da GABRIELE COHN*
Jair Bolsonaro, figura dannosa e insignificante, rappresenta il lato oscuro della società brasiliana
È in atto, infatti, una deriva fascista in Brasile? Ci sono certamente pochi dubbi sulla combinazione tossica di autoritarismo e irresponsabilità che sta distruggendo le già vulnerabili istituzioni repubblicane tra di noi. Il che non è poco se si considera che il vero autoritarismo tende a mostrare il marchio della responsabilità, preferibilmente investita in un leader ben identificato. In caso contrario, la conseguenza, come nel nostro caso, è il peggiore dei due mondi: il male assoluto ma nascosto, espresso in morte e distruzione anonime. Meno chiara è l'affinità di questo stato di cose con l'aggressivo regime di destra originariamente noto come fascismo.
Tutto inizia con la difficoltà di definire di cosa stiamo parlando quando diciamo “fascista”. Questo non è più facile quando si tratta degli esempi storici del periodo dal 1922 al 1945 in Italia e in Germania, e si trasforma in un labirinto quando il riferimento è al periodo successivo fino ai giorni nostri. Labirinto da percorrere, però, e con gli occhi ben aperti, perché ha molto da mostrare sulle tendenze in atto e da combattere.
A rigor di termini, parlare di fascismo è parlare del caso italiano, quando il termine fu inventato per evocare la grandezza della Roma classica come ispirazione per la costruzione di quella nazionale, vista come degradata. Fu anche quando, insieme all'idea centrale di grandezza, fu adottato in Italia il termine "totalitario" per designare un'unità nazionale, basata su uno Stato abbastanza forte da incorporare la società nella sua azione. Vale la pena ricordare, di passaggio, che vi è un contrasto frontale con il progetto socialista, finalizzato alla reintegrazione dello Stato nella società da cui si separa nel processo storico moderno.
Il caso tedesco porta il fascismo al parossismo, e in questo accentua anche le ambivalenze se non contraddizioni già presenti nel caso italiano. Entrambi i regimi incarnano una tensione irrisolta tra il tradizionale e il moderno, tradotta nella combinazione di un positivo apprezzamento del progresso tecnologico e dell'innovazione – anche nel campo dell'arte, come nel “futurismo” italiano con il suo culto della potenza e della velocità – e ultra -posizione conservatrice nei confronti dei modelli di relazioni sociali come la famiglia, insieme a severi controlli dottrinali sull'educazione e la cultura.
Ciò si manifesta, in entrambi i casi, in una concezione del movimento politico secondo quello che è già stato definito da Jeffrey Herf “modernismo reazionario” (1986). Quando però si parla, in questi termini, di “reazionario”, il riferimento immediato sarebbe quello che gli ideologi tedeschi definivano “rivoluzione di destra”. Questo, però, significa cambiamento e non mera reazione. Va ricordato che il fascismo usa mezzi conservatori per i suoi fini, ma non ha nulla di reazionario, ed è da questa ambiguità che deriva parte della sua attrazione per gruppi sociali smarriti e spaventati tra la mera continuità e il cambiamento.
Finora, si possono ancora trovare somiglianze tra quelle condizioni europee e ciò che sta prendendo forma oggi. Tuttavia, è possibile rilevare una differenza evidente; è l'enfasi fascista sulla nazione come riferimento e valore politico, in un nazionalismo estremo. Niente di tutto ciò si trova nell'attuale Brasile con un'aggravante di base. Mentre nel fascismo classico l'autonomia nazionale è un desideratum fondamentale, il modello autoritario brasiliano è segnato dalla subordinazione a forze esterne ben definite, centrate negli USA. Questo, fin dall'inizio, complica l'approssimazione tra i due standard. Tanto più quando il fascismo classico ha uno scopo costruttivo, a suo modo, mentre tra noi la presa in giro di un regime ha un effetto, a suo modo, anche distruttivo.
