocento, degli effetti libertari conseguenti alla vittoria del Nord nella guerra civile. Acre ironia della storia, il partito di Lincoln fu trasformato in un'organizzazione politica estremista in cui predominavano i proprietari di schiavi contemporanei.

D'altra parte, nella sua costante critica ai repubblicani, Richardson delinea una dinamica storica che rasenta l'idilliaco, una visione idealizzata della traiettoria statunitense come faro della libertà rivoluzionaria conquistata a beneficio degli americani e dell'umanità, quasi una teodicea. Lo Stato nato dal capolavoro dei Padri Fondatori si sarebbe, secondo lo storico, riaffermato generazione dopo generazione contro tutte le sue falsificazioni, incarnate in particolare nell'Ottocento dal Sud schiavista e, oggi, dai repubblicani che hanno tradito Lincoln.

Questi sono coloro che si oppongono al libero sviluppo della forma rivoluzionaria di società proposta dai Padri Fondatori della repubblica – che si trattasse di una tratta di schiavi nulla toglie all'opera degli autori della Dichiarazione di Indipendenza… -; questi sono quelli che dividono la popolazione in segmenti gerarchici di classe, gruppi etnici e molti altri settori minoritari. Questi sono quelli che si oppongono al femminismo della liberazione.

Di fronte a questo rischio di regressione istituzionale degenerata, Heather Cox Richardson invoca un valore maggiore, il cemento che tiene insieme tutto,'Da molti, uno soltanto', l'unione sacra dei diversi, ineguali e opposti. Alcuni di loro si sono inseriti nel gioco politico di una democrazia alla Tocqueville, altri hanno conquistato progressivamente il diritto al 'suffragio universale', mentre altri, fino agli anni '60, hanno vissuto la negazione di quello stesso diritto, oggi palesemente in pericolo date le manovre repubblicane che cercano di limitare il più possibile l'affluenza alle urne dei settori popolari.

La lettura critica diLettere da un americano” come sintomi della grande crisi che gli USA stanno vivendo oggi permette di illuminare uno spostamento dell'asse della “Nuova Gerusalemme”. Anche se involontariamente, le lettere additano un altro lungo periodo di crisi generale degli Stati Uniti, in atto almeno dalla 'rivoluzione reaganiana'. In altre parole, la storia dei disastri che erano visti come il progresso infinito della repubblica imperiale si fa sentire. Stato, società, popolazioni e, in alcuni casi, anche territori, ciascuno in un certo modo, ciascuno facente parte di un processo più ampio, tutti soggetti sempre più a conflitti che, in ultima istanza, sono di classe.

Tutti immediatamente operativi, tutti minacciosi fusioni esplosive, tutti inscritti nella quotidianità tesa di una società sempre più antagonista. La grande minaccia ai grandi interessi consolidati nasce dalle sempre più frequenti mini-esplosioni, sintomi di qualcosa di più grande in fermento, segni dell'insormontabile lacerazione del corpo mistico della repubblica imperiale. Tragedia 'in fieri' a livello domestico, apparentemente irrimediabile.

Sul piano esterno, so che sto semplificando il più possibile, incombe un'altra minaccia galoppante, che prende forza in mezzo ai disagi scatenati dalla crisi planetaria del neoliberismo: l'emergere di un egemone potenziale, non così nuovo... La svolta del Regno di Mezzo, del resto la polvere scossa dalla creazione della repubblica guidata da Sun Yat Sen fino alla conclusione del ciclo rivoluzionario con la sepoltura del maoismo e la conformazione dell'attuale cinese sfinge, processo inevitabile, che indica un'altra dimensione di una persistente decadenza americana.

