da PAOLO BUTTI DE LIMA*
Non è necessario un chiaro segnale di avvertimento perché le degenerazioni politiche più deleterie prendano posto nella società, nelle sue istituzioni e nella mente dei singoli.
"Se il fascismo fosse introdotto negli Stati Uniti, si chiamerebbe democrazia". Pronunciata quasi un secolo fa, questa frase continua a toccare un nervo sensibile della riflessione politica. C'è qualcosa di stupefacente nel rendersi conto che non ci vuole un chiaro segnale di avvertimento, o un breve momento di passaggio, perché le degenerazioni politiche più deleterie prendano posto nella società, nelle sue istituzioni e nella mente degli individui. Non è richiesto un certificato ufficiale, l'approvazione delle scuole di scienze politiche o il giudizio di opinionisti.
Poiché ciò che ci spaventa sono sempre le cose più semplici, i fantasmi politici possono muoversi tra noi senza essere supportati dall'immagine che gli attori politici danno di se stessi. Rimane, quindi, la sfida di distinguere un concetto o una forma politica in assenza di una sua presunta (o dichiarata) rappresentazione. Quando, qualche tempo fa, giuristi e sociologi tedeschi tentarono di separare i tipi ideali dalle forme empiriche di governo, ebbero probabilmente paura di portare nei cieli della teoria le utopie socialiste e democratiche, ma finirono per dare un nuovo significato al problema della ricorrenza e innovazione nel campo delle forme estreme di autoritarismo incarnate nella comunità politica (tirannia, dispotismo, cesarismo, ecc.).
Non si sa con certezza chi abbia pronunciato la frase sul fascismo americano. Nel suo tono ipotetico, sembra essere stata formulata da qualcuno che già percepiva, nel territorio degli Stati Uniti, l'ombra del movimento politico allora vigente in Italia e preso a modello in Europa. Si è capito che questa forma politica è come un corpo che, pur essendo straniero, è riuscito in quel momento ad adattarsi alle istituzioni di uno dei Paesi che più ha usato la parola “democrazia” come strumento di autodistinzione. Forse la frase è stata pronunciata, anche se non letteralmente, da un ex governatore della Louisiana la cui carriera politica è stata interrotta dal suo assassinio; oppure creata dai suoi detrattori, che la accusavano di populismo, soprattutto per aver favorito programmi di assistenza economico-politica. Per questi critici, il fascismo dell'epoca corrispondeva a un eccessivo intervento statale quando cercava di restringere la sfera dell'azione selvaggia delle élites economiche.
Quella frase fu ripresa anni dopo dal giurista di origine austriaca Hans Kelsen, quando era professore all'Università della California. Era il 1955 e di lì a poco Charles Wright Mills pubblicherà una delle più efficaci descrizioni della natura oligarchica del sistema politico americano, ben lontana, inequivocabilmente, dal suo autoritratto in abiti democratici. Kelsen ha tratto la sua citazione da un'opera intitolata Simboli della democrazia, che descrive, tra l'altro, l'uso positivo che la parola "democrazia" ha ricevuto in Unione Sovietica. Il valore simbolico del termine chiave del vocabolario politico contemporaneo ammette la parzialità ideologica della lettura di Kelsen: con la finestra americana spalancata davanti a sé, si rifiuta di guardare il paesaggio e ritorna nella stanza buia da cui è venuto, dove , insieme all'arcirivale Carl Schmitt, praticava esercizi quotidiani di anticomunismo. A dargli fastidio era l'equazione tra democrazia ed uguaglianza economica e sociale, non la negazione di forme di partecipazione a un meccanismo politico sempre più ristretto e censuario.
Tra le riprese più interessanti della dichiarazione sul fascismo americano, tema propagandato in questi anni anche dalle élite liberali scosse nel loro potere politico, c'è quella di Bertolt Brecht. Nel suo diario, nel 1942, mentre era in esilio americano, lo scrittore ricorda una cupa discussione notturna: “Kline, che fece un film sul Messico con Steinbeck (musica: Eisler) era qui di notte [1]. Pensa che ci si possa aspettare una certa resistenza al fascismo grazie al sentimento americano per la democrazia. Leonhard Frank e Kortner erano scettici. Ora, è vero che c'è qualcosa qui [negli Stati Uniti] chiamato comportamento democratico, probabilmente perché l'intera società è stata improvvisata fin dall'inizio – non c'era il feudalesimo e il militarismo era superfluo. Ma ciò significa solo che la lotta di classe qui continua senza chiacchiere, cioè il vincitore non dimostra, con le sopracciglia alzate, disprezzo per la vittima ei profitti vengono sperperati con una certa volgarità. Il fascismo americano terrebbe conto di queste forme o assenza di forme e sarebbe, in tal senso, democratico”.
Per Brecht corrispondono comportamento cosiddetto democratico e volgarità (una lezione da Tocqueville e ancor prima da Platone). Questo sarebbe uno dei volti assunti dal fascismo nella sua nuova incarnazione morale sul suolo americano. Il fascismo non sarebbe la negazione della democrazia, ma solo uno sviluppo della forma speciale che ha assunto in America. La democrazia era allora, come lo è ancora oggi, il campo in cui si giocava il gioco delle rappresentazioni autoritarie o egualitarie – attraverso di essa entrano in conflitto le diverse concezioni della giustizia in ambito politico (come insegnava Aristotele).
Oggi il Brasile ha assunto un ruolo guida nel campo delle discussioni sulle forme varie e persino ambigue del neofascismo, diventando un vero e proprio laboratorio di espressioni di violenza autoritaria. Ma, a differenza del mondo americano di Brecht, il paese è già, in larga misura, privo di un corredo democratico, cioè gioca già fuori dal campo. Molti nel Paese non sentono il bisogno di ricorrere ad alcuna veste formale o istituzionale come si vede nelle presentazioni pubbliche di politici e rappresentanti della cultura. Negli ultimi anni è diventato più consueto parlare di valori repubblicani, che presto sono diventati (ahimè, tradizione) il linguaggio degli scapoli.
* Paolo Butti de Lima è professore all'Università di Bari, Italia. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia. L'invenzione degli antichi e gli usi dei moderni, (Firenze-Milano 2019) [traduzione portoghese in stampa a cura di EdUFF].
note:
[1] Herbert Kline, il regista del documentario sul Messico (sceneggiatura di John Steinbeck, fotografia di Alexander Hammid), sopra ricordato per la speranza che riponeva nella democrazia americana nella sua capacità di reagire al fascismo europeo, fu successivamente perseguitato dai fascisti comitato di attività antiamericane e da allora, fino alla sua morte, la sua produzione di documentari rimase estremamente ridotta.