Conviene, quindi, esaminare meglio la natura del fascismo classico europeo - sia la dittatura italiana che il nazismo tedesco, con particolare attenzione a quest'ultimo. Per questo vengono proposti due percorsi: il primo consiste in un esame centrato sulla dimensione istituzionale, con enfasi sulla composizione e funzionamento degli apparati statali, sull'organizzazione partitica, sugli apparati di mobilitazione e repressione attraverso il terrore, sui rapporti tra le forze economiche e il regime e così via. L'esempio classico di ciò è lo studio del caso tedesco, come “capitalismo monopolistico totalitario”, di Franz Neumann) (1942). Esamina come l'intreccio di forze economiche e politiche nel regime, lungi dal formare un'unità armoniosa, corrisponda piuttosto a una sorta di caos organizzato con condizioni di sopravvivenza limitate, ben lontane dal "regno millenario" voluto da Hitler.
Infatti, la contemporanea presenza di caos e organizzazione costituisce uno degli ambiti centrali di tensione nel funzionamento del regime, quando l'organizzazione, obiettivo centrale del comando supremo, si rivela realizzabile solo attraverso il mantenimento dei più stretti complici e il business entità ad essi associate. , in uno stato di costante conflitto dipendente dall'arbitrato. L'essenziale in Neumann, nel dimostrarlo, è il riferimento esplicito al capitalismo, che tende a scomparire nella letteratura successiva. A questo proposito ha una formulazione incisiva: “Qual è la forza di questa economia [nazionalsocialista]: potere, patriottismo o profitto?
Riteniamo di aver dimostrato che è la motivazione del profitto a giocare un ruolo decisivo. Ma in un sistema monopolistico, i profitti non possono essere realizzati o appropriati senza il potere totalitario, e questa è la caratteristica specifica del nazionalsocialismo”.
La seconda via si apre nel dopoguerra, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, quando questa ricerca della specificità dei casi tedesco e italiano, fondata sul modello dei rapporti politici ed economici modellati dal peso delle grandi imprese industriali e finanziarie conglomerati, è stata sostituita da una concezione più “generica”, secondo il termine adottato dagli autori coinvolti. Il fascismo classico appare come un caso particolare di un fenomeno più ampio, che trascende i confini nazionali, e la dimensione ideologica viene ad occupare una posizione centrale.
Il primo passo è stato compiuto nel 1963 dallo storico conservatore tedesco Ernst Nolte (1963), che ha cercato, attraverso questo mezzo, di ammorbidire il carattere specifico e la responsabilità del regime tedesco, con particolare enfasi sulla somiglianza tra nazismo e comunismo. Successivamente, negli anni '1980, la preferenza per un'analisi generica del fascismo, ormai scevra dal “riformismo storico” di Nolte – che aveva sollevato la polemica nota in Germania come la “Litiga degli storici”, termine imbarazzante per suggerire il disinteresse per la questione sostanziale coinvolti – ha acquisito il formato di guida alla ricerca di base. Tanto più quando il crollo della Germania dell'Est e l'intervento e l'epurazione promossi nelle sue università dai vincitori della Guerra Fredda adottando un comportamento di totale supremazia, chiusero il ciclo delle ricerche marxiste nell'area.
Tutto questo ha preso slancio quando si è formato quello che è stato chiamato il “nuovo consenso” nella ricerca, in gran parte grazie al lavoro dello storico inglese Roger Griffin (1991). Questa tesi di successo si compone di due punti. La prima si concentra sulla difesa di quella visione generica e non solo puntuale e ristretta ai classici casi europei, incentrata sul potere autocratico dittatoriale, sullo stato di polizia del terrore generalizzato, sulla violenza, sul razzismo militante e sull'omofobia, sulla persecuzione e l'assassinio di minoranze, sulla forza demografica di mobilitazione e tratti correlati. Ciò come condizione per includere nell'analisi i casi particolari e discordanti di manifestazione del fenomeno.