La configurazione di questa complessa dinamica interno-esterno tende ad essere catastrofica. Non è un fenomeno recente, lo sappiamo tutti, nonostante il clamore che tutto sia dovuto a Trump. Quella che è essenzialmente una polarizzazione interna – riflessa sulla superficie fenomenica dal tentativo di superare, attraverso intese dall'alto, il dualismo che oppone un “noi” mitico, il democratico, a un loro mistificato, il repubblicano –, costituisce la centralità del momento attuale del ciclo che è la rovina, e che si è già protratto per almeno 50 anni di storia contemporanea statunitense. Nella dimensione esterna, frustrati i sogni della fine della storia, restava l'incubo di una realtà senza fine. Anche la più recente ascesa cinese, avviata da Deng Xiaoping, risale agli anni '70.

L'apparente progresso che è una vera tempesta prende forma almeno dall'ultimo terzo del secolo scorso. In questo tempo che ha già contato decenni, il movimento regressivo, critico nei confronti di un New Deal idealizzato, ha in Reagan e negli altri presidenti repubblicani, compreso Trump come massima espressione finora, i grandi momenti salienti. Ma poiché ogni medaglia ha due facce e una dialettica particolare, è importante non dimenticare in questa sconfitta il ruolo strategico svolto da Clinton con la sua maldestra elaborazione della 'strategia del sud', né quello di Obama con le sue ambiguità interne e con la sistematica e l'uso spietato della forza militare in Medio Oriente, oltre alla sua "svolta asiatica", essenzialmente un accerchiamento della Cina. Sostenere gli attori nella tragedia, i Democratici? NO. Attori ugualmente di primo piano. In questa commedia ci sono solo stelle, nessuna eccezione alla regola stellare di coloro che esercitano il potere dello stato imperiale come il più freddo dei mostri freddi.

Di fronte a questo quadro la cui profondità strutturale va ovviamente negata, Biden cerca di far risorgere la versione partigianamente democratica del mito che sia democratici che repubblicani, ognuno appropriandosi con intenzioni opposte, difendono appassionatamente. L'acronimo attualmente scelto dal governo democratico per mobilitare l'opinione pubblica 'illuminata' e alleare democratici e indipendenti nella legislatura è 'Reality show brasiliano', BBB. “Ricostruire meglio".

Sul fronte esterno, almeno per il momento, la strategia del 'we're back' si riduce a un accelerato riscaldamento delle acque della guerra fredda, uno sforzo diplomatico sull'orlo del baratro che difficilmente avrà la forza di rilanciare la fiducia degli atlantisti nell'alleanza indebolita da Trump. Spettacolo a breve termine, quello annunciato per essere tornato? Non è noto. La prudenza suggerisce di aspettare per vedere se sopravvivrà questo sforzo di rielaborazione di un discorso vecchio-nuovo (nuovo?) rivolto alla Nato, qualcosa dotato di effettivo potere di persuasione. Vale a dire, la questione è sopravvivere non solo come retorica di mobilitazione fino all'arrivo del 2025. Meglio quindi attendere, senza fretta minacciosa o ingenua celebrazione, nella convinzione che la ragione sia sobria, i risultati delle elezioni intermedie del prossimo anno.

Finora, il "siamo tornati" è stato limitato al discorso bipolare ('honnit soit qui mal y fale'), un esercizio che, nonostante la sua debolezza sul piano retorico e le sue incoerenze sul piano pratico, scatenerà sicuramente nuove tensioni nei rapporti degli Stati Uniti e della NATO con Russia e Cina. Le sue conseguenze, ancora nebulose in termini di “realtà effettuabile”, si estenderà nello spazio-tempo, sia nello spazio europeo che in quello asiatico, così come nel tempo generazionale che articola il breve, medio e lungo termine.

Data la volontà manifesta del destino manifesto, il arroganza di recuperare il potere egemonico che sottende il discorso “bideniano” in politica estera, e tenendo conto di questo esercizio retorico che diventa pericolosamente belligerante, qualcosa segue immediatamente: il rafforzamento di tendenze pericolose, poiché la visione di Biden conferma la posizione geostrategica e geoeconomica di Cina e Russia preoccupazioni per l'accresciuta instabilità nel loro circolo immediato di proiezione geopolitica e in altri ambiti molto più lontani.