Il secondo, e principale punto, riguarda l'enfasi sulla dimensione ideologica a scapito dell'analisi degli aspetti più specificamente istituzionali che prima predominavano. Si tratta di quello che si potrebbe assumere come il nucleo significante, che dà al fascismo la sua struttura specifica, come la concezione del mondo che lo sottende in ogni caso.
Questo nucleo consiste, secondo Roger Griffin, nella concezione da lui definita “palingenica”, cioè l'idea che la società stia vivendo qualcosa come una rinascita dalle rovine e dalla demoralizzazione.
Una rigenerazione, comunque. Per Roger Griffin, questa idea, molto presente nel fascismo italiano e nel nazionalsocialismo tedesco, in quanto regimi che si costruiscono a partire dalla grave crisi successiva alla sconfitta nella guerra tra il 1914 e il 1918, costituisce l'"asse ineliminabile" dell'intero . A questo punto è d'obbligo un riferimento comparativo all'attuale situazione brasiliana. Qui è il contrario: la crisi distruttiva non è data in anticipo, ma è provocata dalle operazioni stesse dello Stato, cosa che incuriosisce Roger Griffin.
Ha senso, in effetti, segnare questa concezione di una via d'uscita dalla crisi attraverso la ricostituzione dell'intero corpo politico. È difficile evitare l'immagine del Leviatano prostrato che si alza. È una potente figura di retorica politica, che però ha senso solo se associata ad altre due, alle quali Roger Griffin e i suoi seguaci prestano meno attenzione. Tra questi, uno è particolarmente potente e potrebbe benissimo occupare una posizione centrale con il primo. È l'idea di purezza, con il suo sviluppo nel concetto estremamente acuto di purificazione (della nazione come “suolo e sangue”, della razza, dell'uomo).
Va notato, a questo proposito, che la percezione della sua importanza non è tanto dovuta all'analisi scientifica, ma è più presente in un notevole documentario cinematografico sulla Germania nazista, L'architettura della distruzione. Queste due componenti acquistano piena forza solo se spinte dalla grande forza motrice del tutto, l'odio. Essendo generalmente diretto verso l'“inquinatore” o la sua propaggine, il “corruttore”, tale odio acquista sia intensità quando è diretto verso tutto ciò che minaccia il doppio movimento di purificazione e rigenerazione fornito dall'aura del sacro e in flessibilità, moltiplicandosi. i possibili casi di violazione.
Vale la pena esaminare la complessa dinamica dell'usurpazione di temi e simboli usati da figure come il ministro nazista della Propaganda Joseph Goebbels, e ancora oggi dagli “strateghi politici” a lui ispirati, come Steve Bannon negli USA. Goebbels, entusiasta dell'idea di "Germania soprattutto" apprezzerebbe sicuramente il motto trumpista "America (sic) first".
Come principio organizzatore di tutto l'insieme c'è l'idea di unità, alla quale si associano quelle di popolo e di razza, pensata come plasmatura compatta di un'entità armonica e monolitica. In un registro periferico, ma non di poco conto, questi temi vengono evocati anche in Brasile, per esempio quando al culmine degli attacchi della destra contro l'allora presidente Dilma Rousseff, apparvero insegne come “Il Brasile è passato pulito”.
Quel carattere di armonia monolitica non significa, tuttavia, un insieme radicalmente indifferenziato; sì, la selezione autoritaria di ciò che dovrebbe rimanere diverso (ad esempio, le distinzioni per genere) rispetto a ciò che deve essere integrato nel tutto, sia secondo il modello tradizionale dell'unità “organica” con legami naturali di tipo comunitario, sia secondo il modello “meccanico” “unità, sul lato moderno.
In questo prevale il coordinamento – il termine tedesco evoca qualcosa come “perequazione forzata” – attraverso stretti legami tra gli inclusi e il rifiuto e l'eventuale eliminazione degli indesiderabili. A questo punto, ciò che è cupo nel fascismo raggiunge il suo livello più profondo, quando criteri tradizionali e moderni si fondono nel già citato tema della purezza dal punto di vista della purificazione. Al suo nucleo ideologico più profondo, quindi, c'è la combinazione paradigmatica di unità e purezza. Pertanto, se accostata all'idea di rigenerazione, la faccia opposta dell'idea di purezza non si riduce a quella di impurità, ma assume la forma della corruzione nel suo senso esatto, come usura e degenerazione in contrasto alla rigenerazione. A questo punto si trova l'opposizione centrale in questo complesso ideologico, che è il rapporto tra degenerazione e rigenerazione.
Portando al limite questa argomentazione, abbiamo, insomma, che la sintesi dell'organizzazione ideologica fascista, soprattutto nella sua più elaborata versione nazista, consiste nell'idea di unità incontaminata. Abbiamo qui il nocciolo di un complesso ideologico di straordinaria potenza, da non sottovalutare non solo per il suo carattere sintetico e, appunto, soggetto a sviluppi, ma anche per la sua capacità di penetrare, in modi diversi, in profondità strati della psiche di coloro che sono a portata di mano. Non è facile trovare la giusta strategia per smantellare un apparato simbolico così schermato da ogni influenza e così capace di generare forme derivate – basti pensare alla polisemia di un termine come “corruzione”.
In termini sintetici, possiamo identificare due grandi nuclei ideologici nel periodo contemporaneo, entrambi già soggetti all'usura del tempo, ma abbastanza robusti da superare il loro momento esatto. A destra, rigenerazione; a sinistra, la rivoluzione. L'intricato gioco tra questi due poli ha segnato il Novecento fino ad oggi, quando la domanda che si pone è da che parte avrà la forza (materiale e simbolica) e l'iniziativa per anticipare l'attuale imperativo storico, per ripensare il mondo e agire di conseguenza.
È un tratto caratteristico di quel regime, rigido nelle idee ma, in pratica, legato da fili sciolti che ne consentono l'orientamento in una direzione o nell'altra da parte dei vertici di ogni tempo, che la purezza invocata al centro del discorso ideologico il legame non è così obbedito nelle relazioni di dominio effettivo. Così, il motto anticapitalista e antiborghese non impedisce la stretta e crescente alleanza con queste forze, come già mostrato da Neumann.
Parimenti, in competizione con forze di sinistra già affermate in partiti e sindacati, non esita a cannibalizzare nomi e simboli dei suoi avversari, come il saluto a braccia alzate, il colore di fondo rosso della bandiera e, soprattutto, il riferimento ai lavoratori a nome del partito. Il guazzabuglio dottrinale in nome del partito tedesco ben esprime la tattica di confusione adottata. Si tratta del “Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi”, denominazione in cui le qualificazioni “Nazionali” e “Tedeschi” sono infatti decisive, in quanto si appoggiano a riferimenti nominali volti a confondere.
È significativo che non si parli del popolo, tacitamente rappresentato dai lavoratori, anche perché la categoria popolo non ha alcun riferimento sostanziale in quella costruzione ideologica, ma occupa il posto di mito fondante dell'unità compatta della comunità (termine centrale ) ivi invocato, qualificato sempre come “tedesco”. È dubbio, quindi, parlare di “populismo”. Non a caso il giurista fascista (più per opportunismo che per convinzione) Carl Schmitt definisce la democrazia con riferimento all'unità del popolo, non solo per distinguerla dalla frammentazione liberale ma anche per recidere la sua associazione con il potere popolare sovrano nella repubblica. L'idea di un popolo unificato, ma non sovrano, è un altro potente dispositivo ideologico, che riserva una sovranità effettiva, spettante al leader, al piombo no führer, la capacità unificante.