È rischioso intraprendere una crociata per ricreare il mondo quando il pianeta è ancora immerso in una crisi che dura da ben più di vent'anni, avverte EH Carr. Specie se la pietra di paragone per far tornare indietro la consunta molla dell'orologio della storia – per fare meglio quanto già fatto dai padri simbolici, Roosevelt in primis – la si vede con un binocolo le cui lenti sono appannate dalla poverissima polvere della democrazia x autoritarismo bipolarismo.

Di fronte alle dinamiche politico-ideologiche interne degli USA, inscritte in una polarizzazione che si accentuerà sempre più nei prossimi anni, e messe alla prova dalle tensioni, dai conflitti, dalle guerre localizzate, dalle dispute specifiche e dalla competizione permanente che strutturano il volto conflittuale della scena internazionale sistema, tutto generato in gran parte dall'esaurimento planetario del neoliberismo, Biden scommette su ciò che appare oltre l'improbabile: la capacità di un certo neokeynesianismo BBB di sostenere la prescrizione di guarigione globale, ovvero la capacità degli Stati Uniti ottenere una quasi completa diluizione, attraverso la 'nuova politica economica', della crisi che arriva dal 2007/2008, crisi che continua ed è amplificata, da quasi due anni, dalla pandemia.

Se sogno e realtà convergono inverosimilmente, se la proposta geopolitica e geoeconomica di Biden avrà successo in modo spettacolare, allora, in linea di principio, sarà assicurato il rafforzamento delle democrazie ontologicamente opposte a tutti gli autoritarismi, un processo che ne deriverebbe'tra l'altro', il rinnovo del termine di validità del modo di produzione capitalistico alla maniera del XXI secolo, una struttura profonda criticamente indebolita dall'apparente dominio del capitale improduttivo e dal saccheggio delle risorse naturali.

Quelli dell'”establishment” che hanno il partito democratico come loro fedele rappresentante al congresso pensano di uscire, con Biden, il BBB e il “siamo tornati alla leadership del mondo democratico”, da entrambi i labirinti, l'interno e il globale, le prigioni in cui gli Stati Uniti sarebbero stati guidati da Trump, il punto fuori dalla linea. Non riescono a rendersi conto che diversi minotauri li aspettano in ognuno di essi. Al suo interno, un processo a senso unico che moltiplica conflitti di bassa intensità con altri di intensità crescente, conflitti che diversificano le loro forme apparenti, conflitti che oggi attraversano tutte le arene, da quella politica a quella sociale, da quella culturale a quella ideologica, da quella etnica a quella di genere, ecc. ad ecc.

Il risultato di quanto si sta condendo in questo calderone un po' shakespeariano non potrà che essere contato elettoralmente alla fine del 2022, quando la fragile posizione del Partito Democratico al Congresso e nelle sfere delle legislature e degli esecutivi statali potrebbe addirittura essere erosa. Nell'ambito della magistratura il conto è nettamente sfavorevole a Biden.

Se guardiamo alla sfera esterna, non tanto esterna, rimarranno in vigore le antinomie tutte generate dalla globalizzazione in stallo e dalle azioni della NATO e/o degli USA come gendarmi mondiali. Destinati a rafforzarsi a vicenda, moltiplicando così gli effetti boomerang per gli Stati Uniti che cercano di respingere, nella misura della loro attuale forza, le minacce all'egemonia in declino. Non dimenticare: nel corso di questo processo iniziato molto prima e che proseguirà a lungo dopo che Biden avrà lasciato l'esecutivo, la quotidianità delle relazioni internazionali sarà segnata dalla più importante sfida esterna al potere imperiale-repubblicano dalla dissoluzione dell'URSS.

Se pensiamo al record di lunga data, allo scontro insieme negato e affermato, alla danza tra i poli che si disputano l'egemonia, quel processo, sordo o spalancato, che a volte evolve discretamente in fondo alla scena, ma che in genere arriva al primo piano della scena ci accompagnerà, e negli USA: l'ascesa di Pechino. Resistibile? Irresistibile?

Tempi ancora più interessanti vivremo fino al 2025...

* Tadeu Valadares è un ambasciatore in pensione.

 

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