Tale permeabilità alle opportune interpretazioni contribuisce a conferire una certa flessibilità alle versioni della matrice generica che si sviluppano nel periodo successivo al classico. Qui, le variazioni sul modello generico sono particolarmente importanti. Ed è necessario riconoscere, per quanto attentamente si applichi alla tesi della rilevanza del modello fascista o neofascista per l'attuale caso brasiliano, che la società brasiliana si è rivelata fondamentalmente satura di questo impulso distruttivo.
Con l'aggravante che al suo interno c'è chi ricerca diligentemente obiettivi preferenziali per il proprio esercizio, che si avvicina al modello classico. Questo assume la forma di un partito politico, il PT – che, tra l'altro, usa l'invitante colore rosso sulla sua bandiera – e associazioni simili. Un evento circostanziato, seppur significativo, che coinvolge quel capro espiatorio del partito fornisce un esempio di questo autoritarismo socialmente radicato – come sottolineano da tempo analisti come Paulo Sérgio Pinheiro.
Questa la frase dell'allora senatore Jorge Bornhausen quando il governo federale del PT era alle corde nel caso della cosiddetta “mensalão”, a partire dal 2005. Bisognerebbe, disse, “porre fine a questo corsa” per 30 anni. Termina questa corsa. In una società come la nostra, questo fa parte del vocabolario razzista dell'estrazione di schiavi. Tuttavia, si rimette allo stesso schema del vocabolario nazista. Qui abbiamo un esempio imbarazzante ma eloquente di affinità insopportabili, che ci mette in guardia da qualcosa di fondamentale. Questo vocabolario fermenta senza tregua nella società.
A questo punto vale la pena segnalare un'importante distinzione tra il fascismo classico e la sfuggente variante autoritaria in atto in Brasile. Solo che, nel nostro caso, non abbiamo la creazione di qualcosa di nuovo, ma la spiegazione di qualcosa di effettivamente presente nella società, anche se non uniformemente in essa. Nel classico caso fascista, invece, l'impulso va più verso l'esacerbazione di tratti presumibilmente presenti nella società, come la brama ebraica di guadagno o il pericolo rosso.
Va ricordato che la propaganda fascista, specie nella sua versione nazista, non inventava i suoi nemici (ebrei, comunisti e altri), ma riservava loro in anticipo e senza possibilità di contestazione qualità che le facevano comodo. È necessario riconoscere, tuttavia, che l'idea di spiegare ciò che è già dato sullo sfondo, come nel caso brasiliano, punta a qualcosa di particolarmente inquietante.
Ammettendo una formulazione drastica, se qui si può parlare di una variante del fascismo classico, sarà peggiore dell'originale sotto diversi aspetti. Sarà più radicato e resistente all'identificazione e al combattimento, a causa del suo carattere intrinsecamente nascosto e, proprio per questo, più dipendente da una vigorosa attenzione e azione all'interno della società.
Non sarebbe consigliabile, senza rischio di grave imbarazzo, scoprire chi uccideva e torturava abitualmente di più, la polizia politica della Gestapo e gli assaltatori delle SS in Germania o le agenzie di polizia e le milizie in Brasile. Meglio agire senza fare la contabilità dei sinistri. Il punto qui è che se si può parlare di un forte tratto parafascista tra di noi, non si troverà direttamente negli apparati statali, come era in Germania, ma diffuso nella società.
Decisivo in questo è che è in uno stato latente; pronto, quindi, a emergere non appena si presenteranno le condizioni favorevoli – per esempio, dopo le elezioni del 2022. È possibile, fin d'ora, avere una misura di quel peggioramento rispetto al fascismo classico. Perché abbiamo già modo di confrontare la nostra situazione attuale con quella dei 20 anni di dittatura – poco meno del regime fascista italiano e otto anni oltre il ben più radicale regime tedesco.
La tesi, a questo punto, è che la differenza tra la situazione attuale e la precedente aperta dittatura è proporzionale a quanto si potrebbe, o si potrà osservare, tra la piena validità di ciò che qui è ora latente, e sul punto di manifestarsi e il fascismo europeo classico.
Non è questo il momento di lottare contro il fantasma del vecchio fascismo, che è già stato lasciato alle spalle ed è mantenuto solo dal segno indelebile del genocidio esplicito (poiché, implicito e camuffato, continua qui). È necessario, tuttavia, confrontarsi con l'altro regime in agguato tra noi, l'autoritarismo di destra allo stato puro che si sta formando, tanto brutale nell'azione quanto viscoso e sfuggente nella caratterizzazione. Se il principio pratico del fascismo classico consiste nel rendere pubblico e manifesto il regime corrispondente, quello che si intravede nel nostro caso è una sorta di gioco di specchi, fedele al principio base della “finzione”. Nulla corrisponde a quanto annunciato, tutto è possibile sullo sfondo, e la mano del potere, pesante o subdola a seconda delle occasioni, colpisce chiunque prenda troppo sul serio le apparenze, anche occasionali.
C'era già chi prevedeva l'ascesa al potere in Brasile di una figura tanto ridicola quanto distruttiva, come Berlusconi in Italia, immaginando appena che al di là di un episodio fortuito questo potesse segnalare la possibilità di una tendenza da contenere. La paura non è senza ragione. La figura di Berlusconi, per lo schema del suo governo, incentrato sulla figura del leader a vantaggio di interessi a lui affini e sempre equivoci sulle sue posizioni, dipinge una tendenza internazionale che si approfondisce nel periodo successivo.
Dà il tono all'estrema destra rispetto alle già fragili istituzioni della democrazia liberale rappresentativa, mentre allo stesso tempo si sforza di polverizzare le forze opposte. Le diverse esperienze su scala globale mostrano che il danno così causato è profondo e di lunga durata e, soprattutto, dipende per la sua neutralizzazione dalla mobilitazione di segmenti della società a sostegno degli sforzi di ricostruzione istituzionale.
Si ricorderà sempre che il fascismo nella sua versione convenzionale fu sconfitto. Qui però si impone una distinzione già suggerita in precedenza e della massima importanza. Da un lato, abbiamo la dimensione che possiamo designare come “istituzionale”, relativa al modo di funzionamento dello Stato nei suoi rapporti con la società: sostanzialmente, nel caso fascista, gli organi di controllo e di gestione degli interessi, di legittimazione attraverso propaganda e di mobilitazione continua attraverso il terrore.
Dall'altra, abbiamo la dimensione ideologica, che riguarda la gestione delle idee correnti e le relative modalità di condotta. Consideriamo che la prima dimensione è più propriamente politica e la seconda ha un carattere più sociale. È visibile a prima vista che è relativamente più facile e con effetti più rapidi intervenire nella prima – riscrivere o annullare la Costituzione, ad esempio – che nella seconda – per eliminare convinzioni e comportamenti radicati o crearne di nuovi, ad esempio, da da dove viene nei regimi autoritari l'uso del terrore.
Nei classici casi europei, la dimensione politica è stata sconfitta, ma dopo alcuni spasimi spettacolari, il campo sociale come sede della cultura e dell'ideologia è stato trascurato. Nel complesso, la novità più importante è che la dimensione istituzionale – che potremmo anche pensare come la hardware del regime – ha subito importanti cambiamenti dalla metà del secolo scorso, che ne hanno accresciuto l'efficacia sul versante morbido – in particolare informazioni e controlli effettuati con mezzi elettronici.
Ciò consente di fare a meno di una parte crescente dei pesanti strumenti di consolidamento e continuità del regime (violenza fisica palese, sostituita da violenza psichica o simbolica, ad esempio). Allo stesso tempo, aumenta l'importanza della dimensione ideologica, che beneficia direttamente dei progressi tecnologici e della ricerca scientifica nell'area leggera di operazione del regime. Tutto ciò apre la strada, in assenza di tendenze contrarie e di forti resistenze, a forme sempre nuove di autoritarismo profondo di matrice fascista, meno spettacolari, meno chiassose e forse meno cruente, ma più radicate ed efficaci che negli esempi storici.
In queste circostanze, le lotte inerenti alla polarizzazione sociale e politica si trasferiscono in aree più leggere, trasferendo la battaglia per il controllo delle strade nella disputa per l'accesso e il controllo della comunicazione digitale, sempre a vantaggio della parte più aggressiva capace di mobilitare militanti di nuovo tipo, attrezzati per garantire la propria comunicazione e ostacolare quella dell'avversario.
Ciò significa che il riferimento alla sconfitta dei regimi fascisti classici deve essere qualificato. Sì, la parte istituzionale del regime è stata sconfitta. Questo, però, non comportò semplicemente l'eliminazione del suo aspetto sociale, come i decenni successivi suggerirono con forza. La concentrazione del potere di controllo è un fatto da affrontare con tutti i mezzi. Ciò non avverrà solo nel confronto diretto con le agenzie statali e con le roccaforti quasi inespugnabili delle megacorporazioni. Richiede anche il lavoro di una piccola formichina, per corrodere in ogni angolo le corde che legano le persone alle loro “applicazioni” digitali di ogni sorta e renderle soggette a ogni tipo di abuso.
Un ordine autoritario di natura fascista sembra a prima vista qualcosa che, una volta messo in moto, si installa rapidamente e irresistibilmente. Tuttavia, la lunga marcia attraverso le istituzioni si fa strada in un ambiente vischioso, qualunque sia il suo orientamento. Il problema non è arrivare primi, è impiantarsi più a fondo, saper affrontare la sfida del tempo.
Il fascismo, nella sua versione tedesca, ha rivolto lo sguardo alla questione del destino, di ciò che definisce il traguardo finale e stabilisce le condizioni per raggiungerlo. Nella sua versione italiana, l'attenzione è diversa, con una lunga tradizione politica viscerale dai tempi di Machiavelli. In questo caso è in gioco l'opportunità dell'azione, che dipende dalla capacità di cogliere il momento giusto e dal saper agire. Fatalismo del destino, opportunismo della volontà. Tra questi due c'è ampio spazio per navigare, a patto che l'uso della ragione consenta di tracciare il percorso su buone mappe.
Fondamentale, però, è che la resistenza al consolidamento di persistenti forme di dominio autoritario sia possibile, purché lo smantellamento dei suoi assetti istituzionali si combini con la riforma del suo retaggio oscurantista, con colpi precisi da un lato e tenace persistenza dall'altro altro. Il caso paradigmatico è la Germania – considerare, per quanto ha da avvertire e consigliare, solo la Germania occidentale, di profilo capitalista e liberal-conservatore, come quella orientale, socialista e autoritaria, richiederebbe un'analisi a parte.
Le prime e spettacolari misure per eliminare il nazismo senza lasciare traccia, servirono appena a nascondere la difficoltà di un risultato così radicale. Molti militanti meno in vista del movimento rimasero nelle loro cariche pubbliche o si trovarono a loro agio nelle mega organizzazioni imprenditoriali, soprattutto nelle loro filiali sudamericane, anche a seguito dell'intensificarsi della guerra fredda, in cui le due parti si guardarono con gli occhi paranoici e preferiva chiudere gli occhi per molte cose.
L'essenziale, però, riguarda ciò che è stato effettivamente fatto. Di fronte a forti segnali di indifferenza o addirittura di ostilità da parte di chi restava tra i vinti, fin dagli anni Cinquanta si sviluppò un vigoroso movimento di “rielaborazione del passato” da parte di gruppi e partiti in opposizione al conservatorismo dell'era Adenauer e di eminenti intellettuali , molti di loro tornarono dall'esilio. Si trattava di affrontare quanto fatto con coraggio cittadino e creare, con ogni mezzo, un ambiente di riflessione e di rieducazione antifascista, in un'impresa modello.
Non ci sono stati miracoli, ovviamente, e tutti i soggetti coinvolti in fondo sapevano che stavano mettendo in moto un processo a lungo termine, almeno due generazioni, e sulle mine antiuomo. È vero che anche i più impegnati tra loro, in più occasioni, sono stati presi dall'incredulità nella possibilità di lanciarsi in una società con tanti segni autoritari, come quella tedesca, fondamenti di una cittadinanza effettiva, senza la quale tutti gli altri gli sforzi sarebbero infatti vani...
Nell'atmosfera di quel periodo questo sentimento aveva un senso. Tuttavia, visto poco più di due generazioni fa, diventa più facile riconoscere che, con tutti i suoi difetti, questo tentativo di intervenire in un registro democratico non è passato inosservato e ha proposto questioni e procedure da prendere molto sul serio qui e ora. Ciò che è stato fatto nel caso tedesco, però, non è simile in altre società e non sarebbe mai stato fatto senza l'azione vigorosa di questi nuclei combattivamente democratici, che non si sono tirati indietro nemmeno di fronte alle esagerate cautele dei loro alleati.
Questo è un caso esemplare di azione corretta dopo un disastro. Nelle società meno traumatizzate (per ora) l'esempio è dato. La lotta efficace contro l'autoritarismo, anche nelle sue forme estreme, ha come palcoscenico la società e come oppositori le forme spesso camuffate e sfuggenti di rancorosi pregiudizi. Se non si provvede a questo, il cambiamento istituzionale e anche il giudizio dei colpevoli si riveleranno insufficienti. Questa esperienza insegna che l'azione di carattere democratico non consiste nell'annullare o nell'oblio del passato in un colpo di stato, ma nel prendere sul serio la realtà della memoria, sapendola affrontare senza paura e senza rancore.
Il primo e più arduo compito degli antifascisti tedeschi fu proprio quello di onorare la dignità della memoria. Sapevano, e lo comunicavano con forza alla società, che sarebbe stato inutile insistere nel ripudiare il fascismo dopo la sua sconfitta e poi cancellarlo dalla memoria come un compito compiuto. Ha appena iniziato. L'esempio è stato chiaro, e ha indicato che in questo caso, come in tutti gli altri, la sfida è costruire il terreno per la formazione dei cittadini invece che dei sudditi. Quello che quei democratici sapevano è che il termine per farlo è lungo e che, proprio per questo, è necessario iniziare presto.
Mai più Auschwitz, mai più campi di sterminio, proponeva come motto un intellettuale fortemente impegnato in quella fatica. Forse qui si potrà presto arrivare a dire, contro forme politiche analoghe al fascismo o peggio, mai più Jair Bolsonaro, con tutto ciò che questa figura, più dannosa e meno, rappresenta in termini di esplicitazione del lato oscuro così persistente della nostra società.
* Gabriel Cohn è professore emerito presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Weber, Francoforte. Teoria e pensiero sociale (argento vivo).
Originariamente pubblicato sulla rivista Nuova luna, no. 116.
Riferimenti
GRIFFINO, Ruggero. 1991. La natura del fascismo. Londra: Palgrave Macmillan.
HERF, Jeffrey. 1986. Modernismo reazionario: tecnologia, cultura e politica a Weimar e nel Terzo Reich. Cambridge: Cambridge University Press.
Neumann, Franz. 1942. Behemoth: Struttura e pratica del nazionalsocialismo. New York: Oxford University Press.
NOLTE, Ernesto. 1963. Der Faschismus in seiner Epoche: Die Action française, der italianische Faschismus, der Nationalsozialismus. Monaco di Baviera: R Piper.
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